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Capitolo 6

Quella ragazza è come un maremoto. Arriva all'improvviso e ti annega con la sua forza distruttiva. Mi ha colpito e l'ha fatto in ripetizione. L'ha fatto ancora e ancora sin dal primo istante, senza mai smettere. Senza neanche accorgersi di avere dato inizio a qualcosa, forse una catastrofe, che nessuno dei due sarà in grado di fermare.
Ed io ho la certezza che potrebbe essere la mia rovina. Perché non posso permettere a nessuno di trovare anche solo uno spiraglio e di insinuarsi nella mia vita fatta di schegge. Lei non può. Io non posso permettere che mi si incastri dentro.
Sembrerà prematuro, ma lei è il puzzle più intrigante e complicato che io abbia mai conosciuto.
Sarebbe facile lasciar perdere. Fingere di non avere percepito niente, nessuna vibrazione, nessun interesse. Sarebbe facile mollare, tornare a essere chi sono sempre stato, allontanarmi un'altra volta, chiudere in un cassetto tutto e ignorare il resto che mi stuzzica.
Sarebbe stato facile se non avessi puntato lo sguardo su di lei. Ma se tutto accade per una ragione, non posso combattere contro il destino.
Slaccio il grembiule poco prima che mio padre possa girare il cartello.
Oggi abbiamo aperto il negozio su richiesta del sindaco Lewis, per permettere ai visitatori di comprare il necessario per scalare le montagne e per godersi la durata della vacanza in pace, avendo tutto quello che serve per farlo.
«Dove vai di fretta? Dobbiamo parlare».
Sono già alla porta secondaria. «Ho un impegno».
Scuote la mano come a dire: "Mi credi uno stupido? Chi vuoi prendere in giro? So già tutto!". «Riguarda la ragazza con cui hai cenato e che hai fatto fuggire da qui dentro dopo avercela trascinata?»
Mi blocco. Donnie è già andato via da un pezzo e non può sentirci. Il sabato aprono il cinema e permettono ai ragazzi di divertirsi nei locali. C'è sempre il coprifuoco, per evitare che qualche turista finisca coll'uccello sulla neve per avere importunato una ragazza e muoia assiderato.
Quella ragazza è scappata talmente in fretta da non permettermi di spiegarle alcune cose.
Durante la cena di ieri sera, ho avuto modo di osservarla, di notare da vicino quei dettagli di lei che l'hanno resa particolarmente interessante ai miei occhi sin dal primo istante.
È stata sicura nel parlare, nell'affrontarmi. La sua voce non ha mai vacillato e non ha mostrato segni distintivi di nervosismo o agitazione. A parte quando Milly ha fatto quella scenata, facendomi vergognare enormemente.
«No, ho terminato la mia settimana di lavoro e sai bene che il weekend mi rilasso».
In un primo momento annuisce seguendomi fuori. Poi però ci ripensa e mi ferma. «Che cosa è successo, Nic?»
Gratto il sopracciglio in parte tagliato a causa di una minuscola pietra che dopo un'esplosione, mentre ero insieme ai miei compagni a vigilare in zona di guerra, per poco non mi sfregiava il viso. Io me la sono cavata con qualche punto di sutura, il polso slogato e una gamba rotta. Purtroppo gli altri hanno avuto la peggio.
«Vuoi sapere come tutti se mi sono scopato la nipote di Lenore?», sbotto incazzato. «Sai che cosa ti dico? Magari lo avessi fatto! E sai dove avrei dovuto farlo? Dentro lo sgabuzzino, durante la veglia, cosicché tutti ascoltassero».
Papà muove le labbra. Un gesto che fa quando riflette su come rispondere per non generare una discussione accesa.
Lui mi conosce e sa che non sono uno che si lascia abbagliare facilmente da due gambe aperte. Sa che dedico la mia attenzione solo a chi la merita.
«Non essere volgare e dimmi che cosa ha fatto Milly», replica invece con la sua tipica voce roca. «Sono preoccupato».
Gliene avrà parlato uno dei clienti prima del mio turno, immagino.
Massaggio la fronte. «Stavo passando una bella serata non programmata, prima che arrivasse e mandasse a puttane tutto. Ha fatto una scenata talmente patetica e isterica da costringermi a trascinarla fuori usando la forza. L'ho calmata e l'ho accompagnata a casa. Era ubriaca».
Scuote la testa. «Dannati Lewis!», esclama.
