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Le loro menti

Menti enigmatiche, tortuose, sfuggenti, elusive che si imbattevano, come la fortezza di una frangente dell'oceano pronta ad abbattere qualsiasi cosa innanzi presente, come per magnificenza di un fato, altrimenti senza una causa apparente.
Destiny e Heaven, dopo una definizione di tempo indeterminato, erano riuscite a sovrastare il destino, sempre se questo potesse sussistere, con la vitalità di quella cosa che ardeva dentro di loro, che permetteva loro di eseguire anche un minuscolo passo in avanti, chiamatasi forza.
Chi siamo noi per possedere tutte le risposte? Ce le ricaviamo noi, da questo mondo perfettamente imperfetto.
Si erano incontrate per la primissima volta, dopo un'eternità che scorreva loro attraverso la vista, componente principale in grado di farci scrutare cose, oggetti, fenomeni, che neppure vorremmo.
Destiny era un soggetto contorto, filosofico ai limiti dell'impossibile, mente malata. Un animo composto da diverse varianti. Composta interiormente da un animo dolce e gentile, pronta e disposta a fare qualsiasi cosa pur di accontentare il volere degli altri, cercando in ogni qual modo di non deluderli e farli soffrire, nessuno di loro. Ma si sa, non si può accontentare ogni persona, essendo comunque, in un modo o nell'altro, soggetto a varie critiche e giudizi affrettati e spesso invidiosi. Cosa che infrangeva lentamente ogni sua convinzione, distruggendo ogni particella della sua essenza esteriore, tramutandola irremediabilmente in una persona difficile da riconoscere, completamente diversa da come era diventata nel corso del tempo.
Il suo lato sensibile e gentile, però, veniva esposto, come su una vetrinetta, abitualmente, altresì con gente che non meritava, per poi essere distrutto e calpestato come una formica, che non riservava alcuna colpa.
Sentiva, alle volte, di essere troppo inerente a questo mondo, fondato da sola perfidia. Ed è così che voleva evadere, fuggire, e non le importava in quale luogo sarebbe giunta. Era solamente sufficiente non scorgere il concetto di per sempre. E, come accennato in precedenza, c'è, o meglio dire, c'erano ancora varianti che mostravano la verità di una personalità assolutamente contraria alla definizione di semplice.
Lei... Heaven era una definizione astrusa di strafottenza massima verso gli altri, dagli occhi composti da dolcezza celata in qualche oscuro meandro della sua anima, e voglia di spiccare il volo con quelle ali d'oro appicicate alla schiena, oltre gli orizzonti.
La confusione nel cuore e l'inferno nella mente la seguivano costantemente, come se fossero dei fedeli compagni.
Viveva nella sua bolla di indifferenza e freddezza, ignorando il mondo circostante, isolandosi, senza concedere a nessuno l'accesso nella sua fortezza costruita durante gli anni. Acidità e testardaggine sembravano essere gli aggettivi piu appropiati per descriverla.
I rapporti sociali per lei erano inutili, fuorché dell'unica persona che aveva sempre avuto al suo fianco. L'amore e la dolcezza erano considerate da lei come debolezze. Difatti, non mostrava mai il suo lato sensibile se non con Destiny, mantenendo perennemente quella punta di acidità in tutto ciò che proferiva.

Autodistruzione o distruzione?
Una bomba aveva fatto centro, in quella terra composta da insulsi alleati, coloro che scelgono di distruggere il mondo, coloro che scelgono di annientarci, senza avere alcuna pietà.
Le due giovani ragazze erano sedute accanto, ai lati di ognuna un pacchetto di sigarette e una bottiglia di alcool, dalla quale sorbivano ogni tanto come se volessero annegare il loro amare in un qualche modo, con i pensieri che scivolavano loro nella testa, come se fosse acido pronto a bruciare ogni singola particella del loro cervello frastagliato.
Una delle ragazze con gli occhi spenti, privi di vita, pronunciò parola:《Heaven, non capisci, io tendo ad autodistruggermi. Prima piano piano, e poi completamente.》stavolta socchiuse la bocca, come per incanalare altra aria pura. Ce n'era tantissima, era vero. Ma, in quel momento, le pareva che non ce ne fosse neppure un briciolo. Inspirò, e poi espirò, lentamente, per catturare tutta l'aria in circolo.
《Anche io. Solo che, questa volta, ho acceso con l'accendino il mio essere, sino a squartarlo vivo. Solitamente faccio tutto illudendomi.》il tono di voce non era triste, bensì neutro.
Heaven percepiva il vuoto dentro le ramificazioni della sua anima.
