Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 5

Nella vita ho sempre evitato di impantanarmi in determinate situazioni. Sono sempre stata abile nel riuscire a liberarmi quando mi sono ritrovata in una posizione scomoda. Questo, grazie anche agli insegnamenti di zia Lenore.
Ma attualmente, il destino sembra avere altro in serbo. In qualche modo è come se si stesse accanendo su di me per capire fino a che punto resisto.
Davanti a me, una donna molto appariscente dallo sguardo infuocato. Si è appena fermata al tavolo e sta fissando in cagnesco entrambi, mentre intorno a noi cala improvviso il silenzio e la gente presente comincia a bisbigliare, a far partire colpi di tosse e a scambiarsi occhiate furtive. Qualcuno addirittura esce dalla cucina per assistere.
«Non hai risposto alle mie chiamate».
Il suo tono di voce è alquanto stridulo.
Lui si appoggia allo schienale fissando il piatto vuoto con aria assente, strizza le dita prima di sollevare gli occhi su di lei. «Avevo da fare. Poi perché avrei dovuto?», ribatte, senza avanzare una scusa.
Lei lo guarda storto, le braccia conserte e sempre più serrate sulla pelliccia color cammello. Le unghie a forma di artiglio sembrano quasi volere creare uno squarcio sul suo viso. Poi, di getto, come una fiera sposta la sua attenzione su di me.
«E tu chi sei?»
Odio la maleducazione e sto odiando anche questo istante.
«Lei non c'entra niente», ribatte lui giocando con il bordo del coltello.
È come se l'avesse colpita.
Pesta la punta dello stivale sul parquet della sala. Le sue narici guizzano e la palpebra dell'occhio sinistro ha uno spasmo. «Ah no? Per questo non hai risposto? Perché eri con questa?», mi indica, continuando a guardarmi come uno scarafaggio da schiacciare con quel tacco dello stivale che batte a un ritmo in grado di darmi sui nervi.
«In realtà penso ci sia stato un grosso equivoco. Io ero sola quando è arrivato lui e abbiamo condiviso il tavolo, visto che i posti a sedere erano tutti occupati. Scusa, ma tu chi sei?», oso intervenire.
Trovo odiosa anche l'arroganza e le persone che si credono in diritto di avere sempre l'ultima parola o ragione.
Lei soffia aria dal naso emettendo un verso di disgusto. Non mi guarda neanche più in faccia.
Che stronza!
«Stai persino negando l'evidenza?», mi indica come se non ci fossi e lo spintona.
Lui si solleva, posa il palmo sul suo gomito e la fa voltare verso la porta scorrevole. Si abbassa all'altezza del suo orecchio e le sussurra: «Sai, Milly, non sono più affari che ti riguardano. Posso cenare con chi cazzo mi pare e piace. Posso anche scoparci. Adesso, se non ti dispiace, gradirei che mi lasciassi alla mia serata. Evitiamo le scenate isteriche e riserviamole per un altro momento. Se ci sarà l'occasione».
«Stai ancora con me, non puoi comportarti così solo per ripicca!»
Raggelo quando intuisco. Mi sollevo e metto un passo indietro per creare distanza tra me e loro.
C'è una regola che mi accompagna negli anni: mai prendere o avvicinarmi all'uomo di un'altra.
Se avessi saputo, non mi sarei mai permessa di restare con lui a cena.
Mi sto sentendo sporca e ridicola senza ragione apparente, perché so di non avere fatto niente di male.
Ma gli occhi scuri della donna che ho davanti a me e che tornano a fissarmi come se fossi una poco di buono, mi fanno sentire a disagio, di troppo.
Se potesse mi avrebbe già fatta fuori. Ha tanto l'aria di una persona manesca e avrebbe sicuramente la meglio, dato che non ho mai fatto a botte con nessuno e non saprei neanche come proteggermi.
Lei è pronta a farmela pagare e lui appare così tanto tranquillo da mettermi paura.
Che cosa succede tra loro? Che genere di rapporto hanno?
«Ti hanno visto insieme a lei al funerale di quella stronza di Lenore. Adesso qui, a cena, davanti a tutti hai il coraggio di cenarci insieme. Che cosa c'è tra di voi?»
«Ehi! Quella stronza era mia zia, razza di idiota! Prima di parlare ci penserei un paio di volte la prossima volta», mi avvicino pronta a darle una lezione e a farle rimangiare quello che ha detto, ma lui solleva il braccio per fermarmi.
