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Capitolo 27

Se tengo gli occhi chiusi, è il suo raro sorriso che vedo. Se traggo un lento respiro, i miei polmoni si liberano e il suono del suo soffia sulla mia pelle regalandomi un nuovo piacevole brivido.
Se tento di non ascoltare i suoni, è quello del tono della sua voce roca a insinuarsi nella mia mente, insieme al suo profumo che mi manca.
Non ho mai creduto possibile amare con un'intensità tale da perdere il sonno e il senno. Eppure è successo. Lui ha cambiato tutto il mio mondo. Dapprima lo ha demolito poi lo ha ricostruito dalle fondamenta piazzando pilastri più solidi. Ha preso ogni dubbio, ogni incertezza, ogni singola paura e l'ha sospinta via come vento impetuoso. Ha distrutto tutto, spazzato via anni di lavoro, di sacrificio. Poi mi ha fatto rinascere. Mi ha fatto sentire per la prima volta come se dovessi tornare immediatamente a casa per sentirmi bene.
Riemergo dalla strana nebbia che mi ha avvolta. Devo avere preso una forte botta alla testa perché non ricordo niente di quanto è successo appena ho aperto la porta della villa.
I miei occhi si aprono a rilento, mi lamento e porto la mano sulla tempia che pulsa.
Impiego pochi secondi ad accorgermi di dove mi trovo e a rivivere quello che ho vissuto. Mi sollevo, lo faccio in fretta e la testa gira immediatamente facendomi barcollare indietro, scivolare lungo la parete, verso il pavimento, dove mi sento come un palloncino sul punto di sgonfiarsi.
Mi trovo dentro uno sgabuzzino. Un tavolo con un piatto pieno di cibo e nessuna via di fuga se non una porta, quasi sicuramente, chiusa a chiave.
«Merda», mi lamento.
Riprovo a sollevarmi. Tasto le tasche e l'unica cosa che ho addosso, oltre agli indumenti, è l'anello che tengo al collo, l'unica certezza che mi è rimasta in tutto questo enorme casino.
Avanzo verso la porta, provo ad aprirla, ma come avevo preventivato è chiusa. Potrei sfondarla ma non ho la forza e mi serve concentrazione per uscirne, non una spalla lussata.
Non so cosa sia successo o chi ci sia dietro tutto questo, anche se ho molteplici dubbi. Spero solo di non dovermi scontrare, di non dovere fare qualcosa che non voglio.
Tasto i capelli e ritrovo una forcina impigliata tra l'ammasso informe. «Dio, fa che ne esca viva», prendo un respiro e provo a scassinare la porta, pur non sapendo nemmeno come si faccia.
Provo un paio di volte, poco prima di avvertire dei passi, fermarmi, nascondere la forcina e tornarmene all'angolo, dove mi hanno lasciata come una criminale.
Attendo e il mio cuore batte all'impazzata, seguendo il ritmo di quei passi ritmici seguiti da un tonfo inconfondibile, quello di un bastone.
Chiudo brevemente gli occhi, digrigno i denti e mi preparo a lottare contro mia nonna. Non avrebbe dovuto farmi una cosa tanto orribile.
La porta si apre, emette un cigolio sinistro che si propaga in tutta la struttura. Deve essere grande se l'eco è tanto prolungato. Lei fa il suo ingresso guardandosi intorno con malcelato disgusto. «Sei sveglia».
Mi alzo per non mostrarmi debole. «Abbastanza da chiederti che diavolo stai facendo», ribatto aspra. «Fammi uscire da qui».
Non si scompone di fronte al mio atteggiamento. Sotto uno scialle elegante, damascato con disegni in argento, indossa un completo blu, una maglietta con un corpetto pieno di perline. Alle mani, ai polsi e al collo, molteplici gioielli costosi. Da quando è così materialista? Da quando sfoggia tanta ricchezza?
