Eric
Sapevo riconoscere una sfida quando ne vedevo una e quella di Flame lo era in pieno. Credeva davvero che non avrei ingaggiato una lotta per il controllo del cellulare?
Mi sottovalutava.
Mi avvicinai lentamente al bordo del letto, studiando i suoi movimenti nella speranza di riuscire a intercettarla e sottrarle quel diabolico strumento che continuava a far trillare gioiosamente la voce di Elsa.
- Blaze e Raphael sanno di questa tua ossessione per i cartoni Disney? –
- Certo che no, ho una reputazione da difendere al di fuori di queste quattro mura. –
L'implicazione di quella frase si dipanò rapidamente nella mia mente. Se nemmeno loro due, i suoi migliori amici, erano a conoscenza di quel suo imbarazzante passatempo allora forse potevo ancora spuntarla.
- Quindi stai dicendo che ne siamo a conoscenza solo tu ed io? –
- E mio padre ... forse anche lo zio Dimitri – replicò cautamente, studiando la mia espressione con circospezione.
Doveva aver intuito che non c'era nulla di rassicurante nella direzione che aveva preso quella conversazione.
Le rivolsi un sorrisetto sghembo.
- Molto interessante ... -
Sgranò gli occhi, puntandomi contro un dito nello stesso modo in cui chiunque altro avrebbe estratto un'arma.
- Non oseresti mai. –
- Oh, oserei eccome e tu lo sai. –
Rimanemmo a fissarci per quelli che parvero secondi interminabili finchè, con uno sbuffo e un lieve broncio, Flame terminò la riproduzione. Doveva aver deciso di non venire a vedere il mio bluff.
- Sei un prepotente. –
- Non sono un prepotente -, protestai indignato, - ho solo gusti musicali migliori dei tuoi. –
- Punto primo -, si puntellò sulle ginocchia in modo tale da poter essere alla mia stessa altezza, - tu sei prepotente. Punto secondo, i tuoi gusti musicali non sono migliori dei miei. Punto terzo ... –
S'interruppe, sbattendo le lunghe ciglia con aria confusa mentre indietreggiava per mettere maggior distanza tra noi. Fu allora che mi resi conto di quanto mi fossi sporto verso di lei durante il nostro duello verbale. L'avevo fatto in modo del tutto involontario, ma quell'incertezza che avevo scorto in lei lasciava uno spiraglio aperto. Se fossi stato una persona migliore probabilmente avrei smesso d'incalzarla in quel modo e sarei tornato al piano inferiore ad aspettare il ragazzo della pizza, ma non lo ero. Continuai a sporgermi verso di lei, toccando il bordo del materasso con il ginocchio, e le sorrisi sornione.
- Punto terzo? –
Gli occhi erano leggermente sgranati e l'espressione confusa aveva lasciato il posto a una in evidente stato d'attesa. Si stava chiedendo dove avessi intenzione di andare a parare ora che avevo ottenuto ciò che volevo.
- Cosa? –
- Hai detto che c'era un terzo punto alla lunga lista dei miei crimini -, le ricordai continuando a sorridere, - ma non sono ancora riuscito a capire quale sia. Ti dispiacerebbe dirmelo? –
- Io ... -
- Sì? –
- Credo di averlo dimenticato – ammise, giocherellando nervosamente con il bordo di una delle maniche dell'accappatoio.
- Peccato, ero davvero curioso di scoprire quale fosse. –
- Se dovesse tornarmi in mente sarai il primo a saperlo – assicurò.
Allungai una mano ad allontanare una ciocca bruna che svolazzava tra di noi, resa elettrostatica dallo sfregamento sull'accappatoio, e nel farlo le sfiorai la guancia con la punta dei polpastrelli. Con i suoi occhi puntati nei miei indugiai sul profilo della mandibola e le sfiorai quella sottile porzione di collo subito all'attaccatura del lobo destro.
Aveva ancora la pelle più morbida che avessi mai toccato, considerai sforzandomi d'ignorare il mio corpo che urlava di chinarmi verso di lei e annullare quei pochi centimetri di distanza in ogni modo possibile.
- Ci conto. –
Flame socchiuse appena gli occhi, più rilassata di quanto fosse mai stata nell'ultimo periodo che avevamo trascorso insieme, e schiuse le labbra probabilmente per dire qualcosa.
