Capitolo 1
«Nella vita avrai bisogno di qualcuno a cui ti legherai. Ma quel qualcuno ti spezzerà il cuore almeno una volta. E farà male. Così male da renderti impossibile sopravvivere. La prima volta sarà quella mortale, quella difficile da accettare per il tuo cuore impreparato al colpo. Con il tempo però, il dolore si attenuerà fino a diventare solo l'eco di un formicolio fastidioso e ti indurirai un po'. Quindi fa in modo che la tua felicità non dipenda mai da nessuno. Solo così salverai il tuo cuore, bambina mia».
Sono queste le parole di una donna che un bel giorno, nel bel mezzo di una cena importante, decise che la vita di città iniziava a starle troppo stretta e aveva bisogno di una nuova avventura, di nuove giornate in cui ritrovare la serenità.
È questo l'ultimo ricordo che con ogni probabilità porterò dentro per il resto dei miei giorni della mia unica prozia, Lenore White, sorella di mia nonna Ines White.
Negli ultimi anni è stato difficile mantenere i contatti. Ma ci vedevamo almeno una volta a settimana tramite videochiamata, in cui si parlava brevemente e in ordine casuale: del tempo, della salute, del cibo e dei viaggi. Stava giusto organizzando una visita a mia nonna, quando un brutto incidente le ha drasticamente tolto la possibilità di vivere.
Mi mancherà. Non era una persona loquace o espansiva, ma riusciva a dimostrare affetto a modo suo.
Andavamo d'accordo. Rimanevo da lei quando nonna doveva andare a lavorare e mia madre aveva bisogno di andarsi a divertire come una normale adolescente.
Riusciva a farmi sentire a casa.
Da lei ho appreso tanto: a sapermi difendere, a non abboccare facilmente, a sapere cucinare, a comportarmi a modo.
Zia Lenore era educatrice e si divertiva a punirmi quando sbagliavo qualcosa. Ricordo con un po' di amarezza l'angolo della vergogna in cui rimanevo per circa un minuto a contare ad alta voce o a ripetere poesie che avrei dovuto imparare, perché lei lo riteneva necessario.
«Condoglianze».
Ritorno al presente. La mia mano, coperta dal guanto scuro, viene tenuta stretta da quella di una persona, una delle tante presenti in questa minuscola chiesetta di un paesino sperduto e abbastanza freddo da congelarti il fiato nei polmoni.
Per essere asociale, zia Lenore conosceva parecchia gente e si era ambientata abbastanza.
Davanti a me un uomo basso, baffi lunghi grigi, abiti eleganti e sciarpa verde pino in netto contrasto con il resto: rigorosamente nero.
I suoi occhi del colore del miele bruciato mi stanno squadrando, come se stessero cercando di tirare fuori qualche segreto.
«Grazie».
Non riesco a piangere. Da quanto non mi succede?
Alla fine aveva ragione lei. Mi sono indurita. È successo. Ma non mi sono mai liberata totalmente delle cose che mi hanno fatto stare male o sentire come se non avessi un posto nel mondo.
Sono sempre stata così, pur superando tutto, non sono mai stata in grado di lasciare andare niente. Ho accumulato ricordi, sensazioni, pur non rendendomi conto che tutte queste cose, dentro di me, un giorno sarebbero ingiallite come vecchie fotografie e che mi sarei sentita come adesso: svuotata nell'anima.
Nonna tira su con il naso e con la sua mole morbida e il suo profumo di gigli, si sposta verso la sala dove a breve si terrà un ricevimento e la veglia in onore della sorella.
La vedo estrarre un fazzoletto ricamato a mano con le sue iniziali, soffiarci sopra poi rispondere a una chiamata; probabilmente da parte dei miei che non si sono degnati di raggiungerci, perché troppo presi dall'arrivo delle feste e di alcuni eventi che hanno sempre organizzato in questo periodo dell'anno. E in poche parole: perché non sono mai andati d'accordo con zia Lenore. Lei li odiava. A tavola erano soliti discutere e, puntualmente, i due ne uscivano sconfitti.
Ringrazio l'ultima persona della fila e raggiungo nonna che sta parlando animatamente e non sembra poi così contenta.
«Ho sentito bene?», esclama spalancando gli occhi scuri, attendendo la risposta da parte del suo interlocutore dall'altro lato della cornetta.
Le sue palpebre hanno uno strato sottile di ombretto e le ciglia sbattono un paio di volte come se avesse una pagliuzza dentro l'occhio. «No, no che non mi calmo. Ho bisogno di sapere se quella stronza ha fatto davvero quello che sospetto ormai da diverso tempo. Voglio le prove. Ti aspetto qui», riaggancia.