Mi disgusta e mi fa allontanare ancora di più da lei, dalla mia famiglia. Io non sono mai stata così. Non ho mai voluto niente se non essere felice da qualche parte.
«Quello che va fatto per salvare quel poco di dignità che ti è rimasto per via delle scelte che hai preso nell'ultimo periodo».
La guardo con stizza. «Le mie scelte o le tue?», balbetto fremendo.
Si avvicina e io non indietreggio. Se ha intenzione di colpirmi, che faccia pure. Stavolta reagirò con le parole, la ferirò se sarà necessario, per farle capire che non ho paura di lei, che può torturarmi, non cambierò idea.
«Le tue, Willa. Le tue», ripete tra i denti.
Incrocio le braccia e anche il suo sguardo, carico di determinazione e rimprovero. «Io le mie scelte le ho fatte con criterio. Non ho guardato il lato economico né fatto rapire qualcuno. Stai andando fuori di testa», provo a superarla per potere uscire da questa maledetta stanza, ma riesce ad afferrarmi, a trascinarmi indietro, al punto ti partenza, vicina a lei. «Bada a come parli, ragazzina. Io posso tenerti qui anche a vita se voglio e tu non rivedrai mai più quel bifolco con cui ti sei divertita tutte queste settimane», attacca.
Scrollo la sua mano dal braccio. «Ti stai solo ostinando perché per una volta hai davvero perso e non accetti la sconfitta, nonna. Lasciami andare e risparmia queste stronzate da film agli sceneggiatori».
Provo a superarla e mi blocca ancora. «Tu non hai capito. Starai qui fino a quando non avrai firmato i documenti e non avrai sposato Rupert. È quello che vogliamo e abbiamo scelto per te», si avvia alla porta, si ferma, si volta. «A proposito, vorrebbe un colloquio con la sua futura moglie e gliel'ho concesso. Farai meglio a non farlo incazzare e a fare quello che ti chiede o il tuo uomo delle nevi farà una brutta fine».
Mi impalo, impallidisco, mi sento male. Chi ho davanti a me? Non è mia nonna. Non è la donna che si è presa cura di me. È solo un mostro che mi sta vendendo ad un uomo viscido e privo di scrupoli e ha appena minacciato Nicolai.
Nicolai... Chissà che cosa starà facendo adesso? Mi sta cercando?
E i miei genitori? Sono d'accordo con ogni sua iniziativa? Sono così impegnati da non salvarmi dalle sue grinfie, da non accorgersi che è andata fuori di testa?
Mordo l'interno di una guancia e sento il sangue inondare la mia bocca. «Se credi che farò la tua puttana ti sbagli di grosso. Quell'uomo perderà l'uccello se solo si azzarderà a toccarmi con un dito», la minaccio. «E se farai del male a mio marito, ne farò a te con ogni mezzo possibile».
Sorride beffarda. Gli occhi le si allungano e increspano agli angoli. Sembra una iena. «Rupert sarà tuo marito, Willa. Non quel boscaiolo. Prima o poi... dovrai andarci a letto in un modo o nell'altro e mettere su famiglia per allargare il patrimonio. In fondo non è stato difficile aprire le gambe a quell'uomo, no? Sono sicura che non gli importerà che adesso starai con un altro, sa che non lo ami», ride di fronte alla mia espressione cerea. «Ah, già, il bel messaggio che gli hai lasciato. Non ricordi? Devi avere preso proprio una bella botta alla testa».
Stringo il pugno in vita. «Sei una stronza!»
