17 - Paulo
Ci speravo, eccome se ci speravo, non ho desiderato altro da quando sono tornato dai Caraibi. Però, no, in realtà non me l'aspettavo. E invece Francesca ha appena suonato al mio citofono e ora è qui, davanti a me. Senza anello al dito.
Non so cosa dire e a quanto pare nemmeno lei, visto che rimaniamo entrambi impalati davanti alla porta, muti.
La prima che trova il coraggio è lei.
- Ciao...
- Ciao.
Mi guarda, poi abbassa gli occhi e poi di nuovo li rialza e li lascia vagare sulla stanza alle mie spalle. Potrei toccare l'imbarazzo che si è creato, lo si percepisce come solido, da tanto è forte.
- Senti... devo parlarti.
Fin lì pensavo di esserci arrivato anch'io... Comunque apprezzo lo sforzo che ha fatto per rompere il ghiaccio, dato che anch'io ci ho provato più di una volta, ma le parole mi sono sempre morte in gola.
Con il mento le indico il divano, quel divano che tanto le piaceva, e lei mi segue accennando un sorriso.
Ci sediamo, lei in pizzo, come faceva sempre le prime volte che veniva qui.
Io invece mi appoggio bene allo schienale: qualcosa mi dice che tra poco avrò un gran bisogno di un sostegno.
La osservo come ipnotizzato mentre con un certo disagio si sfila lo zaino, pienissimo come sempre, e lo appoggia sul pavimento ai suoi piedi. Mi guarda imbarazzata prima di togliersi anche la giacca, ma poi evidentemente decide che sarà una cosa lunga e se la leva.
Passiamo ancora qualche minuto a guardarci in silenzio, poi finalmente comincia a parlare.
- Sai, volevo venire ieri, non hai idea di che odissea è stata! Ero a Sori e il treno ha deragliato e ci hanno lasciato ore in attesa di qualcuno che ci liberasse e stamattina... Ti dico solo che da Genova sono andata a Milano a prendere il treno per Torino. E che sono arrivata adesso, ma sono uscita di casa alle sei e mezza...
Non capisco perché me lo stia dicendo, non capisco se voglia farmi vedere quanto ha faticato per arrivare qui, se vuole darmi a intendere che non è colpa sua se ci ha messo così tanto a venire o se semplicemente sta prendendo tempo. Immagino sia la terza...
Decido di farle un assist.
- Sì, l'ho saputo. Mi hanno appena avvisato che hanno rinviato la partita.
Rialza gli occhi che erano intenti a scrutare il pavimento e sembra quasi ringraziarmi per quella semplice frase che non vuol dire niente, ma che - lo sappiamo entrambi - è un'ancora di salvezza che ho deciso di lanciarle.
- In realtà sono alcune settimane che non seguo il campionato... Diciamo pure che è un po' che non seguo niente di quello che succede nel mondo...
Fa un'altra pausa, ma questa volta non ho niente da dirle per riempirla.
- Sai, ho pensato tanto. Sono anche scappata al mare sperando che quel posto e la totale solitudine riuscisse a farmi capire meglio cosa voglio davvero.
Vorrei dirle che anch'io ora vorrei tanto capire cosa vuole, ma credo di sapere la risposta e in ogni caso non voglio affrettare i tempi. Mi rendo conto che tutto questo le sta costando fatica e, onestamente, non mi va di facilitarle il compito.
- Mi sono maledetta per il male che ti stavo facendo, soprattutto tirandola così in lungo. Non sai quante sere mi sono addormentata con il telefono tra le mani, a tanto così da far partire la chiamata.
E tu lo sai quante notti io mi sono addormentato con il telefono in mano nell'inutile speranza che tu mi chiamassi? No, che non lo sai.
- Eppure quando mi svegliavo spegnevo il telefono senza fare niente. Sono anche arrivata a pensare che dovevo distrarmi, cercare di non pensarci e così avrei capito se veramente potevo vivere senza di te. Ma come fai a non pensarci?
Già, e come fai a non pensarci quando i tuoi compagni di squadra pensano che stai fissando la data del matrimonio o addirittura che stai cominciando ad arredare una cameretta e a comprare pannolini?
- Però poi è successa una cosa...si potrebbe dire un segno del destino. E mi sono sentita un'idiota perché era così semplice, così chiaro che non lo so perché ci ho messo così tanto a capirlo. Mi sono sentita una vera merda per averti lasciato tutto questo tempo sospeso, in attesa di un mio segno di vita. Volevo chiamarti subito, ma poi ho pensato che non sono cose da dire per telefono e da allora ti giuro che ho fatto di tutto per arrivare qui il prima possibile.
E va bene, ammetto che almeno è corretta e che ha le palle, ma non è certo questo a consolarmi. Questa conversazione mi sta sfinendo, non ne posso più di sentirla tirare in lungo la questione, lei che è sempre stata una diretta, lei che detestava i giri di parole. Vorrei interromperla e dirle di parlare chiaro una buona volta, ma, proprio quando sto per farlo, la vedo armeggiare con qualcosa che tiene appeso al collo.
Si sfila una catenina e la stringe un momento nel pugno, prima di aprire la mano tendendola verso di me.
Sopra al suo palmo c'è l'anello con il quale le ho chiesto di sposarmi.
- Ok, forse detto così è assurdo, ma... Paulo vuoi ancora sposarmi? Perché io ci ho messo tanto, forse troppo, ma ho capito che è l'unica cosa che voglio davvero e che in fondo tutto il resto non ha importanza e...
Non la faccio finire, non questa volta.
Le tappo la bocca con un bacio. Il bacio più lungo, più bello, più desiderato, più tutto che io abbia mai dato. E ricevuto.
Perché da quella maledetta notte sono successe tante cose. L'ho detestata per quello che mi aveva fatto, per quello che mi stava facendo. Ho cercato di mettermi nei suoi panni e forse sono anche riuscita a capirla. Ho desiderato che tornasse e anche di non averla mia conosciuta. L'ho aspettata e mi sono rassegnato al fatto che non sarebbe mai tornata. Ma una cosa non è mai cambiata.
Non ho mai smesso di amarla.
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