Capitolo 7
Un tempo mi sarei arrabbiata per la mia debolezza.
Lui mi confonde. Riesce ad abbassare le mie difese sfondandole con la sua dannata forza. Soffia sopra ogni barricata facendola sgretolare sotto il peso delle sue profonde iridi.
Ma come si fa a non oltrepassare quel limite? Come si fa a smettere di desiderare qualcosa che non hai cercato ma che ti si è presentata davanti senza pretese, eppure con un impatto tale da toglierti il fiato?
Le mie iridi scorrono lente sulle sue braccia. Non riesco a smettere di fissare ogni solco, ogni segno distintivo sul suo corpo per memorizzarlo. Come quel neo sopra il capezzolo sinistro o quello sulla scapola destra. E poi ancora qualche minuscola e invisibile lentiggine sulla spalla, quella cicatrice sul sopracciglio, quella sull'addome, sul gomito o sul ginocchio.
Il suo profumo mi avvolge, fa impazzire i miei sensi, fa tendere i miei muscoli. È un miscuglio di veleno e antidoto per le mie ossa. Lui mi fa venire voglia di abbattere tutte quelle barriere, di guardarlo come sto facendo adesso e dirgli che non ho mai detestato così tanto qualcuno fino al punto da desiderarlo con ogni singola molecola di cui sono composta.
Lo guardo e, pur sapendo di essere appena entrata all'inferno e di potermi bruciare, non smetto, non mi fermo. Disseto la mia voglia di imprimere dentro ogni parte di lui, trattenendo il pensiero di potermi ritrovare ancora avvolta dalle sue braccia per potermi sentire meno sola, un po' più viva. Ma quest'uomo non può appartenermi e c'è una parte di me che sa di non poter essere tanto sciocca da non capire che non c'è niente a parte un'assurda attrazione tra estranei.
Perché è questo quello che siamo io e lui. Siamo due estranei che si sono appena baciati.
Non mi pento di averlo assecondato. Di avergli permesso di continuare, di attaccarsi alla mia pelle, di riscaldarla per impedirmi di scappare. Ho solo il timore che la mia vita, già in bilico da tempo, sia sul punto di disintegrarsi.
So per certa che questo istante mi è rimasto dentro. Perché se fai entrare qualcosa nel tuo cuore, qualcosa di positivo e forte, ti si imprime nel profondo. E niente riuscirà mai a togliertelo.
Schiudo le labbra, il cuore martoriato dal martellante ritmo che non dà pace allo sterno. Le mie dita scivolano lente dal suo petto, avvertendo nell'immediato la mancanza del suo calore.
Mi ha chiesto se tutto questo è possibile provarlo con i libri che leggo. Non conosce la verità. Non sa che leggere è sempre stata l'unica alternativa che ho avuto. L'unico modo per evadere dalla realtà opprimente, per non affondare completamente nel fango restando a casa dove ho sempre trovato ostacoli, gente che mi ha impedito di vivere, di sognare, di amare.
I libri sono stati il mio biglietto di sola andata, mi hanno sempre permesso di scappare altrove, di non fermarmi, di non guardarmi indietro, di divertimenti, di non sentirmi persa e sola, arrabbiata e sul punto di mollare.
I libri, tutti quei personaggi, quelle avventure, quei luoghi, mi hanno insegnato a sapermi rialzare, a non smettere di credere nelle cose belle, quelle che arrivano, che ti salvano.
«Non posso mentire, con i libri puoi vivere tantissime vite, visitare posti e conoscere così tante persone da non sentirti più incompreso. I libri trasmettono emozioni, hanno odore di casa per me. Ma quando le vivi in prima persona le cose che hai sempre letto, hanno un'altra intensità, un altro sapore».
Fa un passo indietro e comprendo che è arrivato il momento di lasciarlo andare.
Torturo le dita, se ne accorge e scatta in fretta afferrandomi la mano.
Senza dire niente, con una strana espressione tra il concentrato e il confuso, mi porta di nuovo di sotto.
«Forse dovrei andare».
Si ferma sull'ultimo gradino. Le spalle tese. «Ci sarà una tormenta».
«Allora sarebbe meglio raggiungere l'hotel prima, non credi?»
Storce le labbra, ma non avanza spiegazioni, non si espone. Rimane dietro quella parete a mandare segnali contrastanti.
«Mi rivesto e andiamo».
Lo lascio salire di sopra e raggiungo l'attaccapanni. Infilo il cappotto e attendo che scenda.
Quando lo fa, sembra sereno. Spegne il fuoco e mi fa cenno di raggiungere il garage.