Mi sta dicendo: «Ci penso io».
Il sangue mi ribolle in corpo.
«Sta zitta! Non avresti mai dovuto avvicinarti al mio uomo. Mi hai sentito?», mi urla quando lui la solleva di peso trascinandola fuori dalla porta.
Prima di uscire, mi lancia un solo sguardo.
Sufficiente a farmi tremare le vene nei polsi.
Lei invece mi indica digrignando i denti mentre scalcia e i capelli ossigenati le si scompigliano dalla foga. «Te la farò pagare, sei una puttana!»
Incasso il colpo e non mi scompongo. Com'è che diceva sempre zia Lenore?
Ah: "Quando qualcuno ti offende, annuisci e fallo sentire ancora più stupido di quanto già non sia. Anche quando hai voglia di fargli del male".
Spero che la mia impassibilità non la invogli a tornare indietro e a portare avanti il secondo round, perché non so come reagirei.
Ho un cumulo di parole dentro che non riesco a pronunciare. Tutto passa, mi ripeto. Ma non certe parole, non certi sguardi. Alcuni, sono come colla che si aggrappa forte all'anima e non ti lascia più.
Mi avvicino frastornata alla signora Darlene, la quale ha assistito a tutto, proprio come i presenti, che adesso sono tornati a chiacchierare e qualcuno ha persino aumentato il volume della TV posta in alto sulla parete, insieme a trofei e alla testa impagliata di un cervo, fingendo che niente sia accaduto.
«Stai bene, tesoro?»
Deglutisco. Quanti bocconi amari ho ingoiato fino ad ora? Mi viene da piangere, ma non voglio mostrarmi fragile.
Raddrizzo la schiena. «Sì. Metta la cena e lo spettacolo sul mio conto. Mi scuso se ho alzato la voce nel suo locale».
A testa bassa mi avvio verso l'ascensore.
«Signorina Smith?»
Premo il pulsante. «Sì?»
«Ha fatto bene a reagire».
Annuisco e mesta salgo nella mia stanza. Ma qui dentro trovo mia nonna, furiosa per averla lasciata sola per gran parte della serata. Se sapesse quello che è appena successo, sicuramente correrebbe fuori a farla pagare a quella donna, Milly se non erro. Poi ovviamente, mi rifilerebbe una delle sue lezioni di vita non richieste.
«Hai cenato?», le domando mettendomi vicina al camino dopo avere attizzato un po' il fuoco per scaldarmi.
«Non sono qui per parlare della cena. Dove sei stata?», fissa le fiamme con aria severa.
Mi appoggio alla parete. «Ho fatto un giro qui nei paraggi poi sono salita in camera, mi sono cambiata e sono scesa a cena. Come sei entrata?»
Si solleva a fatica. «Tra qualche ora torniamo a New York. Prepara le valige», si avvia alla porta.
Scuoto la testa. «Tu non hai capito. Tornerai da sola a New York. Io rimango qui».
Mi guarda come se mi fossero cresciute tre teste. «Non puoi dire sul serio, Willa!», alza il tono.
Incrocio le braccia. «Invece sì. È una mia decisione, non tua, non dei miei genitori. Te l'ho già detto e non cambierò idea tra qualche ora».
Soffia aria dal naso come un toro. «E che cosa farai? Dove abiterai? In questo hotel da quattro soldi dove tutti sanno tutto e non c'è privacy? Dove lavorerai e chi ti darà mai un posto senza neanche conoscerti? Si' realista, Willa. Per una volta smetti di sognare a occhi aperti come una bambina e guarda il tuo presente da adulta».
Le apro la porta, nascondendo la delusione e il dolore che mi hanno appena provocato le sue parole così tanto cariche di odio.
Per la seconda volta in tutta la giornata, ho solo voglia di piangere.
«Va' a dormire. Domani hai un volo, nonna».
Chiude l'uscio con uno scatto; intenzionata a proseguire, a fare ulteriormente a pezzi il mio cuore.
«Non durerai una settimana», mi sfida. «E quell'uomo, quello di cui tutti parlano di avere visto con te alla veglia, non sarà mai una garanzia! Fargli subito gli occhi dolci poi... sono disgustata perché non è così che ti abbiamo cresciuta».
