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Capitolo 8


Vorrei potesse vedere quanta bellezza ho davanti a me quando sorride, quando parla, quando risponde a tono, quando aggrotta la fronte, quando diventa pensierosa o distante, quando si arrabbia. Vorrei potesse vedere con i miei occhi quanto è bella nella sua semplicità, quanto è desiderabile con quegli occhi irrequieti, con quelle labbra che continua a mordere o a inumidire, a recidere con i denti. Vorrei che potesse sentire quello che sto provando, vedere con quanto coraggio sto affrontando il suo arrivo, la sensazione di essere stato fatto prigioniero, schiavo di una tentazione tanto delicata quanto fatale. Vorrei potesse vedere il mio mondo, che da quando si è avvicinata su quel portico, da quando mi ha guardato negli occhi senza mai distogliere l'attenzione, ha di nuovo iniziato a girare.
Qualcuno sta bussando con insistenza e devo ricorrere a tutto il mio autocontrollo per non chiederle di non rispondere e di dedicarmi ogni sua attenzione. Ma non ne ho nessun diritto e devo rispettare ogni sua volontà.
Un altro colpo. «So che sei lì dentro, lurido bastardo! So che sei con la sgualdrina che continui a portarti appresso. Consiglio a entrambi di uscire immediatamente».
Willa dapprima non ha una vera e propria reazione poi sembra ridestarsi da un sogno erotico e sgrana gli occhi come chi si è appena svegliato madido di sudore sotto lo sguardo attento di un famigliare.
Mi spinge con una certa urgenza e balzando fuori dal letto, si fissa come se fosse l'amante e non sapesse da che parte scappare.
Rimango tranquillo, affatto intimorito dalla presenza di Milly dietro la porta.
Come sia riuscita a raggiungere l'hotel con il mal tempo, mi è poco chiaro. Conoscendola però, avevo già preventivato una mossa simile.
Vedendola torturarsi interiormente, mi avvicino a Willa. «Puoi fidarti di me?», le sussurro, deciso ad affrontare la mia ex fidanzata.
Solleva la testa battendo le palpebre e mi spinge indicando la porta. Apre e richiude la bocca annaspando, perché quasi nel panico. «Ti rendi almeno conto in che guaio ci siamo cacciati? Questa è la mia stanza e non ho nessuna intenzione di perderla per colpa della tua ex invasata che non ha ancora accettato la rottura», parla afona e talmente veloce da rischiare di mangiarsi le parole.
Blocco inoltre le sue mani che si agitano davanti, correndo il rischio di cavarmi un occhio.
«Le ho già detto che è finita. Le brucia che non sono corso a supplicarla di ritornare insieme, proprio come ha fatto lei quando mi ha tradito».
Willa si incazza maggiormente. «Sai cosa me ne frega di te e della tua fottuta storia? Un bel niente, Nic. Adesso o vai fuori e risolvi da solo con lei o facciamo a modo mio!», bisbiglia picchiando l'indice sul mio petto. Se avesse più forza mi ci lascerebbe un livido.
«Ti consiglio di decidere, prima che possa sfondare la porta o attirare altra attenzione su di me, rendendo impossibile il mio soggiorno in questo posto».
«Aprite questa porta o la butto giù, maledetti!», urla Milly. «So che siete lì dentro!»
Perché deve sempre essere così tanto teatrale?
Passo una mano sul viso poi soppeso lo sguardo della ragazza che ho davanti. Se ne sta seminuda con le mani sui fianchi a trucidarmi con quegli occhi dal colore limpido, in attesa di una mia risposta. «Mettiamo che ti do carta bianca, che cosa fai? Non puoi affrontarla perché è come un bufalo incazzato al momento e conoscendola troverebbe qualsiasi valido motivo per attaccarti».
Prova a calmarsi. I suoi occhi si spostano ancora verso la porta come quelli di un cucciolo impaurito, specie quando la maniglia inizia a fare su e giù e la porta a muoversi.