«Va tutto bene?», domando incerta, interrompendo il silenzio in auto.
Guida piano, con attenzione. Ignora la gente che sta già rincasando e lo saluta allungando lo sguardo per capire chi si trova in auto con lui.
Non risponde, prosegue e sembra avere solo un obbiettivo, lasciarmi a destinazione e andarsene per sempre.
Forse non vuole avere più a che fare con me. Forse il suo era solo un esperimento e io ero la cavia, quindi tornerà dalla sua ragazza. Mi irrigidisco al pensiero.
Se ne accorge, ma continua a usare il silenzio come arma.
Aggrotto la fronte attendendo impaziente una sua spiegazione, che mi rivolga un cenno, una rassicurazione, che in qualche modo mi faccia capire che non c'è niente di cui preoccuparsi. Ma il suo volto rimane impassibile e lui diventa distante. È qui vicino a me ma è difficile raggiungerlo.
Di fronte all'hotel, non sostenendo più il suo silenzio, scendo in fretta dall'auto e a passo spedito, evitando di scivolare e fare una pessima figura davanti a chi se ne sta fermo all'entrata, ignorando i loro sguardi che hanno appena memorizzato la scena, faccio il mio ingresso.
La signora Darlene, mi accoglie calorosamente. Oggi indossa una mantella a scacchi sopra una tuta rossa e stivali comodi. Si è truccata e alle orecchie ha due orecchini simili a medaglioni in oro giallo.
«Passata una buona giornata, tesoro?»
Le ore passano talmente in fretta da non rendermi conto di essere qui già da quattro giorni.
«Avrei tanto voluto. Ma evidentemente sono una che attira solo disgrazie. Mia nonna è andata via? Solo questa notizia potrebbe farmi stare meglio».
Dopo avere pronunciato l'ultima frase, mi sento una persona cattiva. Non so da dove sia nato questo odio nei suoi confronti. So solo che sarebbe davvero una liberazione saperla lontana da me.
Darlene gira intorno al bancone. «Subito dopo che sei uscita dall'hotel è scesa ed è andata via. Se ne hai bisogno... ti faccio preparare del tè».
«Grazie. In realtà penso che mi andrebbe di più un po' di zuppa calda. Cenerò in camera, se non è un problema», la rendo partecipe, allontanandomi.
In camera, mi infilo subito dentro la doccia e mi lascio avvolgere dalla condensa facendo scivolare insieme allo scarico, tutto quello che è tossico.
Poi, avvolta dal morbido asciugamano bianco, mi avvicino alla vetrata della stanza e appoggio la fronte su di essa. Con la superficie gelata a bruciarmi la pelle, osservo l'ambiente che per le prossime settimane dovrò provare a chiamare casa. Non so ancora se sarà facile, se sarò in grado di sopportare il peso di quello che mi porto addosso e il freddo che mi penetra con costanza nelle ossa indurendomi. Ma sento di essere appena arrivata a destinazione. Sono lontana dalla mia asfissiante famiglia, da due lavori, che da un po' di tempo non riescono più a soddisfarmi; dalle amiche troppo competitive e materialiste per accorgersi di quello che le circonda; di quei valori che non avranno mai, perché impegnate a riempire le liste dei desideri, i carrelli dei negozi on-line più esclusivi e a spettegolare sui fidanzamenti o ad architettare qualche mossa per accaparrarsi uno scapolo ricco. Sto pensando anche alla persona che i miei vorrebbero al mio fianco, quell'uomo che ho odiato sin dal primo istante in cui mi è stato presentato come il mio futuro marito.
Forse sono fuggita da tutto quello che per la mia anima era nocivo. Mi sto salvando da sola dopo anni vissuti in un purgatorio perenne. In cuor mio, spero di non entrare all'inferno a causa di quell'uomo che ha messo in visibilio la mia mente, il mio corpo senza preavviso.
Sento bussare alla porta e, credendo che sia arrivata la mia cena, corro ad aprire.
Il mio sorriso, si spegne.
Nic scosta con il palmo la superficie entrando in camera con un vassoio che al suo passaggio lascia una scia di cibo buono, gustoso, invitante.
«Che ci fai qui?»
«Ti ho portato la cena», replica con naturalezza.
Incrocio le braccia con il risultato che il mio seno rischia di fuoriuscire dall'asciugamano. Tento di nasconderlo.
Dio, mi sto sentendo così esposta e ridicola. Ma è lui a rendermi nervosa.
«Perché hai portato tu la mia cena?», chiedo, decisa a non cedere al pensiero che sia qui per me.
