Sono le quattro
Marta è una bellissima ragazza dai lunghi capelli rossi che per quella sera ha messo in piega mossi, una spessa riga di eyeliner sugli occhi, le ciglia finte e il rossetto nude.
Accoglie Manuel alla mostra d'arte moderna che ha organizzato con un gran sorriso e tanta cordialità, sebbene lui si presenti in ritardo di trenta minuti, dando la colpa al traffico. Gli sta addosso per le due ore successive, raccontandogli della sua vita: gli studi, la casa, l'ultima relazione naufragata per motivi stupidi e la smaniosa voglia di intraprendere una relazione stabile.
Insomma, ha l'impressione di essere una con ben in mente ciò che vuole e a Manuel tutta quella sicurezza fa girare la testa: lui non sa che farà domani, se qualcuno lo chiamerà per assumerlo dopo uno dei mille colloqui fatti e se ne sarà felice o ricadrà in un baratro di monotonia che gli farà odiare ogni giorno la propria vita.
Forse la invidia.
Invidia chi ha un obiettivo, uno scopo e non si limita a brancolare nel buio aspettando l'alba in un emisfero dove tarda sempre ad arrivare.
Sono passate le dieci da poco.
Marta ha invitato Manuel a bere qualcosa in un pub vicino al luogo dove si è tenuto l'evento.
Sono seduti ad un tavolo nel dehor e il locale sta cominciando a riempirsi.
Continua a ciarlare, finché non esordisce: «Beh, ma ti ho stordito per tutta la sera, basta parlare di me. Tu che mi dici?»
La fatidica domanda, quella che gli fa venire voglia di scavare una fossa e buttarsi dentro.
Manuel beve un grosso sorso di birra, tale da rischiare di soffocare.
"A novembre faccio trent'anni, mi hanno licenziato qualche mese fa e non trovo uno straccio di lavoro che neppure voglio, la mia ex vuole svenarmi e lasciarmi in mutande e sono tornato a vivere da mia madre con il suo figliastro che vorrei portarmi a letto, ma non posso per leggi morali."
Questa sarebbe la risposta più corretta. Invece «Nulla di che, sto facendo dei colloqui per un nuovo lavoro, quello vecchio non mi dava abbastanza stimoli.»
In quel frangente è persino bravo a mentire, si sorprende di sé stesso.
Marta accenna una risata e allunga una mano sul tavolo con disinvoltura per sfiorare quella del ragazzo. «È sempre un bene rinnovarsi, a qualunque età.»
Manuel non apprezza troppo l'ultima precisazione, eppure sforza un sorriso. Dal lieve tocco che lei gli dona, si aspetta qualcosa — un brivido, una scossa. Di solito accade quando è con qualcuno che gli piace: gli è successo con Nina, persino con gli uomini incontrati su Grindr.
Tuttavia, per quanto reputi Marta carina sebbene non il suo tipo, non sente assolutamente nulla, nemmeno sforzandosi.
Non ha provato niente per tutta la sera, a dire il vero, e si è piuttosto annoiato — non per colpa di lei, insomma, ribadisce che è bella, che potrebbe pure piacergli, col tempo.
Eppure, calma piatta.
Perché ha ragione Simone, ancora una volta.
Quel maledetto.
«Sì, uhm» si stringe nelle spalle. La sua birra è ancora a metà. «Ora mi sa che vado, si è fatto un po' tardi.»
Marta ridacchia. «Ma sono appena le dieci!»
«Lo so, ma... mia madre mi ha chiesto di, uhm, tenere d'occhio il figlio del compagno e quindi...»
Grande scusa.
«Chi? Simone?»
«Eh.»
«Ha diciotto anni, non ha certo bisogno di una balia!» allunga una mano ancora una volta, a sfiorargli il braccio.
Touchè.
Di nuovo, Manuel non prova alcun brivido. «Certo, però mia madre sarebbe più tranquilla, gliel'ho promesso.»
«Manda un messaggio al ragazzino ed è come se l'avessi tenuto d'occhio.»
«Mhm, non è proprio uguale. Ti ringrazio, davvero.»
Nonostante Marta cerchi di trattenerlo, lui si divincola e congeda, dicendo: «Pago io dentro, eh!»
