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Eric


Uscire dal Black Thunder si era rivelata un'operazione molto più complessa di quanto avessi pensato. In parte perché trasportare Negan, accasciato a peso morto su di me, non era un gioco da ragazzi e in parte perché ogni fibra del mio essere gridava a pieni polmoni di rientrare in quel maledetto locale e trascinare via Flame a ogni costo. Saperla in compagnia di quello schizzato di Patrick era un pensiero che mi tormentava, specialmente perché non avevo la minima idea di cosa potesse mai passare per la testa dell'irlandese.

Era sembrato pacato, quasi ragionevole, eppure avevo imparato che con i Fitzpatrick non c'era da scherzare e che nessuno avrebbe mai potuto prevedere quale sarebbe stata la loro prossima mossa.

I guardaspalle di Patrick depositarono Dimitri e Manny ai miei piedi, sul marciapiede antistante l'ingresso del locale, e mi rivolsero una rapida occhiata inquisitrice.

Era evidente che si stessero domandando se avrei rispettato gli accordi con il loro capo o se mi sarei lasciato guidare dall'istinto e avrei mandato tutto in malora.

Ed in effetti la tentazione era molto forte.

Sapevo però che, se avessi rotto l'accordo con Patrick, nessuno di noi sarebbe andato via da quel posto se non chiuso in un sacco per l'obitorio.

- Potete tornare dal vostro padrone -, replicai duramente mentre l'ambulanza imboccava la strada, - non ho intenzione di fare l'eroe. –

Mi guardarono ancora, spostando lo sguardo da me all'ambulanza in avvicinamento, e alla fine rientrarono all'interno del locale con una scrollata di spalle.

Sentii la porta richiudersi con violenza e la serranda abbassarsi. Non volevano interruzioni di alcun tipo ed ero pronto a scommettere che, se e quando la polizia si fosse degnata di farsi vedere da quelle parti, Patrick e i suoi ragazzi sarebbero stati già ben lontani e liberi da ogni possibile imputazione.

Vidi i paramedici scendere in fretta e dirigersi verso di me.

Venni alleggerito dal peso di Negan, che fu deposto su una barella e caricato di tutta fretta sull'ambulanza, mentre una ragazza si chinava ad esaminare le condizioni di Manny e Dimitri. Stavano riprendendo conoscenza, ma vennero comunque fatti salire sulla vettura per effettuare i controlli di rito.

Io rimasi lì, in piedi, sommerso dalle domande che mi rivolgeva uno dei paramedici.

Cosa era successo?

Come se non fosse di per sé ben evidente ciò che era successo.

Io ero ferito?

Solo spiritualmente.

Perché non parlavo, ero forse in stato di shock?

I responsabili dell'aggressione erano persone a noi note?

Su quell'ultima domanda mi tornarono in mente i penetranti occhi di Negan e il modo in cui mi aveva guardato prima che le porte dell'ambulanza si richiudessero.

Non c'era bisogno di essere particolarmente intelligenti per carpirne il significato: non una parola su quello che era successo.

- Non so un accidenti di niente, li ho trovati così e vi ho chiamati – replicai alla fine.

Il paramedico parve non credermi, ma si decise a oltrepassarmi e a risalire sull'ambulanza. Partirono a sirene spiegate, lasciandomi libero di recuperare la macchina e seguirli. Lungo il tragitto verso l'ospedale digitai il numero di Raphael.

Due squilli e la sua voce mi raggiunse.

- Li avete trovati? –

Feci appena in tempo a rispondere di sì, poi sentii il rumore di una breve colluttazione e una serie d'imprecazioni in spagnolo.

La voce che lo sostituì fu immediatamente riconoscibile: Blaze.

- Che succede? –

- Hanno sparato a Negan. Dimitri e Manny stanno bene, ma li stanno portando in ospedale per alcuni accertamenti. –

La sentii sospirare e ingoiare chissà quante maledizioni, poi ordinò: - Fammi parlare con Flame. –

Ed ecco il punto peggiore di tutta quella storia di merda che ci si era riversata addosso.

- Non posso. –

- Eric -, la sua voce si fece improvvisamente gelida, - ti ho detto di farmi parlare con lei. –

- E io ti ho detto che non posso -, strinsi la presa sul volante fino a farmi diventare le nocche livide, - perché non è qui con me. –

Si fece improvvisamente cauta.

- Perciò è salita in ambulanza con loro? –

- No. –

- No? –

Ero certo che se ce l'avessi avuta davanti probabilmente mi avrebbe tirato dietro qualcosa, magari pesante e potenzialmente letale.

- Flame è rimasta al Black Thunder -, buttai fuori tutto insieme, - era la condizione che Patrick ha imposto se volevo portarli fuori di lì e farli soccorrere. Lei l'ha accettata. –

Il silenzio che mi avvolse fu tale che per un attimo mi domandai se fosse caduta la linea.