Posiziona il vassoio con due scodelle piene di riso e due di brodo e verdure, sulla scrivania all'angolo. C'è anche un piattino con della torta di mele. Poi va a chiudere la porta sfilandosi il cappotto che lascia sullo schienale della poltrona.
«Perché mi va di cenare con te».
Stringo due dita sul dorso del naso e sospiro. «Non puoi fare così, Nic».
Solleva la testa e mi squadra da capo a piedi, rendendosi conto della situazione.
«Perché no? Non ti piace un uomo che ti porta la cena?»
«No, non è questo. Io...»
«Allora cosa?», sollevandosi mi si avvicina.
Sto indietreggiando fino a sentire la freddezza sulle spalle data dalla superficie della porta del bagno.
«Hai paura che tiri via questo grazioso asciugamano e veda come sei? O hai paura che mi approfitti di te?»
Arrossisco. «Non sto dicendo questo».
Si avvicina ancora e mi solleva il viso tenendolo tra le dita. Mi ritrovo di nuovo in balia delle emozioni. Incastrata tra paradiso e inferno.
«Allora non pensare troppo e goditi il momento», sussurra rude, picchiando il dito sulla mia tempia.
Scosto la sua mano. «Dammi un momento. Con te che mi fissi come se volessi mangiarmi non riesco a essere lucida».
Indietreggia e io mi chiudo dentro il bagno. Appoggiata al lavandino inspiro ed espiro per calmarmi. Mi rivesto indossando un maglione lungo largo e torno in camera.
Mi aspetta davanti il camino. Ha adagiato tutto sulla soglia inferiore e ha disposto dei cuscini sul tappeto per metterci comodi.
Si sofferma sulle mie gambe, sui calzini che arrivano appena sulle ginocchia.
«Nel tuo concetto del vivere oggi c'è anche quello del correre troppo?»
Picchia il palmo accanto a sé. «Vieni qui».
Mi siedo incrociando le gambe e quando mi passa la ciotola di riso già ben amalgamato nel minestrone, assaggio ed emetto un verso di piacere.
Lui mangia in silenzio, di tanto in tanto fissa le fiamme o me di traverso.
Di colpo posa la ciotola sul vassoio, la sua mano aperta preme sulla mia guancia e con il pollice toglie un chicco di riso. «Non ho mai visto mangiare qualcuno come mangi tu».
«Tanto o così in maniera disordinata?»
Sorride. Lo fa in modo sincero e con una dolcezza che mi spinge a guardarlo per un momento di troppo e a restare intrappolata.
«Lo fai con gusto, come se fosse il tuo ultimo pasto. Starei ore a guardarti mangiare».
«Sei un feticista».
«Tu sei una piacevole distrazione».
Scuote la testa concludendo la sua cena.
Ad un tratto si solleva come una molla e va a guardare fuori dalla finestra. Sul suo viso compare una smorfia. Ma non sembra alquanto preoccupato, anche se all'inizio impreca tra i denti.
«Cazzo!»
Mi avvicino e noto la bufera all'esterno. La neve attecchisce talmente in fretta da coprire in un attimo ogni cosa.
«Sapevi che sarebbe arrivata, perché sei qui?»
Sentiamo due colpetti alla porta. Vado ad aprire e Darlene, corrucciata, dopo essersi scusata per avere disturbato, guarda proprio lui.
A dispetto di molte altre persone, non appare curiosa e se lo è non lo dà a vedere.
«Non puoi tornare a casa con quel tempo. Ti ho portato le chiavi di una stanza».
«Non avresti dovuto preoccuparti. Willa mi avrebbe lasciato la poltrona. Vero?»
Mi coglie alla sprovvista. «Non ti farei mai dormire tanto scomodamente».
«Visto?»
«Visto cosa? Io ti ho appena detto...»
Darlene nasconde un sorriso. «Bene, se ci ripensi o ci sono problemi, scendi pure di sotto e prendi la chiave. La lascio sul bancone», mi interrompe. «Vi auguro una buona serata».
Lui annuisce poi chiude la porta tornando a guardare fuori dalla finestra.
Perché non ha accettato il gesto di Darlene mettendomi in difficoltà? Il mio non era un invito a restare.
Sentendomi in trappola e intuendo di non avere molta scelta, abbasso di poco le spalle. «Divideremo la stanza, ma non aspettarti altro da me».
Massaggia il mento. «Starò bene dalla mia parte del letto», dice e divertito, sfila il maglione.
Per la seconda volta, mi è difficile non ammirarlo. Non soffermarmi su quei muscoli che sembrano essere stati scolpiti da una mano esperta.