La vede la delusione nei suoi occhi, però la sente lo stesso aggiungere: «Beh, ci sentiamo magari per una prossima volta.»
Non la vuole una prossima volta.
Paga il conto alla cassa, 18 euro per due birre, ma che sono d'oro?!
Poi fugge in auto, direzione casa.
Quando giunge alla Villa, si aspetta tranquillità, forse qualche battuta spinta o meno da parte di Simone.
Di certo, non si aspetta quello: la musica alta, le luci stroboscopiche — da dove vengono?! — il casino, gli schiamazzi.
Dopo aver parcheggiato l'Audi, a questo punto sperando di trovarla allo stesso posto la mattina successiva, si fa strada tra la moltitudine di adolescenti che hanno invaso la parte esterna dell'abitazione. Purtroppo per lui, scorge pure qualcuno che rimette in un angolo, coppie intente a baciarsi con foga e... un disastro, per davvero.
Immagina già la faccia che potrebbe fare Anita a vedere il suo amatissimo giardino ridotto in quel modo e ora ha il terrore possa prendersela con lui, considerando che era la persona adulta e responsabile designata a tener d'occhio il piccolo di casa.
Nessuno lo ha avvisato del fatto che il piccolo di casa fosse capace di qualcosa del genere, anche se avrebbe dovuto metterlo in conto.
Quando hai diciotto anni e ti dicono di non fare qualcosa, di solito è la prima cosa che, in effetti, fai.
Comincia a cercarlo, facendosi spazio tra persone che non conosce e che gli intralciano il cammino con i loro corpi sudati, l'odore di vodka alla pesca e ulteriori urla. Ad un tratto, si rende conto che uno di loro lo saluta pure — è quel Giulio di qualche sera fa, quando hanno giocato a hai mai in salotto.
Replica con un cenno del capo, prima che questo si chini per vomitare.
Manuel inorridisce e, se è possibile, è addirittura più infuriato.
Si mette alla ricerca di Simone, con tutta l'intenzione di... rimproverarlo?
Si, con alta probabilità.
Deve sgridarlo e non nel modo che vorrebbe l'altro.
E lui.
Basta.
Alza gli occhi al cielo un'infinità di volte. Non ha alcuna intenzione di pulire quel macello e ignora quanto più possibile ogni cosa fuori posto che nota.
Che poi, anche lui da ragazzino organizzava feste, ma aveva quantomeno la decenza di farlo in luoghi neutri e con criterio.
Beh, oddio, forse non aveva tutto questo criterio e...
Lasciamo perdere.
Da adulto si ha una diversa concezione delle cose.
Dio, è davvero vecchio.
Sguscia ancora tra corpi sudati e odori ben peggiori. Si ferma quando è nella parte posteriore della Villa, laddove c'è una piscina abbastanza grande e tenuta con una cura maniacale da parte di Dante, il quale di sicuro impazzirebbe a vedere dentro l'acqua decine di adolescenti che si schizzano, che lottano e che rovinano ogni suo sforzo. Insomma, a lui ha vietato di fare il bagno per non sporcare.
La musica è alta. Non ha idea da dove provengano le casse che fanno rimbombare le note e vibrare i vetri dell'abitazione.
Si guarda intorno, ispeziona il luogo.
Trova colui che stava cercando dalla parte opposta dello specchio d'acqua confuso: sta ballando a ritmo di una canzone pop-rock in mezzo a compagni di scuola, stretto a Laura, cingendole i fianchi e passandole le mani ovunque.
Storce il naso a pensare che è la stessa persona che usa Grindr e quelle mani toccano uomini perfetti sconosciuti, magari dentro ad una macchina nel parcheggio di un supermercato o in collina.
Non che lui abbia fatto qualcosa di diverso, ma perlomeno non ha mai preso in giro Nina — semmai è stato il contrario.
Ha tutta l'intenzione di raggiungerlo a grandi falcate, dargli una strigliata e, a tal punto, davvero potrebbe mettersi sulla testa la corona di vecchio guastafeste.
Tuttavia, quando è in procinto di farlo, incrocia il suo sguardo mentre il brano in inglese ancora risuona.
Seeing you tonight?
It's a bad idea, right?