Già. Milly crede di essere potente solo perché è la figlia del sindaco. Ma non è mai stata immune ai pettegolezzi. Alcuni rischiavano di rovinarla ancora prima che mi tradisse. Ma ci ha pensato il padre a chiudere la bocca a tutti e la madre con la notizia di avere aperto un centro estetico e che avrebbe offerto a tutti uno dei servizi previsti.
Papà adagia e stringe la mano sulla mia spalla. «Qualsiasi cosa faccia, non cedere. Mi piaci di più come sei adesso. Ogni tanto fa bene chiudere dei capitoli difficili da accettare e allontanarsi da ciò che fa solo male, figliolo».
Mio padre ha ragione. Devo evitare di prolungare ancora quegli attimi che non hanno fatto altro che farmi accumulare senza mai lasciare andare. Questo perché non sono riuscito a chiudere in tempo determinate porte, facendo entrare con costanza nella mia vita quell'infelicità, fino a farmela tatuare sotto la pelle.
Ho capito che quando qualcosa ti segna, ci pensa il tempo a svuotarti. Le cose finiscono come fiori appassiti. Ma io non mi sono mai pianto addosso, neanche quando avrei dovuto e ne avrei avuto il diritto.
Dicono che volere è potere. Io ho sempre saputo ricominciare. Non ho mai zoppicato tra i miei ricordi. Ho trovato il modo giusto per buttare via ogni traccia di malinconia.
Adesso, spero solo di sapere ritrovare tutti quei pezzi di cuore che di me si sono sparsi dopo essere stati staccati.
Annuisco e mi dirigo verso la Jeep. Lui sale sul suo furgone e partiamo in direzioni opposte.
Chissà come, dopo avere girato a zonzo per il paese, osservando Jack pronto a passare lo spargisale sulle strade, mi ritrovo di fronte all'hotel di Darlene.
Mi sento patetico anche mentre esco dalla Jeep e raggiungo la hall così tanto in fretta da non rendermi conto di essermi scontrato contro qualcuno.
Davanti a me volano indumenti, biancheria intima e calzini.
Un urlo breve attira la mia attenzione. Abbasso lo sguardo e mi accorgo di chi ho appena fatto cadere.
«Allora la tua è una mania!», esordisco, incapace di trattenermi.
Il mondo scorre attraverso i nostri respiri che si intrecciano creando un'unica nuvola di condensa mentre ci fissiamo.
Le porgo la mia mano e lei dapprima l'avvicina sfiorando i miei polpastrelli, poi si solleva da sola raccogliendo con una smorfia e in fretta le sue cose.
«Sei tu quello a dovere stare attento a dove metti i piedi. Poi perché così tanta fretta?»
L'aiuto e mi toglie dalle mani un paio di slip parecchio succinti. Sono di un tenue rosa con delle trasparenze e disegni di pizzo ai lati.
Sorrido e lei mi scocca un'occhiataccia. «Quelli li indossi stanotte?», ignoro la sua domanda.
Non appare sconvolta e non ha alcuna strana reazione. «Solo se necessario. Sono per le occasioni speciali», replica strizzando un po' gli occhi azzurri, le cui ciglia incurvate sono coperte da uno strato sottile di mascara.
Non ha nient'altro sul viso. Ed è maledettamente attraente.
«Sfacciata, mi piace», la stuzzico sfiorandole il naso con l'indice.
Un gesto che sorprende entrambi, soprattutto me, che ficco le mani dentro le tasche del cappotto sentendo un formicolio decisamente esagerato sotto il polpastrello.
«Allora... che cosa fa un piccolo iceberg durante il weekend? Se ne sta con la zia stronza a congelare ulteriormente?»
Storce il labbro. Per un attimo nei suoi occhi passa un'ombra. «Penso sia già andata via da qualche ora e a dire il vero non ho molto da fare a parte ambientarmi», replica abbracciando gli indumenti, facendo un passo verso l'ascensore.
Vorrei fermarla, perché sta chiaramente scappando. Ma non so come fare. Gratto la fronte e rifletto. «Allora verrai con me», taglio corto.
Sul serio Nic?
Esita. «Venire con te... dove?»
Sorrido gonfiando il petto. «Ti concedo cinque minuti per preparati. Non avrai bisogno degli slip coordinati», le strizzo l'occhio ed esco dall'hotel, dandole la possibilità di raccogliere le idee e forse anche un po' di coraggio.
Che cosa sto facendo? Non lo so. Forse mi sto solo mettendo nei guai. Ma è eccitante tutto questo e non voglio smettere.
