Capitolo 24
Mi sono sempre chiesto che cosa tiene una persona nella vita di un'altra. Non è semplice capirlo. Non esiste una vera e propria ragione. Ci vuole solo cuore. Chi ha cuore resta. Chi ci mette cuore forse, però, è il primo a rimanere senza.
Ho il timore che con il tempo, Willa non avrà più amore da offrire. Lo terrà per sé. Perché la sua famiglia glielo sta strappando a mani nude e lei non è forte abbastanza da difendersi come vuole fare credere.
È come se le avessero rubato qualcosa e adesso non sapesse più come reagire. C'è un limite di volte in cui una persona può rialzarsi?
Purtroppo puoi passare giorni, mesi, anni a gestire le emozioni, a fingere di non esserti fatto neanche un graffio, di non sentire il minimo dolore. Ma quando hai una profonda ferita aperta nel petto, nemmeno il tempo riesce a richiuderla.
Le accarezzo la guancia. È stata una tortura tenerla tra le braccia mentre tentava di non piangere e non dirle niente per non farla crollare. È stata dura non rincorrere quel tizio e pestarlo, lasciarlo ad assiderare al freddo. Ancora più duro è stato portarla qui a casa mia, adagiarla sul letto e guardarla mentre si addormentava con tutto quel peso addosso, nel silenzio più assoluto.
«Come sta?»
Luke fa la sua comparsa in camera appoggiandosi allo stipite della porta. Incrocia le braccia e osserva Willa con apprensione.
È rimasto con noi per tutto il tempo, a causa della tormenta che si sta abbattendo qui in paese.
Mi sporgo, le bacio la tempia e dopo averle sistemato la coperta sulle spalle, mi avvio fuori dalla stanza poi di sotto, dove potremmo parlare senza svegliarla o disturbarla e turbarla.
«Non ne ho la più pallida idea. Era molto scossa. Ma sta dormendo e le farà bene», replico aprendo l'anta della dispensa per preparare due caffè e prendere gli ingredienti per qualcosa da mangiare.
Luke si siede sullo sgabello. Tamburella con le dita sul ripiano giocando con le linee sul legno. «Starà meglio?»
Alzo le spalle. «La vera domanda è: come ci togliamo di torno quei due?»
Appare impensierito e tormentato da qualcosa. Gli porgo la tazza e lui dopo averne preso un sorso, sospira. «Mi toccherà indagare e capire come possiamo muoverci. Nel frattempo la terrai al sicuro?»
Stropiccio gli occhi dopo avergli passato un piatto. Ha dubbi su questo?
«Sempre se sarò in grado di tenerla qui senza farla sentire in gabbia. Non so se hai notato ma non ama le imposizioni».
Luke morde il toast e mi guarda mentre punto lo sguardo sul caffè dentro la mia tazza facendolo oscillare.
«Stai ripensando alle parole di sua nonna, vero?», biascica.
Azzanno il toast masticando rumorosamente. «Lei la conosce. Io che cosa sono esattamente?», gesticolo, «Un estraneo che pensa di poterle risolvere ogni problema sposandola?», picchio il pugno sul ripiano. «Non sono nessuno e non sono riuscito ad allontanarla da quella donna».
Luke non si scompone. Pulisce gli angoli della bocca. «Non ha ragione», afferma.
Inarco un sopracciglio e lui deglutendo continua: «Sua nonna, non ha ragione. Tu non sei un rifugio. Sei casa sua adesso. Willa potrebbe sentirsi in gabbia solo se la metteranno ancora alle strette e tu non le stai facendo pressioni di alcun tipo. Hai capito come bisogna trattarla o farla sentire e anche se non hai notato, perché eri infuriato, lei ti ha affidato tutta se stessa prima».
Passo le dita tra i capelli poi pianto i gomiti sulla superficie e affondo il viso tra le mani. Apprezzo il suo tentativo. «Non so più che cosa pensare o fare. Mi sento un incapace».
Luke pulisce le dita. «Le serve un po' di tranquillità, Nic. Qui la sta già trovando. Sai, sua zia mi diceva sempre che a Willa serviva solo un po' di calma. Aveva ragione. Non mi sorprende che abbia pensato di farla arrivare qui e farle realizzare qualcosa di suo».
Strofino il viso. «Ma non poteva prevedere che sarebbe morta».
«No, infatti», replica prontamente. «Mi aveva accennato di un invito. Ma non ne ha avuto il tempo».
«Sono incazzato con me stesso», ammetto.
Beve. «Per non avere pestato quel fighetto del cazzo? Ci penserò io a fargli il culo nel modo giusto».