Sono divisi da schizzi d'acqua e urla che Manuel smette di sentire nel momento esatto in cui Simone bacia con foga Laura, inserisce la lingua, infila le dita tra i suoi capelli biondi, ma fissa lui, incatena i suoi occhi ai propri.
Un grido muto che recita "guardami, pensa se potessi farlo a te".
It's a bad idea, right?
Manuel pensa che vorrebbe morire poiché è sufficiente quel gesto a far ribollire qualcosa nel suo stomaco, a fargli provare quel brivido lungo la schiena che durante le ore trascorse con Marta è completamente scomparso — ed è assurdo, considerando che Simone neppure lo sta toccando.
No, lui lo sta soltanto guardando, intanto che bacia e tocca un'altra persona e l'effetto è devastante.
Assurdo quanto un solo paio di occhi possano provocare.
Eccitazione, palpitazioni, vampate di caldo.
Rimane fermo, immobile, imbambolato, non riuscendo a muovere un millimetro del proprio corpo e trattenendo il respiro. Va in apnea.
Sogna quel tocco un po' rude su di sé ed è subito vivida nella testa l'immagine di Simone che lo accarezza, che gli lecca le labbra, che lo spoglia e gli crolla in ginocchio davanti, a fare cose immorali.
Continua a guardarlo, immerso in quel bacio sempre più profondo e i loro occhi non osano staccarsi o respingersi. Avviene tutto a rallentatore, come se il tempo si fosse fermato in qualche modo.
Ogni sensazione che Manuel prova è strana e amplificata: senza ossigeno, la pancia che gli formicola, il cuore che scalpita, il desiderio che ha di quel ragazzino che si fa incontrollabile al cospetto di tale provocazione.
Il mondo torna a girare più veloce quando la canzone finisce e ne inizia una differente, più elettronica e priva di parole. Simone si stacca da Laura e le sorride, le persone intorno a loro acclamano il nuovo brano.
È allora che Manuel sbatte rapidamente le palpebre per riprendere un minimo di contatto con la realtà e si convince a fare il giro della piscina e raggiungerlo.
Laura è la prima a salutarlo. Gli sorride e «Oh, ciao, ci sei anche tu!», mentre Simone gli riserva un cenno col capo e chiede: «Già finito il tuo appuntamento?»
Vorrebbe esplodere. «Che stai a fa'?» dice e deve alzare la voce per farsi sentire sopra la musica.
L'altro ragazzo strabuzza gli occhi, si guarda intorno a sottolineare l'ovvietà della situazione. «È una festa» esclama «non si vede?»
Esasperato, Manuel lo afferra per un braccio e lo trascina qualche metro più lontano dalla calca di gente ammassata a bordo piscina – non troppo, il casino c'è ancora.
«C'è gente che vomita in ogni angolo!» tuona «E ho visto solo fuori, non immagino dentro.»
Simone alza gli occhi al cielo, pare infastidito. «Quindi?»
«Quindi, quando tornano mi' madre e tuo padre, me fanno il culo.»
«A parte che la festa l'ho organizzata io» puntualizza «se c'hai così tanta paura, stai pure calmo! L'ho fatto altre volte, poi sistemo tutto. Non si sono mai accorti di niente.»
«Non è questo il punto! Ti avevano detto niente feste e hanno chiesto a me di controllarti e...»
«E io ti ripeto di stare calmo. Prenditi una birra, rilassati, goditi un po' la vita.»
A Manuel trema la palpebra: per la sua strafottenza, per il sorriso che gli vede stampato in faccia, per quella leggerezza che lui ormai ha dimenticato. Prova a ribattere, a dire qualcosa – qualunque cosa – ma nulla gli viene fuori di bocca.
Si sente disarmato, impotente, con la casa affollata da ragazzini che detesta e invidia al contempo per una serie infinita di motivi.
Avanza con l'intento di raggiungere di nuovo Simone che si è allontanato e continuare quella ramanzina priva di senso. Poi, però, si accorge che lo ha perso di vista e che il proprio corpo ancora trema perché lo ha guardato e lo ha trovato bello quella sera, sensuale, e quella attrazione che tenta di negare con tutte le forze sta scalpitando e, suo malgrado, vincendo.
