Capitolo 2
La sveglia tuona trapanandomi le tempie. Non ho mai trovato difficoltà nello svegliarmi all'alba. Ma è stata una nottata intensa, sotto ogni punto di vista.
La figura che sonnecchia dall'altra parte del letto, si muove, solleva la testa e la sua mano piccola si adagia sul mio petto nudo. Le unghie lunghe a forma di artiglio, laccate di smalto rosa, sfiorano la mia pelle lasciando graffi invisibili; formicolio affatto invitante.
Le sue labbra invece, trovano il mio collo.
«Buongiorno, orso».
La lascio fare. La notte scorsa ci abbiamo dato dentro come non facevamo da settimane. Molti giorni passati a litigare per qualsiasi cosa e così tanto da essere costretto ad andare via per un po' dalla mia stessa abitazione, pur di non vederla.
Solleva il viso, sorride con la sua dentatura perfetta, da copertina patinata e prova a baciarmi.
Non glielo permetto facendola ritrovare sotto il mio peso. La osservo con attenzione, per capire quello che mi ha attratto la prima volta che l'ho vista, circa dieci anni fa.
Capelli ossigenati di recente su consiglio delle amiche, pettegole e matte, pronte a tutto pur di realizzare ogni desiderio; occhi scuri, naso dritto e sguardo da stronza: Milly Lewis è una di quelle donne che amano fare piani a lungo termine.
La sua mano scivola dal mio petto verso l'ombelico. Si ferma al di sotto sollevando le palpebre, guardandomi da dietro le ciglia finte che si è fatta trapiantare e che batte come se fossero ali di una farfalla epilettica sul punto di morire. Le sue labbra sono gonfie, soprattutto quelle superiori, a rendere sporgente la sua bocca come se fosse il becco di un anatroccolo. Le lecca con un sorrisetto sfrontato divaricando al contempo le gambe.
«Stanotte non ti sei trattenuto. Vuoi riprendere da dove ci siamo fermati?», con malizia raggiunge il mio membro che non si è neanche degnato di drizzarsi.
Un po' come stanotte, quando ho finto di essere eccitato e di avere un orgasmo mentre lei strillava come una gallina.
«Devo andare a lavorare».
Pronuncia le labbra avvicinandomi, strusciandosi e supplicandomi. «Cinque minuti non ti cambieranno la vita. Non stiamo cercando di rimettere in piedi il nostro rapporto?»
Le sfioro la guancia. I suoi zigomi sono pronunciati; definiti da chissà quale tipo di iniezione.
Non mi piace la piega che sta prendendo questa conversazione.
«Era solo una scopata, Milly. Torna a casa tua».
Non capisce all'inizio. Apre e richiude la bocca come un pesce. «Nic...»
«Hai sentito quello che ho detto. Non siamo più una coppia e da tempo ormai».
Picchia un paio di volte il palmo sul mio petto. Scivolo sul materasso mettendo le braccia dietro la nuca mentre si solleva come una posseduta e corre a recuperare le sue cose, urlandomi addosso parole indicibili.
Tiene stretta la maglietta al petto. «Sei un bastardo!»
Sollevo l'angolo del labbro e decido di infierire ulteriormente. Magari sarà la volta buona in cui si arrenderà. «E tu non sei stata in grado di farmelo sollevare. Non sei brava come pensi e le tue urla urtano le mie orecchie e forse anche i vicini. La prossima volta che ti farai usare dovrai contenerti».
Ringhia, mi lancia una scarpa che va a sbattere sul quadro facendolo oscillare, la recupera trattenendo le lacrime e le strilla, correndo fuori dalla stanza proprio come farebbe una bambina viziata.
«Me la pagherai, lurido stronzo!»
«È stato un piacere!», alzo il tono.
«Hai detto di no», replica stizzita.
«Dicevo per te».
Ringhia e sbatte la porta secondaria lasciandomi finalmente solo.
Mi rilasso. Prima però, tiro via dal letto le lenzuola che profumano troppo di fresia e le cambio.
