Capitolo 30
«Sei sempre la solita Ines, non cambierai mai».
C'è silenzio intorno, tutti con le mani sulla bocca, gli occhi sgranati e puntati sulla donna che per mesi credevamo morta.
La cosa peggiore?
Ad accompagnarla, a darle supporto ci sono mio padre e Luke.
Io e Willa indietreggiamo all'unisono. Lei in particolare emette un verso gutturale, porta la mano sul petto e i suoi incantevoli occhi azzurri si tramutano in tempesta, tremando insieme alle labbra. Le schiude lasciando uscire un singhiozzo, dice qualcosa che non riesco a sentire perché è talmente basso e distorto il tono con cui parla, da non raggiungere le mie orecchie che adesso fischiano.
Indietreggia ancora ritrovando il mio petto a farle da muro. Si volta di scatto, mi guarda come se avesse bisogno delle risposte, ma non ne ho. Eppure so che cosa sta pensando, si sta sentendo tradita. Provo la stessa sensazione e adesso ho paura che possa fraintendere. «La vedo anch'io», riesco a dire.
Calde lacrime le rigano il viso. Sposta la sua attenzione su Lenore.
Un parka verde militare, stivali fino alle caviglie, una fascia sui capelli chiari dalle sfumature color miele. E poi quegli occhi, molto simili a quelli di Willa, pur non avendo lo stesso sangue. E ancora, quell'espressione sicura e decisa, come quella che ho visto in lei la prima volta in cui ho incrociato il suo sguardo sotto quel portico, sul retro della chiesa.
Ines indietreggia, inciampa e si ritrova a terra. Provano ad aiutarla a rimettersi in piedi, ma scaccia via tutte le mani cominciando ad urlare come una pazza isterica che ha appena visto un fantasma.
«NO! È uno scherzo! Non è reale!»
Lenore, avanza verso di lei. «Sono viva, cara sorella».
Ines sgrana maggiormente gli occhi, li strizza e scuote la testa. Un po' come se volesse scacciare questo momento dal presente. «No, tu sei morta. Hai avuto un incidente e...», balbetta cercando conferma dai presenti.
«Un incidente in un posto in cui non ha mai transitato nessuno. Il mio corpo non l'avete mai trovato in una bara, non avete potuto salutarmi, perché mi hanno subito cremata. In fondo era una mia richiesta», si concede una risatina che tormenta sia Ines che Willa. «Andiamo, ti credevo più intelligente, sorella. A nostra nipote i dubbi sono venuti. Ha fatto un po' di domande».
Willa si adagia al mio petto, i pugni stretti in vita. Non sapendo come darle conforto e forza, l'avvolgo con le braccia. Sta tremando e piangendo silenziosamente. Non ha neanche l'energia di dire qualcosa, di reagire male.
«Sai, mi aspettavo di più da parte tua, Ines. Soprattutto dei fiori e una foto appropriata. Invece come sempre non hai messo da parte il rancore, la gelosia, la sete di vendetta. Era la tua prova e non l'hai superata. Non che mi aspettassi chissà che cosa», Lenore avanza ancora verso di lei con aria delusa, una lieve ruga a marcarle la fronte. «Sei sempre stata meschina e competitiva ai limiti del sopportabile. Non hai mai accettato il mio arrivo in casa perché l'hai visto come una intromissione e poi, poi hai fatto di tutto per mettermi nei guai. E quando è nata Willa, dopo anni di litigi immotivati, accuse, odio, hai raddoppiato la tua cattiveria. Sai perché? È semplice: ti sei accorta che il vostro, non sarebbe mai stato come il nostro rapporto. E quando mi sono trasferita perché stanca di subire, bisognosa di una svolta e innamorata di un uomo con il quale non avresti mai avuto speranza, neanche con le tue trovate, hai affondato i tuoi artigli su di lei. O ci hai provato... a quanto pare non abbastanza», sorride.
Ines spalanca ancora la bocca e gli occhi. Dopo un momento si ricompone e assume quello sguardo da rapace, prima di attaccare Lenore. «Sei una stronza ingrata! Come hai potuto farmi anche questo? Attirare Willa qui con l'inganno. Avrei dovuto indagare più a fondo. Avrei dovuto tenerti lontana da mia nipote! Da questo si capisce che non sei meglio di me. Chi si finge morto per prendere in giro o manipolare qualcuno?»