Percorre la strada di poco prima a ritroso. Stavolta è Aureliano a salutarlo e pare il più sobrio di tutti.
Sbuffando, Manuel si reca dentro casa, dove la situazione è peggiore di quanto pensasse, ma prova a ignorare ogni cosa e raggiunge il piano superiore. Lì, dalla sua camera deve cacciare una coppia in procinto di spogliarsi — e farlo sul suo letto?! Si sente improvvisamente catapultato in una commedia americana di basso livello.
Per sua fortuna, i due gli obbediscono abbastanza in fretta e lui può chiudere la porta a chiave con due giri nella toppa. Come ovvio, la musica arriva ben chiara nella stanza e fa addirittura vibrare i vetri.
È costretto a mettersi le cuffie con la sua classica playlist sparata nelle orecchie per non sentire più nulla.
Per davvero, più nulla.
Non riesce a prendere sonno, per ovvietà di cose.
Sono circa le quattro di notte quando chiude Spotify e si accorge che intorno c'è silenzio.
Esce dalla propria stanza con lentezza. Si è levato di fretta gli abiti usati per il suo appuntamento, sostituendoli con un paio di pantaloni di tuta bordeaux e una t-shirt bianca.
Ispeziona il corridoio immerso nell'ombra. L'unico spiraglio di luce proviene da sotto la porta della camera accanto.
Striscia i piedi fino a quel punto e batte un pugno sull'anta di legno — giusto per educazione.
Simone gli apre poco dopo: ha i capelli arruffati, in disordine, la camicia azzurra appena sbottonata che lascia intravedere il petto glabro al di sotto. «Che c'è?»
Manuel pianta le mani sui propri fianchi, cerca di essere il più serio e autoritario possibile. «Hai messo a posto?»
L'altro sospira. «No,» replica «è tardissimo, lo faccio domani.»
«Lasci tutto quel casino di sotto fino a domani?!»
«Tecnicamente, domani è già oggi, quindi lascio casino solo per qualche ora.»
«Non esiste, devi farlo adesso!»
Non ha alcuna intenzione di dargliela vinta, infatti la sua espressione si corruccia in una smorfia e «Ho sonno» si giustifica «ti assicuro che entro mezzogiorno brilla tutto senza che ti venga un infarto.»
Scrolla le spalle e si allontana dalla soglia alla ricerca del pigiama o qualcosa da utilizzare come tale, intanto procede a slacciare i restanti bottoni della camicia.
Manuel resta immobile, a fissare la sua schiena e il modo in cui il cotone gli fascia i muscoli sottili — sì, perché Simone non ha quei muscoli importanti e possenti, è soltanto tonico, bilanciato e... oddio, ma che sta dicendo?
Finge un colpo di tosse per distrarsi da quei pensieri immorali e la frase che lo sente dire di sicuro agevola: «Il tuo appuntamento è andato così male?»
Schiocca la lingua sul palato. «Non è andato male, è stata una piacevole serata» mente.
«Ma se sei tornato che non erano nemmeno le undici!»
«Che c'entra? Eravamo insieme dalle sette.»
«Ti sei messo un cronometro?» Simone lo prende in giro e sghignazza. La sua camicia è completamente aperta e lascia intravedere la sua pelle diafana sotto. Si ferma davanti al comó con sei cassetti, uno dei quali provvede ad aprire.
«No!» ci tiene a puntualizzare Manuel.
Sì, in realtà lo ha fatto. «Comunque, non cambiare discorso! Hai organizzato una festa quando non potevi.»
«Mi annoiavo» è la pronta giustificazione – ne ha sempre una. «Vedi, se tu fossi rimasto, ti saresti uno, evitato un appuntamento trita-palle, due, evitato che io organizzassi una festa perché mi annoiavo, tre... beh, non mi sarei annoiato e tu non ti saresti annoiato di conseguenza perché saremmo nudi da qualche parte da ore, tu ed io.»
Manuel incassa il colpo e trattiene il respiro. Stringe i pugni lungo i fianchi, intanto che, come fin troppo spesso accade, uno strano formicolio lo attanaglia e un brivido corre lungo la sua spina dorsale.
«L'unica persona con cui dovresti stare nudo è la tua ragazza» specifica «e non—dovresti baciarla mentre guardi qualcun altro.»
