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Capitolo 50

Mark
Non riesco a restare tranquillo, quella maledetta ha inventato un mucchio di assurdità per dividermi da Emy e la cosa peggiore è che lei ci ha creduto, almeno in parte. Forse avrei dovuto negare di aver fatto sesso con Chloe ma ho evitato perché prima o poi i nodi vengono al pettine. Non posso credere che stia per andare di nuovo tutto a puttane, per una stupida inezia, proprio ora che ero riuscito a dirle tutto. Sono furioso e una gran voglia di spaccare tutto mi sta assalendo. Respiro in modo irregolare, ma devo calmarmi, non posso scatenare l'inferno che ho dentro. Cammino su e giù per la stanza e proprio in quel momento bussano alla porta. Non rispondo e mi sdraio sul letto, voltandomi verso il muro, non mi va proprio di litigare, chiunque sia. Sento che la porta si apre comunque e qualcuno varca la soglia. Avrei dovuto chiuderla a chiave.

«Posso sapere cosa ti succede?» chiede mia madre. E chi poteva essere se non lei? È così invadente che mi fa venire il mal di testa. Vorrei cacciarla via come facevo un tempo ma non ci riesco, non ora che c'è Emy, non voglio che mi consideri ancora un idiota egocentrico e immaturo. Resto in silenzio e avverto la mano di mia madre sulla mia caviglia. «Mark, non va bene che continuiate a farvi la guerra, siete fratelli e dovreste cercare di andare d'accordo.» Che assurdità, fratelli... Solo a sentir pronunciare quella parola mi viene il voltastomaco, non ho mai voluto che Emy venisse considerata mia sorella, perché ho sempre provato attrazione nei suoi confronti. Non le rispondo e la sento sospirare rassegnata. «E va bene, ci penserò io.»

Mi volto di scatto e la fisso in maniera confusa. Non starà pensando di organizzare qualche altro viaggio in compagnia di Emy, vero? Si allontana da me ed esce dalla mia stanza, chiudendo la porta alle sue spalle. Mi fa paura quando parla in quel modo, è pericolosa. Quella vacanza insieme è stata decisiva per me e ho capito che senza di lei sono perso, invece lei mi ha odiato ancora di più e non voglio che le cose peggiorino.

Sono chiuso in questa stanza da troppo tempo, ho bisogno di cambiare aria o rischierò di impazzire, se solo Emy mi desse ascolto. Esco dalla stanza e percorro il corridoio, poi mi ritrovo a fissare uno dei quadri appesi al muro, che ritrae tutti e quattro; lei sorrideva sempre, nonostante i miei dispetti, non importava cosa le facessi, era allegra comunque. Ho sempre invidiato questa parte di lei, è il contrario di me, che quando mi capita qualcosa di brutto riesco a vedere solo nero e nessuno è in grado di farmi cambiare idea. Siamo talmente opposti che non capisco come facciamo ad essere così attratti l'uno dell'altra. Devo trovare un modo per rimediare alle cazzate di Chloe e alle mie, non posso permettere che Emy mi odi ancora, voglio stare con lei e non mi importa delle conseguenze. Certo che è diventata più forte in questi mesi in cui non ci siamo visti, prima era debole e indifesa, ora riesce a tenermi testa, la mia piccola sta crescendo. A quel pensiero sorrido da solo, come un'ebete.

«Si può sapere che cavolo hai da ridere?» la voce di Emy alla mia sinistra mi fa sussultare.

«Pensavo a te.» confesso.

«Quindi mi trovi talmente ridicola da ridere da solo?»

Ma perché non capisce mai quello che voglio dire?

«No, Emily.» Non ha mai sopportato che la si chiamasse con il suo nome completo, ora si arrabbierà, mi dirà qualcosa di poco carino e io la bloccherò al muro, toccandola nuovamente. Purtroppo non accade, volta lo sguardo dall'altra parte e si dirige verso le scale. La seguo e la blocco al muro, tra le mie braccia. Be', almeno ho fatto esattamente quello che volevo, ora non potrà scappare. Resta in silenzio e distoglie lo sguardo da me. «Emy, per favore, lasciami spiegare.»

«Non c'è proprio nulla da spiegare.»

Quant'è diventata dura, non mi lascia parlare. Mi rendo conto di aver sbagliato, ma pensavo che non volesse stare con me, so che non è un buon motivo, però mi sono ritrovato in quella situazione. Porca puttana, se solo potessi tornare indietro, eviterei di commettere tutti gli errori, lei merita di meglio di un tipo come me. Mi da una piccola spinta, prendendomi alla sprovvista, ma riesco a non farla scappare via. Le poso una mano sul viso, accarezzandolo delicatamente e beandomi dei suoi sussulti. So bene l'effetto che le provoco, appena la tocco. La volto nella mia direzione e i nostri occhi si incontrano, notando immediatamente un velo di tristezza nei suoi. Non riuscirò mai a perdonarmi per tutto il male che le ho fatto, ma voglio cercare almeno di rimediare, se me lo permetterà.

«Credevo di dimenticarti, per questo ho fatto quello che ho fatto...» le confesso triste.

«Sai, anche io avrei potuto farlo ma non l'ho fatto, perché non possiedo la tua crudeltà.»

Le sue parole mi spezzano davvero il cuore ma me le merito tutte. Cazzo, vorrei tanto sapere cosa le è capitato a New York, da spingerla e dirmi delle cose così pungenti.

«Ragazzi?» chiama mia madre dal piano di sotto, interrompendoci.