La guardo restando in attesa. Solitamente so quando è il momento di tacere con lei.
Nonna, a differenza di zia Lenore ha un carattere diverso. Come lei è determinata, ma è anche una testa calda. Non riflette abbastanza e le sue risposte sono rapide. Nonna Ines morde come un serpente e i suoi morsi, fanno male.
«Sta per raggiungerci il suo avvocato. Gli ha affidato il testamento e a quanto pare c'è qualcosa di cui dobbiamo discutere con una certa urgenza».
«Aveva dei debiti?»
Storce le labbra come se avessi detto un qualcosa di assurdo. Strizza il fazzoletto tenuto ancora in mano. «Lei? No, era ricca da fare schifo. Ecco perché si è rifugiata in questo maledetto posto rigido. Un po' come il suo cuore arido. Non mi stupisce neanche più la sua scelta tanto improvvisa e urgente. Voleva nascondere le sue ricchezze agli avvoltoi».
Anche se le parole sono cariche di disprezzo e risentimento, noto con quanto sforzo cerca di non abbattersi.
Nonostante non fossero legate, avevano il loro rapporto e riuscivano sempre a fare squadra, specie quando si trattava di qualcosa riguardante la famiglia.
Le passo un bicchiere di prosecco e lei lo tracanna leccandosi le labbra coperte dal gloss che rimette per poi spostarsi verso il gruppo di persone che parlano intorno alla foto della defunta.
Sto evitando di guardarla. Nonna ha scelto la più brutta: l'espressione carica di disgusto da parte di zia Lenore.
Non rappresenta minimamente quello che era. Inoltre, ho il sospetto che nonna lo abbia fatto solo per dispetto. Era gelosa di lei, della sua bellezza naturale, degli sguardi che attirava e dell'intelligenza che dimostrava di avere.
«Avrei dovuto scegliere io e non lasciarle organizzare tutto», bisbiglio, rimproverando me stessa.
Rigiro il liquido osservando le bollicine. Sollevo lo sguardo e rimango spiazzata dall'arrivo di un uomo insieme a quello che credo sia il padre.
Indossano indumenti comuni, niente di elegante come il resto dei presenti e non sembrano neanche tanto dispiaciuti del dettaglio.
Sebbene gli invitati stiano sorseggiando bevande e mangiando biscotti, diverse paia d'occhi si indirizzano nella loro direzione. Ma nessuno si avvicina o prova a salutarli.
C'è una certa freddezza nel loro portamento. Raggiungono mia nonna, le dicono qualcosa poco prima di dirigersi verso il retro.
I miei occhi seguono l'uomo alto dalle spalle ampie e dalle braccia, in apparenza nerborute, sotto lo strato doppio del giubbotto. Ha un viso dai lineamenti decisi, barba curata, occhi che scrutano tutto posandovi sopra quel gelo.
Sulle sue iridi, infatti, sembra che qualcuno gli abbia soffiato sopra il colore dei ghiacciai sotto una tormenta. Sono chiari e ti freddano in un istante.
Quando mi passa davanti, ignorandomi, lascia un odore legnoso ma tenue e in grado di penetrarmi nelle ossa.
Il fascino brutale che irradia, mi investe raggiungendomi in un lampo dalla testa ai piedi.
Un brivido, come se qualcuno avesse aperto d'improvviso una finestra nel pieno di una nevicata, mi percuote la pelle facendomi sentire in balia del freddo. Il cuore, prende a battermi forte, senza il minimo controllo e da sorprendermi.
La sua vicinanza, mi provoca un senso di panico, mi toglie il fiato e mi fa sentire in trappola e talmente vicina al pericolo, come un cerbiatto sotto il mirino di un cacciatore, da provocarmi l'istinto di urlare e scappare.
Come, com'è possibile?
È riuscito a sconvolgermi senza neanche guardarmi o sfiorarmi, solo con la sua presenza vibrante. Chi è? Perché zia Lenore non mi ha mai parlato di nessuno di loro?
Tracanno il resto del liquido nella speranza di scaldarmi e vado a soccorrere nonna Ines che sta già discutendo con un estraneo brizzolato.
Il tizio ha appena commentato la foto in questione, indicandola come se avesse davanti un quadro sfregiato di Picasso.
Nello stesso momento arriva l'avvocato.
«Nonna, è il momento», l'avviso.
Si ricompone e avvistando anche lei il ragazzo smilzo, dalla barbetta curata e dagli occhi castani nascosti dietro lenti rotonde, gli si avvicina come una lince.
«Lei deve essere Ines White, sentite condoglianze signora. Mi chiamo Luke Phillis. Prima, al telefono, ha parlato con mio fratello», le stringe la mano.
