Capitolo 4
Pensi di sapere chi sei, che cosa vuoi nella vita e dove sei diretto. Pensi di conoscere i tuoi obbiettivi, i tuoi sogni. Poi, tutto cambia e ti ritrovi a rivalutare ogni minuzia che fino ad ora ha fatto parte della tua esistenza piena di botte, di lividi mai scomparsi. E, pur volendo di più, pur sapendo di meritare di più, ti accontenti del niente che ti resta. Perché hai imparato a sapere apprezzare le cose prima che ti vengano strappate via, lasciandoti a cuore vuoto.
Ci ho messo anni per arrivare dove sono ora. Porto sulle spalle un bagaglio pieno. All'interno ci ho infilato di tutto prima di metterlo all'angolo e fingere di non tenerci dentro quello che potrebbe distruggermi.
«Nic, sei qui o altrove?»
Rivolgo la mia attenzione a Boe insieme alla moglie.
Ci troviamo nel mio negozio e sono su una scala. Che cosa dovevo prendere?
Mio padre, vedendomi tardare alla cassa, gli avrà chiesto di raggiungermi.
Ed eccoli lì i coniugi Warren. Lui, molto simile a un salsicciotto tenuto stretto da cintura e polsini, lei minuta e sottile al suo fianco, infagottata come una "matrioska".
«Stavo solo controllando che il prodotto fosse integro e il codice lo stesso», replico per evitare domande. «Non mettermi fretta».
«Stavi controllando la scatola chiusa?»
Boe è un poliziotto, ma non è molto intelligente. Penso sia stato trasferito proprio in questo posto per il suo essere goffo. Un modo come un altro per dirgli: per un posto dove non capiterà mai niente di sensazionale, sei il candidato perfetto.
Ma ciò che Boe non aveva messo in conto è che avrebbe conosciuto la moglie. La signora Warren come adesso si fa chiamare o Gina, è una donna loquace, spiritosa e ha accolto bene l'arrivo del nuovo capo della polizia.
I due si sono piaciuti subito e si sono accasati senza neanche pensarci un attimo, generando tre figli maschi. Uno più stupido dell'altro.
A volte vorrei chiedere che cosa sia stato a spingerli ad affrontare tutto con così tanta fretta e se ad oggi si pentono. Ma la risposta arriva sempre dai loro sguardi, dallo scambio di battute stucchevoli e dalla loro allegria, molto simile a quella di due ragazzini che si sono appena sposati a Las Vegas.
Mantengo lo sguardo su Boe. «Potrei farti salire su questa scala la prossima volta che ti servirà qualcosa. O magari fare pulire le grondaie ai tuoi figli», lo stuzzico, sapendo che uno dei suoi punti deboli è proprio l'altezza.
Inorridisce, inoltre, al pensiero che i figli si sporchino le mani. «Prendiamo quelli. In caso contrario dovrai ripararli o cambiarli», borbotta, sentendosi sconfitto.
Gina gli molla un colpetto poi trascina il carrello, sul quale ho appena sistemato i pezzi di due comodini e si dirige verso il reparto nastri.
Boe, non appena metto piede a terra, mi posa la mano gonfia sulla spalla. «Prima o poi con la tua Milly capirai che cosa significa fare acquisti per la casa, figliolo».
Deglutisco. Adesso come ne esco?
«Io e lei non stiamo più insieme, da tempo».
Boe spalanca gli occhi. Gratta la guancia paffuta piena di barba ispida. «Davvero? Che ha fatto? L'hai trovata di nuovo nel letto di qualcuno o in quello di mio figlio?»
Ficco le mani dentro le tasche del grembiule accettando la frecciatina. Il tradimento brucia ancora e non si spegnerà mai quella fiamma che erode il mio petto.
«Niente del genere», replico dirigendomi alla cassa, dove mio padre richiede il mio aiuto. Ne ho abbastanza di dover dare spiegazioni sulla mia vita. Quello che ho, mi piace così com'è.
Boe si ferma a scegliere delle luci. Mi osserva e mi segue con la coda dell'occhio.
Uno dei suoi difetti è che non sa tenere la bocca cucita, non quando è il momento di farlo. «C'è un'altra?»
Mi blocco. «Cazzo, Boe, viviamo in mezzo al nulla. Non piovono di certo passere dal cielo».