Willa chiude gli occhi e si volta. Ne ha abbastanza. Si sta sentendo umiliata.
«Ti prego, portami a casa», mi supplica flebile.
Non ho bisogno di sapere o chiedere. Le stringo la mano, l'avvicino al mio petto e ci incamminiamo lungo la stradina acciottolata, superando un gruppo di abitanti che stanno assistendo inermi.
«Non sono migliore, ma ho fatto quello che dovevo per la famiglia», ribatte Lenore.
Con la coda dell'occhio, scorgo mio padre guardarla con amore e Luke seguirci, pronto a dare la spiegazione sbagliata.
Gli faccio subito cenno di non avanzare, che non è questo il momento e lui si ferma, mi rivolge il suo sguardo desolato. Distolgo il mio. Al momento sono incazzato, non posso, non devo reagire e ho bisogno di portare Willa a casa. Non sembra stare bene e non voglio che abbia un crollo davanti a tutti.
«La famiglia? Hai distrutto i miei affari, permesso che mia nipote si sposasse con un cazzo di lupo solitario e hai finto di essere morta per incastrarla, per che cosa? Un'eredità che non esiste?», sbraita Ines.
«Non parlare così di mio figlio!», ribatte mio padre. «Non te lo permetto!»
«Già, sei una strega», interviene qualcuno.
«Hai fatto rapire quella ragazza», dice qualcun altro, provocando un vocio rumoroso e fastidioso.
Ines prova ad avventarsi su Lenore con gli occhi fuori dalle orbite ma tutti intervengono per dividerle.
«Non l'ho incastrata, le ho dato una possibilità, le ho fatto scegliere una vita migliore o la prigione in cui tu l'hai tenuta dopo la mia partenza. L'ho tenuta lontana da te, da quell'uomo con cui volevi che si sposasse contro la sua volontà. Tu non meriti una nipote come lei e sono fiera della donna che sta diventando. Ancora di più che sia decisa a rinnegarti».
Ines avvampa sempre di più. Comincia ad ansimare e ad affermare di sentirsi male. Le guardie chiedono un medico poi intuendo, chiamano un'ambulanza proprio quando faccio salire Willa sulla Jeep che ho posteggiato nelle vicinanze della piazza, per evitare di camminare troppo nel caso in cui avrebbe nevicato. Le chiudo la portiera e una volta al volante le aggancio la cintura.
«Portarmi da qualche parte. Non alla villa».
Avvio l'auto e guidando piano, con molta attenzione, per non scivolare a causa del ghiaccio lungo l'asfalto, la porto al lago prendendo una stradina secondaria non asfaltata, ristretta e circondata da alberi.
Willa appoggia la tempia sul vetro del finestrino prima di aprirlo. Osserva le luci del paesino che si allontanano e si sfumano ai suoi occhi.
Le sfioro la guancia, afferro la sua mano e la porto alla bocca. «Ti piacerà».
Sospira riportando in grembo la mano. Chiude il finestrino e si concentra sulla strada davanti a noi. «Qualsiasi cosa andrà bene, Nic. Non chiedo la luna».
Accosto sulla piazzola circondata da alberi ambo i lati e scendo. Apro il bagagliaio prendendo una torcia e una coperta e quando scende dalla vettura le faccio cenno di seguirmi.
Lei dapprima esita guardandosi intorno. «Non vuoi uccidermi e avvolgermi in quella coperta per nascondere le mie tracce, vero?»
Rido di gusto. Willa ha la capacità di sdrammatizzare anche quando è lei quella a stare male. «Hai una fervida immaginazione. Preferirei ammazzarmi piuttosto che non averti nella mia vita».
Prende la coperta stringendola in grembo e mi segue, faticando un po' quando la neve si fa più alta di un metro e i piedi sprofondano facendo bagnare parte degli stivali e dei pantaloni.
Noto che ha nascosto un sorriso, soddisfatta delle mie parole.
Camminiamo in silenzio. Dopo appena qualche minuto ci fermiamo e lei osserva la villa dall'altra parte del lago che specchia il cielo. La luna, enorme, solitaria, le stelle luminose a coprire il buio.
Mi siedo su un cumulo di neve sopra un masso e avvolgo entrambi con la coperta spegnendo la torcia. «Sono sempre venuto qui quando ho avuto bisogno di calmarmi», inspiro ed espiro.