Gonfia il petto. «Tu adesso ti nascondi e non emetti un solo fiato e non lasci nessuna traccia e lasci fare a me. Me ne occupo da sola. Oppure ti trascino fuori e ti do in pasto a quella vipera che mi sta urlando di essere una puttana solo perché non hai saputo tenerti a distanza da me!»
Vorrebbe urlare ma si trattiene e io sorrido poco prima di essere colpito ripetutamente e senza ragione da lei che mi spinge verso l'armadio a parete.
Mi è impossibile prevedere la sua prossima mossa, sembra soltanto un gatto sul punto di graffiare e azzuffarsi con qualcuno.
«Sei sexy quando ti arrabbi, lasciatelo dire».
Arrossisce ancora di più e quando penso che stia per colpirmi, afferrandole il viso, premo forte la bocca sulla sua percependo immediato il suo sapore sulle labbra.
In un attimo tutto si allontana. Ci troviamo altrove. Lei non se ne accorge, ma è capace di soffiare su quelle cicatrici aperte, di anestetizzare quel dolore sulla parte oscura e isolata di me che da tempo brucia senza mai smettere di alimentarsi.
«Devi decidere, Nic».
«Voglio proprio vedere come te la cavi. Me ne starò buono dentro l'armadio, promesso. Fai di lei ciò che vuoi», soffio accaldato e stordito. «Ma se dovesse esagerare, sappi che interverrò».
Il mio è stato un tentativo estremo, la prova che sto chiudendo con il passato.
Willa appare poco convinta e ancora un po' scombussolata dal mio gesto. Facendo un passo indietro, calcola mentalmente qualcosa poi si muove intorno alla stanza lanciandomi gli indumenti e spingendomi dentro l'armadio.
Mette in ordine le ciotole spingendole sotto il letto e aggiusta quest'ultimo prima di infilare il maglione, scompigliare e legare i capelli per poi avanzare verso la porta.
Vedo la scena dalle minuscole fessure aperte dell'anta dell'armadio.
Milly continua a urlare, Darlene arrivata dal piano di sotto perché attirata dalle sue urla, le chiede di smettere e Willa apre con foga guardandola con rabbia.
«Si può sapere che cosa urli e cosa vuoi da me?»
«Dov'è?», la spinge rischiando di farla cadere e superandola entra in camera come un segugio.
Notando tutto in ordine, aggrotta la fronte.
Trattengo il fiato, faccio persino un passo indietro pur avendo dato, non in maniera diretta, la mia parola che non avrei fatto alcun rumore. Per fortuna con la mia stazza mi è praticamente impossibile muovermi. Mi sto sentendo come un elefante dentro una cristalliera.
Milly controlla dentro il bagno mentre Darlene e una delle guardie dell'hotel, tentano di arginare il danno chiedendole di smettere di importunare Willa, di urlare e di lasciare la stanza immediatamente. Ma lei non ha mai sentito ragioni. Ciò che vuole l'abbaglia e finché non la ottiene non si arrende.
«Dov'è andato?», le urla con gli occhi rossi, carichi di rabbia e gelosia.
Willa incrocia le braccia. La fronteggia pur essendo un metro e uno sputo rispetto a lei. «Intanto ti calmi e chiedi scusa per avermi dato della puttana ingiustamente. Come vedi, qui non c'è nessuno», si rivolge a Darlene. «Mi dispiace tanto ma sarò costretta a chiamare le autorità. È una minaccia per la mia incolumità e mi sta chiaramente seguendo e importunando. Non mi sento al sicuro con lei pronta a saltarmi alla gola per ragioni che non esistono», le dice coordinando i gesti agli sguardi.
Che piccola bugiarda!
Darlene coglie nel segno e facendo un cenno all'uomo della sicurezza, un energumeno più alto di un giocatore di basket e dalle spalle larghe come quelle di un lottatore di Sumo, ordina di buttare Milly fuori dalla stanza.
«So che era con te. Non mentire! Dimmi che cosa vuoi da lui. Dimmi perché gli giri intorno come un moscerino. Lui non ti darà mai niente perché non è mai stato pronto. Non sai che sono anni che avremmo dovuto sposarci, ma ha sempre trovato una scusa. Sono io la sua donna e lo sarò per sempre».
