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6 - Francesca

Il vento fresco mi costringe a rientrare in camera.

È solo un'impersonale stanza d'albergo, ma mi sembra che niente sia mai stato così tanto impregnato di noi, di lui.

Sul letto disfatto, i cuscini hanno ancora il segno delle nostre teste: il mio con un segno semicircolare sul lato inferiore, il suo in verticale, tutto stropicciato.

Sul tavolo i nostri telefoni in carica, uno di fianco all'altro, il mio Nokia preistorico che nemmeno Paulo è riuscito a farmi cambiare (tanto mica poteva usare la scusa che gli costava troppo sentirmi per messaggio invece che su whattsapp) e il suo iPhone ultimo modello (già, nemmeno io sono riuscita a convincerlo che la Apple sia il male...).

In un angolo le nostre valige. La mia aperta e riempita un po' alla rinfusa, seguendo solo la distinzione vestiti puliti-vestiti sporchi-tutto ciò che vestito non è, la sua chiusa, l'avrà già preparata?

Il mio zaino appeso a una sedia, l'asciugamano che ieri ha usato lui dimenticato su quella di fianco.

Sembra quasi un quadro, l'inquadratura iniziale di un film o una fotografia, come quelle contenute nei libri che Paulo mi ha regalato in questi anni. Aveva scoperto che mi piacevano tantissimo e che passavo ore a sfogliarli nelle librerie più fornite, ma che non li compravo mai perché costavano troppo e preferivo, con gli stessi soldi che avrei speso per uno, prenderne tre o quattro di narrativa.

Però in questa stanza che sembra così perfetta ci sono due note stonate: una cosa di troppo e una che manca. Una scatolina di velluto blu e un ragazzo, l'unico che abbia mai amato.

In questi tre anni, quando non ero con lui, spesso mi prendeva la paura. La paura di non essere abbastanza. La paura che in fondo lui preferisse altro, che preferisse un'altra. Che magari stesse con un'altra, un'altra che poteva dargli quello che io non gli davo. Avevo paura che un giorno mi dicesse che si era annoiato o che aveva trovato di meglio o semplicemente che non mi amava più.

L'insicurezza mi ha sempre fatto compagnia, in tutte le cose che ho fatto nella mia vita.

Ma con lui... Con lui è sempre stato diverso.

Perché sapevo di aver ragione ad aver paura, sapevo che non potevo competere con tutte le ragazze che gli giravano intorno tutti i giorni.

Ma poi, quando eravamo insieme, sapeva trasmettermi tutto l'amore che provava per me e mi convincevo, anche se per poche ore, che sarebbe andato tutto bene.

Ma appena ci allontanavamo, la paura ritornava. Non era vera e propria gelosia, ma paura. Paura di perderlo.

E adesso l'ho perso davvero.

Lo stato di trance che mi aveva preso dal momento in cui era uscito dalla stanza mi abbandona e mi lascio cadere sul letto scoppiando a piangere, l'anello stretto in mano.

§§§

Devo essermi addormentata e devo anche aver dormito parecchio perché quando riapro gli occhi è mattina.

Paulo non c'è.

E oggi dobbiamo tornare in Italia.

Da oggi non ci vedremo ne sentiremo più.

Mi rimetterei a piangere, ma queste ore di sonno e pianto devono avermi fatto bene perché ora ho addosso solo quella frenesia che mi prende dopo le giornate storte: una spinta irrefrenabile a mettere a posto.

E quindi mi alzo, mi preparo, rifaccio il letto, svuoto la mia valigia e la riempio di nuovo in un modo così preciso che non credo di aver mai usato in vita mia. Poi mi dedico allo zaino, sistemando accuratamente tutto quello che può servirmi prima, durante e dopo il viaggio.

Apro tutti i cassetti e le ante per controllare di non aver dimenticato niente e così facendo scopro che Paulo la sua valigia non l'ha preparata nemmeno per sogno, visto che tutte le sue cose sono ancora appese nell'armadio.

Penso a quanto siamo diversi anche in questo: io sono disordinata, ma maniacale nel tenere tutto nel trolley per non dimenticare nulla, lui invece appena arriva svuota la valigia e mette ogni cosa al suo posto.

Mi viene in mente l'asciugamano abbandonato sullo schienale della sedia e mentre lo riporto in bagno mi accorgo che anche qui ha "colonizzato" gli spazi: spazzolino e dentifricio stanno in un bicchiere vicino al lavandino, di fianco ha appoggiato il rasoio, sulla mensolina vicino allo specchio sfilano il dopobarba, il profumo, il gel e il deodorante, mentre nella doccia ha lasciato bagnoschiuma e shampoo. Mi ricorda un po' mio fratello nella cura maniacale per i capelli e in questa necessità di usare sempre un certo tipo di sapone. Praticamente il suo beauty occuperebbe metà del mio trolley... Ma in fondo, dei due quella che si è fatta bastare il bagaglio a mano e non ha imbarcato niente in stiva sono io.

Prima che mi venga voglia di preparare anche la sua valigia, decido di andare a far colazione, sperando di incontrarlo lì, visto che non è ancora tornato.

Prima di uscire, però, mi viene in mente che non ho ancora guardato se è rotolato qualcosa sotto i mobili, così mi chino e controllo.

Sotto il mio comodino in effetti qualcosa c'è. Lo sposto per recuperarla e vedo che è una piccola conchiglia. Non l'abbiamo persa noi e non è nemmeno particolarmente bella, è solo una come tante che si trovano nella spiaggia qua sotto, ma non so bene perché mi piace, per cui decido di tenerla e me la infilo in tasca.

Sotto il letto, invece, ci sono solo le ciabatte di Paulo, abbandonate sul tappeto nella stessa posizione in cui le ha lasciate ieri, venendo a letto.

Bastano quei due stupidissimi pezzi di gomma nera a farmelo vedere davanti.

Bello come il sole, con quel suo sorriso che mi fa sciogliere, si era gettato sul letto di pancia e aveva scrollato le gambe finché non si era ritrovato a piedi nudi. Poi si era allungato verso la mia parte di letto e aveva tentato di abbracciarmi, sapendo benissimo di farmi imbestialire perché con il caldo detesto il contatto.

Però glielo avevo lasciato fare, ancora inebriata da quello che era successo neanche un'ora prima.

Mentre lo guardavo, torso nudo e dolcezza negli occhi, mi domandavo cosa avessi mai fatto per meritarmi così tanta felicità. Mi sembrava che in quel momento dovessero finire tutte le mie paure. Perché se aveva scelto di sposare me non poteva che voler dire che io gli bastavo, anzi che ero io ciò di cui aveva bisogno. Potevamo anche noi avere il "vissero per sempre felici e contenti" di tutte le fiabe.

Solo che ora non lo penso più. E Paulo non è più qui. Paulo non è più con me.

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