«Vuoi... dormire nel mio letto?»
«A volte ti sorprendi come una bambina. Siamo adulti. Penso tu abbia già dormito nel letto con qualcuno. Non ti spingerò a fare niente che tu non voglia», ribatte. Toglie anche i pantaloni e scostando la coperta, si sdraia.
Fisso le fiamme del camino. Vorrei dirgli la verità, che non sono mai riuscita a dormire con nessuno nel mio letto. Sono certa che lo troverebbe divertente e argomento di derisione. Pertanto evito.
Schiarisco la voce e dopo un attimo, esitando, chiedo: «Puoi spegnere le luci?»
Esegue non ponendo domande, pur notandolo curioso.
Nella semioscurità, la cui unica luce proviene dal camino e dall'esterno, dopo avere tirato la tenda, sfilo via il maglione, i calzini e di fretta mi infilo sotto la coperta abbracciando il cuscino.
Ho sempre dormito così e non ho intenzione di cambiare le mie abitudini per un uomo. So di avere comprato dei pigiami, ma ho constatato che qui dentro non si gela e ho il sospetto che questa notte sarà infuocata con lui nei paraggi. Quindi meglio non farsi la sauna e ignorare qualsiasi strano segnale da parte del mio corpo.
I secondi passano e sento solo forte il mio battito cardiaco.
«Girati».
Lo faccio avvolgendo la coperta e stringendola al petto con le braccia.
Nic si avvicina. «Avresti potuto chiedermi di non guardare invece di spegnere le luci».
«E tu non avresti ascoltato».
Sorride. «Esatto. Perché mi hai tolto il piacere di vederti con quel completo intimo addosso?»
«Non è coordinato».
Tira un po' giù la coperta e io picchio il palmo sul suo suscitandogli una risata goliardica. «Bugiarda».
Gli do le spalle. Non demorde e avviluppa le sue braccia intorno al mio addome.
Mi agito ma è impossibile scollarmi dalla sua presa.
Quando sento il suo viso affondare sul mio collo, emetto un verso, le mie gambe dapprima si tendono poi non le sento. «Nic!»
La sua risata è un ulteriore schiaffo sulla mia pelle. Soprattutto quando il suo fiato colpisce la mia nuca. «Che c'è, piccolo iceberg?»
«Smettila e dormi».
Mi annusa facendomi andare a fuoco. «Come posso dormire se sei così esposta? La cosa che più mi irrita di te è questo atteggiamento che hai. Fingi che non ti importa. Eppure il tuo corpo invia un messaggio diverso».
Mi volto e il suo viso è pericolosamente vicino.
«Willa, così peggiori le cose», mi rimprovera.
Sorrido e i suoi occhi si illuminano. Mi accarezza una guancia. «Possiamo dormire anche così, che ne pensi?»
Poso la mia mano sulla sua. La trattengo intrappolando sulla pelle il suo calore. «Mi stai dicendo che non vuoi il bacio della buona notte?»
Finge di pensarci su. Il suo sorriso scompare e lo scintillio nei suoi occhi, che sfoggiano tanta meraviglia con quel colore unico, cede il posto a una patina velata di ombre a minacciare il sereno. «Ho paura che sarai tu quella a mordere».
Rido spingendolo e lui si sdraia supino. Mette le braccia dietro la nuca e rimane a guardare il soffitto. Io invece guardo lui.
Abbraccio il cuscino. «Prima hai avuto una strana reazione. Ti va di parlarmene?»
Morde il labbro, di riflesso faccio lo stesso.
«Sto correndo il rischio di farmi male. Non ero preparato a quello che ho percepito quando mi hai chiesto di tornare qui».
«Non volevo invadere il tuo spazio».
Ci guardiamo.
«Certo che sai come farmi sentire un idiota».
Mi avvicino. Indugio ma ci pensa lui ad darmi la spinta e in breve mi avvolge con un braccio attirandomi al suo petto.
«Come può piacermi il tuo odore se sei un perfetto estraneo», mormoro.
Non sento la sua risposta perché gli occhi mi si abbassano e la stanchezza prende il sopravvento.
Sento solletico e mi sveglio. I miei occhi trovano aperti quelli della persona con cui ho dormito.
«Ciao», mi saluta a bassa voce.
«Ciao».
Respiro il suo fiato che sa tanto di menta e vedo il bagliore del suo sguardo riaccendersi al suono della mia voce.
«Non volevo svegliarti».
Sbadiglio. «Perché non stai dormendo?»
Pronuncia le labbra poi decide di essere sincero. «A volte non riesco e ho bisogno di una distrazione».