Willa esita, non conosce ancora i dettagli della mia vita, si ricompone indurendo i lineamenti, raffreddando quel sangue che le scorre veloce nelle vene e che, probabilmente, sta sentendo come fuoco nelle vene.
Sto provando la stessa sensazione, smanioso di potere uscire da questo fottuto nascondiglio e urlarle che per me è finita da tempo, che l'ho solo usata nell'ultimo periodo e che non mi ha mai fatto stare bene, che ho visto il nostro rapporto come una imposizione. Vorrei persino dirgli che quello che ho provato con un semplice bacio dato a quella ragazza, non credo di averlo mai vissuto in tutta la mia vita con nessun'altra. Ma ho promesso che sarei rimasto qui e lo sto imponendo a me stesso.
«Esci dalla mia stanza e non rendere il momento più imbarazzante per te di quanto già non sia», Willa parla pacata, c'è una nota dura, fredda.
La guardia afferra Milly per il braccio tirandola lungo corridoio, fuori dal mio campo visivo. «Venga signorina Lewis».
«Lasciami o chiamo mio padre e ti faccio licenziare e non trovare mai più un lavoro».
«Sei solo una stronza. Porta un po' di rispetto!»
Milly si ricompone non appena vede arrivare Boe, il quale si posiziona subito fra le due che si sono avvicinate nuovamente.
Qualcuno deve averlo chiamato, attirato dalle urla. Non appena vede Milly, esita. Non sa proprio come comportarsi, perché sa di non avere potere in questo paese proprio a causa del padre: il sindaco Lewis.
Quell'uomo per la figlia farebbe di tutto. Ha stroncato molte carriere. Nessuno è mai uscito illeso da un suo attacco.
«Che cosa succede?», tenta di mitigare il litigio.
«La signorina Lewis sta importunando una mia cliente affermando che si trova con il suo ex, ma Nicolai non è qui. Nessuno l'ha visto oggi. Sta rovinando l'immagine del mio hotel», interviene piccata e con una punta di veleno Darlene.
Tra lei e Milly, non corre buon sangue. L'ho sempre saputo. Infatti quest'ultima non la guarda in faccia e si allontana da lei con il disprezzo stampato in faccia.
«Lo stanno nascondendo da qualche parte in questo buco schifoso».
«Signorina Lewis!»
«Boe!», lo affronta fissandolo come un serpente.
«Voglio sporgere denuncia», afferma Willa azzittendoli tutti.
Boe non sa che pesci pigliare, suda freddo e tampona la fronte con un fazzoletto.
«Tu non farai proprio niente».
«Ne sei così tanto sicura? Mi stai seguendo e accusando solo perché sono straniera. A chi crederanno?»
Milly avvampa. Picchia il tacco sul pavimento incrociando le braccia come una bambina a cui è appena stato negato un gioccattolo. «Non lo farai! Non sai chi sono».
«Oh, mi è bastato guardarti per sapere chi sei. Signor Warren, voglio sporgere lo stesso denuncia. Non mi sento al sicuro. Stava per sfondare la porta della stanza violando la mia privacy e mi ha anche offesa pubblicamente. Ci sono delle aggravanti per diffamazione oltre a quelle per le minacce».
Milly diventa paonazza, gli occhi le escono fuori dalle orbite e fuma di rabbia. «Come osi!», le si avvicina minacciosa.
Willa indietreggia fingendosi spaventata. «Vedete?»
A quel punto, Boe, non può che confermare. Guarda corrucciato Milly. «Mi dispiace. Devi seguirmi in centrale».
Lei corruga la fronte. «Che cosa?», strilla.
«Sei entrata in hotel superando la hall senza permesso e hai disturbato i visitatori. Hai minacciato davanti a me la signorina Smith e so perché ti conosco che hai mancato di rispetto a Darlene e alla guardia».