«Per questo mi hai portata in questo posto?», imita il mio gesto.
«Potrebbe essere d'aiuto per schiarirti le idee».
«Non pensi che io stia invadendo il tuo posto tranquillo?»
«Affatto. Per la prima volta sento di doverlo condividere con qualcuno che mi capisce e che amo».
Appoggia la testa sulla mia spalla. «È viva, Nic», il suo petto viene scosso. «Ha mentito. Per tutto questo tempo non sono stata altro che... che cosa esattamente? Un esperimento?», sbraita gesticolando.
«Non lo sapevo neanche io. Vedevo mio padre strano, ma non ho avuto il minimo sospetto. Evidentemente è un bravo attore».
«E di Luke che mi dici?»
Fisso le stelle. Ne vedo una cadente e riservo un desiderio per entrambi. «È stato costretto dal segreto professionale. Mio padre e tua zia, insieme... sono un innesco che non puoi fermare», sospiro passando la mano tra i capelli. «Cazzo!»
Willa singhiozza. «Com'è possibile? Perché?»
Vedendomi alzato, nervoso, si solleva e cerca conforto nella mia stretta. Le bacio la testa. «Non lo so. Ci dovranno dare molte risposte».
Tira su con il naso. «Ora non me la sento di incontrarli. Rivederla è stato come ricevere prima una pugnalata poi una carezza talmente delicata da farmi tremare dalla paura. Ho provato sollievo, gioia ma c'è anche questa brutta sensazione che non riesco a definire e che non ha niente a che vedere con la delusione», gesticola, la lascio sfogare. «La credevo morta. Stavo iniziando a poco a poco ad accettarlo. E adesso? Adesso devo fare finta di niente? Devo arrabbiarmi? Devo reagire bene? Non lo so neanche io», crolla.
La stringo tra le braccia. «Siamo in due in questa situazione. Non sei l'unica che ha così tanti dubbi e così tante domande. Mio padre mi ha nascosto una cosa importante e non riesco proprio a comprenderne la ragione. Non si è fidato di me. Ma possiamo e dobbiamo affrontarli. Prima però dobbiamo calmarci».
La guardo, le stringo il viso. «Faremo insieme la cosa giusta. Io e te», mi avvicino e le sfioro le labbra.
Annuisce e la bacio con delicatezza, assaporando il gusto dolce e amaro allo stesso tempo del suo umore.
A casa il suo stato d'animo precipita sempre di più. Fa il suo ingresso e sale in camera di corsa. Mi ritrovo a seguirla. Mi appoggio alla porta mentre lei inizia a spogliarsi, indossa un pigiama e dal dettaglio comprendo che sta male. «Posso fare qualcosa?»
«Vedi perché odio il Natale? Perché ogni anno è la stessa storia!», sbotta. «Litigi, urla, complotti. Non voglio più niente di simile. Non so se puoi capirlo».
«Oh lo capisco benissimo», replico a denti stretti.
Accorgendosi della mia reazione, smette di fare avanti e indietro. «Mi dispiace, sono stata egoista. Anche tu ci stai male e io ho appena detto qualcosa di inappropriato».
Rimango in piedi, le spalle premute alla superficie, le braccia incrociate. «Quello che è accaduto quando avevo sei anni non ha niente a che vedere con questa situazione. Sì, fa stare fottutamente male perché è sempre vivo il ricordo, ma penso di averla un po' superata».
Si avvicina. «Mi dispiace», ripete.
Le porgo la mano e lei sfiora le mie dita. «Sai che ti amo?»
Sorride e il mio cuore sembra riconnettersi e riprendere il giusto ritmo. «Mai quanto ti amo io».
«Ehi», picchia un pugno sul mio braccio.
Qualcuno suona il campanello. Willa raddrizza la schiena e mi guarda smarrita.
«Vuoi che vada da solo?»
Sappiamo entrambi chi ha raggiunto la villa.
«No», replica sconfitta. «Puoi rimanere al mio fianco?»
Dietro la sua richiesta non c'è solo il timore che io non possa essere dalla sua parte. Le stringo maggiormente la mano e scendiamo di sotto.