Ci guardiamo e ci scappa una risata. Luke mi stringe una spalla come farebbe un migliore amico o un fratello. «Non ha nessuna possibilità. Willa ti ama».
È strano sentirlo da un'altra persona. Sono ancora incredulo e sento il mio cuore impazzire quando rifletto su quanto sia diversa la mia vita adesso. Solo qualche mese fa ero incastrato in una sorta di relazione malata con Milly, in cui ero disposto a tutto pur di fargliela pagare. Adesso sono sposato, ho una donna di cui prendermi cura, da amare e fare star bene e non mi serve altro.
«Dici?»
Ci spostiamo in soggiorno. Luke osserva la stanza poi si concentra sulle fiamme dentro il camino. «Lo so. E so quello che provi tu per lei».
Recupero due birre lasciandole sul tavolo basso. «Ah sì?»
«Senti Wood, non saremo amici di vecchia data ma... sappi che mi piace come sei. In realtà mi sei sempre piaciuto. Non lo mostri a nessuno ma hai un buon cuore e non ti avevo mai visto così preso, così interessato e passionale verso qualcuno fino a quando non hai incontrato Willa. Non lo credevo possibile, eppure è successo. Questa versione di te mi piace».
«Non sfuggirai in questo modo al mio interrogatorio, Phillis. Non con queste moine. Che succede con il tuo uomo?»
Gratta la guancia arrossendo. «Te ne ha parlato lei?»
«Quando ti sei catapultato fuori di corsa ho chiesto e lei mi ha accennato qualcosa. Era preoccupata per te».
Afferra la birra e ne tracanna tre quarti.
Luke non è mai stato un ragazzo da birra, rifletto e comprendo il suo stato d'animo. Pulisce le labbra con il dorso, un altro atteggiamento non da lui. «Io ci sto provando a far funzionare tutto con lui, ma ogni cosa che faccio non sembra apprezzarla. Sono sempre io quello che sbaglia, quello che omette o quello che ama meno. E lui... lui è quello perfetto. Ci sto male, devo camminare sempre in punta di piedi altrimenti finiamo per discutere».
«Allora non ti merita», sbotto irritato dalla sensazione che mi si sprigiona dentro.
Luke appare sorpreso. «Dici?»
«Solo una testa di cazzo non apprezza l'ottimo lavoro che svolgi, la persona meravigliosa che sei, Luke. Se ti fa paura parlare senza filtri perché potrebbe fraintendere, non è amore. Se devi sempre fare attenzione, non è amore. Amore è quando sei libero di essere esattamente come sei e non devi cambiare».
«Sono sbalordito».
Sorride e decido di prenderlo un po' in giro per smorzare la tensione. «Adesso non emozionarti e non montarti la testa. Non ci sto provando con te. Sono sposato».
Sorride ampiamente. «Ho appena ricevuto un complimento da Nicolai Wood. La giornata si sta concludendo per il meglio». Torna immediatamente serio. «Spero risolveremo tutto».
Non so di preciso a chi o cosa si stia riferendo. Ma nei suoi occhi c'è una luce diversa. «E per quanto riguarda il tuo consiglio, hai ragione. Pensavo di stare bene con lui, evidentemente il nostro rapporto è qualcosa di sbagliato. Sarà difficile ma voglio concentrarmi sul mio lavoro, sui miei sogni e non dedicarmi sempre alla persona con cui sto. Chi mi vuole deve accettarmi proprio come sono».
Gli stringo la spalla. Adesso è il mio turno. «Troverai la tua persona, Luke. E lui dovrà chiederti scusa in ginocchio quando si accorgerà di quello che si è perso».
Si emoziona e seppur trattenuto, un po' impacciato, gli do un breve abbraccio battendo la mano sulla sua schiena. Sembro mio padre. «Riprenditi. Che ne hai fatto dello spietato avvocato che ho conosciuto?»
Si ricompone. «Sta per tornare dalla luna di miele».
Ridiamo.
Luke va via quando la bufera fuori si ferma e finalmente passa da queste parti lo spargisale e un camion che va a sgomberare le strade per permettere la circolazione. Chiudo la porta dopo avere seguito con lo sguardo l'auto di Luke e ritrovo Willa a pochi passi, scende l'ultimo gradino, si ferma ed esita. Tiene come un mantello la coperta e mi guarda con aria triste.
Da quanto è sulle scale?
Mi piacerebbe estirparle di dosso tutte quelle sensazioni dolorose, reggere al suo posto il carico, farla stare bene.
Le osservo il viso e mi incupisco quando noto quel livido evidente all'angolo del labbro. Avrei dovuto tirarla indietro in tempo, purtroppo mi sono lasciato distrarre.