Milly si ritrova braccata. Guarda tutti annaspando. Stringe le labbra e la presa sulla borsetta griffata. «Me la pagherete», gira sui tacchi, pronta a battere in ritirata.
«Minaccia a pubblico ufficiale. Si aggrava sempre di più la tua condizione. Non c'è che dire Milly Lewis, sei una criminale con i fiocchi», aggiunge cantilenando Willa con un sorrisetto soffiando sulle unghie.
La sua voce si propaga come un tuono in tutto il corridoio quando aggiunge: «Gli dirò che sei passata quando verrà per scopare», gli strizza l'occhio. «E per la cronaca è messo bene proprio lì sotto».
Immagino Milly avere la stessa espressione degli altri. Sono tutti a bocca spalancata. Di colpo si sentono i suoi passi svelti, la vedo spuntare come se fosse posseduta, lo sguardo distorto dalla furia omicida, ma viene afferrata e trascinata dentro l'ascensore dalla guardia e da Boe.
«Te la farò pagare!»
«È stato un piacere anche per me!», la saluta divertita.
Non vedo bene quello che succede, ma noto come ride Darlene quando rimane da sola con Willa.
«Sei tosta», si complimenta.
«Mi dispiace per tutto questo», abbassa le difese.
Lei le adagia la mano sulla spalla poi le fa una carezza sul viso. «Devi fare attenzione con Milly, intese?»
«Sì, grazie per avermi difesa e per avere retto il gioco».
Darlene si concede un'altra risatina. «Sei la prima che riesce a mettere al tappeto quella stronza. Vederla verde d'invidia poi... Ma dov'è Nic?»
Esco finalmente dal mio nascondiglio.
Mentre discutevano, oltre a osservarle, mi sono vestito, tentando di non fare rumore.
«Mi ha buttato dentro l'armadio come un amante. Roba da non credere», esclamo con sarcasmo. «Sono sempre stato il cornuto della storia».
Willa mi pesta un piede e stringo i denti. Noto però che ha trattenuto una risata.
«Evidentemente i ruoli cambiano, uomo delle nevi».
Darlene invece ride. «Siete divertenti. Se non conoscessi Nicolai potrei dire che provi per te un certo odio. Ma lo conosco bene e so che in realtà quello è interesse. Strano anche da vedere. Devo solo chiedervi di fare attenzione».
Willa arrossisce come un peperone. «Ma io e lui non... insomma non...», mi indica e indica se stessa, supplicandomi di dire qualcosa.
Sto zitto. Se aprissi la bocca sarebbe solo per lasciare uscire la cosa sbagliata e ridicolizzare i momenti che abbiamo passato insieme.
Darlene si dilegua e Willa chiude la porta con un po' troppa forza appoggiandosi un momento contro.
Mi siedo sul bordo del letto. «C'è stato un imprevisto nel gioco», esclamo massaggiando la nuca, poco prima di ricevere una chiamata e inserire la segreteria non appena noto il numero di Milly. «Te la sei cavata bene».
Lei se ne accorge e tirando una pellicina dal labbro, si sposta verso la finestra. «Tornerà?»
«Solitamente ama distruggere le persone. Con te ha trovato il terreno fertile per una guerra».
«E tu saresti la terra da conquistare?»
Le sorrido. «Esatto! E aggiungerei un gran pezzo di terra».
Sbuffa. «Sei più un campo minato».
Rido scivolando di spalle sul letto. «Ti va di avvicinarti un momento?»
All'inizio non si muove. Tira persino giù, sulle ginocchia, il maglione. Poi avanza a piccoli passi fermandosi a pochi centimetri di distanza.
Protendo la mano e lei sfiora le mie dita. Le intreccio e con una lieve spinta la faccio cadere su di me.
Atterra con tutto il suo piccolo peso facendomi ridere e tossire. Si scusa provando a rialzarsi, ma non ci riesce perché la tengo ferma per un fianco.
Non appena si rende conto della posizione in cui ci troviamo, ansima. «Nic...»
È una confusione dolce, sensuale, capace di attrarmi in uno strano incantesimo che vorrei tanto spezzare. Ma sono incapace di rinunciare.
