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Capitolo 63

Emily
La testa mi fa malissimo, come se l'avessi sbattuta ripetutamente contro il muro e non riesco a muovermi, una strana forza mi ha immobilizzata, impedendomi di farlo. Non riesco a ricordare cos'è successo, solo che ero in un taxi e stavo raggiungendo l'aeroporto, poi sono svenuta. Ora voglio solo tirarmi su da questa posizione scomoda e andare da Mark per abbracciarlo. Ma cosa sto dicendo, mi trovo su un aereo che porta a New York, però non ricordavo che i sedili fossero così scomodi, forse mi trovo in turistica? Apro gli occhi in due fessure e il panico si impossessa di me; non sono affatto su un aereo. Cos'è questo posto? Mi guardo intorno ed è quasi buio, nulla mi appare familiare e riesco a sentire il rumore del mare.

«Aiuto...» urlo nella penombra. Un piccolo spiraglio di luce, proveniente da una finestrella in alto, illumina una specie di tavolo metallico e non riesco a fare a meno di pensare di trovarmi in qualche scena di Saw. Magari è solo è un sogno, tra poco aprirò realmente gli occhi e mi ritroverò nel mio letto. «Aiuto.» urlo di nuovo, senza risultati. Cerco di alzarmi, ma non ci riesco, ho i polsi e le gambe legati ad una sedia durissima e pesantissima, dato che non riesco a spostarla col corpo. Il mio cuore inizia a battere troppo forte e la paura mi sta sovrastando, mentre le lacrime mi rigano il viso e sono scossa da mille brividi. Mi hanno drogata e rubato qualche rene per venderlo? Cerco di tirare entrambe le braccia da questa specie di corda avvolta intorno ai braccioli metallici della sedia, ma non ottengo risultati, sento solo la pelle bruciare. I miei occhi si stanno abituando al buio e mi rendo conto di trovarmi in una specie di deposito, ci sono delle casse in fondo e una porta davanti a me. «C'è nessuno?» urlo disperata. Continuo a piangere e ad urlare senza sosta, ancora incredula del fatto che mi abbiano rapita. Qualcuno mi sentirà, prima o poi. Infatti la grande porta si spalanca e una luce accecante mi abbaglia, costringendomi a stringere gli occhi e smettere di urlare per qualche momento. La porta si richiude, allora riapro gli occhi e la luce angusta della stanza mi fa vedere qualcuno di fronte al tavolo, sembra lo stesso tizio che guidava il taxi. Indossa gli stessi abiti, un giubbotto in pelle marrone e dei jeans strappati e logori. «Chi diavolo sei, perché mi hai rapita? Cosa vuoi da me?» urlo, dimenandomi sulla sedia. Ignora tutte le mie domande e si avvicina a passo lento, rendendo il tutto ancora più surreale. «Bastardo!» lo insulto. «Lasciami andare!»

Il tizio è di fronte a me e non accenna a parlare, quegli occhiali scuri mi impediscono di guardarlo negli occhi, ma sembra avere un'aria familiare.

Si china verso di me e mi posa una mano sulla bocca, per zittirmi del tutto, dopodiché raggiunge il mio orecchio. «Shh, non urlare o sarà peggio.» Il battito cardiaco mi diventa più violento. «Non voglio che ti venga fatto del male.»

Perché mi ha rapita e poi mi parla in questo modo? Sto impazzendo, voglio andare via di qui e tornare a casa mia. Le lacrime cominciano a scendere nuovamente e un'ansia tremenda si sta impossessando del mio corpo. Il tizio raggiunge nuovamente il tavolo, fino a poggiarsi contro di esso, poi si libera degli occhiali e resto a fissarlo allibita. Questa faccia l'ho già vista. No... non può essere, non è davvero lui, tutto questo non è possibile.

«Tu... tu sei...» cerco di parlare, ma ho come un nodo alla gola.

Si volta verso di me, rivelando il suo viso in maniera spiegata. Ora lo vedo perfettamente, anche se l'ho visto poco in faccia, me lo ricordo benissimo.

«Sì, sono io.» conferma, come se mi avesse letto nel pensiero.

«John!»

«È bello rivederti, Emy.» dice con un mezzo sorriso.

«Cosa significa tutto questo?» Mi ignora, rimettendosi gli occhiali e va verso la porta. «Perché sono qui, John?» urlo, ma continua ad ignorare le mie domande. «Ti prego, lasciami andare.» lo imploro. Si blocca per qualche secondo, dopodiché spegne la luce ed esce dal magazzino. «No!» urlo.

Mark
Il provino è andato alla grande ed io non riesco ad essere felice, visto la brutta situazione in cui mi sono messo, dovrò parlarne con Emy e non sarà per niente contenta di sapere che Chloe lavora qui. Aspetterò il suo ritorno e chiariremo questa situazione, è una ragazza molto comprensiva e capirà... almeno credo. Volto lo sguardo verso i miei genitori e noto che Chloe si è seduta al tavolo con loro. Cos'è questa storia?