Ride facendo oscillare la confezione. «In realtà una è atterrata di recente. Non dirmi che non l'hai notata. Sanno tutti che le hai parlato sul portico del retro della chiesetta».
Alzo gli occhi al cielo. «Le ho solo porto le mie condoglianze. Come hanno fatto tutti».
Boe emette un verso simile a un grugnito ma è la sua tipica risata di scherno. «Vallo a spiegare a Gina e alle sue amiche. Ne hanno parlato fino allo sfinimento. Sai che a breve la notizia raggiungerà anche Milly? Se fossi in te gli direi la verità prima che possa anche solo fare qualcosa a quella ragazza».
Il pensiero che Milly possa travisare la situazione e fare qualcosa di spiacevole non mi sfiora affatto come dovrebbe. Forse le servirà pure da lezione e capirà che non sono di sua proprietà.
La cosa che più mi disturba è l'invadenza che hanno le persone. È vero che non accade mai niente qui, ma inventare o farcire le cose mi sembra assurdo.
Sono sempre stato attratto dalle cose sbagliate e distruttive. Vivo con la costante certezza che presto tutto possa finire e non provo niente. Questo però non fa di me una persona su cui puntare il proprio interesse. Quello che ho sempre voluto e cercato è uno spazio mio, un pezzo che mi appartiene in cui potere essere lasciato in pace.
Mi sento irritato. «Ripeto: le ho solo fatto le mie condoglianze», detto ciò mi dirigo verso la cassa.
Papà toglie il grembiule indicandomi l'orologio a parete che ticchetta rumorosamente. «Tra poco dobbiamo andate da Luke».
Batto il dito sulla tastiera con la cifra esatta per fare lo scontrino a un cliente di passaggio e aiuto un corriere che ha appena trasportato in negozio ben sei scatole enormi e pesanti.
Firmo la ricevuta e chiamo con un fischio il nostro aiutante, Donnie, un ragazzo alto quanto un giocatore di basket e un carro armato per il lavoro. Insieme spostiamo il carico in magazzino.
Papà nel frattempo serve gli ultimi clienti, compreso Boe con il quale scambia qualche parola e quando il nostro negozio è vuoto, si appresta a chiudere la porta, ponendo il cartello per avvisare la clientela e poi abbassa la serranda.
Saluto Donnie offrendogli la paga della settimana e uscendo sul retro del locale, appoggiandomi al muro, mi accendo una sigaretta.
Finalmente questa pessima settimana sta per concludersi.
L'aria odora di pino, di muschio, di terra bagnata e c'è freddo. Un freddo che toglie il fiato. Ma c'è anche un bel sole. Raro vederlo per due giorni di fila e per qualche ora prima del buio che è perenne e di cui sono abituato.
Chiudo gli occhi godendomi la pausa, i raggi non molto caldi sulla pelle e la tranquillità.
Dalla piazza, raggiunge le mie orecchie un canto di Natale e mi irrigidisco. Dovrei esserci abituato, ma non amo i festeggiamenti.
Lancio la sigaretta proprio mentre mio padre esce passandomi il mio cappotto.
Chiude la porta e insieme ci dirigiamo verso la Jeep.
Mi metto alla guida e lui comodo al mio fianco. «Boe mi ha riferito quello che la gente sta iniziando a diffondere».
Inarco un sopracciglio. «Ovvero?»
Apre il cassetto del cruscotto prendendo la confezione di caramelle, ne caccia una in bocca masticandola rumorosamente. «Che ti hanno visto con la straniera, la nipote di Lenore».
Stringo la presa sul volante al ricordo di quella ragazza. Dei suoi modi, delle sue risposte spontanee e poi ancora del suo rifiuto velato che ha lanciato al mio orgoglio una sfida.
«E tu crederai alle voci, immagino», sorrido.
Anche lui lo fa mettendosi comodo. «Mi sembra ovvio. Milly sarà fuori di sé».
Stringo le labbra. «Boe mi ha consigliato di parlargli».
Si volta, la caramella in bilico tra i denti e le labbra. «E tu lo farai?»
Mi arriva una zaffata di fragola e panna. «No», replico senza giri di parole.