Simone assottiglia lo sguardo e, in maniera estremamente lenta, striscia i piedi nudi sul pavimento per ridurre la distanza che li separa a pochi centimetri. Inclina il capo su di un lato. «Allora te ne sei accorto» soffia.
«Seh» replica Manuel, secco. Vorrebbe compiere un passo indietro, ma è inchiodato, non in grado di muovere un singolo muscolo. Sta annaspando.
«E che effetto ti ha fatto?»
Sbuffa una risata un po' isterica. «Nessuno» afferma e non sa come riesce a sostenere il suo sguardo.
«Bugiardo.»
«Sto a dì la verità.»
«Stai continuando a negare l'evidenza. Perché?»
Perché?
La lista dei motivi è infinita.
Simone ha diciotto anni.
Simone è il figlio di Dante, compagno di vita e marito della madre.
A Simone faceva da babysitter.
Sgridava Simone quando faceva chiasso in casa e lui era con una ragazza.
Aiutava Simone a fare i compiti alle elementari, a volte.
Questi potrebbero bastare, ma è abbastanza certo che se ci ragionasse su, ne verrebbero fuori ulteriori mille.
«Domani voglio tutto pulito» taglia corto «di sotto, in giardino, ovunque.»
L'altro lo fissa ancora. Vorrebbe una risposta ben diversa, glielo si legge in faccia. Alla fine, però, appurando che non l'avrà e che è tardi, sospira e indietreggia. «Agli ordini» attesta. Torna vicino ai cassetti, a frugare dentro al primo di essi, cercando quella maglietta bianca che sembra dispersa. «Chiudi la porta quando esci.»
Manuel esita per una frazione di secondo. La sua mente è consapevole del fatto che dovrebbe andarsene subito, ora, che i contro che ha elencato sono parecchi, violerebbe qualunque legge morale se solo cedesse.
Oltretutto, la voce della propria coscienza, che come sempre assomiglia a quella di Chicca, lo sta rimproverando per quanto è debole — insomma, tre settimane di resistenza? Complimenti!
No, non può farlo.
«Buonanotte» dice, anche se è quasi mattina.
Abbandona la stanza con uno strano fastidio al petto, un differente brivido lungo la schiena.
Serra l'anta alle proprie spalle. Resta fermo in un corridoio buio.
C'è una parte di lui che è meno razionale, che si basa sull'istinto. È da anni che la tiene a bada, nascosta, sotto un controllo maniacale, estenuante, delle catene che gli hanno impedito di fare qualunque cosa volesse.
Spunta solo in rare occasioni, dura poco poiché è sempre pronto a reprimerla — e se non ne è l'artefice, magari Nina ci metteva del suo.
Solo che adesso Nina non c'è.
Solo che sono le quattro di notte ed essere razionale non rientra nelle priorità.
Forse trattenersi fino ad esplodere sarebbe deleterio.
Forse deleterio sarebbe cedere.
Che penserebbe mia madre?
Dante mi ucciderebbe.
Chicca mi rimprovererebbe.
Solo che nessuno di loro è lì e sono le quattro di notte e lui ha improvvisamente il fiatone.
Stringe i pugni lungo i fianchi, compie un passo in avanti, due indietro, poi tre, poi bussa alla porta.
L'anta viene aperta poco dopo. Simone non si è ancora cambiato e sbuffa. «Che c'è ancora?»
C'è Manuel che pensa che sono le quattro di notte e, forse, la legge morale non è valida, pertanto si fionda su di lui e cede ad ogni istinto represso per settimane.
Lo bacia con una foga che non ha mai avuto con nessuno, tanto che l'altro rischia di cadere a terra a causa dell'impeto usato e, in un primo momento, tiene le mani a mezz'aria, non sapendo dove metterle.
Non occorre ci rifletta troppo poiché Manuel lo spinge contro la parete, afferra i suoi polsi e li glieli blocca ai lati della testa.
Simone sorride nei pochi frammenti di tempo in cui riesce a riprendere fiato e non avere la bocca dell'altro premuta sulla propria. «F-finalmente» bofonchia – e Manuel si sposta, comincia a torturargli il collo e la porzione di pelle sopra alla clavicola – «Visto che–che avevo ragione?»