Ride divertita, superando la soglia. «E tu sei in trappola. Ragiona bene e fa' la cosa giusta se vuoi uscire da qui», un cenno a qualcuno e la porta si chiude prima che io possa anche solo raggiungerla. Picchio il pugno sopra sentendo un bruciore intollerabile sul palmo. «Non dirò mai di sì a quel bastardo. Marcirò qui volentieri, lurida stronza. E quando Nic mi troverà, perché lui lo farà, sarà peggio per tutti voi. Vi consiglio di ragionare su quello che state facendo perché indietro non si torna», mentre pronuncio questo parole, la voce mi trema e scoppio a piangere perché non so che cosa aspettarmi. Sono terrorizzata e allo stesso tempo demolita dalla notizia che mia nonna abbia fatto credere a Nic di averlo lasciato.
Cammino come un leone ingabbiato da una parte all'altra. In un moto di rabbia scaglio il cibo dall'altra parte della stanza, sbatto il vassoio contro la porta e urlo poi picchio forte i pugni contro la superficie per farmi sentire, per attirare l'attenzione di qualcuno e per far aprire questa maledetta porta. Perché so che prima o poi succederà e allora avrò solo una possibilità di riuscita.

Il tempo non sembra passare e ben presto decido di non sprecare le mie energie e di sedermi, di elaborare un piano. Porto le gambe al petto, ansante, le braccia sulle ginocchia, la testa affondata. Inspiro ed espiro per calmarmi.
Sento lo scatto della porta e non mi muovo. Percepisco solo l'inconfondibile tanfo della colonia che aleggia dentro questo sgabuzzino e mi è tutto chiaro.
«Willa», saluta con una certa soddisfazione.
Sollevo il viso, lo guardo storto. «Se sei qui per convincermi, non hai possibilità. Vattene!»
Chiude la porta, si appoggia un momento alla superficie con i palmi e la fronte a pochi centimetri da essa, infine si volta e arrotola le maniche con gesti pratici, di chi l'ha fatto molteplici volte. Che cosa ha in mente?
Dentro di me si agita qualcosa, la sensazione di pericolo si fa strada, mi gela le vene e la paura mi attanaglia a tal punto da freddarmi sul posto. Non riesco a muovermi, non posso respirare.
Rupert, un mezzo sorriso lascivo sul viso, avanza di un passo. Indossa un paio di jeans, una cintura con lo stemma di un noto marchio costoso, una camicia bianca. Sono rare le volte in cui l'ho visto con addosso indumenti casual.
«Sono qui per fare due chiacchiere con te. Sono anni che mi sfuggi, Willy».
«Non chiamarmi così! Non ne hai alcun diritto!»
Ghigna abbassandosi sulle ginocchia, all'altezza del mio viso. Le sue dita avanzano, ma notando le mie narici che guizzano e il mio sguardo truce, ritira il gesto. «Posso chiamarti come voglio. Presto saremo marito e moglie», ribatte infuriandosi, controllando lo schermo dell'orologio al polso.
Se c'è una cosa che non sono mai riuscita a comprendere è il suo carattere. Rupert ha qualcosa di sbagliato. C'è qualcosa che non va in lui. Passa da un estremo all'altro e non è mai prevedibile.
Sguscio lontana da lui e raggiungo il centro della stanza riprendendo fiato. «Vuoi parlare? Parliamo di come non riesci ad accettare il mio rifiuto. Oppure parliamo di come mi hai fatta rapire e mi stai tenendo qui, segregata contro la mia volontà», sbotto irata. «La pagherai!»
Ho qualcosa in mente e per realizzare il mio piano, mi toccherà farlo incazzare.
Si avvicina. «Abbiamo sempre avuto un accordo io e te. Eri una ragazzina quando tua nonna ci ha presentati e sapevi già che saresti stata mia. Non capisco la ragione di tanto astio, di un simile rifiuto e del tuo tradimento».
Deglutisco. Il suo odore, la sua voce, la sua vicinanza, tutto mi dà il voltastomaco. «Perché non ti amo. Non lo farò mai. Io ti disprezzo perché sei un bastardo che crede di comprare tutto con i soldi. Ma con me non funziona. Non ha mai funzionato».