Stringo i pugni in vita, diretto in soggiorno tolgo le bottiglie vuote e pulisco la cucina preparandole uova fritte, fette di pane e un po' di fagiolini verdi mentre si sistema sul divano.
Quando mi avvicino con il piatto fumante e mi siedo, lei prende posto sulle mie ginocchia premendo la guancia sul mio petto. La tengo stretta e chiude gli occhi.
«Ti mancavo?»
Gioca con il bottone della mia camicia. «Sì».
Non piange. Non cede. Continua ad avere quell'espressione carica di forza e orgoglio, come se glielo avessero temprato sulla pelle. Sta soffrendo. Eppure non emette un suono. Continua a stare in silenzio. Continua a urlare tutto quello che ha dentro senza bisogno di parole. Come se cercasse di non soffrire e fosse costretta a nasconderlo.
Ma con il dolore o ti scontri o ti lasci logorare dentro fino a consumarti. O ci convivi o lo butti fuori dalla tua vita. È una questione di scelte.
Willa non si perde in chiacchiere e capisco che ha ancora bisogno di silenzio. Le avvicino il piatto e lei divide insieme a me la cena imboccandomi. Recupero il tovagliolino e le sfioro le labbra. Sussulta strizzando le palpebre ed io mi irrigidisco. «Ti fa male?»
«Solo un po'».
«Posso darci un bacio e fare passare il dolore?»
«Non mi sono sbucciata un ginocchio».
«Il cuore sì».
Solleva lo sguardo. «Ti ho già detto grazie per prima?»
«Non mi importa dei ringraziamenti. Voglio che tu stia bene», affermo un po' brusco.
Abbassa il mio viso e delicatamente, come se avesse paura di ferirmi, mi bacia. Un bacio semplice, lento, morbido, ma in grado di devastarmi dentro.
La stringo al petto massaggiandole la nuca. «Dimmi quello che vuoi che faccia».
«Non ti chiederò di uccidere per me».
«E io che avevo già programmato tutto con tanto di alibi».
Mi concede un sorriso timido e le strofino la punta del naso sul suo. «Non voglio che ti avvicini a loro».
«Non posso farlo».
«Possiamo».
Rimaniamo per qualche minuto abbracciati. Di tanto in tanto guardo fuori dalla finestra. Grazie alla luce del lampione riesco a scorgere la neve che precipita lenta dal cielo. Il paesino avvolto dalla nebbia, le luci tutte accese come minuscole stelle sospese in terra.
«Posso sapere di cosa hai bisogno?»
Stringe il bordo della mia camicia. «Ho bisogno di un lungo bagno caldo e di fare l'amore con mio marito».
La sollevo tenendola in braccio. «Riguardo la prima cosa posso subito accontentarti», premo le labbra sulla sua tempia.
La porto di sopra. Lei scivola giù, apre il getto dell'acqua e riempie la vasca. Lascio cadere due gocce di bagnoschiuma e quando la soffice nuvola bianca riempie la vasca lei si spoglia davanti a me con naturalezza e si immerge.
Mi siedo accanto e le sfioro la punta del naso. «Non entri?»
«Tra qualche minuto», le prometto silenziosamente.
Mi fa una carezza. Il pollice sfrega la mia pelle. Abbasso le palpebre apprezzando il suo contatto. «L'acqua si raffredda», mi tenta.
Mi sollevo. «Mi hai convinto».
Comincio a spogliarmi davanti a lei. Tolgo tutto ed entro nella vasca posizionandomi alle sue spalle. Stringe le nostre mani e incrocia le mie braccia al suo petto.
Le bacio la guancia. «Potrei dirti tante cose in questo momento», sussurro.
Piega il collo e chiude gli occhi. «Sto bene».
«Non puoi mentire a tuo marito».
Si volta. «Perché non vuoi fare l'amore con me?»
«Non è che non voglio. Ma non risolveremo le cose in questo modo. Stai male, parliamone. Non possiamo consumarci a letto e poi fingere che sia tutto a posto».
«Dopo quel giorno in auto...»
«Ti voglio, Willa. Non sai quanto. Non dubitare mai su questo. Prima mi sono trattenuto a stento mentre ti spogliavi senza malizia. Ma non ci aggrapperemo al sesso per sedare tutto. Prima parliamo e se ci restano energie facciamo l'amore tutte le volte che vogliamo».
Non so che cosa sto dicendo, ma lei mi ascolta e io non riesco a smettere di guardarla e di parlare. È come se assorbisse pezzi di me ed io mi cibassi di ogni suo respiro, di ogni sua espressione.