Papà si rilassa. «Devi allontanarti da Milly. Non è quella giusta per te».
Non si è mai immischiato nella mia vita privata. Non l'ha fatto neanche quando ho sorpreso Milly a letto con il figlio di Boe, ci siamo lasciati per un po' e poi lei è tornata da me su consiglio dei suoi genitori e delle amiche. Non ha mai chiesto scusa e io non le ho mai chiesto spiegazioni. Da quel momento, ci siamo solo usati.
Che cosa è cambiato adesso?
«Finalmente mi ha ridato le chiavi», lo rendo partecipe raggiungendo lo studio di Luke Phillis.
Non siamo mai stati amici io e lui, ma abbiamo sempre avuto modo di rispettare l'uno il confine dell'altro. Che abbia lavorato con la donna che ci ha lasciato qualcosa senza renderci subito partecipi, mi spinge a dubitare di lui. Ma non è un cattivo ragazzo, anzi.
Scendiamo dirigendoci verso la porta che ci viene aperta dalla segretaria. Una ragazza anonima e riservata giunta in Alaska da chissà dove.
Io e papà facciamo il nostro ingresso percependo delle voci al suo interno.
Avanziamo, la porta si spalanca e una figura esile, indietreggiando, mi travolge venendo a sbattermi addosso.
«L'uscita è in fondo al corridoio, piccolo iceberg. E io non sono una porta», esordisco.
Si volta a rallentatore. Dopo essersi ricomposta, con le guance in fiamme e gli occhi lucidi, mi squadra brevemente. «Me ne stavo giusto andando, uomo delle nevi. E no, non puoi essere una porta. Sei... più una parete di ghiaccio».
Sorrido. Anche papà lo fa.
Non possiamo negarlo, ha carattere.
«Datemi un attimo», ci interrompe Luke, colto alla sprovvista dal nostro arrivo.
Papà raddrizza la schiena come un soldato quando nota la sorella di Lenore.
La donna, con aria arcigna di fianco alla ragazza, picchiando il bastone sul pavimento, si allontana zoppicando. «Avrai notizie dai miei avvocati», lo minaccia, mentre la ragazza salutando si allontana un po' tesa.
Che cosa è successo?
Phillis ci lascia passare dopo averla scortata fino alla porta. Se non sapessi qualcosa sul suo orientamento sessuale, potrei dire che ci stia provando con lei.
Lei che gli parla con costernazione, si stringono la mano e scompare.
Mio padre si lascia cadere appesantito sulla poltrona. «Allora, che cosa dobbiamo fare esattamente?»
«La signora White ha disposto una certa somma di denaro per dei lavori. Di qualsiasi cosa avrà bisogno la nipote, voi dovrete rifornirla, proprio come ha scritto di suo pugno nella lettera».
Papà e io inarchiamo le sopracciglia. «E noi che cosa ci guadagniamo?»
Phillis si posiziona davanti a noi. «La signorina Smith non dovrà saperlo ovviamente. Anche se siamo in via confidenziale al momento. Ad ogni modo, voi, a lavoro finito, otterrete un compenso più il denaro per il materiale acquistato».
Mi siedo un momento. Stringo le dita sul dorso del naso dopo averle strofinate. «Che cosa dovrà fare esattamente?»
«Rimettere in piedi questa villa», replica prontamente mostrandoci la foto della casa più disastrata del paese e che conosciamo bene perché nessuno l'ha mai voluta proprio per la quantità di lavoro di cui ha bisogno.
«Sei consapevole che è una donna e che le servirà aiuto, manodopera?»
«Qui entrate in gioco voi», replica entusiasta.
«Dovremmo collaborare con lei? Sarà il nostro capo cantiere? È questo quello che stai cercando di dirmi?»
Phillis arrossisce. Penso di avere un po' di ascendente su di lui. Soprattutto quando alzo il tono della voce.
«Esatto. Ma siete voi gli esperti e dovrete consigliarle quello che sarà adeguato...»
Lo fermo alzandomi. «Non mi farò comandare da quella presuntuosa. Trova qualcun altro da usare».
Papà prova a intervenire ma Luke è veloce e pratico. «Non lo è. Non è come sua nonna, quella donna è una macchina da guerra e fa davvero spavento. Inoltre la signora Lenore ha incaricato voi».