《L'illusione... non esiste. È una realtà immateriale, platonica, quasi astratta. Credi di intravederla, ma non riesci neppure a scorgerla. È talmente presente dentro la tua testa che sei certa, addirittura, pure di riuscire a tastarla, ma non puoi. Ti uccide -perché è ciò che fa- talmente tanto, da esaurire i tuoi sogni. Uno ad uno, sino a sgretolare ogni minima speranza che accendeva il tuo essere, che alimentava la fiammella presente nel tuo gelo. Quel piccolo fuoco che stava scemando dentro, era dato da una piccola illusione che, a sua volta, si era trasformato in un'infinita traiettoria indicante un'illusione più grande, divenutasi una cosidetta falsa speranza. È come un film mentale, Heav. Tutto deriva da essa, dalla nostra mente.》Destiny, la ragazza dagli occhi limpidi, si tastava il piercing costantemente, riflettendo sulla mente umana, così pessimistica, a volte, senza valori, concepita per essere attivata, per essere utilizzata. E, la cosa che più la buttava giù era che, per la maggior parte delle volte, risultava sempre tutto opposto a ciò che lei desiderava. L'intelletto, per tanta gente, e, per come la pensava, non era utilizzato totalmente. Bensì l'opposto.

Era un mondo al contrario, il loro.

《È vero, tutto deriva immancabilmente dalla nostra mente, ma, queste suddette illusioni non sono altro che speranze infrante, mai compiute, perse. Alla fine, tutti si resume alla speranza, no? Nasciamo, viviamo e moriamo. Ma in questo lasso di tempo nel quale viviamo, ci ritroviamo a sperare e sperare e sperare... Cioè, pensa ad una giornata qualunque. Be', dimmi, hai idea di quante volte hai sperato in un qualcosa, anche se insignificante? Magari in una parola mai detta, in un gesto mai compiuto... Hm?》chiese la ragazza dagli occhi nero pece, scrutando l'amica come se volesse leggerla dentro e riuscendoci.
Esisteva un legame tra le due che nessuno avrebbe mai potuto capire e, men che mai, imitare.
《Ecco, io... Non lo so, molte, suppongo.》rispose l'amica, ragionandoci sopra.
《Appunto. Vedi?》chiese ancora Heaven, cercando di farle scorgere ciò che voleva dire e le bastò vedere il suo sguardo d'intesa e un suo quasi impercettibile cenno di consenso per capire che la ragazza capiva cosa voleva dire.
《Siamo immancabili vittime delle nostre stesse speranze, del nostro essere umano e della nostra struttura mentale, quanto fisica. In ogni giorno, ora, minuto, addirittura secondo, ci succede di sperare. Di sperare in così tante cose... Speriamo che una persona ci venga a parlare, a chiederci scusa, a dirci che gli importa, o a dirci addio. Speriamo che una determinata cosa succeda, o che le conseguenze di una determinata azione non si infrangano su di noi, o magari ancora che una determinata situazioni si avveri, e che non rimanga solamente una nostra possibile realtà. Capisci? Tutto si resume alla speranza. Perché, per quando magari noi ci possiamo ostinare a non voler sperare, non possiamo, perché - a detta di un qualche filosofo di vita o magari ad un uomo ubriaco che ha sparato una frase alla cazzo - "la speranza è l'ultima a morire". E proprio perché a volte ciò che speriamo non si avvera, succede che veniamo delusi. Spesso e volentieri la speranza è solo un apparente versione dei fatti che potrebbe o meno diventare realtà e, quando succede la seconda variante, essa si trasforma in un'illusione che porta ad un atroce delusione. Dalla speranza ne deriva l'illusione e questa non arriva mai da sola - come il detto "le disgrazie non capitano mai da sole" -, ma è sempre accompagnata dalla delusione perché le cose non avvengono come speravamo noi. Ed, usando termini matematici, la speranza a volte, se non quasi sempre, è direttamente proporzionale alla delusione.》concluse Heaven, perdendosi nei suoi pensieri espressi ad alta voce, quasi sentendo di fluttuare, magari a causa del fumo o dell'alcool in circolo nelle sue vene, o magari per la leggerezza che provava nell'aver espresso i suoi
più profondi ragionamenti.