Non so come sia possibile, avrei dovuto prevedere la sua mossa, ma lui riesce comunque a cogliermi impreparata. Mi ritrovo con la schiena contro la parete. L'impatto è devastante. La sua mano stringe il mio collo facendo pressione e il suo corpo si preme sul mio.
La nausea sale insieme alla bile. Mi dimeno, ma se continuerò a farlo il contatto lo ecciterà maggiormente.
«Tutto ha un prezzo, piccola viziata che non sei altro. Ma so già come farti passare la voglia di disobbedire», stringe ancora di più la presa sul mio collo affondandoci il viso.
Emetto un verso strozzato e provo subito a respingerlo. È troppo forte e il panico prende il sopravvento quando la sua bocca tocca il mio collo e le sue mani navigano sul mio corpo. «Hai un odore divino».
«Non toccarmi!», gli mollo uno schiaffo abbastanza forte e sonoro.
Digrigna i denti e torna all'attacco. Provo con una ginocchiata, corro verso il vassoio e lo afferro appena in tempo, proprio nel momento in cui mi salta addosso. Mi ritrovo a terra, il suo corpo ingombrante sul mio. Mi manca il fiato. «Sta' ferma».
La mia mano tasta il pavimento, afferra l'oggetto. Con rabbia picchio il vassoio sulla sua faccia.
Rupert urla di dolore tenendo una mano sul viso grondante sangue. «Puttana!»
Mi rialzo, spalanco la porta e mi ritrovo in un corridoio. Le due guardie alle mie spalle, appena si accorgono di me, lanciano quello che hanno in mano e mi inseguono dopo avere dato l'allarme usando una radiolina. Corro più che posso fino a ritrovarmi di nuovo in trappola, circondata da loro, al centro di un magazzino impolverato, pregno dell'odore di muffa e umidità. A pochi passi da me, una scrivania spoglia con una sedia.
Il fiato viene meno quando Rupert, ripresosi in fretta, si fa strada e mi raggiunge. Un solo schiaffo e sono a terra. Mi punta il dito contro. «Questo», indica la sua faccia piena di sangue. Ad occhio e croce gli ho rotto il setto nasale e fatto cadere un dente. «Lo pagherai caro quando saremo a New York», fa un cenno ai due. Mi afferrano, mi sollevano e mi tengono ferma.
A Rupert viene passata una penna e un foglio da un'altra guardia, giunta in magazzino. Si avvicina come un sadico pezzo di merda. «Hai oltrepassato il limite questa volta, piccola stronza. Adesso firma e puoi dire addio a tutto il resto».
Chiudo la mano a pugno. «Scordalo. Sono già sposata e tu non hai nessun potere. Sei niente per me!»
Avanza, mi costringe a sedermi dando un comando silenzioso all'uomo che mi tiene ferma. Questo, stringe la mia mano e la porta sulla superficie, nonostante i miei tentativi.
Rupert pone il foglio davanti a me e la guardia stringe la penna tra le mie dita.
Gonfio il petto e appena mi è vicino, gli mollo una testata riuscendo ad alzarmi. Li minaccio uno ad uno con la penna. So che è ridicolo, ma lo faccio. «Non un passo in più», urlo.
Rupert ride in maniera sinistra, come un clown dei film dell'orrore. «Sei solo una patetica ragazzina. Non hai scampo. Ogni cosa che farai sarà solo a tuo discapito. Tua nonna mi aveva avvertito e ho preso ogni dovuta precauzione. Non uscirai da qui fino a quando non avrai firmato».
Impugno la penna come se avessi in mano un'arma pericolosa. «Ho detto, non un altro passo in più! Dov'è lei adesso?»
Schiocca le ossa del collo. «Sai cosa mi piace di te, la tua testardaggine. Sei sempre stata forte a modo tuo, indipendente, caparbia. Solo una cosa non è cambiata».