«Sei stato sensazionale, ragazzo!» mi dice Gerald, cogliendomi alla sprovvista. «Dove hai imparato a suonare in quel modo?»

«Da solo.» rispondo serio.

«Davvero notevole.» afferra la mia mano e la stringe. «Il posto è tuo.»

«Grazie, signore.» dico sorridente.

«Chiamami Gerald.»

«Okay, Gerald.»

«Ci vediamo domani sera alle sette.»

«Perfetto, a domani.»

Si allontana da me, lasciandomi finalmente tornare dalla mia famiglia. Chloe, rendendosi conto della mia presenza, si alza di scatto e poi mi rivolge un sorriso dolce.

«Complimenti, sei stato bravissimo.» si congratula e poggia una mano sulla mia spalla.

Gliela ricaccio indietro e la guardo gelido, senza degnarmi di risponderle.

«Oh, tesoro, sei stato grande.» aggiunge mia madre.

Non so perché, ma ho come una brutta sensazione, a partire da Emy, non mi ha telefonato, quando ha detto che l'avrebbe fatto, poi Chloe che riesce ad avere un provino per me e caso vuole che lavora qui, non vorrei che tutta questa storia mi si ritorca contro. Mi siedo al tavolo coi miei, voglio restare a vedere cosa combina.

«Cosa vi porto?» chiede Chloe, stringendo il blocchetto nella mano.

«Per me un whisky.» dice mio padre.

«Per me una vodka alla fragola.» aggiunge mia madre. «E tu una coca cola, Mark?» si rivolge a me.

«Nulla, grazie.» rispondo freddo e ritorno a guardare Chloe con sospetto.

«Okay, arrivano tra poco.» dice sorridente ai miei e poi si allontana.

«Davvero una ragazza d'oro.» commenta mio padre.

«Già, è un vero peccato che Emy non ci vada d'accordo.» risponde mia madre. Non fanno altro che parlare di Chloe, non riesco più a sopportarli, se solo sapessero che è un'arpia, la smetterebbero di elogiarla in questo modo. Mi alzo di scatto dalla sedia, attirando i loro sguardi su di me. «Tesoro, cosa ti prende?»

«Torno a casa.» sbotto.

«Perché?» aggiunge mio padre.

«Sono stanco.»

Mi dirigo all'uscita, prima che possano pormi altre domande, sono stanco di loro e delle stupide battutine che mi rivolgono. Porto il cellulare all'orecchio e chiamo un taxi.

Arriva pochi minuti dopo e fortunatamente posso andare via da qui.

«Vai via?» chiede qualcuno alle mie spalle. Mi ha seguito persino qui fuori, incredibile, che diavolo di problemi la affliggono? La ignoro e cerco di entrare nel taxi, ma afferra il mio braccio. «Mark, aspetta.»

«Cosa vuoi, Chloe?» chiedo irritato.

«Voglio solo fare quattro chiacchiere.»

«Hai il tuo lavoro, quindi va a lavorare!»

«Per favore, non ti ruberò molto tempo.» Richiudo la portiera e faccio cenno al tassista di attendere, poi mi volto verso di lei, poggiandomi alla fiancata della macchina e incrociando le braccia al petto. La scruto, in attesa delle sue parole, ma riesce solo a sorridere. «Sono contenta che tu abbia ottenuto il posto. Tra venti ragazzi che hanno effettuato il provino, sei stato quello che è piaciuto di più, congratulazioni.»

«C'è altro?» chiedo acido, non curandomi delle sue parole di poco fa.

«Ma perché mi tratti sempre in questo modo così aggressivo, dov'è finito il Mark di un tempo?»

«Questo è il Mark di un tempo!» preciso. «Ora, se non ti dispiace, devo tornare a casa.» riapro la portiera.

«Da lei?» Mi blocco all'istante. «Ah, no, è partita, giusto?»

Vuole sapere troppe cose e non mi piace affatto la sua insistenza.

«Va al dunque!»

«Volevo solo congratularmi con te, sarà bello lavorare insieme.»

«Va bene, ciao.» taglio corto e riesco finalmente ad entrare nella mia macchina.

Lei resta lì, ferma a fissarmi ed è quasi inquietante, dopodiché mi fa un sorrisetto compiaciuto e un altro occhiolino. Scuoto la testa e alzo gli occhi al cielo, poi do l'indirizzo al tassista, che mette in moto, fino ad allontanarsi dal locale, soprattutto da lei. Finalmente potrò tornare a casa e ricominciare a pensare al motivo per cui Emy non mi ha telefonato. Magari mi sto solo creando problemi inutili, forse non ha potuto, tutto qui. Non avrebbe avuto motivo per non farlo.

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