Arrossisco quando intuisco che cosa intende, ma rimane calmo. «Non pensare di usarmi», aggiunge.
Lo spingo. «Non ti userò», sto al gioco.
Muove le labbra poi sfodera lo stesso quel sorriso, quello sardonico di chi non promette niente di buono.
Prima ancora che io riesca a scappare, mi afferra per i fianchi.
Sentire le sue dita sulla mia pelle nuda mi fa ansimare ed emettere un verso stridulo.
Mi ritrovo sotto il suo peso, sveglia, più di prima.
«Hai paura di questo, no? E non ti sei mai trovata al risveglio con un uomo».
Annaspo spingendolo. «Come...»
«Ti scansi. Non farai mai qualcosa che non vuoi, intensi?»
Annuisco ma non scivola via. Si abbassa e il suo profilo sfiora il mio. «Siamo bloccati qui dentro a causa della tormenta. Possiamo farci portare qualche gioco».
Oso toccarlo. Vado oltre quella minuscola voce che mi chiede di non farlo. Gli accarezzo le guance. La barba ordinata, nonostante sia corta, colpisce i miei polpastrelli con la sua morbidezza. Lui rimane stordito e aggrotta la fronte.
«Qualche gioco andrà bene», sussurro ritrovando il suo viso vicino perché l'ho attirato verso il mio.
Le sue dita tremano sui miei fianchi poi scendono sulle cosce con una certa sicurezza. Sollevo le ginocchia incastrando il suo corpo e ansima.
«Vuoi sceglierne uno?»
Faccio pressione con le cosce e le sue narici guizzano.
«Mossa pericolosa», aggiunge con voce roca.
Con un movimento veloce, mi fa ritrovare sul suo peso. La mia vita si adagia sulla sua e la mia intimità va a sfregare contro il cavallo dei suoi boxer rigonfio.
«Giochi sporco».
«Non hai stabilito nessuna regola, piccolo iceberg».
Mi abbasso e prova a baciarmi. Tiro indietro la testa e strizza una palpebra indispettito. «Adesso chi è che gioca sporco?»
Mi fa scivolare ancora sotto il suo peso con un movimento veloce, così tanto da farmi girare la testa. Tiene stretto e sollevato il mio ginocchio muovendo i fianchi in un su e giù snervante.
Mi manda il visibilio il cuore e vado a fuoco quando la sua mano sinistra gioca con l'interno coscia.
Lo fermo, commetto il primo errore perché coglie la balla al balzo appropriandosi della mia bocca. Mi bacia e lo fa senza forza, con tutta la voglia che sente e in parte anche con quella che ha bisogno di scaricare di dosso.
Mi avvinghio a lui e il suo respiro cambia mentre la sua lingua tocca la mia e ci gioca. Le sue dita sfiorano ancora l'interno coscia fino a raggiungere il tessuto dell'intimo.
Le sue pupille si dilatano e nelle sue iridi ci vedo il riflesso del mio sguardo. Affonda il viso sul mio collo e prosegue ritrovando le mie labbra pronte. Lo trattengo e lui continua.
Ci stacchiamo all'unisono, scarmigliati, affannati, accaldati.
«Perché ti sei fermata?», chiede divertito. Mi sta chiaramente deridendo e stuzzicando.
«Non siamo ancora amici».
«Già, per superare quel livello di gioco bisogna esserlo», finge di rifletterci sopra continuando ad annuire.
Avverto la sua erezione ma non ne sembra preoccupato. Appare piuttosto a suo agio.
Mi piace come riesce a coprire tutto dietro quello sguardo freddo. Ha un autocontrollo come pochi.
Osserva famelico le mie labbra, deglutisce poi si abbassa e io chiudo gli occhi. Ne sento il peso, ne assaporo quasi la morbidezza, ma tutto si sfuma quando qualcuno bussa forte alla porta.
🌨🌨🌨
~ N/a:
Buona sera. Che cosa hanno fatto per voi i libri? Perché leggete?
Willa ha spiegato un po' la sua passione in seguito alla domanda di Nicolai. Ma ha anche parlato di "futuro marito" imposto dalla sua famiglia e in parte una della ragioni che l'hanno spinta a"fuggire" da New York. Abbiamo anche visto un Nicolai aperto, diretto e in maniera incredibile: sorprendente. Chissà quando lo saprà come reagirà...
Chi c'è dietro quella porta?
Spero di avervi tenuto compagnia anche oggi e che questo capitolo vi sia piaciuto. Grazie perché ci siete.
Un abbraccio virtuale,
Gio'.
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