Nonna gli indica la saletta adiacente, ma lui si ferma un attimo lisciando la giacca monopetto elegante grigio antracite, spostando i suoi occhi verso di me. «E lei deve essere...», cerca il mio nome, indugiando per non sbagliare.
«Willa Smith», porgo la mia mano.
La stringe accennando un sorriso. «Incantevole. Sua zia ha parlato molto di lei e la descrizione non le rende giustizia».
«La smetta di sbavare su mia nipote e passiamo al dunque. Sono già offesa che suo fratello non si sia presentato e abbia mandato lei», borbotta mia nonna, superandolo e aggiungendo un: «Gli avvocati sono solo degli avvoltoi!».
Nascondo un sorriso scusandomi con il ragazzo, il quale segue mia nonna.
Ci ritroviamo tutti e tre in una minuscola stanza adiacente alla chiesetta e alla sala in cui si sta tenendo la veglia. C'è odore di incenso, polvere e un lieve sentore di fiori qui dentro. Una statua si trova all'angolo su una colonna nello stile classico. Osservo l'espressione triste della Vergine e per la seconda volta, in breve tempo, mi sento strana dentro.
Luke, apre la valigetta ed estrae una busta gialla dalla quale ne tira fuori altre due bianche e profumate di lavanda.
Tipico di zia Lenore, rifletto con un sorriso.
Adorava i dettagli.
«Questa è la vostra copia», dice distribuendone una a me e una a mia nonna; impaziente di sapere quello per cui hanno discusso al telefono.
Non apro la mia. Annuso soltanto quell'odore familiare, che rischia di rievocarmi molteplici aneddoti vissuti con la persona che non rivedrò più.
«Conosceva mia zia, signor Phillis?»
«Era una donna eccezionale. E mi chiami pure Luke, signorina Smith».
Nonna arriccia il naso appuntito emettendo un verso gutturale simile a una risata carica di scherno. «Puoi anche dirlo che era una stronza, non ti giudicheremo, Luke».
Lui avvampa e io mi sento in forte imbarazzo. «Mia nonna voleva dire che zia Lenore era una donna abbastanza diretta e non si lasciava convincere tanto facilmente. Vi avrà sicuramente dato filo da torcere».
Luke schiarisce la voce, ringraziando per la mia tempestiva accortezza.
Sto odiando l'atteggiamento di mia nonna in questo momento. Mi piacerebbe tanto dirgliene quattro, ma stringo la busta come se stessi abbracciando qualcosa di prezioso. Forse l'ultimo ricordo che mi resterà di mia zia.
«Allora, quale segreto si è portata nella tomba mia sorella?»
Luke solleva sul naso la montatura dai vetri sottili. «Bene. Inizio col dirvi che il testamento della signora White è molto elaborato. Ma aveva le idee chiare sulla destinazione del proprio patrimonio», comincia con voce pacata.
I capelli di Luke sono di un comune castano chiaro, la sua pelle è un po' abbronzata e sulle guance ha ancora quel rossore tipico di chi soffre il freddo. Un po' come me che sto ancora tremando sotto il mio pellicciotto di finta pelle.
Per l'occasione ho indossato un tubino nero stretto in vita, calze Gucci e stivale di camoscio alto fino al ginocchio. Una scelta alquanto sbagliata e discutibile; visto che non avrei mai immaginato così tanto freddo, nonostante il posto in cui mi sono trovata dopo ore di viaggio in aereo e turbolenze varie non è di certo una spiaggia delle Hawaii.
«Il patrimonio?»
«Mia sorella ha lasciato qualcosa di consistente a me o per patrimonio intende debiti? Prima, durante la chiamata, non ho capito bene il discorso di suo fratello».
Luke chiude la valigetta. Strofina le mani soffiandoci sopra. «La signora Lenore, ha chiesto di leggere il testamento in opportuna sede e solo alla persona interessata. E non è lei, signora White».
Corrughiamo la fronte. Io e mia nonna ci guardiamo prima che lei intervenga: «A chi ha lasciato tutto quella stronza? Suo fratello è stato evasivo prima. Se è un amante posso capirlo, ma agiremo subito con i nostri avvocati per non fargli incassare niente».
Esita. Non sa se dirlo o meno, se darsela a gambe levate, di fronte al suo atteggiamento. Poi però sembra riacquistare coraggio e con compostezza, si prepara a dare la notizia.
«A lei signorina Smith».
Dapprima non comprendo il significato delle parole. Per un attimo il mondo si distorce ai miei occhi e ogni suono si attutisce alle mie orecchie.
Solo quando nonna urla: «COSA?», io ritorno in me.