Sembra fatto davvero apposta. Si libera delle mie braccia in malo modo e poi corre giù per le scale. La seguo subito dopo e arrivato in soggiorno, vedo i miei genitori seduti sul divano, in attesa. Brutto segno.

«Perfetto, siete entrambi qui, sedetevi.» dice mio padre e il cuore mi balza in gola.

Non hanno in testa nulla di buono, lo so. Nel momento in cui mi siedo accanto ad Emy, sfiorando la sua gamba, avvertendo quell'elettricità che si crea ogni volta tra di noi. Peccato che non voglia avere a che fare con me, ma non devo arrendermi, le farò cambiare idea e riuscirò ad avere il suo perdono.

«Emy, stasera danno un film dell'orrore, perché non lo guardi con tuo fratello?» le propone mia madre.

Una piccola speranza si accende in me, mia madre le sta escogitando tutte affinché diventiamo "amici", ma lei sembra non battere ciglio.

«Guardare un film horror con lui?» chiede Emy e i miei annuiscono all'unisono. «Neanche morta!» conclude.

Ma che cazzo! Si alza dal divano e va via, lasciandoci spiazzati. Stavolta mi odia sul serio e non posso fare a meno di agitarmi.

***

La giornata di ieri è passata molto lentamente, Emy non ha fatto altro che ignorarmi durante la cena, come aveva già fatto, dopodiché è andata a chiudersi nella sua stanza. Ho provato ad entrare ma era chiusa a chiave. Devo pensare ad un modo per rimediare, magari potrei regalarle un mazzo di fiori... no, troppo sdolcinato. Allora potrei dedicarle un motivetto con la chitarra... no, pessimo. Aspetta, forse potrei regalarle un album dei distraction o come diavolo si chiamano, in questo modo sarà più semplice chiederle scusa. Il problema è che non so quali album possiede di quei tipi. C'è solo un modo per scoprirlo; mi toccherà entrare furtivamente nella sua stanza. Esco dal bagno e mi ritrovo faccia a faccia con mia madre che mi guarda sorridente e improvvisamente afferra il mio braccio.

«Vieni con me, caro.» dice, trascinandomi.

«Dove?»

«In garage.»

«Perché dovremmo andare in garage?»

Ignora la mia domanda e continua a tirare. Avrà notato che ho dei piedi, vero? Questa donna è capace di farmi ammattire, peggio di Emy, mi chiedo cosa abbia architettato stavolta. Arriviamo al garage e mi rendo conto che è completamente svuotato, a parte le bici dei miei. Dov'è finita tutta la roba? Il mio sguardo viene attirato da Emy, che appena si rende conto della mia presenza, mi guarda male.

«E lui che ci fa qui?» chiede irritata.

«E le bici cosa ci fanno ancora qui?» cambia discorso mia madre. Sta per andare via ma lei la blocca. «Ferma!»

«Cosa vuoi da me?» chiede Emy, esasperata.

«Cosa voglio da entrambi, vorrai dire.» Emy si mette a braccia incrociate e resta immobile a fissarla. Non ho ancora capito cosa si sia messa in testa. «Il garage ha bisogno di una bella riverniciatura. Ho qui uno schema.» tira fuori dalla tasca un foglio piegato. «Questa parete la dipingete di viola, il resto in bianco.»

«Non vorrai mica che lavori con lui, vero?» chiede Emy.

«Sì, tesoro.»

«È stata una tua idea?» mi chiede con tono sprezzante.

«Niente affatto, tesoro.» cerco di imitare la voce di mia madre, guadagnandomi un suo schiaffetto dietro al collo.

«Sii gentile!» pretende.

«Non posso rifiutarmi?» chiedo.

«In due finirete prima, quindi datevi da fare.» dice categorica e poi va via, lasciandoci soli.

Comprendo che il mio comportamento l'abbia ferita ma adesso sta esagerando e inizia a darmi fastidio, mai nessuna mi aveva trattato così.

«Be', ci tocca cominciare.» dico scocciato all'idea. «Puoi passami il bianco?» cerco di essere gentile, nonostante la sua ostilità, ma so già che mi si ritorcerà contro.

«Prendilo da solo!» sbotta.

Come non detto. Sbuffo e raggiungo il barattolo della vernice. Sarà molto difficile restare nella stessa stanza se continua a trattarmi in questo modo, non so fino a quanto potrò resistere, non voglio perdere la calma, dopo tanto tempo che lavoro su questo lato del mio carattere, ma con lei è impossibile. Decido di lasciar perdere e comincio a mischiare i vari colori, fino ad ottenere una tonalità di viola simile a quella che c'è sullo schema ideato da mia madre.

«Potresti almeno darmi una mano.» mi lamento. Allunga una mano nella mia direzione, sarcastica. «Divertente!» esclamo e la afferro prontamente, tirandola verso di me e ritrovandoci a pochi centimetri l'uno dall'altra.

Mi guarda imbarazzata, ha finalmente smesso di fare la stupida, era ora. La voglia di baciarla sta crescendo e non riesco più a resistere. Osservo le sue labbra e mi avvicino ancora di più al suo viso, pronto a fare quello che mi passa per la testa e fregandomene dei miei, che potrebbero scoprirci da un momento all'altro. Resta immobile, come se non aspettasse altro che una mia reazione. Le sfioro le labbra e la sento sussultare sotto al mio tocco.

«Ti odio.» sussurra con il fiato corto.

«Non è affatto vero.» sussurro a mia volta e unisco le labbra alle sue, lasciandomi andare in un bacio lungo e famelico.

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