Mi sollevo sul busto. La mia mano dapprima affonda tra i suoi capelli massaggiandole la nuca poi le accarezza la guancia. Il pollice disegna piccole linee facendole una carezza ripetuta che va ad infuocare e ad arrossarle la pelle.
Non sa dove mettere le mani poi le piazza sul mio petto. Non mi guarda negli occhi perché sta tentando di non cedere, di non avere la certezza di esserci cacciati in un grosso guaio.
Le mie mani scivolano sul bordo del maglione e con un movimento leggero, glielo sfilo via dalla testa.
Lei adesso solleva gli occhi e c'è timidezza. Un'espressione peggiore della malizia che mi si abbatte sul cavallo dei pantaloni.
«Abbiamo superato l'imprevisto. Dovresti muovere una pedina».
Muove le gambe mettendosi comoda ma si strofina sull'erezione. Ricado indietro e lei si sporge in avanti, le mani adesso aperte sul mio addome.
«Penso ce ne sia un altro sotto di me».
Rido nascondendo il viso con un braccio e lei prova a liberarmi. «È un problema alquanto grosso e se ti agiti lo diventerà di più».
Mi piace il modo in cui è appena arrossita.
Quando prova a scivolare, la trattengo. «Non osare spostarti proprio adesso».
Trattiene il fiato. «Sei consapevole che mi hai appena chiesto di restare sul tuo membro?»
«Aggiungerei eretto, duro, pronto. Sicura di non volerne approfittare? Hai come dire... una tensione evidente sulle spalle e sul viso che potrei far sciogliere».
Pizzica il mio capezzolo facendomi urlare e ridere maggiormente.
Con una mossa impercettibile capovolgo la situazione facendola scivolare sotto il mio corpo. Affondo il viso sul suo collo e comincio ad assaporarlo soffermandomi sotto l'orecchio tenendo ferma la sua guancia. Raggiungo le sue labbra e con uno scatto la faccio strisciare all'altezza della mia vita.
«Dobbiamo andarci piano, non credi?»
Non appena mi sorride, una fitta mi colpisce il petto. Non è solo una carezza è un pugno che va a sfondare una parte di me dove da tempo non passa nessuno. È strano. È forte. È pericoloso.
Rifletto e le mordo il lobo. «Stiamo andando piano».
Il suo telefono ronza e sporge il braccio per raggiungerlo con la mano che va a tentoni sul comodino.
Controlla lo schermo poi risponde. «Pronto?»
Si solleva sul braccio e io la libero per permetterle di alzarsi dal letto. Ascolta con attenzione.
«Sì. Certo che avrò bisogno di te».
Corrugo la fronte e lei non si muove dal letto. Ha intenzione di farmi ascoltare la sua conversazione
Dall'altro capo del telefono c'è Luke.
«No, finché non smette di nevicare non potrò uscire da qui. Ho già visto la villa, non chiedermi come ho fatto. So solo che avrò bisogno di parecchi operai e del materiale per rimetterla in piedi penso proprio dalle fondamenta».
Un sorrisino si fa strada sulle sue labbra. «Certo. Dovrò convincerlo ad aiutarmi».
Nei suoi occhi balena qualcosa di simile a una sfida. E non mi occorre fare domande per capire quale discorso stanno affrontando. Sono io il soggetto che dovrà cercare di convincere.
«Lo conosci più di me. Che cosa potrebbe piacergli?», mi sorride.
Mi abbasso e le bacio il petto. Lei trattiene il fiato, stringe con la mano libera il lenzuolo e anche le cosce. «Pensi ci sia una possibilità seppur minima?», le si affievolisce la voce.
Percepisce il mio fiato sul collo quando annuso la sua pelle delicata e sensibile. Un brivido di piacere rilasciato dal contatto accennato dalle mie labbra che risalgono fin sotto l'orecchio dove mordo la minuscola porzione pallida facendola arrossare, si riversa su di essa. Trattiene il respiro. Non lo ammetterà apertamente, ma è evidente l'effetto che le faccio.