La sveglia era solo una scusa per mandare via quella donna.
Milly non sarà mai in grado di capire, di soddisfare i miei bisogni. Anche se ha progettato tutto per noi, non riuscirà mai a trascinarmi con lei.
In fondo, dovrebbe avere capito la ragione per la quale non l'ho ancora sposata dopo dieci anni di fidanzamento e una vita di conoscenza.
Siamo stati a lungo amici, poi lei si è messa in testa di volere di più e abbiamo provato. Ma i nostri caratteri, le sue bugie, i suoi sotterfugi, hanno drasticamente rovinato il nostro rapporto.
«La notte scorsa è stata solo una sbandata, Nic. Eri stordito dalla grappa».
Affondo il viso sul cuscino fresco e profumato addormentandomi.
Il suono della vibrazione mi ridesta. La mia mano avanza a tentoni sul comodino dal quale riesco a pescare il telefono e a rispondere pur di non continuare a sentire il fastidioso rumore che riempie la stanza.
«È il mio cazzo di giorno libero», esordisco arrabbiato.
«Dobbiamo andare al funerale di Lenore, l'hai dimenticato? Siamo in ritardo».
Mi sollevo a metà busto. Merda!
Massaggio la fronte. «Dammi qualche minuto e arrivo».
Non posso rifiutare. So quanto sia importante per mio padre essere presente, rivolgere le condoglianze alla famiglia della donna che lo ha fatto sentire di nuovo giovane negli ultimi tre anni.
Avevano un bel rapporto quei due. Si vedevano a messa, parlavano brevemente in negozio e poi si incontravano in biblioteca o alle riunioni cittadine. Qualche volta si fermavano persino a pranzo o lei lo invitava a casa sua.
Quello che accadeva, non so dirlo e non ho mai osato chiedere per non avere gli incubi. Perché quei due insieme, erano una coppia mal assortita.
«Sbrigati, siamo già in ritardo».
Riaggancio e mi reco in bagno. Svuoto la vescica e dopo avere fatto una brevissima doccia per togliermi di dosso l'odore dolce di Milly, mi rivesto e scendo di sotto.
Qui bevo un po' di caffè e con il termos in mano, di corsa, raggiungo mio padre che mi sta già aspettando sul suo vecchio furgone.
Fuori c'è parecchio freddo. Le temperature durante la notte sono precipitate. Ma minuscoli raggi di luce filtrano dalle nuvole lasciando risplendere lo strato bianco depositato sui tetti, sulle siepi o sui marciapiedi.
Non appena salgo in auto mio padre si appresta ad accendere il riscaldamento. «Non dovrai accennare niente alla sua famiglia, intesi?»
Sorrido guardandomi le dita piene di segni prima di infilare i guanti di pelle. «Non rovinerei mai un funerale con la notizia della tua tresca amorosa con quella donna».
Mi molla un colpo sul petto più che serio. «Tenevo a lei. Smetti di fare l'insensibile. Mi mancherà quella donna», la voce gli si spezza per la prima volta.
Smetto di sorridere e di prenderlo in giro per non premere ulteriormente le dita sul suo dolore. «Mi dispiace, papà», stringo la sua spalla.
Annuisce posteggiando dietro una lunga fila di auto coperte da uno strato di neve, che lenta sta cominciando a scendere, pur non attecchendo.
Siamo gli unici ad avere un abbigliamento comune. Ma sono del parere che sia inutile indossare per pochi minuti indumenti da ricconi per poi tornare alle tute mimetiche e agli scarpini.
«Togliamoci questo pensiero».
Camminiamo in cerca della famiglia per porgere le nostre condoglianze, ma ci troviamo in mezzo a persone che, oltre a conoscerci, ci schivano.
Non me ne curo. È risaputo che i Wood vengono tenuti d'occhio. Soprattutto per quel lato del carattere fomentino che abbiamo ereditato da qualche antenato, probabilmente morto col culo di fuori in mezzo alla neve.