La guardo storta e turbata. Deve avere sentito qualcosa qui in hotel. «Io non ho fatto gli occhi dolci proprio a nessuno! Sai, è proprio questa la differenza tra te e lei. Tu sei una stronza lei era migliore perché sapeva quando era il momento di tacere, di non manipolare e...»
Lo schiaffo mi raggiunge improvviso, spezzando i rumori esterni e il crepitio proveniente dal ceppo che arde.
«Vuoi sapere chi era Lenore White? Era un'orfana arrivata in casa mia, una ragazza piena di fantasie, una donna subdola che si sarebbe infilata volentieri nel letto con mio marito. E sai come mi sono procurata questa?», indica la gamba picchiandoci sopra la mano grassoccia. «Rincorrendola quando ho saputo che aveva manomesso ogni mia serata. Diceva che l'aveva fatto per il mio bene, perché lui era uno sporco traditore e lo aveva scoperto per me».
Massaggio la guancia. Brucia, ma mai quanto quello che sto per dire. «Quello che ti è successo è solo a causa tua, nonna. Hai sempre raccontato questa versione perché è quello che ti ha consigliato di fare tua madre, che si vergognava del tuo atteggiamento nei confronti di tua sorella adottiva e che lei stessa non riusciva a sopportare, perché non aveva istinto materno. Ma io so quello che è successo. So che la colpa è ricaduta su zia Lenore e perché non ha mai reagito».
Rimane stordita. Sulle guance si deposita un forte rossore, tradendola. «Come...»
«Pensi di esserti comportata bene con lei? Sei stata tu a rubarle l'amore della sua vita e lo sapevi. Ma sei sempre stata gelosa e quando hai saputo che si sarebbero incontrati, sei corsa per rovinare il loro incontro. Ecco come hai ottenuto il cuore dell'uomo che lo ha strappato a tua sorella, rimanendo zoppa. Lei però non ti ha mai odiato ed è andata avanti, diventatando qualcuno. Tu che cosa hai fatto? Hai continuato a vivere alle sue spalle e a renderle tutto difficile, quando sei stata la causa del tuo stesso male e anche del suo».
Solleva la mano e prova a colpirmi di nuovo, ma la fermo appena in tempo, stringendole il polso, strattonandola.
«Vattene!»
Indurisce i lineamenti. «Non pensare di tornare da me quando tutto sarà finito e ti ritroverai senza niente e sarai sola».
«Domani hai il tuo volo. Fa' buon viaggio».
Detto ciò, la butto fuori dalla stanza e appoggiata alla superficie di legno, mi affloscio a terra come un palloncino, portando le ginocchia al petto.
Nessuno è in grado di comprendere a pieno il tuo dolore. Mi piace pensare che un giorno, qualcuno finalmente sarà in grado di sedersi al mio fianco senza ferirmi. E che io, capirò che il mio cuore non merita questo.
Forse smetterò di rincorrere le persone mentre si allontanano. Perché se te ne vai significa che non hai mai voluto restare. E io di persone che non restano non ne ho bisogno.

Dopo quelle che a me sembrano molte ore in cui fisso la finestra e il buio farsi di nuovo luce, mi sposto dal mio angolo, faccio una lunga doccia calda e indossando indumenti comodi, decido di scendere e di chiedere a Darlene dove posso trovare un negozio di abbigliamento.
La trovo dietro il bancone, riposata, piena di energie e sorridente. Non in maniera stucchevole, ma dolce. «Mattiniera?»
«Non ho dormito molto», ammetto ancora un po' assonnata. Tamburello con le dita sulla superficie. «C'è un negozio di abiti qui vicino?»
Lei mi passa una cartina segnandone tre con un pennarello rosso. Mi spiega come arrivarci.
Non sarà difficile trovarli, visto che sono lungo la via principale, a distanza l'uno dall'altro e in un zig zag curioso.
«Entra in sala, ti faccio portare la colazione. Sei un po' pallida».
«Grazie, preferisco fare quattro passi. Ho bisogno di una boccata d'aria».
Sorride in modo rassicurante come se sapesse già. Non mi stupirebbe se avessero sentito il litigio con mia nonna. Le mura sembrano fatte di carta pesta.
«Allora fermati da Ronnie e digli che ti ho mandato io. Non sarà difficile trovarlo», mi strizza l'occhio e sparisce in cucina.
Chiudo bene il cappotto ed esco dall'hotel. Vengo investita dall'aria fredda e per poco sono tentata dalla voglia di tornare dentro e restare per il resto della giornata sotto le coperte. Ma ho delle cose da fare e una nuova vita da organizzare.