Mi ero aspettato un fiume d'imprecazioni, maledizioni e minacce di una morte lenta e dolorosa per averle permesso di rimanere lì da sola. Tuttavia non arrivò nulla di tutto questo.

La voce di Blaze si fece bassa e, se non l'avessi conosciuta bene, avrei quasi potuto giurare di sentirla tremare mentre diceva: - Ma certo che ha deciso di rimanere, farebbe qualsiasi cosa per le persone che ama. –

- Certo che lo farebbe – mormorai per tutta risposta.

- Tu stai bene? –

Ed eccola qui l'unica domanda che mai mi sarei aspettato che mi rivolgesse.

Blaze aveva messo ben in chiaro il fatto che io non le facessi particolare simpatia e, da quando le cose tra me e Flame si erano incasinate, aveva mostrato una spiccata ostilità nei miei confronti. Era protettiva con lei e vedeva in me lo stronzo che l'aveva ferita, perciò avevo preso atto della situazione e l'avevo rispettata. Eppure adesso era proprio lei a domandarmi come stessi. E c'era qualcosa nel suo tono che lasciava intendere che non si riferisse alla salute fisica.

- Sto continuando a tenermi impegnato parlando con voi, altrimenti farei inversione e tornerei lì dentro – ammisi alla fine.

- Lo immaginavo. Continua a raccontarmi cosa è successo, ti distraggo finchè entrambi non arriviamo all'ospedale. –

Era un gesto sorprendentemente garbato per una come lei e in qualsiasi altra circostanza l'avrei sfottuta almeno un po', ma in quel momento non avevo la forza di uscirmene con qualche battutina sagace.

Così mi limitai a fare quello che mi aveva chiesto e ragguagliai sia lei che Raphael sugli eventi di quella maledetta mattinata.

Terminai il resoconto proprio nell'istante in cui vidi l'ambulanza imboccare l'ingresso dell'ospedale. Mi infilai dietro di loro, posteggiando la macchina nel primo posto libero, e aguzzai lo sguardo per individuare la macchina di Raphael.

Entrarono nel parcheggio cinque minuti dopo di noi e, in men che non si dica, li vidi dirigersi verso di me a passo di carica.

- Li hanno portati dentro – annunciai.

Bastò un rapido scambio di sguardi e in men che non si dica ci ritrovammo a marciare dritti verso le porte scorrevoli dell'ingresso della struttura.

L'infermiera all'accettazione ci indirizzò verso la sala d'aspetto, assicurandoci che qualcuno sarebbe giunto a darci notizie appena possibile. Occupammo i posti nell'angolo, dai quali era possibile osservare il corridoio e le porte dietro alle quali erano scomparsi i nostri amici, e ci rassegnammo a una lunga attesa.

Blaze afferrò il cellulare: - Devo chiamare Gwen. –

Si allontanò quanto bastava per avere un po' di privacy, tormentandosi le onde bionde mentre ragguagliava sua madre adottiva sulle condizioni di Dimitri. Quando tornò si lasciò ricadere al suo posto con un sospiro e inclinò il capo, poggiando la testa sulla spalla di Raphael.

Lo vidi passarle un braccio attorno alle spalle, stringendola a sé e permettendole di mettersi più comoda, e non mi sfuggì il modo in cui lei si rilasso in quella stretta.

Forse c'era davvero qualcosa tra quei due, proprio come sosteneva Flame.

Scacciai quel pensiero.

Se continuavo a pensare a cosa avrebbe fatto o detto in quella circostanza avrei finito con l'andare fuori di testa e il disintegrare qualsiasi cosa mi capitasse a portata di mano.

- Vado a prendere del caffè per tutti -, dissi alla fine, - immagino ce ne servirà. –

Mi allontanai prima ancora che potessero dire qualcosa ed esplorai i corridoi fino a trovare le indicazioni per il punto ristoro. Digitai i tasti con molto più vigore del necessario e attesi che la macchinetta riempisse i tre contenitori.

Tornai dai ragazzi, consegnando loro una tazza a testa, e tornai a sedere al mio posto.

Presi un paio di sorsi di quella bevanda che spacciavano come caffè e che in realtà sembrava più acqua sporca, e arricciai le labbra con disgusto. Ogni cosa faceva schifo dentro gli ospedali.

Abbandonai quella brodaglia ed estrassi il cellulare.

Sapevo di non poter chiamare Flame, ma nulla mi vietava di passare il tempo osservando lo schermo scuro del dispositivo.

Era passata più di mezz'ora da quando l'avevo lasciata al Black Thunder e non riuscivo a capire cosa accidenti avesse da dirle Patrick che potesse richiedere tutto quel tempo.

Nulla di buono, questo era poco ma sicuro.

Tamburellai contro lo schermo, illuminandolo di nuovo, e mi soffermai sullo scorrere dei minuti.

Se entro venti minuti non mi richiamava sarei tornato lì e l'avrei portata via, fregandomene delle possibili conseguenze.


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