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Capitolo 10

Quando è vicina e mi ignora, quando cerca di tenermi lontano, riesce a strapparmi un grammo di anima e a portarselo via insieme al suo orgoglio. Ma non se ne accorge, perché è impegnata a scappare, a non legarsi a nessuno. Tanto sa che prima o poi si lascerà ogni cosa alle spalle. Compreso me.
Ho tentato di resistere, di stare immobile, di non avanzare di un solo passo verso di lei. Ho provato a fingere che non abbia creato una crepa, che non si sia insinuata dentro di me. Ma sto continuando a mentire, proprio come ho fatto a quella parte di me che in questa eterna settimana ha percepito forte e immotivata la sua assenza.
Adesso che sono qui, a pochi passi, affannato, arrabbiato, carico, deluso, non riesco a guardarla. Ma è lei. Solo lei. Lei, una minuscola sfumatura che va ad aggiustare il nero nella mia vita.
«Grazie», mi dice Luke al posto suo.
Ma non l'ho fatto solo per lei. Non l'ho fatto solo perché era in pericolo con quel farabutto di Roy. L'ho fatto per ogni anno in cui ho subito le sue ingiurie, i suoi sguardi di traverso, i suoi sorrisetti carichi di scherno. L'ho fatto perché ha spinto Milly a tradirmi quando pensavo di essere pronto a fare un passo avanti, a fidarmi di lei a tal punto da legarmi per sempre; e l'ho fatto perché l'ha sbattuto ai quattro venti rovinando le nostre vite. Stasera l'ho fatto per orgoglio e per gelosia verso una donna che non sa come funziona da queste parti, che non sa che è importante non girare da sola, non rivolgere la parola ai tizi come Roy Warren. Uno spaccone che crede di potere avere tutto solo perché il padre, una delle nostre forze dell'ordine principali, si fa in quattro per lui e per i suoi fratelli.
Roy non è mai cresciuto. Abbiamo la stessa età ma due mentalità completamente differenti. Mentre lui si divertiva tra feste e vacanze io cominciavo a lavorare, a spaccarmi la schiena per crearmi un futuro. Cosa che sto facendo anche adesso, nonostante ogni cosa stia andando a rotoli.
Siamo sempre stati in competizione io e lui; poi è sparito per un po' e tutto ha preso il suo corso.
Stringo il pugno e me ne ritorno dentro dove ho lasciato il mio amico.
Trovandolo con una ragazza, seduto comodamente al bancone con lei, esco fuori dal locale, mi accendo una sigaretta e appoggiato alla staccionata spero di calmarmi.
Ma più penso a quello che sarebbe accaduto se non l'avessi seguita, più la voglia di raggiungerla e urlarle addosso che è stata una irresponsabile aumenta. Come aumenta il dolore alla mano. Non avevo i guanti quando ho colpito quel portone e adesso le mie nocche sono scorticate e i lividi cominciano a farsi notare. Per fortuna non è rotta.
Aspiro una boccata di fumo, spengo la sigaretta in mezzo alla neve prima di lanciarla dentro un contenitore pieno di sabbia e altre cicche, infilo il berretto e faccio una lunga passeggiata ritrovandomi a passare davanti all'hotel.
Fuori, sotto la luce tenue e giallognola del lampione, trovo Darlene. Si sta rilassando con una tazza di tè caldo, una coperta a fantasie sulle gambe e una sigaretta elettronica.
Mi vede arrivare dal fondo della strada e aspetta che sia vicino per domandare: «Serata movimentata, boscaiolo?»
Salgo i gradini raggiungendola e prendo posto accanto a lei, sull'oscillante sedia di legno che si trova sotto la tettoia spiovente del portico. «Serata tranquilla?»
Spegne la sigaretta riponendola dentro una scatolina di latta con l'immagine di una renna. «Oggi c'è stato il pienone in hotel e dovevo concedermi due minuti. Il silenzio è sempre stato così bello? Forse è la prima volta che sento questa parte del paese così tranquilla».