Mio padre avvista una donna con una lieve somiglianza alla defunta e gli si avvicina porgendole le condoglianze. Faccio lo stesso, pur guardandomi intorno per cercare volti estranei oltre il suo.
«Mi dispiace per la sua perdita».
Lei scruta il mio sguardo stringendo le labbra sottili. Gli si formano rughe evidenti al di sopra.
Adesso che me la trovo di fronte, oltre a notare la sua altezza, non ha niente in comune con Lenore.
Le hanno scelto una foto alquanto brutta. Presumo sia stata la donna che continua a fissarmi mentre stringe la mia mano.
«Grazie».
«Conoscevamo sua sorella. La sua scomparsa sarà sempre un enorme vuoto», afferma mio padre.
Lei non sembra ascoltare. Anzi, piuttosto appare scocciata dalla cosa e scusandosi si sposta andando a tracannare un bicchierino.
Mio padre, più che turbato dall'atteggiamento della donna, mi fa un cenno e ci indirizziamo verso l'esterno, per prendere una boccata d'aria e non sentirci come i cattivi in mezzo agli eroi.
«Hai notato anche tu?», indica la foto disgustato, con occhi sempre più lucidi. «Lei non voleva niente del genere».
«Ho bisogno di bere», replico vagando lungo la sala alla ricerca del rinfresco. «Quindi Lenore aveva solo lei?»
Papà saluta con un cenno uno dei presenti, che si è degnato di guardarci. «Lenore mi parlava di una nipote».
Nello stesso istante, la vedo. Come non notarla sotto quel pellicciotto e quell'espressione accigliata?
I suoi capelli sono pieni di sfumature a riempire la chioma in maniera naturale e sono legati ordinati in uno chignon basso con dei ciuffi a ricadere sul viso dai tratti semplici, delicati.
I suoi occhi hanno il colore del cielo limpido che si riflette sul mare. È minuta ma dal modo in cui mantiene la postura, denota un'educazione rigida alle spalle. Ciò fa pensare che sia la classica ragazza ricca e di buona famiglia con qualche scheletro nell'armadio. Il suo sarà sicuramente pieno di borse e scarpe firmate.
Le passo accanto e sembra non notarmi. Eppure è difficile, visto che la supero di una spanna e sono appariscente nel mio giubbotto pesante da uomo dell'Alaska.
Fuori dalla sala, in cui l'odore di cibo e incenso si mischiano a quello naturale e non delle persone, riprendo a respirare.
Mio padre sta parlando con il vecchio Boe, presumo di affari.
Mi appoggio alla colonna e rimango ad osservarmi intorno mentre la luce del tramonto, lentamente, sta lasciando il posto alla lunga notte fredda che, con ogni probabilità, porterà dietro altra neve.
«CHE COSA?», si sente urlare la sorella della defunta dalla saletta adiacente alla stanza in cui si sta tenendo il ricevimento.
Prima ho visto entrare Phillis. Deduco abbia appena annunciato qualcosa inerente a qualche testamento che Lenore aveva fatto.
Lui scappa a gambe levate. Prima però, avvistandomi, si ferma a pochi passi da me e senza aspettare oltre, mi passa una busta bianca. «Voleva che la consegnassi a voi», dice dileguandosi con un: «Buona serata».
Rigiro la busta tra le dita e mi arriva una lieve zaffata di lavanda.
Mi ricorda tanto l'odore emanato da mio padre quando rincasava in negozio dopo pranzo, credendo di farmi fesso.
Infilo la busta nella tasca interna del giubbotto e ne estraggo dalla stessa un pacchetto di sigarette. Tiro fuori la prima e l'accendo controvento con il mio Zippo; un cimelio di famiglia.
Aspiro una boccata e rifiuto una chiamata in arrivo da parte di Milly.
Come un'onda improvvisa e tenue, un profumo dolce e al tempo stesso un po' speziato, avviluppa i miei sensi facendomi voltare.
La figura esile esce dalla sala turbata mentre sua nonna, pestando i piedi per terra, dopo avere fatto una pessima figura, la lascia sola.
