Capitolo 64
Mark
Tra un paio d'ore dovrebbe essere a New York, non vedo l'ora di telefonarle, ho bisogno di sentirla e di scoprire il motivo per cui non mi ha chiamato, ci tenevo davvero tantissimo. In questo momento, mille pensieri stanno invadendo la mia mente e riesco a suonare solo melodie tristi alla chitarra. Forse è meglio smetterla, non riesco a concentrarmi, così mi alzo dal letto ed esco dalla stanza. Percorro il corridoio e mi imbatto in mia madre.
«Tesoro, non sei sceso per la cena, va tutto bene?»
«Sì, mamma.» rispondo scocciato.
Si avvicina a me e mi poggia una mano sulla spalla, che scruto con attenzione e accigliato.
«Sei triste per la partenza di tua sorella?»
Nel sentire quelle parole, ho come un tuffo al cuore. Devo negare persino l'evidenza se voglio salvarmi da questa stupida conversazione.
«Ma cosa dici?» allontano la sua mano dalla mia spalla e incrocio le braccia al petto.
«Mi era sembrato...»
«Ti era sembrato male.» la interrompo brusco. «Sto meglio quando lei non c'è!» quasi urlo.
«Sei davvero incorreggibile! Non cambierai mai idea su di lei, vero?» chiede con tono irritato.
«Mai!» confermo, sfidandola con lo sguardo. «Ora lasciami andare.»
La sorpasso e mi dirigo al piano di sotto. Fortunatamente me la cavo bene a mentire, altrimenti avrebbe scoperto tutto. Raggiungo la porta d'ingresso, afferro il giubbotto appeso all'attaccapanni e lo indosso, ho bisogno di una boccata d'aria fresca, sono rinchiuso in camera da troppo tempo. Esco finalmente da quella casa di persone invadenti e comincio a camminare. Ho la testa pesante e i pensieri in subbuglio, e la sensazione spiacevole di qualche ora fa ritorna a farsi sentire; possibile che Emy non mi abbia telefonato perché le si è scaricata la batteria? Aspetta... quando siamo stati in quell'hotel, l'ho vista chiaramente inserire il caricatore nella presa al telefono, quindi è da escludere. Cazzo, mi sento davvero male, vorrei bere litri di birra, fino a smettere di pensare così intensamente. Infilo le mani in tasca, camminando a passo svelto e a testa bassa, per evitare di guardare la gente intorno a me, voglio raggiungere il bar vicino e aspettare che lei arrivi a New York. Giro l'angolo e vado a sbattere contro qualcuno, finendo entrambi sull'asfalto.
«Ma guarda dove vai!» si lamenta la ragazza.
«Ma se mi sei venuta addosso.» sbotto.
Mi rialzo e mi volto verso di lei. Cazzo, è Tiffany, ho appena buttato a terra una ragazza incinta, può essere considerato un reato? Ma che razza di pensieri faccio? Le porgo le mani e l'aiuto a rialzarsi.
«Ma sei tu, che ci fai in giro a quest'ora?» chiede, mentre afferra le mie mani e si lascia aiutare.
«Potrei farti la stessa domanda.»
«Sono uscita per schiarirmi le idee.»
«Ah, anche io.»
«Perché, tu pensi?» mi prende in giro.
La guardo male e poi le faccio una smorfia.
«Divertente, biondina ossigenata.»
«Non sono ossigenata, sono bionda naturale.» mi fa un occhiolino.
«Certo.»
«Be', visto che ci siamo scontrati, ti va di prendere una birra?»
«Ma nelle tue condizioni non dovresti stare attenta?» chiedo confuso.
«Sono incinta, non malata!» alza gli occhi al cielo e poi mi sorride, in attesa del mio consenso. «Dai, Johnson, andiamo.» mi prende a braccetto. Non ho mai capito la pazzia di questa ragazza e come faccia Emy ad esserle amica, sono così diverse, è completamente fuori di testa. Mi lascio trascinare fino al bar vicino, dopodiché sfilo il braccio dalla sua presa ed entro nel locale. Ci sediamo al primo tavolo libero che vediamo. Non so perché, ma non mi sento molto a mio agio con questa qui. Comincia a fissarmi e non ne capisco il motivo, ho qualcosa sulla faccia? Forse è semplicemente scema. «Pensieri tormentati?» chiede d'un tratto.
«Eh?»
La sua domanda mi ha spiazzato, non so cosa risponderle. È una ficcanaso e scommetto che si comporta alla stessa maniera con Emy.
«Sì, Johnson, dai, lo so che sei in pena per Emy.»
Sa qualcosa di Emy? Si sono sentite?
«Perché lo pensi?»
«Sei triste perché è partita.»
«Io, triste?» rido in modo nervoso.
Inutile negare l'evidenza, tanto sa tutto della nostra relazione, devo ricordarmi di dire ad Emy che mi mette in imbarazzo far sapere quello che accade tra di noi.
«Potresti smetterla di recitare? So bene che tieni molto a lei.» Ritorno serio in un attimo e il mio viso diventa paonazzo. «Credo di averlo sempre saputo, anche se non ho mai capito il tuo comportamento del cazzo.»
«Potremmo evitare di parlarne?»
Il passato mi irrita e non poco, non mi va che si sottolinei sempre quello che le ho fatto, fa male, mi sento davvero un verme quando ci penso.
«Sì, okay.» alza le mani in senso di resa.
«Vi siete sentite?» azzardo a chiederle.
«Quando?»
«Prima che partisse, ti ha chiamato?»
Spero davvero che dica di no, non potrei sopportarlo e non perché ha telefonato la sua amica, ma perché dopo non ha telefonato me.
«No, non l'ho proprio sentita.» Tiro un lungo respiro di sollievo. «Ho intenzione di telefonarle appena sarà arrivata a New York.»
«Be', credo che dovrai aspettare, le telefonerò prima io.» dico convinto.
Mi guarda con aria di sfida e incrocia le braccia al petto.
«Ecco che esce fuori il Mark bambino.» sghignazza.
«Mark bambino?» ripeto sconcertato.
È così che mi considera, un bambino? Non so se prendermela, oppure risponderle a tono, come ho sempre fatto.
«Stavo scherzando, calmati.» aggiunge prontamente. Prova così tanto timore nei miei confronti? A volte mi fanno sentire un mostro. Abbasso lo sguardo verso le mie mani e me ne resto in silenzio, non voglio più causare problemi a nessuno, devo cambiare questo mio lato aggressivo, dovrei cominciare ad essere più educato e garbato, come Emy. Non so perché, ma il pensiero mi fa ridere. «Cos'hai da ridere?» chiede confusa.
«Nulla.»
«Come vanno le cose con lei?»
Questa domanda è molto personale per i miei gusti, infatti la ignoro, mi alzo e raggiungo il bancone per ordinare. Educazione? Credo che non faccia per me.
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