«Anche in negozio abbiamo avuto parecchia gente. Sono arrivati altri turisti», replico guardando la strada deserta. «In realtà dalla piazza proviene la musica della stupida tombola organizzata dal sindaco. Penso si vinca qualcosa come un posacenere a forma di Babbo Natale o che ne so... un buono sconto per un panettone. Non capirò mai perché sia così tanto eccitante festeggiare qualsiasi cosa e con largo anticipo».
Darlene beve un sorso della sua bevanda calda che profuma di zenzero e limone osservando il cielo pieno di stelle. «Sei passato di qui per salutarmi perché ti mancavo e per parlare di quanto odi le feste o per sapere come sta Willa?»
Mi stringo sotto il cappotto soffiando sopra la sciarpa per scaldarmi un po'. «Non so di cosa stai parlando».
Inarca un sopracciglio. «Non prendermi in giro. Sono nata prima di te, Nicolai Wood. Ho visto rientrare Willa in uno stato alquanto pietoso. E sai che cosa ha fatto? Ha cacciato quei due liquidandoli in fretta. Presumo stia ancora smaltendo la sbornia. Che diavolo le hanno fatto bere? E si può sapere che le hai fatto? Quando ti sente nominare scappa come scappano i gatti quando vedono l'acqua».
«Ha bevuto per tutto il tempo vino. Poi Roy l'ha importunata», ribatto rivedendola seduta su quel divano, a tratti annoiata, un po' turbata dentro, ma bella. Riuscivo a percepire il suo odore nonostante ci fossero così tante persone lì dentro. È stato difficile non voltarmi, continuare a darle le spalle e a mantenermi lucido quando qualcuno le si avvicinava al tavolo per dirle qualcosa di stupido. Quando è uscita dalla sala, un po' ubriaca, non ho resistito e l'ho seguita.
Darlene spalanca gli occhi. «È tornato?»
«Già. Quel bastardo spennerà di nuovo suo padre e se ne ritornerà a imbottirsi di droghe da qualche altra parte».
Darlene si solleva. «Vai da lei. Non dovrei farlo perché rischio una denuncia, ma ti prendo la chiave secondaria della sua stanza. Solo... non ferirla di nuovo. Non lo ammetterà mai ma ha avuto il tuo stesso muso lungo».
Fisso davanti a me. Sono tentato e so di non dovere accettare. Ma ho voglia di vederla. Dopo me ne andrò a casa a smaltire un po' di sensi di colpa che nel corso della settimana si sono intensificati.
«Tanto vale vedere come si sente», sfodero il mio sorriso.
Darlene mi guida dentro e mi passa la chiave. «Mi raccomando, non voglio altre scenate qui dentro».
«Questa volta Milly non verrà. Penso sia impegnata a fare da valletta a suo padre».
«Io intendevo che se la fai urlare ti butto fuori e affiggo sulla porta un cartello con la tua faccia e un divieto».
Rido entrando in ascensore. «Ricevuto».
Questo arnese traballa un po' e sembra faticare per portarmi al terzo e ultimo piano. Quando le porte scorrevoli si aprono, fisso la chiave e quel numero affisso sulla superficie prima di avanzare ed entrare, cercando di non fare alcun rumore.
C'è buio intorno e cammino a tentoni cercando di raggiungere la finestra per potere scostare la tenda e lasciare entrare la luce esterna dentro la stanza.
Metto le mani avanti faccio appena due passi e inciampo su qualcosa ritrovandomi con la faccia a terra.
L'impatto, a causa della mia mole, non è dei migliori. Mi lamento del dolore che avverto alla gamba e al dorso della mano. Mi sollevo, raggiungo la finestra e tiro le tende con una certa forza.
Notando che si gela accendo il camino e mi siedo un momento a fissare le fiamme prima di osservarla e perdermi nei suoi lineamenti, in quel corpo sinuoso e in quell'espressione perennemente triste.
Mi sollevo e metto in ordine la stanza. Ma non trovo niente fuori posto.
«Anche da ubriaca sei maniacale, piccolo iceberg. Chi lo avrebbe detto?»