Durante la notte ho scritto una e-mail ai miei datori di lavoro. Non è stato semplice ma credo capiranno. Poi ho stilato una lista delle cose che mi servono per riuscire a sopravvivere.
Raggiungo il primo negozio, quello di articoli sportivi. Qui dentro, mi lascio aiutare dalla commessa, una donna appariscente e chiacchierona e scelgo un paio di tute termiche per i miei esercizi giornalieri. Mi faccio anche indicare la palestra.
Nel secondo, un uomo dal gusto sopraffine, mi propone un paio di maglioni "all'ultima moda". Evito come la peste quelli natalizi e opto per qualcosa di semplice e dai colori che farebbero disgustare le mie amiche.
A loro ho spiegato tutto in chat e spero non inizino a farmi sentire matta. Ma non si sono degnate neanche di scrivermi per farmi le condoglianze e sapevano quanto ci tenevo a zia Lenore.
Nel terzo negozio, trovo dei pigiami dall'aspetto comodo, ma sono costretta a sbrigarmi perché le due proprietarie, madre e figlia, continuano a pormi domande su di me e la mia vita.
Con i pacchetti in mano, mi dirigo da Ronnie. Un venditore ambulante di caffè, dolcetti e ciambelle molto grandi. Impossibile non notarlo, proprio come aveva detto Darlene.
Faccio il suo nome e lui con un ampio sorriso mi offre tutto senza permettermi di pagare. Mi augura una buona giornata e mi chiede di coprirmi perché fa freddo.
Decido di fare un giro per conoscere meglio il paesino e perché non ho voglia di vedere partire nonna e sentirmi dire che sto commettendo una pazzia.
Ne ho bisogno. Ho bisogno di fare qualcosa per me stessa.
Al centro esatto della piazza circolare, stanno montando un gazebo e delle giostre. Alcuni bambini corrono da una parte all'altra ridendo e lanciandosi palle di neve.
In questa zona la musica è snervante e le persone sorridono sembrando assuefatte.
Osservo le esposizioni di un negozio di fiori e dal vetro, noto che alle mie spalle, compare qualcuno.
«A quanto pare la paladina dei ghiacciai è ancora in questo posto», esordisce con un sorriso. «In giro dicono che sta svaligiando i negozi come una ricca del sud».
Mi volto e le mie gambe rischiano di non reggere.
Pensavo di non rivederlo facilmente. Non faceva il boscaiolo?
Indossa un cappotto nero lungo e in apparenza pesante, guanti di pelle e un berretto a coprirgli la testa e parte della fronte. I suoi occhi chiari si adagiano su ogni singola parte di me facendomi desiderare di avere addosso qualcosa di più coprente.
Notando che sta fumando, per non imbambolarmi, mi appresto a replicare: «Guarda guarda, la lastra di ghiaccio che rischia di staccarsi ha persino il coraggio di fumare», ribatto spostandomi dall'entrata del negozio. «Masochista direi».
Non appena la porta si apre e una donna con un sacchetto pieno di stelle di Natale esce dal negozio, viene accompagnata dall'odore dei fiori freschi, delle candele profumate e dal calore che si trova all'interno del locale affollato.
Osservo un'ultima volta l'orchidea esposta in vetrina tra trenini, finta neve e lucine e proseguo facendo oscillare le buste. Purtroppo non sono riuscita a persuadere i proprietari a darmi quelle senza scritte o senza riferimenti al Natale.
Sento dei passi e l'inconfondibile colonia al sandalo che lo avvolge mi sfiora la pelle e i sensi. «E dove sta andando il piccolo iceberg?»
Indico le buste. «A usare tutti i miei risparmi per sopravvivere in questo posto», sfodero un sorriso.
Lui non ricambia, si limita a seguirmi. Poi mi toglie le buste dalle mani sbirciandoci una sola volta dentro, senza darmi la possibilità di fermarlo.
«Niente lingerie sexy?», fa una smorfia. Ma appare compiaciuto.
Arriccio il naso. «Morirei sul posto per ipotermia acuta».
Ride e il mio cuore fa un salto mortale verso la gabbia toracica.
«Mancano gli stivali. Posso consigliarti un posto che oggi è aperto solo per qualche ora, dove puoi trovarli o vuoi fare da sola?»
Inarco un sopracciglio. «Corri il rischio di amputazione delle gambe?»