《Continuo a ripetere: non esiste, almeno non in questa realtà, troppo crudele. Non concretamente. Può esistere per ognuno di noi, in modo diverso, caratterizzato da altri criteri. Esiste astrattamente. Io non la percepisco, non la vedo, ma la vivo. Ogni giorno. È dentro di me, e cresce sempre di più. Forse in modo diverso da te, ma lo faccio. E anche tu lo fai. Ammettilo. Tutti noi viviamo di illusioni, che quasi sempre si trasformano in delusioni. È di questo che siamo fatti. Fa parte della nostra sostanza. Non puoi chiedermi di non illudermi. Per quanto io ci provi, è inevitabile che, prima o poi, quella suddetta speranza si faccia spazio tra le crepe delle tue mura e si impossessi della tua mente. Questa 'speranza', che si dice - come hai detto tu - sia l'ultima a morire, è la prima a fotterti. Perché sperare, spesso, se non quasi sempre, significa sognare in un qualcosa di migliore, in un qualcosa che forse non esiste e che mai esisterà. E questo significa illudersi. È un cerchio vizioso, dove tutto giro su un'esistenza di qualcosa, che si ripete all'infinito, fino al momento in cui esali il tuo ultimo respiro.》rivelò Destiny, continuando a torturarsi il piercing al labbro con i denti, afflitta dal dolore puro dentro di sé.
《Chi di speranza vive, disperato muore.》rispose l'altra, accennando ad un proverbio molto comune, mentre scrutava con fare maestoso il fumo della sigaretta disperdersi nell'aria, immaginando di dissolversi anche lei come quella nube grigia in mezzo alla pioggia.
《E in base a cosa si stabilisce se si è morti o vivi? In base a quale criterio?》 chiese l'altra, dopo aver inspirato a fondo dalla sigaretta e facendo fuoriuscire il fumo dalle labbra ad ogni parola pronunciata, mentre questo le graffiava la gola, ma oramai era talmente tanto abituata a questa sensazione che non ci fece nemmeno caso.《Forse nemmeno non ne esiste uno. Si considera che una persona sia morta quando il suo cuore smette di pompare e l'aria non entra più nei suoi polmoni. Ma la sua anima è realmente morta? Forse essa è più viva della nostra.》continuò Desty, riflettendo ad alta voce.
《A volte sento di essere morta. Dentro. Ma mi devo ripromettere. Le mie emozioni, i miei sentimenti, sono fusi, confusi, persi, troppi, affogati, ma che ancora una volta tornano a galla e creano quel dannato conflitto che mi trascina in quella oramai tanto conosciuta terra di mezzo. Quasi costringendomi ad assistere come se fossi uno spettatore al conflitto che si scatena dentro di me. Ognuna di queste forze vuole predominare, ma la sola cosa che ottengono è il proprio annientamento e quello di quelle circostanti. Sento tanto, troppo da non sentire più nulla. Le emozioni si autodistruggono reciprocamente e lacerano il mio essere squarciando ogni briciola di certezza che era rimasta intatta, facendomi annegare in un mare di dubbi che mi trascina e mi sballotta con la sua corrente da tutte le parti, talvolta in direzioni opposte allo stesso tempo, come a voler spezzarmi e far sì che ogni particella del mio essere venga sparsa in luoghi remoti e cupi degli abissi che inghiottiscono tutto ciò che gli si para davanti, come un buco nero, trascinandomi nell'infinito inferno da cui oramai non posso più sfuggire, punendomi per non essere ciò che dovrei. Per non essere abbastanza. Perché un'anima tormentata come la mia non potrà mai trovare la pace in questo mondo perfettamente imperfetto per una come me, senza la possibilità di sperare in qualcosa di migliore senza illudermi e soffrire. Sono un morto vivente.》
ammise Heaven, pensando a tutto ciò che provava e le veniva da urlare, gridare, piangere, farsi sentire, e lo faceva, ma solo interiormente, conducendo una battaglia contro se stessa che l'avrebbe sfinita, consumando anche l'ultimo briciolo di vita che scorreva in lei.
《 Forse gli zombie esistono. Ma non nel modo in cui li abbiamo sempre immaginati noi. 》strinse Heaven a sè. 《In teoria, se siamo morti, non percepiamo assolutamente niente. Il mondo circostante non esiste più, per noi. Completamente.
Ogni singola particella del nostro organismo non esegue più alcun movimento. Ma la nostra anima è viva? Oppure incontra un luogo profondamento puro, come il paradiso?》le domande vagarono, e si posizionarono in qualche parte della loro anima. 《Mi sono costruita un castello. Troppo infinito persino per me. Le mura sono estese ad un margine illimitato, e nessuno può scavalcare quella soglia, è divenuto impossibile. Tutto lo è.