Manuel indugia qualche secondo su di un punto: succhia, lecca, morde, con molta probabilità lascerà un segno rosso. Si stacca solo per sollevare il capo e sibilare nel suo orecchio: «Mo' te stai zitto.»
Il sorriso sul volto di Simone si amplia e una maschera di beatitudine, mista a soddisfazione, marca i suoi tratti. Lo guarda di sottecchi. «Mi fai stare zitto?» provoca.
Se di norma non ottiene le reazioni sperate, in tale occasione accade esattamente ciò che desidera: lo decifra nel suo sguardo, dalla ruga sottile che gli appare sulla fronte.
Manuel gli libera un polso così da poter condurre una mano sotto al suo mento che stringe in una morsa, forte, strappandogli un lieve gemito. Beandosi di quel suono che ha provato a immaginare mille volte, gli passa il pollice sul labbro inferiore con irruenza, la stessa che usa quando lo spinge dentro alla sua bocca. Lo scruta intanto che l'altro inizia a succhiare piano la falange.
I loro occhi si incontrano come se non potessero fare a meno di attirarsi ed è accaduto anche in precedenza, un richiamo silenzioso di due corpi che non riescono a stare lontani.
Manuel è ammaliato da una simile visione, tanto da perdersi a fissarla quasi si trovasse davanti ad un'opera d'arte; è davvero meglio di tutti quei sogni che ha fatto e non si capacita di essere riuscito a resistere ad ogni impulso quando l'attrazione per lui era così tanta ed evidente.
Lo libera dalla trappola in cui lo ha costretto con uno scatto, ma è subito pronto ad assalirlo con un rinnovato bacio sulla bocca ove inserisce avidamente la lingua. Se lo tira addosso, lo sposta di qualche centimetro. Infila le mani oltre il tessuto leggero della sua camicia sbottonata. Va a toccare il petto che ha bramato tanto, gli addominali, passa i polpastrelli sulla scia di peli che dall'ombelico scende verso il pube; si ferma sull'elastico dei pantaloni.
Simone si compiace del suo tocco. Pensa che sta vincendo — ancora, e continua a farlo. Appoggia i palmi sulle sue spalle e gli morde il labbro inferiore con ferocia. Si bea del gemito che ode ed è soltanto l'inizio.
Ribalta con uno scatto le posizioni e Manuel si sorprende e sussulta quando è lui a sbattere con la schiena contro il muro, eppure avrebbe dovuto mettere in conto che il ragazzino non sarebbe stato docile in quella circostanza, considerando com'è fuori, ciò che gli dice, ciò che fa.
Boccheggia per lo stupore e cattura il suo sguardo languido mentre un diverso spettacolo è in procinto di andare in scena – ringrazia di avere una parete dietro a sostenerlo e non farlo cadere: può assistere a Simone che, non perdendo il contatto visivo, si inginocchia con una lentezza disarmante, in un muto grido che implora continua a fissarmi, per favore.
Così Manuel fa: lo scruta, analizza ogni suo minuscolo gesto, ammaliato, stregato, bramante di ciò che sta per svolgersi.
Desiderio e fascino lo avvolgono, l'avidità che ha di quel corpo candido e, al contempo, peccaminoso.
Pianta gli incisivi nel labbro inferiore quando, con un singolo movimento, Simone gli tira giù, insieme, i pantaloni e i boxer in cotone, scoprendo il proprio membro già turgido per l'eccitazione divampante.
Un sorriso si delinea sul volto del più piccolo. «Ti faccio tutto questo effetto?» gracchia.
Manuel vorrebbe rispondere e intimargli ancora di stare zitto. Tuttavia, a parole non esterna nulla, piuttosto allunga una mano, impiglia le dita tra i suoi capelli e tira le ciocche a livello della nuca. Lo fa con un mite strattone, sufficiente, però, a strappargli un mugolio di piacere.
Con suddetta tacita azione gli fa capire quello che vuole.
Simone lo avrebbe compreso in ogni caso. Schiude le labbra sulla punta dell'erezione che mantiene saldamente dalla base; succhia piano – molto piano – con l'intento di una docile tortura.