Prendo posto sul letto e lei si agita un momento prima di aprire gli occhi, spalancarli e poi urlare brevemente, ma abbastanza forte, da trapanarmi le orecchie.
«Chi ti ha fatto entrare?», tira al petto la coperta. Ma è abbastanza nascosta da quel pigiama ridicolo che indossa da non mostrare neanche un pezzo di pelle che merita la seta, nient'altro.
La mia mano avanza poi ricade in grembo. «Non dovresti bere così tanto senza di me», mormoro.
Massaggia il petto guardandomi con astio. «Bere con te? Chissà che cosa accadrebbe. Forse giocheremo con i coltelli e io li lancerei nella tua direzione».
«Vedo che l'alcol non migliora il tuo caratteraccio».
Con una velocità straordinaria, afferra il cuscino picchiandolo sulla mia spalla. Riesco a intercettare il colpo e a scansarmi, ma non lo faccio abbastanza in fretta.
«Io vedo che sei lo stronzo di sempre. Non che per te sia un insulto».
Rido. «Dovresti bere un po' d'acqua e prendere qualcosa per il mal di testa che avrai tra qualche ora».
Incrocia le braccia al petto mettendosi in posizione del loto. «Magari lo farò quando sarai uscito dalla mia stanza. Dovrò fare quattro chiacchiere con Darlene».
Le riempio il bicchiere passandoglielo. «Bevi!»
Fissa dapprima me poi la mia mano. Non dice niente riguardo i lividi, forse non ricorda neanche quello che è successo.
«Dovresti andare».
Le avvicino il bicchiere alle labbra ed è costretta a berne un sorso come un uccellino. Fa una smorfia, diventa pallida e scosta la coperta prima di appoggiare la testa alla testiera del letto, inspirare profondamente ed espirare piano, senza fretta.
Le mie dita sfiorano le sue e ritrae la mano. «Per favore, vattene».
«Dobbiamo parlare, Willa».
La sua testa si agita in un movimento da destra verso sinistra. Scende dal letto e scappa in bagno dove vomita un paio di volte. Sentendosi meglio, lava i denti, lega i capelli in una crocchia scomposta e trovandomi sulla soglia, mi supera con un'occhiataccia e una spallata.
«Sei ancora qui? Ti sei goduto lo spettacolo? Bene, adesso è finito».
La fermo sfiorandole un braccio e lei scuote la testa distogliendo lo sguardo. «Non riesco neanche a guardarti».
Le sue parole all'inizio sono come acqua gelata poi diventano benzina e alimentano un fuoco già divampato dentro di me. «Sei una codarda! Che c'è, ti ho fatto così male dicendoti la verità?»
Si ferma al centro della stanza. «No, mi hai usata come la tua puttana. Hai dato ragione alla tua ragazza psicopatica, che per inciso ha riempito quelle piccole menti subdole di odio e risentimento nei miei confronti. Sei stato incoerente e ti sei comportato da idiota. Se volevi davvero parlarmi, avresti dovuto farlo subito dopo che te ne sei andato come un pazzo sputandomi addosso tutte quelle parole che hanno fatto centro. Dio, ho persino dormito con te e non era mai successo che un uomo restasse nel mio letto. Adesso è tardi per le scuse».
Il sangue mi ribolle nelle vene. Lei ha questa capacità di azzittirti, di farti sentire nel torto anche quando sei nel giusto. Ha la capacità di trasformare le situazioni, di annullare ogni distanza e di farti sentire un emerito coglione.
Il fatto che mi abbia appena confessato qualcosa di privato e intimo per lei, peggiora tutto. Ho esagerato e me ne rendo conto.
Mordo il labbro. «Sono qui per spiegarti perché non l'ho fatto».
Torna a letto, massaggia le tempie tenendo gli occhi chiusi. «Non voglio parlare con te, vattene!»
Sento che si sta prendendo un pezzo di me alla volta. Mi sta consumando lentamente, rendendo il momento una tortura. Sento dentro qualcosa che mi urla di non avvicinarmi troppo, di stargli alla larga. Ma è così che ci si perde in un attimo, cedendo alle tentazioni.
«Vorrà dire che parlerò io e tu mi ascolterai».