Le bacio il naso. «Allora, non vuoi dirmi che cosa succede in questa testolina?»
Racimola le parole prima di esprimersi. «Mi sento intrappolata in un brutto incubo dal quale non riesco ad uscire. Non riesco a capire dove io abbia sbagliato o come potrei risolvere la cosa senza stare male e senza ferire qualcuno», spiega.
Continuo a baciarle la spalla. «Intendi tua nonna?»
«Le voglio bene. Nonostante sia una stronza manipolatrice e meriterebbe una lezione. Ma non posso permetterle di decidere ancora sulla mia vita. L'ha fatto per troppo tempo e io... io sono stata una stupida a seguire ogni sua dritta. Credevo lo facesse per il mio bene, che fosse la cosa giusta per rendere lei o i miei orgogliosi. Evidentemente mi sono solo sbagliata».
Willa riesce a destabilizzarmi. In certi istanti potrei affermare di sapere tutto di lei. La capisco al volo perché è un libro aperto. Altri, è solo un'ombra scura che gioca a nascondino con la sua stessa luce. Proprio come in questo momento.
«Sai cosa mi fa rabbia? Essere qui, essere rimasta per un capriccio di zia Lenore. Forse entrambe volevano distruggersi e l'unico modo era usarmi. Forse sto sbagliando di nuovo tutto», si agita cercando delle risposte da me.
«O forse ti stai facendo condizionare e stai entrando nel panico perché sai di dovere decidere da sola e non ne hai mai avuto la possibilità. Adesso è possibile, Willa».
Riflette affondando sotto il pelo dell'acqua. Gioca con una bolla poi porta la mia mano sul suo petto, facendomi ascoltare l'assordante pulsazione del suo battito cardiaco. Con la stessa mano, intuendo quello di cui ha bisogno, le stringo il collo senza forza e le mordo sotto l'orecchio. «È arrivato il momento di crescere. Decidi cosa vuoi essere, un fiocco di neve o un piccolo iceberg? Una scintilla o una fiamma?»
Più mordo più lei tende le ginocchia e ansima bloccando la mia mano tra il ventre e il suo sesso. Chiude gli occhi, deglutisce e schiude ancora le labbra lasciando uscire il fiato. «Continua».
Sorrido sulla sua pelle. «Vuoi essere un raggio di sole o solo una nuvola passeggera?»
Le mie dita raggiungono le pieghe e lei geme stringendo la mano sul bordo della vasca. «Vuoi essere un bruco o una farfalla?», muovo un dito giocando con la sua pelle. «Vuoi essere un seme secco o un fiore che cresce nei posti più impervi? Vuoi essere mia moglie o una ragazza succube della nonna e della zia?»
Ferma la mia mano e ansimo sulla sua nuca, sentendomi talmente eccitato da non poterlo nascondere.
Lecca le labbra e il gesto è una tortura, uno schiaffo per le mie parti basse. Volta un po' il busto. I suoi occhi si fermano nei miei. Ci leggo il tormento, la lussuria, la paura. Così tante cose da renderla un casino straordinario. Si avvicina alle mie labbra. Prova a dire qualcosa ma la mia bocca si posa lenta sulla sua.
«Mi stai uccidendo. Non è giusto».
«Allora o ti lasci andare o andiamo a letto e ci mettiamo a dormire», sussurro.
«Sarebbe facile se mi dicessi di no. Ma devi farlo adesso o non ti fermerò. Perché sto cedendo, Nic».
Mordo il labbro inferiore tirandolo e le sue pupille si dilatano. «Non posso, lo sai».
Si volta accigliata, i suoi occhi tremano fissando l'acqua. «Perché? Prima l'hai fatto. Mi hai dato delle opzioni».
Con una mano stringo il suo seno sinistro con l'altra raggiungo di nuovo il suo sesso e questa volta muovo le dita in modo rude dentro di lei. «Perché amo il modo in cui mi stai permettendo di amarti».
Muove i fianchi insieme alle mie dita. La testa reclinata indietro, gli occhi chiusi, la pelle sollevata. «Ti sto permettendo di fare in modo che vada tutto al suo posto, Nic».
Bacio la sua nuca fermando il movimento e lei mugola affannata. «Lo sto facendo. Mi sto incastrando al mio posto. E tu?»
Allontana la mia mano, si volta del tutto e mettendosi a cavalcioni cerca la mia bocca. Non le serve altro, eppure io le offro tutto me stesso con un solo bacio.
♥️♥️♥️
~ N/a:
Buon anno stelline! Che vi porti tanta salute, tanta felicità e soprattutto tanto amore.
Spero tutto bene. Un abbraccio virtuale,
Giorgina Snow
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