«Lo faremo».
«Non lo faremo».
Io e papà parliamo all'unisono.
Lui mi fissa stranito. «Perché no?»
«Perché quella villa, a qualche metro di distanza dalla mia, le cadrà addosso non appena pianterà il primo chiodo».
«E perché è pericolosa per i miei sensi». Ma questo non lo dico.
Luke cerca una risposta in mio padre. La cosa mi irrita e non poco. Perché non posso essere io a decidere? Il negozio in fondo è anche il mio. Mi occupo di costruzioni e sono anche bravo nel mio lavoro.
«Dove devo firmare? Per Lenore avrei fatto di tutto e di più. Se solo me ne avesse parlato, avrei evitato tutto questo».
Il suo dolore è autentico.
Papà ha il cuore a pezzi e anche se lo nasconde, si nota.
Avere il cuore ferito è come avere le ossa rotte. Per un po' guarisci, ripari te stesso, vai avanti, ma la lesione rimane nascosta.
Il tempo non guarisce ogni ferita. Forse per un po' le attenua. Ma il dolore, quello vero e forte, resta e non passa. Offusca la vita, consuma le giornate, ti cambia.
Ecco perché non voglio legarmi troppo alle persone. Perché ci sono rapporti che finiscono all'improvviso. E preferisco non dovere togliere nessun cerotto e avere la dannata consapevolezza del fatto che la ferita sanguinerà per sempre. Non voglio altri ricordi rovinati dal vuoto, dalla tristezza.
In auto, c'è uno strano silenzio. Non è la solita aria ed è in qualche modo opprimente.
Prima ancora che io possa posteggiare di fronte alla sua villa, papà gira il busto, le braccia conserte e l'espressione contrariata stampata in faccia. «Perché hai detto di no?»
«Perché hai detto di sì? Non sappiamo niente di lei. Potrebbe anche essere una ladra o che ne so...»
Scuote la testa. «Dobbiamo solo offrirle il materiale che le serve e inviarle degli operai. Non lavoreremo direttamente e a stretto contatto con lei. Inoltre penso che per restare, una ragione l'avrà trovata. Quale sano di mente cambierebbe il proprio paese per questo posto?»
Già, chi lo farebbe?
Dopo avere lasciato mio padre alla sua imminente serata in cui vedrà la partita insieme al suo vicino, mi dirigo verso l'unico hotel del circondario in cui stasera servono del buonissimo pesce.
Darlene, la proprietaria, mi ha visto crescere. Ho persino lavorato per lei qualche volta e, non appena mi vede arrivare, sorride ampiamente venendomi ad abbracciare.
«Il solito posto andrà bene».
Morde il labbro e per la prima volta appare a disagio. Che succede adesso?
«In realtà... quel posto è appena stato occupato. Non sapevo che saresti venuto. Stavolta non hai avvisato», mi molla un colpetto affettuoso sulla nuca.
«Non preoccuparti. C'è un angolo in cui posso cenare in santa pace?»
Sorride. «Posso chiedere alla persona se vuole dividere il tavolo. Sempre se a te sta bene».
Corrugo la fronte. «Se è Boe, digli di allargare la cintura perché mangeremo fino a scoppiare».
Ridacchia e mi lascia per un momento da solo nella hall per poi tornare e indicarmi la sala. «Ha detto che non è un problema. Qualcuno verrà subito a servirvi. Buona serata».
Cammino verso la sala. «Hai fatto qualcosa hai capelli? Sei... diversa».
Lei nega posizionandosi dietro il bancone. «C'è la zuppa e ci sono le vellutate oggi, non perdere quella alla zucca e tartufo».
Lecco le labbra pregustando la mia cena tranquilla. Qualunque sia la persona seduta al mio tavolo preferito, farò finta di non averla davanti, mi dico.
Ma non appena sollevo lo sguardo, ogni mia certezza si sgretola e la mia sicurezza, vacillando, va a farsi fottere.
Lei adagia a disagio il menu sulla tovaglia di lino. «La signora Darlene non mi ha specificato che avrei dovuto dividere il mio tavolo con voi, signore delle nevi».
Deciso a non lasciarmi stravolgere la serata dalla sua presenza, prendo posto davanti a lei dopo essermi tolto il cappotto. «Darlene non è stata specifica neanche con me, piccolo iceberg».