Un trillo in lontananza la fece tornare in sé. Inclinò il capo verso la porta, la voce leggermente roca: - Credo che sia arrivata la pizza. –
Giusto.
Avevo completamente perso il senso del tempo, e a dirla tutta anche la fame, ma quel campanello insistente ci aveva riportati alla realtà e ora che il momento era stato interrotto non c'era verso di riprendere il discorso verso il quale ci stavamo dirigendo poco prima.
- Già, sembrerebbe proprio di sì. –
Accennò all'accappatoio che le lasciava scoperte le lunghe gambe toniche e sotto al quale ero dolorosamente consapevole che non indossasse nulla.
- Non credo di essere nella situazione migliore per aprire la porta –, rise, - vai tu? –
Dovevo uscire di lì prima che anche l'ultimo neurone funzionante decidesse di disconnettersi e mi spingesse a fare qualcosa che avrebbe inevitabilmente fatto degenerare la situazione. Afferrai la banconota da cinquanta che mi porgeva e mi allontanai dal letto.
- Certo, ti aspetto di sotto. –
Uscii richiudendomi la porta alle spalle e solo allora mi concessi di prendere un paio di respiri profondi. Avevo creduto che starle lontano nei mesi passati fosse la peggiore delle torture a cui avrei potuto sottopormi volontariamente, ma a quanto sembrava starle vicino e non poter fare quello che avrei voluto più di ogni altra cosa era ancora peggio.
Mi passai una mano sul viso mentre scendevo i gradini.
Dovevo essere stato proprio un grandissimo stronzo nella mia vita precedente e il karma mi stava facendo scontare tutte le mie colpe una a una.
Feci entrare il ragazzo delle consegne, un tipo allampanato dai capelli rossi e l'aria imbarazzata di chi aveva capito di aver interrotto qualcosa.
Mi porse la ricevuta del pagamento, aprendosi in un sorriso quando vide Flame comparire alle mie spalle. Aveva indossato un paio di leggins e una felpa con la zip, il volto ancora leggermente rosato.
- Ciao Ronnie -, lo salutò allegramente, - lavori anche questa sera? –
Il rosso annuì.
- Sto cercando di mettere da parte un po' di soldi per il campo scientifico. Nate ha deciso di andarci alla fine? –
- Credo di sì, l'ho sentito discuterne un bel po' con la zia qualche giorno fa -, si voltò verso di me a mo' di spiegazione, - Ronnie è nello stesso anno di Nate. –
Fu il mio turno di annuire prima di porgergli la mano.
- Piacere di conoscerti, Ronnie ... io sono Eric. –
Dal modo in cui mi fissò era evidente che Nate doveva avergli già parlato di me.
- Vi lascio mangiare le pizze prima che si freddino – mormorò, trascinando nervosamente un piede contro il pavimento.
- Molto gentile. –
Quando uscì di casa e la porta fu saldamente chiusa alle sue spalle Flame mi rifilò un pestone.
- Ahia, e questo per cos'era? –
- Hai terrorizzato quel ragazzino – mi redarguì.
- No che non l'ho terrorizzato. –
Flame mise le mani sui fianchi e mi seguì verso la cucina.
- Ti dico di sì, l'hai guardato tutto il tempo con quello sguardo. –
- Quale sguardo? Non ho idea di cosa tu stia parlando. –
E non ce l'avevo sul serio.
Per quanto possibile avevo cercato di essere cordiale, o quantomeno di non spaventarlo, ma a sentire lei sembrava avessi fallito miseramente.
- Quello sguardo che fa chiedere alle persone se tu non sia per caso un serial killer – chiarì.
- Ho cercato di essere cortese -, replicai con uno sbuffo, - ho fatto del mio meglio. –
- Fantastico -, ironizzò, - allora avrai un futuro come il più amichevole degli psicopatici. Vuoi che lo faccia incidere sulla tua lapide? Qualcosa del genere ... qui giace Eric Murter, il più educato degli psicopatici. Era un caro ragazzo, salutava sempre. –
Avrei voluto mantenere il punto e fingermi persino indignato, ma sembrava che quella sera tutto fosse tornato esattamente come un anno fa e la risata scaturì liberamente dalla mia gola.
- Non ti stanchi mai di fare la melodrammatica, vero? –
- Mai -, asserì prendendo posto sul divano e aprendo la scatola di cartone, - e ti assicuro che se provi a rubarmi la fetta con il carciofino subirai tutta la mia ira. –
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