Ma a Manuel quella pigrizia non calza bene al momento poiché dentro sta bruciando e ha bisogno che sia di più, di più, di più.
Incontrollato, dà una spinta con i fianchi, un movimento deciso per sospingersi di più dentro la bocca dell'altro ragazzo, che quasi rischia di soffocare.
Quest'ultimo tira indietro il capo. Un rivolo di saliva gli scivola lungo il mento, ma non si premura di asciugarlo. Massaggia con le dita il membro turgido e ne lecca il glande. «Mi piacciono gli impazienti» soffia.
Manuel soffoca una risata e socchiude gli occhi. «Non t'avevo detto di stare zitto?»
«E io ho detto di farmi stare zitto.»
Terribile, sfacciato, lo farà impazzire.
Corretto: lo ha già fatto.
Non si è mai sentito così attratto da qualcuno a livello fisico tanto che il suo intero corpo freme, trema, ribolle.
Maledetto ragazzino.
Un sonoro sbuffo riecheggia nella stanza.
Lo agguanta una seconda volta per il polso per costringerlo a rimettersi in piedi. Ritrova le sue labbra in un bacio più impetuoso. Lo cinge per i fianchi con entrambe le mani e scalcia via pantaloni e boxer per non rischiare di inciampare.
Inizia a spingerlo finché non raggiungono il letto. Prima che Simone ci cada sopra, Manuel gli fa compiere mezzo giro su sé stesso e preme il proprio petto contro la sua schiena.
Da quella posizione, è in grado di togliergli la camicia e abbandonarla sul pavimento. Poi mordicchia il suo collo, stuzzica la pelle con i denti.
Lo spoglia, si spoglia.
I loro ultimi indumenti cadono a terra in disordine.
Posa un palmo sul suo addome, mentre con l'altra mano gli sposta il capo su di un lato per avere più accesso all'incavo.
Qualche segno addosso glielo ha già lasciato e comincia a intravedersi.
Simone è bloccato. Ogni movimento gli è impedito da Manuel che lo imprigiona in una morsa piacevole e il letto davanti a lui che non gli fa compiere mezzo passo.
Tanto, comunque, da lì non vorrebbe spostarsi.
Fa calare le palpebre, si gode a pieno quel tocco e soprattutto l'erezione dell'altro che continua a premere sul proprio coccige — e la certezza che ne è l'artefice lo eccita alquanto.
Quando riapre gli occhi, qualche istante dopo, la sua vista è un po' offuscata e sente la testa d'improvviso leggera. Ode la voce del più grande che sibila nel proprio orecchio «Li hai?», senza specificare cosa.
Afferra lo stesso il fulcro del quesito e annuisce. «Nel cassetto, lì.»
Una parte di Manuel si chiede con quale incoscienza Simone tenga un'intera scatola di preservativi – formato convenienza, tra parentesi – nel primo cassetto del comodino, dove sarebbe facile trovarli, Anita ci impiegherebbe un attimo.
Al momento non gli importa, anzi, è grato di averne così tanti.
Ne raccatta uno alla rinfusa, il più in fretta possibile. L'eccitazione ha cominciato persino a fargli male tanto è la necessità di essere soddisfatta. È frenetico il modo in cui apre l'involucro di plastica blu.
Nel breve intervallo di tempo nel quale Simone è libero, sale sul materasso, tra lenzuola sgualcite, a carponi, in attesa. Gira di poco il capo giusto per controllare le mosse dell'altro. Lo vede tornare al punto di partenza con frenesia e l'ennesimo sorriso soddisfatto gli disegna le labbra.
Mentre srotola il profilattico sul proprio membro turgido, senza il bisogno di rinvigorirlo, per una frazione di secondo Manuel pensa che dovrebbe fermarsi, che una volta che andrà a fondo a quella faccenda, non potrà più tornare indietro. La parte più razionale di lui che ha guidato la sua vita negli ultimi dieci anni lo fa indugiare, seppur davanti alla visione del suo desiderio lì, pronto sul letto, che lo aspetta.
«Ti muovi?»
La voce di Simone lo distoglie dalle congetture che articola la sua testa.
Ormai sei già oltre.
Lascia vincere l'istinto e la voglia irrefrenabile.