Quando la vedo arrivare, infagottata, infreddolita e saltellante, le apro la portiera e lei sale senza dire niente. Percepisco la sua ansia e so le domande che a breve mi farà per capire le mie intenzioni, non appena avvio il motore. Ma voglio solo starle accanto. Non importa il perché.
Accendo il riscaldamento. Lei appoggia le mani sopra l'impianto. «Dove mi porti?»
«A casa mia».
Morde il labbro. «Sei sicuro? Non corri troppo? Non so per chi mi hai preso ma... io non sono una di quelle ragazze».
Non c'è preoccupazione, solo l'accenno di un sorriso.
Rido sfiorandomi il labbro inferiore con l'indice. «E che ragazza sei?»
Adagia le spalle al sedile. «Una di quelle che non rubano l'uomo a un'altra, ad esempio», c'è una nota di rimprovero nella sua voce.
Non rispondo. Il silenzio però sembra diventare opprimente per entrambi. Soprattutto quando si volta. «Che cosa ha fatto?»
Cambio marcia. È di questo che vuole parlare?
«Era ubriaca e l'ho portata a casa prima che si facesse male o facesse qualcosa di cui poi avrebbe potuto pentirsi. Milly è impulsiva. Le passerà».
Gioca con il ciondolo dello zainetto. «Da quanto stai con lei?»
«La conosco da sempre. Siamo stati insieme per circa dieci anni. Se te lo stai chiedendo abbiamo avuto alti e bassi. Direi più bassi ed è finita da un pezzo».
Tamburella con le dita sulla pelle dello zainetto. «Sono tanti anni».
Svolto a sinistra iniziando la breve salita verso la mia villa. Si trova a distanza dal paesino, ma non è lontana. È solo in un posto tranquillo: il mio.
«Abbastanza».
«Quindi è finita per te non per lei».
La sua non è una domanda. «Concedo poche occasioni».
Apre la bocca poi la richiude e guarda fuori dal finestrino
«Tu invece, piccolo iceberg?»
«Solo qualche storia marginale», replica brevemente. Un po' troppo.
«Che hai da nascondere?»
Si irrigidisce. «L'ultima storia... lui... scusa ma non mi va di parlarne».
Taccio, pur essendo avido di informazioni. C'è necessità dentro di me.
Posteggio in garage e la faccio entrare direttamente dalla porta adiacente ad esso.
Lei lo fa in punta di piedi e toglie persino le scarpe guardandosi intorno al mio rifugio semplice, pulito, essenziale.
Osserva un quadro poi sfiora il muso di un cervo e si volta. «Sei anche un cacciatore?»
Sfilo gli scarponi, il cappotto lo appendo sul mobile all'entrata facendole cenno di darmi il suo, poi mi dirigo in soggiorno. Qui accendo il camino.
«Non fa per me. Mio padre lo era, ma ha appeso il fucile da un pezzo. Se vuoi sapere se so sparare, so farlo e anche bene. Ero un cecchino».
Sfiora il corrimano della scala facendo il suo ingresso nel mio soggiorno. Un quadrato ben organizzato con due divani disposti ad L, coperti da plaid in tartan e cuscini abbinati agli angoli; un tavolo basso da caffè di legno con rifiniture a formare una cornice; il camino e una libreria piena di vecchi volumi. Il resto, sulle mensole, medaglie, piante grasse e qualche foto.
Si avvicina proprio a quelle in cui ci siamo solo io e mio padre. Ma ha la delicatezza di non chiedere il perché manchi un'altra figura.
Apprezzo.
Mi sposto in cucina, prendo due birre, in un piatto dispongo dei biscotti alla panna e quelli con gocce di cioccolato e quando ritorno lei si è seduta sul divano e sta leggendo i titoli dei libri. 
«Grazie», tiene la birra tra le mani e accetta un biscotto. «Allora... come vi divertite da queste parti?»
Mi siedo sulla poltrona, davanti a lei. Gratto la carta sul collo della bottiglia «Dipende. Sono soliti organizzare di tutto. Nei weekend, ad esempio c'è la serata cinema o si balla nei locali. Sappi che c'è il coprifuoco, lo si avverte da una sirena e dalla sicurezza per strada. Questo per evitare che qualcuno rimanga in mezzo alla neve. Per i più spericolati poi c'è il sesso», addento un biscotto.
Lei scuote la testa pulendosi le dita. «Non mi scandalizzi».
Sorrido. Bevo un sorso. «No, certo che no. È per questo che non hai indossato gli slip rosa ma hai messo qualcosa di comodo?»