Prova ad allontanarsi. «Ti terrò aggiornato. Buona giornata».
Premo la mia mano sulla sua coscia quando prova a parlare e la bacio. «Sarà difficile convincermi», mugugno divertito.
Prova a concentrarsi. «Perché hai rifiutato?»
Luke deve averle detto qualcosa che non ho sentito. «Te l'ho spiegato. Quella villa è un mucchio di polvere, frammenti... potresti farti molto male».
«Ci penseranno gli operai».
«E dopo?»
Non replica e mi è tutto così chiaro da trafiggermi.
Mi sono lasciato fregare. Ho permesso all'illusione di insinuarsi dentro, di farmi vedere quello che adesso mi sembra solo una trappola. Avrei dovuto restare con i piedi per terra, invece mi sono abbandonato così in fretta da rendere vani i miei progressi. Tutto a causa sua.
«Dopo te lo dico io quello che farai. Te ne andrai perché non hai nessuna intenzione di restare», sbotto risentito.
Il pensiero che lei possa fare tanto lavoro per poi andarsene mi sta già torturando da quando l'ho saputo.
Intuisce e mi si avvicina ma mi scanso ferendola. «È facile per quelle come te. Ti basta schioccare le dita e il mondo cade ai tuoi piedi. Ma devi capire che ci sono volte in cui non sei sola come pensi».
Rimane frastornata dalla forza distruttiva che hanno le mie parole e che le si abbattono dentro, fuori, demolendo ogni sua breve certezza.
Prova a dire qualcosa ma sono carico e ho appena chiuso all'angolo quella parte di me che vorrebbe crederci in questa assurda follia. «Devi capire che quando ti circondi di persone, poi non puoi buttarle via come se fossero vecchi e logori stracci. Quindi se hai l'intenzione di andartene, fallo ora».
Raggiungo il centro della stanza. Mi sento un leone in gabbia e attualmente so che potrei dire solo la cosa sbagliata per ferirla o farmi ferire. Pertanto, recupero il cappotto e mi avvio alla porta. «Puoi dire al tuo nuovo amico Luke, che Nicolai Wood non ti aiuterà».
Ci sono istanti che non si possono controllare e tutto nel giro di qualche attimo cambia. La quiete lascia il posto alla tempesta e il caos si fa strada dentro di me. Io lo sapevo. Sapevo che qualcosa sarebbe andato storto. Perché sono sempre stato uno che vede la fine, ancora prima che qualcosa inizi.
«Qual è il tuo problema?», urla di getto, provando a trattenermi.
Ma le mura di questa stanza, stanno cominciando a restringersi e il mio cuore ad essere soppresso.
«Tu sei il mio problema perché hai la capacità di spezzarmi con uno solo dei tuoi gesti. E so che devo lasciarti andare perché sarai solo distruzione e nient'altro», cammino infuriato verso la porta. La spalanco e mi volto ancora, la guardo per l'ultima volta imprimendo la sua immagine nella mia mente. «È stato bello finché è durato», esco dalla camera dirigendomi a passo sicuro di sotto.
Darlene prova a fermarmi, ma sa che so gestire una bufera e una volta in auto, arrabbiato con me stesso, in parte deluso dal modo in cui le cose si sono evolute, picchio forte i pugni sul volante e me ne ritorno alla mia villa.

🎄🎄🎄

~ N/a:
Buona Santa Lucia a tutti. Qui in Sicilia si festeggia e oggi in casa abbiamo mangiato Arancini come se non ci fosse un domani e l'immancabile "cuccìa" oltre ai dolcini. Voi come avete passato questa giornata? Come state?
Purtroppo questo capitolo si è concluso con una nota amara per i nostri protagonisti. Milly è una grossa spina nel fianco e Nicolai non ha preso bene la questione "ristrutturo la villa e me ne ritorno a New York" di Willa. Ma sarà davvero così?
Spero di avervi tenuto compagnia anche oggi. Come sempre grazie per esserci.
Un abbraccio virtuale,
Gio'.

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