Apro la porta e Luke entra in casa seguito da mio padre e da lei. Lenore fa il suo ingresso con cautela tenendo gli occhi su Willa. «Ciao Nic», mi saluta. «Grazie per esserti preso cura di mia nipote», prova ad abbracciarmi e un po' impacciato glielo concedo, per permettere a Willa di prepararsi, di darle una possibilità.
«È tutto quello che ho».
Sorride e le si avvicina. «Ehi, piccolina».
Non so se sia il nomignolo o il lato fragile di Willa che esce fuori, ma le si getta addosso come una bambina e in lacrime accoglie la stretta che Lenore ricambia baciandole il viso. «Mi sei mancata», le sussurra.
Willa si irrigidisce un po' e la strappo via dall'abbraccio, prima che possa raggiungerla quella fitta e riportarla alla dura realtà.
Ci accomodiamo davanti al camino.
Willa prepara delle bevande calde poi si siede accanto a me e le prendo la mano giocando nervoso con le sue dita. «Allora, chi inizia per primo? Tu Luke?»
Lui schiarisce la voce e arrossendo, si prepara a dare una spiegazione. «Avrei voluto dirvelo, ma non potevo e non sapevo come prepararvi a questa cosa. La mia amicizia, è vera, leale. Non ho mai mentito su questo e non l'ho fatto per tenervi d'occhio».
È sincero e gli credo.
Guardo mio padre. Lui si alza come una molla, appoggia il braccio alla superficie del cammino e fissa le fiamme. «È stata una decisione sofferta. Non volevo ferirti. Ci siamo sempre detti tutto. Volevo solo che le cose andassero bene, che tu smettessi di giocare alla vendetta personale e ti innamorassi veramente di qualcuno. E quando Lenore mi ha fatto presente la situazione di Willa, insieme abbiamo cercato di venirne a capo».
«Ma non potevate essere certi che lui mi sarebbe piaciuto o che gli avrei rivolto la parola», ribatte Willa. «E non potevate essere certi che io avrei accettato o che Nic si sarebbe interessato a me. E cosa più importante, dove hai vissuto per tutto questo tempo? Hai la minima idea di quanto io abbia sofferto?»
Lenore appoggia la tazza sul piattino. Si prepara a rispondere a tutte le domande che le arrivano a raffica dalla nipote. «Vero. La nostra non era una scommessa. Solo un piano per spingervi fuori da quelle gabbie. Clay era preoccupato per Nicolai, lo vedeva spento, cupo, silenzioso e vendicativo. Io lo ero per te. Così ci siamo detti, perché no? Mal che vada si conosceranno e ognuno costruirà la propria vita separatamente. Abbiamo creato il piano perfetto e a dispetto di quanto si possa pensare, è stata una decisione sofferta. Stare lontana da Clay, da te a pochi passi... è stata dura. Ho vissuto fuori città, in una villa, lontana da occhi indiscreti».
Soffio aria dal naso come un toro. Lecco le labbra e mi alzo. Non riesco a stare fermo. «Avete giocato con noi! Ecco perché tu sparivi e tu continuavi a ricevere strane chiamate. Ecco perché di quei dolci. Dovevi portarglieli», scuoto la testa sentendomi uno stupido.
Papà si avvicina e io mi scanso sollevando i palmi per fermarlo. «Avete preso in giro tutti. Quelle lacrime? Quelle parole? Hai confortato Willa per settimane. Anche tu, Luke. Come avete potuto farci questo? Adesso siete qui senza il minimo rimorso!»
Willa si alza e mi si avvicina. Sfiora il mio petto e poi mi afferra il viso. «Puoi andare a prendere il piatto pieno di brownies che ho lasciato in cucina e anche un po' di calma?»
So perché lo sta facendo e silenziosamente la ringrazio. Ha capito che sto per esplodere e non voglio che mi vedano come quel giorno.
Raggiungo la cucina tendendo l'orecchio e appoggiato al ripiano inspiro ed espiro.
«Quello che avete fatto è da stronzi!»
«Credi che non lo sappiamo?», ribatte Luke. «Non avevamo certezza che tu saresti rimasta accettando le condizioni e che ti saresti impegnata così tanto. Soprattutto non avevamo certezza che lui si sarebbe avvicinato a te. Che vi sareste legati così tanto e a tal punto da sposarvi. Il nostro scopo era quello di...»
«Di creare una famiglia», interviene Lenore. «A prescindere dai rapporti».