Si sdraia dandomi le spalle e abbraccia il cuscino. Me lo merito. In fondo sono stato duro, le ho detto qualcosa che l'ha ferita. Ma sono qui... per fare che cosa? Per rimediare?
Sento sul cuore che batte inferocito nel petto, il peso delle parole che stanno per uscire dalla mia bocca.
«Non voglio abituarmi a te, a questi attimi. Non voglio affezionarmi, sentirti sotto la pelle. Adesso siamo poco e niente, lo so. So che non si dovrebbe dire niente del genere a qualcuno che non si conosce ma hai invaso i miei spazi, ti stai appropriando dei miei pensieri. Però non farti illusioni, non mi abituerò a te. Perché non voglio darti la possibilità di prendere un pezzo di me e portartelo via. Voglio solo non sprecare questo attimo che il destino mi ha concesso».
Le sue palpebre si muovono veloci, le ciglia fanno su e giù in un movimento convulso e la sua bocca si schiude mentre le pupille le si dilatano in maniera impercettibile, eppure evidente. Il tutto dopo avere sollevato il busto e avere girato il capo nella mia direzione. «Nic... non puoi dire quelle cose e poi confondermi in questo modo».
«Perché? Sembra così impossibile che io sia interessato a te?», confesso.
Guarda con aria stralunata ogni cosa. «È ancora presto. Io...»
Mi avvicino fregandomene della reazione che potrebbe avere. Affondo le mani tra i suoi capelli avvicinandola al mio viso e premo la fronte sulla sua.
«Vuoi la verità? Non ho mai voluto così tanto qualcosa quanto voglio te. Non è solo desiderio il mio. Va oltre la convinzione di essere immune al tuo sguardo, alla tua voce, ai tuoi gesti».
Mi respinge. «Allora perché mi tieni lontana? Perché mi tratti come se fossi tutto e subito dopo niente? Mi fai male in quel modo e non te ne accorgi. Credi che non lo sappia? Lo so che è assurdo, che è qualcosa che non dovrebbe capitare con così poco preavviso e che è prematuro. Ma non puoi decidere di entrare nella vita di una persona, farci un buco e lasciarlo vuoto», alza il tono con rimprovero.
«Tu non puoi entrare ancora nella mia, non sei pronta e non lo vuoi».
«Credi che io non sia all'altezza? È questo?»
«Ti sbagli».
«Allora spiegami perché?»
«Perché non puoi entrare nel mio mondo senza prima avere capito che ci tengo i cocci affilati di una vita piena di vuoti, di mancanze, di silenzi».
Tira su con il naso. I suoi occhi si sono fatti rossi, in un modo che agita il mio cuore. «Sei distruttivo», commenta a bruciapelo.
«Non siamo poi così diversi io e te, Willa», le scocco un'occhiataccia che ha l'effetto sperato.
Morde il labbro inferiore facendomi avvertire un forte e incontenibile desiderio. «Lo dici solo adesso che sei scappato. Che c'è, avevi paura di vedere davvero il tuo riflesso nei miei occhi?», osa sfidarmi.
So che le piace farlo e questo rende tutto pericoloso. «No. Ho solo il timore che il destino possa ancora giocare con la mia vita e fartici precipitare e vedere lo schifo che ho sempre cercato di nascondere».
«Non è una decisione che spetta a te prendere. E poi, credi che non me ne sia accorta? L'ho visto quando mi hai rivolto per la prima volta la parola sotto quel portico, che sei pieno di spigoli. Ma io scema e masochista, continuo a sbatterci contro».
Mi spiazza. Riesce a farlo anche quando il mio discorso regge. Lei soffia sopra le mie parole e le fa crollare come carta in un effetto domino che ci conduce entrambi altrove.
«Sai, sei riuscita a rompere un pezzo di quel guscio. Quello che ho costruito e tenuto in piedi da tutta la vita. L'ho rinforzato con cura, ho ammassato negli angoli tutto quello che non avrebbe dovuto più contare per non impazzire. Ma tu sei riuscita persino a sbirciarci dentro. Incredibile», mormoro stupito.
