Eric
Eravamo in macchina già da una mezz'ora abbondante. Flame era seduta sul sedile del passeggero e non perdeva di vista lo schermo del cellulare. Non riusciva a stare ferma: tamburellava con il piede contro il tappetino, picchiettava sullo schermo per essere certa di mantenerlo sempre illuminato, e con l'altra mano si tormentava una ciocca di capelli. L'aveva intrecciata e srotolata almeno una ventina di volte da quando eravamo partiti.
Avrei voluto dirle qualcosa, ma tutto mi sembrava davvero stupido e inadeguato.
Cosa si poteva dire a una persona che rischiava di non vedere mai più suo padre vivo?
Così alla fine mi decisi ad allungare semplicemente una mano verso di lei. Le tolsi la ciocca dalle dita, mentre continuavo a tenere gli occhi sulla strada, e la strinsi in modo fermo ma gentile. La sua stretta era fredda, tesa, si aggrappava a me come se fossi la sua unica ancora di salvezza.
E avrei davvero voluto esserlo.
Avrei dato qualsiasi cosa per poter risolvere la situazione e avere il potere di tranquillizzarla.
Ma nessuno poteva sapere cosa diavolo avrebbe combinato Patrick. Era molto diverso da Negan, non possedeva quel senso dell'onore e della lealtà che contraddistingueva il padre di Flame, ed ero pronto a scommettere che non aveva alcuna intenzione di far finire bene quell'incontro.
Patrick Fitzpatrick era imprevedibile, una bomba ad orologeria pronta ad esplodere e a causare quanta più devastazione possibile.
Il trillo del cellulare ci fece sussultare entrambi e rischiai quasi di sbandare. Ripresi il controllo della macchina, ignorando la suonata di clacson dell'automobilista che procedeva sulla corsia in senso contrario.
Flame portò il ricevitore all'orecchio, ascoltando in silenzio quello che il misterioso interlocutore le riferiva.
Con la coda dell'occhio vidi che si stava mordicchiando nervosamente il labbro inferiore, affondando i denti con tanto vigore che se fosse andata avanti di quel passo si sarebbe certamente ferita a sangue.
- È sicuro? –
Si rabbuiò ancora di più, facendomi cenno con la mano di rallentare e prendere la svolta a destra.
L'assecondai, immettendomi a tutta velocità. Conoscevo quella zona e se stavamo andando dove pensavo non c'era proprio tempo da perdere.
- Va bene -, la sentii dire con un sospiro, - grazie per l'aiuto. –
La voce dall'altra parte disse qualcosa che le strappò uno sbuffo divertito.
Mise giù la chiamata e si voltò verso di me.
- Era Adriane. Dice che un suo amico lo ha trovato, sono al Black Thunder. –
- Merda. –
Il Black Thunder era come El Gato Negro. Teoricamente erano territorio neutrale, ma nella pratica se El Gato era il punto di ritrovo dei ragazzi di Negan allora il Thunder era quello degli irlandesi. Le regole imponevano che si rispettasse la neutralità di posti come quello, ma non sarebbe certo stata la prima volta che una rivalità tra clan portava a una violazione degli Accordi.
Pigiai il piede sull'acceleratore, spingendo la Mustang al massimo, incurante del limite di velocità o del fatto che il semaforo fosse prossimo al diventare rosso.
Quando imboccai la via che conduceva al Black Thunder individuai all'istante la macchina di Adriane. Non vedevo da nessuna parte alcun segno della presenza di Negan, ma questo poteva solo significare che la situazione era ancora peggio di quanto avrei immaginato.
Non erano solo nei pressi del Black Thunder, erano dentro.
Prima ancora di riuscire ad accostare del tutto e a spegnere la macchina, vidi Flame saltare giù e puntare dritta verso Adriane. La ragazza era in piedi vicino a quello che doveva essere il nostro informatore.
Il tizio aveva il cappuccio della felpa saldamente calcato sulla testa, lasciando intravedere solo delle ciocche nere e scompigliate che circondavano un volto dai tratti leggermente spigolosi. A giudicare dalle occhiaie che gli cerchiavano le iridi castane non doveva farsi una dormita decente da una vita e molto probabilmente faceva uso di qualcosa.
- Sei sicura che sia qui? Non vedo la sua macchina – osservai scettico.
- Certo, Kurtz lo ha visto entrare. –
Osservai il ragazzo dalla testa ai piedi.
L'abbigliamento confermava l'impressione che dava la sua faccia: non era esattamente la persona più affidabile sulla faccia della terra, specialmente se si trattava di gettarsi a capofitto in una potenziale missione suicida.
- Sono sorpreso che Kurtz si sia reso conto di qualcosa, visto come è ridotto. –
Lo spacciatore fece scattare il medio ben in alto, accompagnando il gesto con una smorfia tutta denti.
Decisamente non saremmo mai diventati amici.
Feci per aggiungere un qualche commento salace su dove avrebbe potuto ficcarsi quel dito, ma la gomitata di Flame mi colpì all'altezza dello stomaco e mi mozzò il fiato.
- Non è il momento di discutere tra di noi -, sbottò, - io devo entrare lì dentro. Devo sapere cosa diavolo sta succedendo. –
- E su queste note, io me ne vado – intervenne Kurtz, aprendo bocca per la prima volta da quando eravamo arrivati.
S'incamminò con andatura indolente verso il lato opposto della strada, salvo poi voltarsi verso Adriane e rivolgerle un'occhiata vagamente incuriosita.
- Tu non vieni? –
Sembrò tentennare per qualche secondo, poi annuì e lo raggiunse. Li guardai sparire dietro l'angolo e dirigersi chissà dove.
Avevano già fatto tutto quanto in loro potere per aiutarci, nessuno li avrebbe biasimati per essersi tirati fuori da quella situazione di merda prima che finisse inevitabilmente con il degenerare.
Tornai a guardare Flame, che camminava avanti e indietro davanti all'ingresso del locale come una tigre in gabbia.
- Non possiamo semplicemente entrare, prendere tuo padre e gli altri e portarli via così. –
Smise di camminare e inarcò un sopracciglio in tono di sfida.
- Ah, no? Sta a vedere! –
Scattò verso l'ingresso, spalancando la porta a vetri prima ancora che avessi anche soltanto il tempo di imprecare.
Sparì dentro al locale, non lasciandomi altra scelta se non quella di seguirla.
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