Porto il piatto in soggiorno. Willa cerca la mia mano e di capire se sono calmo. Le circondo le spalle con un braccio baciandole la tempia. «E adesso? Pensate che ogni cosa possa risolversi semplicemente chiedendo scusa?», li fisso uno ad uno.
Lenore asciuga una lacrima. Papà le si avvicina e le adagia la mano sulla spalla.
Sono felice per lui. Davvero. Lenore è la sua metà perfetta.
«Volevo solo che foste entrambi felici. Insieme, da soli, ma felici. E sapere che vi siete avvicinati, supportati e altro, mi ha riempito il cuore di gioia».
Willa passa le mani tra i capelli piegandosi in avanti con i gomiti sulle ginocchia. «Sono felice che tu sia viva, non fraintendere la mia reazione. È un sollievo sapere che non sei morta da qualche parte da sola. E sono felice che tu abbia Clayton e Luke dalla tua parte».
Lenore si alza e la raggiunge sedendosi accanto a lei. «Bambina mia, abbiamo tanto di cui parlare».
Faccio cenno ai due e le lasciamo sole uscendo sul retro. In giardino mi siedo su uno dei divani di vimini che Willa ha voluto comprare per metterli sotto la tettoia e accendo una sigaretta.
Indico tutti e due. «Mi dovete più di una scusa».
Papà sorride e lo stesso fa Luke sgonfiandosi. «Sono sollevato», dice quest'ultimo. «Finalmente non ho nessun segreto da mantenere. A proposito, dovrete venire in ufficio per l'eredità. Lenore ha davvero qualcosa per voi».
«Ritieniti fortunato che non ti abbia ancora lanciato in mezzo al lago col culo di fuori».
Gratta la nuca. «So che ci vorrà un po', ma spero riuscirai a perdonarmi».
«Penso di averlo già fatto. Anche se ho bisogno di elaborare la cosa».
«Certo», ribatte speranzoso. Ricevendo una chiamata si sposta più in là per rispondere, avvertendoci prima che è una chiamata dall'ospedale.
Papà mi si avvicina e spegne la mia sigaretta. «Ho sempre odiato questo tuo vizio».
«Anche Willa».
Sorride abbracciandomi. «Staremo bene adesso?», oso chiedere.
«Puoi giurarci».
Luke si avvicina e ci avverte che Ines si trova in ospedale, sedata, ammanettata al letto, tenuta sotto stretta sorveglianza e in attesa di processo.
Quando entriamo in casa, troviamo Willa e Lenore a sorridere. Quest'ultima si solleva e viene vicino a me, prende le mie mani. «Sono fiera di te», sporgendosi mi bacia una guancia prima di darmi uno schiaffetto. «Non fare più il bullo con mia nipote», dice seria e severa.
Ridiamo. «Me ne prenderò cura».
«Oh, non ne ho alcun dubbio», sorride gentile e insieme a Luke e a mio padre si avviano alla porta.
Lenore si volta un momento. «Domani, da me. Abbiamo un pranzo di Natale da recuperare».
Chiusa la porta, Willa mi guarda negli occhi e scoppia a ridere e a piangere.
Le asciugo gli angoli delle palpebre e le bacio le guance e labbra portandola davanti al camino.
«Ciao piccolo iceberg».
«Ciao uomo delle nevi».
«E così... inizia la nostra nuova vita?»
«Da adesso. Da qui».
Le avvolgo le braccia intorno alla schiena. Lei mi tappa gli occhi. «Non guardarmi così...»
Sorrido. «Ti amo».
Arrossisce e nasconde un sorriso mordendosi il labbro inferiore. Sfiora le mie braccia, il mio petto. «Sai, Nic, prima non avevo un posto in cui restare. Non sentivo casa nessun tetto sulla testa. Da quando ti ho incontrato, sei diventato il mio posto nel mondo. Sei il mio posto, il migliore che io abbia mai trovato. E non mi importa se farà freddo, so che mi terrai sempre al caldo. Perché sei e sarai sempre la mia casa, il mio porto sicuro, la mia persona. Ti amo».
♥️♥️♥️
~ N/a:
Buona sera, come state? Scusate se ieri non ho postato il capitolo. Ho avuto un momento di "blackout", come lo chiamo io e ho avvertito l'esigenza di rimandare.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Grazie per esserci.
Buona serata. Un abbraccio virtuale,
Giorgina
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