Rimane ancora impalata poi, con le spalle dritte, si avvicina e una volta fuori, tenendo i pugni serrati, boccheggia.
«Se devi urlare non te lo consiglio. Oltre a provocare l'ira degli abitanti, che ti sentirebbero come uno sparo nel silenzio, potresti essere la causa principale della rottura dei ghiacciai».
Non appena sente la mia voce, si volta di scatto. E come se si fosse appena risvegliata da un incubo, batte le palpebre un paio di volte aggrottando la fronte.
A differenza di Milly, non è stucchevole il suo atteggiamento.
Mi soppesa brevemente, ma sono i secondi più lunghi che io abbia mai vissuto.
Ed è più la durezza rispetto all'intensità del suo sguardo a destabilizzarmi. Ci sono rappresentazioni celesti che non renderebbero l'idea di quello che vedo. C'è paradiso e inferno. È carezza e un pugno a raggiungermi senza preavviso.
«Ora come ora non sarebbe male essere uno di quei grossi cosi freddi», ribatte stringendosi sotto il pellicciotto, apparentemente infreddolita.
I miei occhi fanno su e giù percorrendo la sua silhouette.
Sto radiografando lei che è come uno di quei fiori rari e resistenti, nascosti tra le montagne.
Sotto quel pellicciotto, sembra nascondere un seno rotondo, sodo, abbondante. Inarco un sopracciglio notando le calze sottili a lasciarle intravedere le gambe slanciate, che indossa nel bel mezzo di una bufera.
Quando riporto l'attenzione sul suo viso, i nostri occhi si incontrano ancora. Ma, anziché sentirmi indifferente, vengo attraversato da un fremito che mi fa schiudere le labbra per lasciare uscire un po' del fiato trattenuto.
«Che cosa stai guardando?», m'interrompe, cogliendomi di sorpresa.
Aspiro una boccata prima di soffiare via la nuvola che la raggiunge. «Guardo te», ribatto sincero.
Dovrei essere inorridito dallo strano effetto che sta avendo su di me questa estranea.
Si limita a guardarmi, ma non posso di certo fargliene una colpa, dal momento che lo sto facendo anch'io. Il mio cervello sembra essere andato in cortocircuito. Che cazzo mi succede?
Scuote la mano per allontanare il fumo, eppure non tossicchia come farebbe Milly. Piuttosto protende le dita, le cui unghie sono curate e laccate di smalto chiaro, verso la mia bocca; nel tentativo di sottrarmi la sigaretta.
«Con quella stai provocando lo scioglimento di quei ghiacciai. È più pericoloso di qualche crepa causata da un urlo».
Il mio cuore subisce un'onda d'urto. Percepisco come un colpo secco e mi scanso afferrandole il polso.
Non appena la mia mano avvolge la sua pelle sotto lo strato morbido che le si solleva, lei sussulta e io muovo un passo indietro lasciandola andare.
Non avrei dovuto reagire in questo modo, me ne rendo conto. Ma sono riuscito a fermarmi appena in tempo.
Ricomponendosi comincia ad allontanarsi per rientrare nella sala.
«Non ti presenti?»
Si ferma sulla soglia, si volta tenendo una mano sullo stipite. «Ha importanza chi sono?»
Spengo la sigaretta in mezzo alla neve. Sputo fuori il fumo e trattengo un sorriso prima di passare sulle labbra la punta della lingua per inumidirle.
«Era giusto per sapere se avrei dovuto porgere le mie condoglianze alla nipote di Lenore».
Appare sorpresa. Ma di fronte al mio atteggiamento, esita. «Avresti dovuto quando sei entrato evitando tutti. Ad ogni modo, grazie», detto ciò entra lasciandomi fuori.
Scuoto la testa incredulo e la seguo per continuare a stuzzicarla. Non so, è riuscita ad attirare la mia attenzione senza neanche spogliarsi o provarci.
Mio padre si frappone. «Andiamocene».
Intuisco al volo e lo scorto fuori. «Che succede?», avvio l'auto lasciando riscaldare il motore.