«In realtà non ho indossato niente sotto».
Per evitare che tutto possa consumarsi mi sollevo e mi avvicino alla finestra facendole cenno di fare lo stesso.
Poggia la bottiglia sul tavolo dopo averci messo sotto un tovagliolo e si affianca.
È molto accorta.
«Non hai molti vicini», nota in fretta.
Il suo profumo tenue al latte di mandarla dolce, mi avvolge.
Le indico la casa in questione. Quella che dovrà mettere in piedi. Non posso dirle niente, ma voglio che veda e sappia in che razza di guaio si è cacciata.
Corruga la fronte. «Luke ti ha detto qualcosa?», passa in fretta alla conclusione da sola. È sveglia e perspicace. Una dote che ho visto solo a poche persone negli ultimi tempi. Una tra questi, oltre lei, era sua zia.
«Quella sarà la tua casa».
«E sarà bellissima», mormora con un filo di voce, trasognante.
I suoi occhi rimangono per un attimo persi all'esterno. Non vede nessun rudere al momento.
La mia mano avanza verso il suo viso. Le sfioro una ciocca. «Non mi hai ancora detto il tuo nome».
Si volta, rimane per qualche istante senza dire niente mentre la mia mano si abbassa. Fremo per assaporare ogni singola lettera come se fossi un tossico.
Mi porge la mano. «Willa Smith, uomo delle nevi».
«Nicolai Wood, piccolo iceberg», stringo la presa e vengo trafitto da una scarica che mi si abbatte tra le gambe.
«Ti rendi conto che ci siamo presentati solamente adesso?»
Ridiamo.
«Prima o poi lo avremmo fatto».
«Prima o poi?»
Le mollo una lieve spallata. «Maliziosa, mi piace!»
Torniamo in postazione. L'uno di fronte all'altra. «Sarà difficile ristrutturare quella casa?»
Mi piego sulle ginocchia dopo avere terminato la mia birra. Il momento di prima mi ha messo sete.
«Sarò sincero, temo per la tua incolumità e per quella di chi ci lavorerà. Non so che cosa ti abbia spinto a prendere questa decisione e sono affari tuoi. Ma... non hai ancora detto niente riguardo i tuoi vicini».
Solleva una spalla. «Per mettere in piedi quella casa ci vorranno esattamente i mesi a mia disposizione, ovvero quelli indicati dal testamento. Non so ancora se avrò voglia di restare oltre. Tutto dipende da come vivrò in questo posto».
Mi sollevo. «Quindi... dopo ti lascerai tutto alle spalle?»
Il tono che uso è alquanto duro.
Willa batte le palpebre, non comprendendo la mia reazione. «O magari non riuscirò ad andare via perché ci sarà qualcosa a trattenermi. Un po' com'è successo a zia Lenore».
Sfilo la maglietta e lei avvampa sollevando il palmo sul viso per tapparsi gli occhi.
Allora non è poi così immune.
«Che fai?»
«Tra poco qui dentro farà molto caldo», salgo di sopra.
Con mia enorme sorpresa mi segue. Curiosa intorno, ma non è invadente e si mantiene a distanza.
Sfilo via anche i pantaloni rimanendo in boxer davanti a lei che se ne sta appoggiata allo stipite della porta.
«Perché vivi qui?»
«Perché vivere altrove?»
Morde il labbro evitando di guardarmi. Scosto la tenda e noto il vicino spiarmi. So che la moglie, una vera pettegola, ha già notato tutto. Lo saluto e con il viso paonazzo scappa via.
Mi auguro che nessuno chiami Milly. Non con una nevicata in arrivo e non con Willa in casa.
«Mi hai detto che eri un militare. Perché hai smesso?»
«Stavo per rimanerci secco. Ma avrei continuato, se non avessi avuto una gamba ferita e mai guarita del tutto».
Staccandosi dallo stipite, avanza e guarda il paesaggio.
Mi faccio vicino e lei si volta ritrovandosi con la schiena adagiata alla parete.
Trattiene il fiato. Non guarda ai lati dove le mie mani si stanno adagiando. Guarda nei miei occhi.
«Hai avuto paura?», chiede con un filo di voce.
Abbasso il viso. «Mai quanto adesso».
«Perché?»
«Perché è la cosa più pericolosa che io abbia mai fatto».
«Fatto cosa? Non ti sei ancora mosso».
Trattiene il fiato, gonfia il petto e le sue mani tremano quando mi avvicino ulteriormente. Adagia i palmi sul mio petto nudo, ne saggia la solidità.