Chiudo gli occhi e mi osservo: coricata, in un freddo pavimento, avvolta dal freddo glaciale. La stanza è vuota, proprio come me. Ma... So di non essere sola. Le tenebre saranno sempre lì, a tenermi compagnia. Un momento di contentezza, finirà di disciogliersi, come vapore acqueo, e loro saranno sempre pronti, da un momento all'altro, ad inoltrarsi dentro il mio castello. Ed io lascerò fare.
Perché un'anima tormentata come la mia non potrà mai scovare la luce, neanche minimamente, in questo mondo così perfettamente imperfetto.》
《Destiny, il buio mi avvolge. E stranamente non ho paura. Ho sempre amato il buio. Mi permette di osservare meglio ciò che con la luce siamo in grado di scrutare più facilmente.》
《Le tenebre si fanno spazio tra le nostre membra. Appena verrà quel momento, le tenebre forse ci abbracceranno. I nostri corpi non saranno più soli.》chiuse gli occhi, e fece come per accarezzare l'aria che la circondava.
《Anche le nostre anime, Destiny.》
Disse infine, soffermandosi nei dettagli della città illuminata.
Osservavano New York, e piano piano si rendevano conto di non appartenere a quel mondo, tanto afflitto da tristezza.
Heaven aveva sofferto per amore e aveva trasformato la sua sofferenza in arte, perche anche il dolore può essere creativo. Anche quest'ultimo ha bisogno di adagiarsi in qualcosa per mostrare tutte le sue sfacettature.
《Sei pronta?》chiese Heaven a Destiny, ed insieme si strinsero le mani.
Destiny annuì con assoluta convinzione e poi pronunciò:《Chiudi gli occhi.》
Percepirono ogni singola emozione dell'altra, come se le loro anime si fossero materializzate, e avessero eseguito uno scambio.
Brividi in tutto il corpo si propagavano su entrambe.
Le loro anime stavano comunicando, nel tempo illusorio si erano avvicinate, come a fior di labbra. L'una era l'amica dell'altra, e tutte le emozioni si erano coinvolte talmente tanto tra di loro, da non riuscire ad allontanarsi. Le emozioni dell'altra si comprendevano, e nonostante la distanza, i sentimenti derivanti da essa, sarebbero come rimaste legate all'altra, come un filo conduttore. Bastava un avvicinamento, altresì senza uno scambio di parole, e tutto risultava così facilmente raggiungibile.
Bensì le loro anime si avvicinavano, quanto tanto sino a sfiorarsi, le loro menti non potevano. Ne erano sicure. Uno scontro sarebbe avvenuto, e tutto sarebbe irradiato, sino a scatenare un qualcosa di più grande. Del resto, menti così enigmatiche non erano fatte per la semplicità.
《Sento... tanto, Heav.》
La mano si strinse ancora all'altra ragazza, e il cuore palpitò più forte, come non era mai stato in grado di udirlo.
《Sento... troppo, Destiny.》
Le tenebre erano lì dinanzi, ed erano quasi sicure di riuscire a scrutarle entrambe.
Erano abituate alla loro presenza.
Sentimenti, paura, emozioni, anime coincise, così grandi ed estremamente forti, si erano materializzati. Completamente tutti.
Scrutarli da vicino, adesso, faceva più paura. Sapevano che tutto ciò che provavano non arrivava a scorgere il concetto di normalità. Ma del resto, quest'ultima è soggettiva, ma non importava più di tanto, in quel momento.
Le due non avevano bisogno di perdersi in parole tanto futili come dichiarazioni d'amicizia. No, loro sapevano di appartenersi reciprocamente, di non poter vivere l'una senza l'altra.
E, alla fine, era divertente.
L'una si chiamava Destiny, come per scherzo del destino, dato che non credeva nella sua esistenza, mentre l'altra si chiamava Heaven, come se fosse una presa in giro, lei sapendo di appartenere all'inferno, di averlo dentro. Era come se lei fosse l'incarnazione degli Inferi e l'essere stata battezzata col nome di Paradiso era una cosa esilarante.
Era come se la Terra divenisse tremante, e i loro cuori uscissero dal petto.
Più stringevano le mani, più udivano tutto farsi sempre più rumoroso.
Ed è così che, in un bel giorno di pioggia, Destiny e Heaven capirono di essere riuscite a incorporare la pioggia dentro di loro, con la liberazione dei sentimenti espressi sembrava tutto più leggero, d'altronde.
Tutto pareva più solare, anche se erano perfettamente consapevoli che tutto ciò sarebbe durato poco più, ma andava bene così, per loro.
Perché, anche un giorno di pioggia, può conservare tutte le sfumature di un sole che splende.

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