Massaggia la fronte con aria afflitta e stanca. «Non mi fido, Nic».
«Lo so».
«Allora perché sei ancora qui?»
«C'è buio nel mio domani. Ma nel mio presente potresti esserci tu. Inoltre, uno dei due dovrebbe smettere di ostinarsi, non credi?»
Sospira e mi avvicino di nuovo. Sfiora la mia mano facendo una smorfia. «Ti fa male?»
«Non quanto mi fa male che non mi guardi».
Si solleva, corre verso il bagno, tira fuori da un cassetto un piccolo beauty-case e di ritorno mette sul letto l'occorrente per disinfettare la ferita. E lo fa dapprima in silenzio, con maniacale cura.
Nessuno aveva ancora fatto niente di simile per me. Con lei è una continua prima volta.
«Non avresti dovuto mollare un pugno su quella porta», sussurra sollevando le palpebre. Mi guarda da sotto le ciglia in quel modo che manda in tilt ogni cosa e trattengo il fiato. «C'è una ragione se non mi fido. Nella vita ho sempre dovuto contare su me stessa perché intorno a me ogni persona ha cercato di manipolarmi, di usarmi facendomi fare ciò che non volevo. Alcuni ci sono riusciti, altri, mi sono ripromessa, non ci riusciranno mai. E c'è una ragione se sono ancora qui», abbassa la voce alla fine sfiorando con l'indice la ferita coperta dalla garza.
Non me ne curo, neanche quando mi raggiunge forte il dolore.
«Dovevo andarmene da New York. Dovevo sparire per un po', schiarirmi le idee e ritrovare me stessa. La vera me che per tanto tempo si è nascosta e ha eseguito come un soldato ogni singolo ordine. Zia Lenore era diversa, lei mi aiutava perché sapeva che non ero libera e intuiva i miei bisogni. Quando però se ne è andata, tutto è ritornato come prima, forse anche peggio. Ma qui posso esserlo, libera intendo. E sentirmi dire che mi vedi come una stronza egoista che non si affezionerà a nessuno e se ne ritornerà a casa, mi ha fatto stare male. Perché ci tornerò, solo per chiudere alcune questioni che sono rimaste aperte. Conoscere il tuo parere, mi ha fatto capire ciò che non voglio, Nic», la sua voce trema e lei sussulta.
Provo ad abbracciarla ma rifiuta, intenzionata a concludere il suo discorso. «Io non so che cosa significa sentirsi a casa. Non so se lo saprò mai. Ma so che c'è qualcosa che potrebbe trattenermi ma è talmente spaventosa da doverla rifiutare e tenere lontana da me».
Comprendo ogni sua parola. I sentimenti, spesso sono come armi a doppio taglio. Possono essere veleno o antidoto. Vita o morte del cuore. Dolore o amore. Non c'è via di mezzo.
«Cosa stai cercando di dirmi?
«Che non mi sei indifferente, uomo delle nevi».
Il mio cuore... la pressione che sento nel petto è talmente tanta da stordirmi. Eppure non mi faccio illusioni. «Ma?»
«Non posso andare oltre al momento. Ti deluderei».
È una lotta selvaggia, senza esclusione di colpi. Stiamo lottando sin dal primo istante e prima o poi uno dei due si arrenderà.
Mi avvicino senza fretta, deciso e non a farle cambiare idea, ma a trasmetterle quello che sento per lei. Perché sento qualcosa a cui non ho ancora dato un nome.
Le sfioro il viso e lei si agita. «Dimmi che non lo vuoi».
Deglutisce. «Non so dire le bugie».
«Bene, perché questa non lo sarà».
Quando finalmente le mie labbra toccano le sue, morbide, calde, delicate, capisco di essere io quello ad avere perso. Mi ha fottuto.
Tutte le volte che mi convinco che per me non prova che un brutto fastidio, i suoi gesti mi dicono il contrario. Quando le sue bellissime labbra sono di nuovo sulle mie, mi sembra di ricevere in questo inferno il bacio di un angelo tentatore. Non sono io, è lei quella pericolosa. Willa Smith è una maledetta calamita dalla quale non sarò in grado di stare alla larga.