«COSA?», strillo a mia volta.
Luke arrossisce visibilmente sfiorando il colletto della camicia bianca. Guarda da tutte le parti. «Proprio così, signorina Smith. Sua zia ha disposto che il suo patrimonio fosse destinato alla sua unica nipote. Ma con delle eccezioni».
Nonna emette un verso inequivocabile. «Ho fatto tutto questo e quella maledetta non mi ha lasciato neanche un anello in suo ricordo?»
Sta per esplodere, lo sento. Intervengo: «Mi sta dicendo che... che ho ereditato tutto quello che aveva? Io?», chiedo conferma. «Non ha lasciato nient'altro a nessuno?»
Luke indica la busta. «È tutto lì dentro. Mi aveva anche chiesto di non dare altre delucidazioni. Sapeva che avreste fatto molte domande. Trovate tutto dentro le buste», guarda l'orologio e indica la porta. «Purtroppo devo andare. Per qualsiasi cosa, non esiti a contattarmi. Credo che lavoreremo a stretto contatto, qualora dovesse accettare», sorride, mi passa un biglietto da visita semplice con il suo nome e il suo numero e lasciandoci inebetite, se ne va.
Nonna Ines esplode lanciando la busta contro la porta dalla quale è appena uscito, in parte scappando, Luke.
«Apri!», ordina indicando la busta. «Voglio sapere quello che aveva da dire».
Indietreggio. «Dovresti leggere anche la tua».
«Muoviti!»
Apro la busta tirando fuori il foglio e leggo ad alta voce le ultime volontà di zia Lenore, in cui mi lascia un cospicuo conto in banca, una villa, a patto che io entro qualche mese riesca a riportarla al suo splendore per potere usufruire di tutto il resto.
Nonna poi legge la sua, ma giunta alla fine la sua espressione è sempre più cupa.
«C'era da aspettarsi un colpo tanto basso».
Recupero altri due bicchieri dalla saletta per riprendermi dallo shock. «Anche a te è andata bene. Ti ha lasciato dei soldi. Non era quello che volevi? Certo, non è un anello in suo ricordo...»
«Non li avrò se rifiuterai la tua parte. Le clausole che ha fatto inserire sul testamento sono precise. Che lurida...», stringe i denti alzando gli occhi al cielo arrabbiata.
Chiudo i miei sospirando. «Dovremmo solo trovare questa famosa villa, capire che genere di lavoro intende, no?»
«Dovrai», specifica acida. «Io me ne ritorno a New York», aggiunge uscendo dalla stanza. Poi torna da me minacciosa.
«Sai una cosa? Non me ne frega niente. Che vada all'inferno. Domani contatterò quell'avvocato e gli dirò che rinuncio alla mia parte. Quindi goditi tutto quanto, Willa».
Rimasta sola, abbasso le spalle e continuo a fissare il foglio che ho davanti a me.
«No, non è possibile», sussurro ancora incredula.
***
~ N/a:
Buona sera e benvenute o bentornate in questa nuova storia.
Ho meditato un po' prima di premere quel tasto "pubblica" tanto spaventoso.
Da una parte, sappiamo tutti che questo non è stato un anno tanto facile. Dall'altra, ho sentito l'esigenza di ritornare. Perché è da qui che sono partita ed è qui che ho trovato persone meravigliose pronte a sostenermi anche solo con una parola dolce, con un incoraggiamento, quando ho rischiato di mollare tutto e tornare ad essere la ragazza invisibile che sono sempre stata.
Ho deciso di pubblicare qualcosa di "leggero" (per così dire), per allietarvi le giornate, per tenervi compagnia in questo mese di "festa". (L'idea iniziale era un calendario dell'avvento libroso. Ogni sera, trovare un capitolo. Ma non sapevo se sarei riuscita a realizzarlo).
Spero comunque apprezziate il mio regalo, il mio impegno e questa nuova storia, che premettendo già in anticipo, non sarà perfetta e avrà qualche errore. Ma chi mi conosce, sa che ho sempre usato Wattpad come banco di prova, come pagina in cui lasciare le mie bozze; nella speranza che vengano lette, commentate, votate, condivise a più persone per farle crescere.
Spero anche che non vengano copiate ancora, ma amate come ho amato io ogni singola frase o personaggio creato.
Detto ciò, vi auguro una buonissima lettura e spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto.
Chi sarà lo sconosciuto che ha tolto il fiato alla nostra Willa?
Un indizio? Preparate un bagno freddo perché riuscirà a riscaldarvi.
Grazie a chi mi sosterrà, grazie a chi ci sarà in questa avventura.
Un abbraccio virtuale,
Gio'.
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