Mi guarda storto poi solleva il menu nascondendosi dietro la carta plastificata con quattro tipi di cibo per portata, bevande e stuzzichini che deve avere già letto in pochi secondi.
Una nuova cameriera viene a ordinare. «Prima le signore», dico non dimenticando le buone maniere.
Lei arrossisce leggermente. «Vorrei assaggiare la vellutata di zucca con i crostini, se è possibile. Ma niente tartufo. Poi andrà bene anche la zuppa di pesce. Grazie», dice restituendo con gentilezza il menu alla ragazza, la quale sembra sorpresa dal suo atteggiamento.
«E per lei?»
«Lo stesso. Aggiungi anche il tagliere e le fritture per iniziare. Grazie».
La ragazza sparisce in cucina e io mi servo dell'acqua minerale sorseggiandola come se fosse vino per ammazzare il tempo.
Quando arriva un altro cameriere ordino un rosso d'annata e lei si limita alla sua bottiglia d'acqua.
La sala non è affatto semi-deserta e so già che a breve qualcuno informerà Milly di questo.
E se si fiondasse qui dentro? Be', sarebbe divertente.
Sorrido sotto i baffi e quando arriva il vino lo sorseggio soddisfatto.
«Perché hai quell'aria da rapace?»
Per poco non sputo il liquido. La sua voce mi coglie di sorpresa con il suo tono caldo e calmo.
«Mi sto solo godendo la cena. È stata una giornata di duro lavoro. Dubito che tu sappia il significato della parola fatica».
Mi tortura con una sola occhiata. «Mi stai forse giudicando? So bene che cosa significa lavorare. Magari non mi sporcherò le mani come te e non avrò i calli, ma vengo pagata una volta al mese come ogni altro lavoratore e conosco la fatica», replica stizzita.
Forse sono stato un tantino stronzo. Ma che importa? Non so nemmeno perché dovrei chiedere scusa, visto che si è appena difesa bene.
Intanto arriva il tagliere insieme alle fritture. Lo metto al centro. Lei corruga la fronte quando con un cenno le ordino di servirsi.
«Vedilo come una scusa».
Non so dire se stia per attaccarmi o scagliarmi addosso qualcosa. So solo che dopo un attimo si rilassa e come un uccellino prende un po' di salame e delle olive spostandole sul piatto. Lo stesso fa con gli anelli di cipolle e i gamberi fritti.
Mi servo anch'io e la prima portata sparisce nel giro di qualche minuto.
Pulisco gli angoli della bocca osservandola di nascosto. La sua risposta, prima ha stuzzicato la mia curiosità. «Di cosa ti occupi?»
«Scusa?», chiede con voce un po' stridula.
«Il tuo lavoro...»
«Lavoro in una libreria e come segretaria in uno studio dentistico privato nei weekend. Tu?»
Luke non le ha detto niente, a quanto pare. Poi ricordo che bisogna tenerle nascosto il dettaglio.
Scoprirà che cosa faccio quando si ritroverà nel mio negozio, l'unico del paese, rifletto e agisco replicando: «Sono un boscaiolo».
Non sembra pronta a deridermi e quando arriva la vellutata, ci affonda il cucchiaio emettendo un verso carico di apprezzamento in grado di farmi raddrizzare sulla sedia perché sento una forte scarica tra le mie gambe.
Affondo un crostino nella vellutata e lo caccio in bocca dopo avere schiarito la voce.
Darlene fa la sua comparsa. «Come va?»
Vorrei dirle di darmi una stanza e di portarmi lì il resto della cena, ma resisto e confermo che sta andando bene.
Lei invece lecca le labbra rendendo tutto pericolosamente eccitante.
Inizia a fare caldo qui dentro e l'unico a prendere fuoco, probabilmente, sarò io.
«È tutto delizioso. Grazie».
Lei le sorride come se fosse il giorno di Pasqua e si allontana passando da ogni tavolo per sapere come procede.
«Non hai ancora assaggiato il vino. Non ti piace? Vuoi bere qualcos'altro?»
«Forse non dovrei», risponde insicura.
Le porgo il mio bicchiere. «Assaggialo almeno e dimmi cosa ne pensi».