«Sei consapevole che stiamo superando quella linea di confine che separa i nostri reciproci mondi?»
Deglutisce, solleva a rilento gli occhi e da sotto le lunghe ciglia mi sta ammazzando.
Mi fermo a un respiro di distanza e le sue narici guizzano. Le mani si adagiano sul mio petto e prova a rispondere, ma glielo impedisco. Ho bisogno di assaggiare ancora le sue labbra, di sentire sulle mie il sapore di ciò che le provoco. Che sia poco oppure tanto, non importa; importa che sia io quella scintilla a innescare quel fuoco e a bruciarle dentro.
Mi sdraio e lei mi si rannicchia sul petto abbassando gli occhi. «Grazie».
Passo la mano lungo la sua schiena. Le mie labbra si premono sulla sua fronte. «Per cosa?»
«Per prima».
«Credimi, avevo un conto in sospeso con quel bastardo».
Morde un'unghia. «È lui l'uomo con cui Milly ti ha tradito?»
Mi rilasso. «Li ho trovati in casa mia».
Solleva la testa. La sua non è sorpresa, è disgusto. Proprio quello che ho provato io quel giorno e gli anni dopo.
«Davvero?»
«Già. Ho dovuto cambiare materasso e il resto dell'arredamento. Un po' com'è successo di recente».
Corruga la fronte. «Per quale ragione?»
Fisso il soffitto. «Potrebbe succedere, per puro caso, che ti ritrovi a dormire da me».
Sorride mordendo il labbro. La faccio scivolare sotto il mio peso. «So che questo non è fare pace. Ma che ne dici di una tregua?»
Le sue dita risalgono lente sul mio petto verso il mio viso. Fa pressione sulla nuca e mi abbasso sfiorandole le labbra.
«Posso riprendere da dove abbiamo fermato il gioco?»
Muove i polpastrelli sui contorni delle mie labbra. «Un passo alla volta?»
Sorrido come un bambino. Non mi aspettavo fosse tanto difficile. Adesso voglio solo impegnarmi.
«Posso restare?»
«Non dovevi andartene».
Stringo la mascella mi abbasso ma è lei a sorprendermi quando mi abbraccia.
Annuso la sua pelle ritrovando il mio centro di gravità e lei ansima serrando la presa sulle mie spalle.
Ci mette tutto quello che ha nel suo abbraccio. La dolcezza, la tristezza, la passione, fregandosene se mi arriva al cuore, se me lo riempie facendolo tremare.
Non c'è modo, non c'è verso, non c'è nemmeno storia. Quando mi tocca, raggiunge punti inesplorati della mia anima e brucia via tutti i cattivi pensieri. Quando mi guarda tutti i miei sensi si fanno confusi e quando mi parla allevia ogni cosa. E mentre lei ha bisogno di stabilità, per me diventa importante ed essenziale la sua vicinanza.
So che domani tornerà tutto come prima. Che il nostro strano rapporto avrà ancora alti e bassi. Ma questa ragazza in apparenza innocua, ha scardinato ogni porta che da anni tenevo chiusa. Ha dato una sferzata alla mia vita, distraendomi così tanto da farmi cambiare la rotta.

❄️❄️❄️

~ N/a:
Buona sera stelline, come va oggi? Io vado avanti, nonostante le continue batoste che prendo. Ci si rimane male per alcune cose, ma bisogna mettersi in gioco lo stesso. Questo è stato un anno, sotto ogni punto di vista, difficile. Spero però che prima o poi quelle nuvole si allontanino e torni per tutti il sole. Sappiate che adoro le vostre risposte, perché mi fanno capire come muovermi con questa storia, che di base dentro la mia testa era nata come minuscola novella ma che si sta evolvendo in qualcosa di più. Spero vi piaccia quello che ho in mente.
Grazie infinite per essere passati a leggere, sembrerà banale ma fa piacere la vostra vicinanza, specie al momento perché mi sento un po' sola.
Un abbraccio virtuale,
Gio'.

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