Torna dietro all'altro ragazzo, si inumidisce due dita con la saliva e porta una mano tra le sue gambe. Va ad accarezzare con delicatezza il suo sensibile anello di muscoli, lo massaggia per farlo rilassare e lo prepara, seppur blandamente.
Nessuno glielo ha insegnato, a dire il vero, come funziona il sesso tra due uomini.
Ha sempre fatto le cose di fretta, in auto, con degli sconosciuti, ha imparato con le modalità sbagliate, di sicuro.
Un po' di esperienza ce l'ha, ma non troppa.
Quindi, con molta probabilità quando lo penetra è troppo presto. Se ne accorge dal grido che Simone non trattiene e da come si sente compresso dentro di lui. Esita prima di iniziare a muovere i fianchi, per lasciarlo abituare alla propria presenza, il che accade più o meno quaranta secondi dopo. Attende un suo muto consenso prima di cominciare a muoversi in maniera cadenzata, rilasciando uno sbuffo.
Fare sesso con Simone è decisamente meglio di tutte le volte in cui lo ha sognato: è appagante, travolgente, i suoi gemiti lo inebriano e sono una dolce melodia.
La sua pelle è calda e si perde nell'accarezzare la schiena, passa tre dita sulla sua spina dorsale e si ferma quando può toccare una natica e stringerla, lasciando cinque segni leggermente rossi.
Ad un tratto, nota che l'altro sta cercando di toccarsi e allora intercetta la sua mano, glielo impedisce. Si china in avanti e gli blocca il braccio, facendogli premere il palmo sul lenzuolo.
Simone mugola, infastidito.
«Vieni dopo» sentenzia Manuel e gli mordicchia il lobo. Continua a imprimere spinte con i fianchi, ad affondare dentro di lui e percepisce l'orgasmo avvicinarsi sempre più.
Da tale posizione, riesce a depositare un bacio tra le scapole, sostituito ben presto da un leggero morso sulla spalla.
Raggiunge il culmine del piacere in quell'istante, soffocando un urlo sulla sua pelle. Le gambe gli tremano e crolla in avanti, rischiando di gravargli con il proprio peso addosso. Se ne accorge nell'immediato e, appena acquisito un briciolo di lucidità, scivola su di un lato, finendo sdraiato sul fianco sul letto.
Cerca di riprendere fiato. Ha la fronte imperlata di sudore. Percepisce il tocco di Simone su un braccio, richiama la sua attenzione: non dice nulla, ma lo vede con occhi sgranati, nella medesima posizione che ha assunto lui, ed è chiara la sua richiesta.
Manuel decide di accontentarlo, solo non subito. Prima porta una mano sotto al suo mento, stringe le sue guance. «Vuoi venire?» domanda.
Lo osserva annuire per il poco che può farlo. Lo inizia a stuzzicare con le dita della mano libera, solleticando i punti intorno alla sua erezione, ma non essa stessa.
«Ti prego.»
«Come?»
«Non—non fare lo st... lo stronzo.»
«Vuoi venire?» ripete, sillaba.
Simone fa di nuovo cenno di sì col capo, stremato, in affanno.
«Non ho sentito.»
«S-sì.»
«Sì, cosa?»
Grugnisce, ora è indispettito. Sarebbe persino così orgoglioso da non chiedere più nulla e finire da solo. Il desiderio e il fatto che percepisca il proprio corpo rischiare di andare a fuoco gli fanno cambiare idea e lo portano ad arrendersi. «Fammi ve—venire» supplica.
Il sorriso strafottente e soddisfatto che di solito appartiene a Simone, in quel momento appare dipinto sul volto di Manuel, il quale prende a masturbarlo piano e passa davvero qualche misero secondo affinché lo conduca all'orgasmo.
In qualche modo, riesce a prendersi la sua rivincita per ogni provocazione ricevuta in quelle settimane e non crede ci sia niente di meglio.
***
[Note autore:
E quindi, alla fine Manuel ha ceduto.
Sembra la fine della sua soave tortura.
In realtà, è solo l'inizio.
Che pensate accadrà?
Sarà una volta e basta?
Capiterà di nuovo?
Fatemi sapere.
E grazie per aver letto.
Un bacio.
Lilith.]
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