Esita all'inizio e mi domando perché. Poi allunga la mano e facendo in modo che le nostre dita non si sfiorino annusa il vino prima di berne un sorso e restituirmi il calice dove ha lasciato la lieve impronta delle sue labbra.
«È fruttato? Non è dolce e stucchevole. Non mi dispiace».
Le riempio il calice. «Non pensare che cos'è, ma cosa diventa in bocca».
Arrossisce e quando arriva il pesce dentro una scodella di terracotta torna a dedicarsi alla sua cena; meravigliata dall'odore che sprigiona e dalla bontà.
«Come conoscevate mia zia Lenore?»
«Scopava con mio padre».
Le va di traverso il vino e tossisce sventolandosi con la mano.
Qualcuno si volta e io le sfioro la fronte con il pollice facendola immobilizzare.
È solo un fottuto attimo, ma il tempo sembra fermarsi e lo spazio restringersi intorno a noi. Noi che restiamo sospesi, a distanza l'uno dall'altra. Eppure in qualche modo connessi e talmente vicini da tremare come se avessimo subito una scossa di terremoto di magnitudo massima.
Il mio cuore comincia a galoppare strappandomi l'aria dai polmoni, stringendomi il petto.
«Erano più che amici, va meglio come risposta? Non ti scandalizzare per così poco».
Ride e la sua risata cristallina riempie la sala. Tappa la bocca ma non ho alcun potere di fermarla e dirle di continuare.
C'è qualcosa di potente in lei. La sua sensualità è capace di picchiare sulla pelle brividi e scosse improvvise in grado di raggiungere il cuore con una scarica tale da non lasciare scampo. Come un soffio di vento, si insinua in mezzo alle crepe di quel muro che ho eretto.
Non riesco a difendermi dal suono della sua risata, dal modo in cui le si increspano gli angoli degli occhi e le si illuminano le iridi. È come vedere l'alba nel del mezzo di un tramonto.
«Non sono scandalizzata. Sono solo sorpresa. La rendeva felice?»
Alzo le spalle mettendomi comodo. Gioco con le lettere ricamate sul tovagliolo. «Mio padre era sereno con lei al suo fianco», replico a bassa voce.
Sorride. «Mi fa piacere che abbia avuto qualcuno su cui contare qui».
«Lei gli ha fatto bene. Anche se poi l'ha distrutto».
«Come?»
«Andandosene».
Rimaniamo in un silenzio piacevole per il resto della cena a cui si aggiungono dei calamari ripieni, su consiglio di Darlene che ho il sospetto voglia proprio torturarmi e farmi rimanere ancora un po' con lei per alimentare il pettegolezzo.
«Da quanto vivi in questo posto?»
I suoi occhi memorizzano tutto, l'ambiente, le persone, i movimenti. Stanno anche studiando me.
Bevo l'ultimo sorso di vino che ho nel calice. «Da quando sono nato».
Appare stupita. «Davvero?»
«Sì, ma ho visto e vissuto anche in altri posti nel mondo. Sono un ex militare».
Chiude per un momento la bocca quando ci viene servita della cioccolata calda con i biscotti allo zenzero su un piattino.
Fa una smorfia notando quelli a forma di calza, alberi e omini. Li scarta persino.
«Tu invece?»
«Nata e cresciuta a New York. Questo è stato il mio primo viaggio».
Evito di commentare e non posso neanche farlo perché qualcuno interrompe le conversazione. E quel qualcuno, sapevo che prima o poi sarebbe arrivato e so che in qualche modo a breve rovinerà tutto.
⭐️⭐️⭐️
~ N/a:
Buona sera stelline, come state?
Sto riprendendo il ritmo e mi sto svagando un po' grazie a voi e grazie a questa storia. Siamo ancora all'inizio ma ho in mente qualche scena che spero possa piacervi.
Come sempre vi ringrazio, ho notato la partecipazione e sono felice che ci sia interazione. Vi chiedo di continuare così, di aiutarmi a capire se vi piace o cosa ne pensate in genere. So che magari alcune preferiscono solo leggere, ma è anche un modo per conoscere i vostri pensieri.
Chi si sarà presentato per il dolce? Che reazione avrà Willa?
Buona serata.
Un abbraccio virtuale,
Gio'.
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