I suoi occhi fanno su e giù lungo il mio corpo. Lecca le labbra come una fiera e rabbrividisco. Gli occhi mi si riempiono di lacrime.
«Sei accecata dai sentimenti. Un po' come tua zia».
«Non nominarla!»
Passa il dorso sul labbro insanguinato. «È stata una liberazione per me sapere della sua morte. In questo modo non avrebbe avuto controllo su di te. Perché non so se lo sai ma... era proprio lei ad impedirci di stare insieme. Riusciva a trovarle tutte pur di non farci incontrare».
Scuoto la testa. «Sei malato! Ero io a non volerti vedere. Ho chiesto dov'è mia nonna. Portatela qui, voglio parlare con lei».
Sta per replicare quando dall'esterno provengono delle voci, degli spari. La porta principale del magazzino esplode in un milione di pezzi e degli agenti armati entrano nell'esatto momento in cui Rupert mi afferra, mi disarma e mi punta la penna stilografica alla gola.
Calde lacrime mi scivolano lungo il viso e il sollievo quando lo vedo è così tanto da farmi sciogliere le ginocchia.
Impugna una pistola, un giubbotto antiproiettile. Dubito non possa usarla e non sappia uccidere il suo unico obiettivo.
«Lasciala andare e nessuno si farà del male», ordina con un tono a tratti cupo, a tratti roco.
Rupert ride. «Sei venuto a salvare la principessa?», preme la guancia sulla mia e strizzo gli occhi disgustata. «O sei qui per farci da testimone?»
Senza distogliere lo sguardo da lui, Nic, la postura di un cecchino, gli occhi fermi e freddi, domanda: «Tutto ok, piccolo iceberg? Ti ha messo le mani addosso questo sporco maiale?»
Scoppio in lacrime al suono del sua voce tanto dolce in contrasto con i suoi gesti, dovuti a questa assurda situazione. Come siamo arrivati a questo punto? È tutta colpa mia.
«Willa...», cantilena.
«Sì», soffio con voce rotta. «Sto bene», credo.
Rupert preme la punta della penna sul mio collo. Sento come un pizzicotto, un rivolo caldo scivolare lungo la gola e inzupparmi il maglione. Gli uomini armati intorno a noi fremono; eppure non si muovono. Tengono le pistole puntate. Attendono qualcosa.
«Ho detto... lasciala!»
«E io ho detto non fare un passo in più. Lei verrà con me!», si incammina indietreggiando verso la porta facendosi scudo con il mio corpo.
Guardo Nic. Adesso i suoi occhi si adagiano sui miei. Intuisco il suo silenzioso comando e quando muove impercettibilmente le palpebre so cosa fare. Carico e colpisco con una gomitata il fianco di Rupert e mi lancio davanti mentre lui urla, perde l'equilibrio e viene sbattuto a terra, disarmato e ammanettato in breve tempo. Un agente gli legge i diritti mente Nic gli si avvicina, solleva la sua testa e lo colpisce al volto un paio di volte poi lo fa portare fuori. Lo stesso succede ai suoi uomini.
Nic infila la pistola nella fondina, apre e chiude il pugno scrollando la mano, si avvicina, mi tira in piedi e mi abbraccia con impeto premendo le labbra sulla mia testa.
Restiamo sospesi, come i nostri pensieri, come i nostri cuori a ballare a ritmo del frastuono che abbiamo intorno a noi. Le sue dita a fare pressione sulla curva del mio collo come se stesse cercando di imprimere sui polpastrelli la morbidezza della mia pelle, le mie aggrappate al suo tronco per sorreggermi. Il suo tocco, il calore del suo corpo solido stretto al mio, inizia a sfumare tutto il resto.
Niente ha più importanza.
Smetto di pensare. Smetto di piangere. Smetto di avere paura. Mi sta annientando nel modo più bello che io abbia mai sperimentato.
Chiudo gli occhi e ci sono, sono finalmente a casa. Sono al sicuro.

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