Il suo tocco... è come essere sfiorati dalla seta.
«Chiudi gli occhi», le sussurro.
«Stai per mordermi?»
Ghigno. «Se solo osi abbassare lo sguardo, lo faccio davvero».
Non risponde, si limita a guardarmi per non aggrapparsi a qualcos'altro. Non corre il rischio. C'è un po' di imbarazzo, una lieve e sana incertezza che ancora non avevo avuto modo di vedere.
Le sollevo il mento con una mano. Il pollice traccia una lieve linea invisibile sul suo labbro inferiore che è carnoso e morbido. Invitante.
«Che succede?», inclino un po' la testa.
Passa la punta rosea della lingua dove ho appena sfiorato. Il gesto mi fa fremere, ma attendo smanioso che mi risponda.
«Mi fai uno strano effetto».
«Anche tu».
È bella. Bella come le mani che esitano e per sbaglio si sfiorano. Come un sorriso accennato, mai sfoggiato.
È bella ai miei occhi attenti che hanno saputo catturare nei suoi ogni importante sfumatura.
Non posso restare fermo. Non adesso. Perché se non mi muovo, se non mi avvicino a lei, non lo farò più. E non posso perdere qualcosa di tanto prezioso e improvviso. Perché lei ha il sapore piccante di qualcosa di proibito e quello dolce delle cose belle. Quelle che arrivano senza una ragione e non ti lasciano perché non vuoi liberartene.
«Se mi mordi sei un uomo morto, Nicolai Wood».
Rido rendendomi conto di essermi fatto vicino e le sfioro la gola. L'annuso, riempendo le narici della sua essenza e appena mi sposto verso l'orecchio, noto che ha la pelle d'oca.
«Hai paura?»
«Hai intenzione di farmi male?»
Muovo la testa e le nostre labbra sono talmente vicine da sfiorarsi.
«No. Sei tu che me ne farai».
Preme l'indice sulla mia bocca. «Nic...»
Chiudo gli occhi assaporando il modo in cui pronuncia il mio nome.
«Non scoperemo stanotte», le sfioro le braccia, avviluppando piano le mie alla sua schiena. La inarca e il suo petto sfiora il mio.
Faccio un passo avanti e lei uno indietro trovando ostacolo nel muro.
«Perché non porto gli slip che avresti voluto vedermi addosso?»
Sorrido e ancora una volta la mia volontà vacilla.
«Ti ho già spogliata una volta, non ricordi?»
Arrossisce.
La provoco e la stuzzico perché è l'unico modo che ho di raggiungerla. Perché è l'unica ad avermi fatto mettere in discussione tutto quanto in così poco. 
Non riesco a liberarmene. È come una droga che si sazia delle tue debolezze, facendoti cedere e precipitare fino a consumarti.
«Al funerale».
Confermo. «In quell'occasione però non abbiamo fatto questo».
Non le do il tempo di riflettere, perché stringo le sue natiche premendole verso di me e appoggio le mie labbra sulle sue, appropriandomi della sua bocca dopo avere lottato con i suoi denti e avere chiesto accesso spingendo con la lingua.
La sollevo lievemente e muovo i fianchi provocandole un gemito che mi fa eccitare ancora di più.
Willa si aggrappa alle mie spalle. Le distanze tra di noi vengono annullate dalla smania di assaporarsi, di sentirsi con la pelle, con le ossa, con l'anima. E quando avverto il suo bacino strusciare sul mio, le unghie solcarmi lievemente la schiena, mi costa caro trovare l'autocontrollo necessario per non strapparle di dosso ogni singolo indumento e venerarla tutta.
Mi allontano, non abbastanza da essere al sicuro, ancora tentato, a corto di fiato, con il petto che si alza e si abbassa frenetico, le guance arrossate dall'impeto e il cuore che batte rinvigorito.
«Questo te lo fanno provare i tuoi libri?»

🌹🌹🌹

~ N/a:
Buona sera stelline.
Non penso ci sia molto da dire di fronte al primo bacio dei nostri protagonisti. Spero vi sia piaciuto. Loro vi piacciono come "coppia"?
Qualcosa mi dice che forse sarà meglio per loro godersi questo momento...
Ad ogni modo, volevo ringraziarvi per il sostegno. Sembrerà banale da dire ma vi sono grata perché mi sopportate e supportate. Magari per altri sarà una cosa normale, per chi come me vive d'incertezza, una stella, un commento hanno valore. Grazie.
Buona serata.
Un abbraccio virtuale,
Gio'.

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