«Phillis. Mi ha detto che ha dato a te qualcosa».
Estraggo la busta e gliela porgo. «Me l'ha data prima di andarsene».
«Sai che cos'è?»
«No. Ma penso sia qualcosa che abbia fatto incazzare quella donna, così tanto da lasciare la nipote sola in mezzo a tutti quei bigotti».
Mio padre la apre e legge ad alta voce le volontà di Lenore, in cui ci chiede con gentilezza di fornire la nipote di tutto ciò di cui ha bisogno, qualora dovesse restare e accettare un qualcosa di non specificato nella lettera.
«Questa Phillis dovrà spiegarmela», borbotta rileggendo mentre il furgone fatica a non scivolare di lato lungo la strada ghiacciata. «E poi che cosa significa che ha lasciato qualcosa anche a noi a lavoro ultimato?»
Sollevo le spalle. «Ne so quanto te. Domani andiamo da lui e vediamo di trovare una risposta ai nostri dubbi. Gli avrà pur detto qualcosa».
«Quella donna mi farà impazzire anche dalla tomba», emette un verso gutturale. Ma la sua non è una risata carica di felicità.
Papà appare improvvisamente stanco. Lo accompagno a casa sua, gli ricordo di prendere le medicine, prima di rientrare nella mia villa tenendo in mano la busta.
Ho intenzione di leggerla con calma e analizzarla, per potere parlare con Phillis e non farmi fregare.
Tolgo il giubbotto e gli scarponi all'entrata, dirigendomi a piedi nudi in cucina.
La luce del soggiorno si accende. Non ho bisogno di controllare. In un nano secondo la temperatura del mio sangue muta e sento di essere sul punto di esplodere.
Devo chiedere a Milly di restituirmi la chiave, per evitare altre brutte sorprese o irruzioni.
Odio la sua invadenza!
Apro il frigo poi ci ripenso e prelevandola dalla mia cantina, stappo una bottiglia di vino rosso riempiendomi un calice.
«Se sei venuta qui vestita in quel modo per farmi cambiare idea, ti sbagli di grosso».
Milly avvampa, più della lingerie rosso fiamma di pizzo che indossa sotto una vestaglia di seta dello stesso colore, lasciata appositamente aperta.
Gioca con i capelli che attorciglia intorno alle dita. Rimane seduta sulla mia poltrona, le gambe accavallate. Mi guarda con malizia, pur avendo appena incassato l'anticipo di un mio rifiuto.
«Sono qui per farti capire che ottengo sempre ciò che voglio e che tu cederai ancora e ancora e ancora. Soprattutto di fronte a questo», apre le gambe.
Svuoto il calice e mi avvio verso il piano di sopra. Prima però la guardo con aria strafottente usando il sorriso che odia e conosce bene.
«Chiudi la porta quando esci e lascia pure la chiave all'entrata. La prossima volta che irromperai qui dentro, sarò costretto a chiamare le autorità competenti. Boe sarà proprio soddisfatto di trovarti seminuda. Specie dopo che ti abbiamo beccata con il figlio», detto questo, lasciandola a fumare di rabbia, salgo nella mia stanza.
So che non demorderà. Ma adesso, ho solo bisogno di togliermi dalla mente quello sguardo che mi ha trafitto come minuscolo ago di ghiaccio, lasciando una brezza tiepida dentro di me.
🎄🎄🎄
~ N/a:
Buona sera, ed eccoci alla fine di questo nuovo capitolo. Spero vi sia piaciuto.
Ci tengo a rinnovare i miei ringraziamenti a chi sta partecipando già con entusiasmo, ai messaggi di incoraggiamento ricevuti e all'appoggio che non mi aspettavo di certo di ricevere dopo il periodo di fermo. GRAZIE ♥️
Spero di riuscire a ricambiare in qualche modo.
Adesso ho bisogno di voi:
Vi è piaciuto Nicolai?
Che cosa succederà adesso?
Che cosa vi aspettate?
Vi auguro una buona serata!
Un abbraccio virtuale,
Gio'.
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