Ride maggiormente. La sua testa oscilla. «Nessuno mi farà del male», torna a farsi serio, con quel gelo polare negli occhi. «Allora?»
«Indicami questo posto».
Mi fa cenno di camminare. Svoltiamo una sola volta in una traversa della piazza e dopo appena qualche metro mi trovo di fronte una grande struttura. Un magazzino ben organizzato, pieno di persone in procinto di fare acquisti.
Lui mette i miei sacchetti dentro un carrello trascinandolo all'entrata. «Divertiti», dice dopo avere preso un sorso del mio caffè.
«Dovresti provare quello al caramello da Ronnie», ghignando e facendomi l'occhiolino entra nel negozio.
«Spaccone!», borbotto.
Dandomi un contegno e spingendo il carrello, faccio il mio ingresso.
Qualcuno si volta. Una donna molla una gomitata all'amica per farla smettere di fissarmi a bocca aperta.
Evidentemente si sarà già sparsa la voce di quanto è successo in hotel. Ma non posso lasciarmi condizionare.
«Benvenuta», dice una voce che ho già sentito.
Appena lo vedo però, subito dopo, mi sento presa in giro dall'uomo che sta uscendo da un ufficio stringendo in vita i lacci del grembiule.
Ecco perché tanta fretta di entrare.
«Grazie», replico dando le spalle proprio a quest'ultimo.
Giro in mezzo ai vari reparti trovando tantissimi oggetti per un possibile arredamento e anche uno ben organizzato di indumenti per sopportare il freddo.
«Posso aiutarla?»
Un ragazzo mi rivolge la sua attenzione. È parecchio alto e ha il viso leggermente arrossato dal freddo.
«Donnie, qui ci penso io».
L'elettricità si staglia intorno a noi. L'aria si carica e diventa nube tossica.
Non ha importanza in questo momento il colore dei suoi occhi. Dentro, io ci vedo tutto quello che non posso avere. E questa sensazione che mi si ferma tra il cuore e i polmoni, mi spiazza, mi fa sentire in bilico, rischia di farmi precipitare.
Lo supero immediatamente. «Se credi che sia divertente non lo è affatto. Prendimi pure in giro solo perché non conosco il posto e nessuno mi ha detto che sei il proprietario di uno dei negozi più importanti del paese, ma sta alla larga da me. Non voglio essere l'oggetto del tuo stupido gioco».
Prendo una sciarpa in tartan grigio topo, un paio di stivali di gomma della mia misura e mi avvio alla cassa.
Il signor Clayton, com'è indicato sul cartellino che ciondola dal suo collo, nonché il padre dell'uomo delle nevi, digita sulla tastiera il prezzo degli articoli, ma quando porgo la mia carta, rifiuta e con un sorriso mi passa una confezione con il mio acquisto.
Corrugo la fronte. Poi noto il barattolo con le offerte e ci infilo dentro una banconota.
Lui scuote la testa e io esco dal negozio sentendomi un po' sfinita.
Non dormire mi ha sciupato le energie. Penso che me ne ritornerò in hotel.
Cammino a capo chino mentre le nuvole sì ammassano e un vento gelido comincia a soffiare e a muovere la neve prima che cada anche dal cielo.
Raggiungo di corsa l'hotel e scendo nella lavanderia per fare il bucato e per potere stare sola.
Impiego poco per avere tutto profumato, asciutto e in ordine.
Sentendo freddo, torno di corsa di sopra e vado a sbattere contro qualcuno rovinando a terra insieme ai miei indumenti appena lavati e stirati.
«Allora la tua è una mania», dichiara la voce profonda cogliendomi del tutto impreparata.

❄️❄️❄️

~ N/a:
Buona sera, come state oggi? Spero tutto bene. Io sono un po' acciaccata (gli anni iniziano a farsi sentire🤣) e spero di riprendermi. Avete già fatto l'albero? Io come vi ho detto quest'anno non sento aria di festa, però ho il mio alberello e qualche decorazione in casa.
All'inizio non l'ho fatto ma se vi va di seguirmi mi trovate su Facebook o su Instagram. Trovate i link in bio. Vi aspetto!
Bene, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia fatto capire qualcosa sul passato di zia Lenore, su quello di Willa.
Che cosa succederà da questo momento in poi?
Grazie di tutto.
Buona serata.
Un abbraccio virtuale,
Gio'.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro