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Sexting




Manuel ha un collega e compagno di ufficio che si chiama Egidio, un uomo che ha superato la mezza età con i capelli bianchi, che ha dedicato trentanove anni della sua vita ad un'azienda che gli darà il benservito non appena ne avrà l'occasione.

Egidio parla tutto il giorno della pensione, sostenendo che a lui manca poco, che ha fatto i calcoli dell'INPS tramite il Caf, ma che, se i capi glielo chiederanno, è disposto a continuare a lavorare, se c'è bisogno.

Manuel vorrebbe prenderlo a schiaffi e urlare ogni volta che apre bocca — pure non in quest'ordine: punto primo, lui e tutta la sua generazione non vedranno mai la pensione, quindi solo il nominarla è abbastanza utopistico; punto secondo, se Egidio ha la possibilità di essere uno degli ultimi del Paese ad averla la pensione, perché mai rinunciare per continuare a fare fatture e rispondere alle chiamate di fornitori e clienti che spesso sono soltanto problemi che portano alla corrosione del fegato?

Gli pare una follia.

"Vai in pensione e non rompere", vorrebbe gridare ogni mattina da quasi dieci giorni, ogni volta che varca la soglia dell'edificio vetrato che lo sequestra per otto (nove) ore al giorno. Invece si nasconde dietro falsi sorrisi e cortesia, per quiete pubblica e per mantenere quel posto di lavoro che già detesta.

Troppi numeri, cifre, e-mail stupide e videoconferenze inutili, riunioni che come risultato hanno un'altra riunione per giungere ad una decisione che non è stata presa nella prima.

L'inferno se lo immagina esattamente così: un branco di idioti che ciarlano e ficcano qualche parola in inglese nelle frasi per sembrare più professionali.



Sono le 13:40.

È stato capace di uscire da quella prigione, prendersi un panino al prosciutto e formaggio e poi tornare alla scrivania, tutto questo perché ha più volte rifiutato l'invito dei suoi colleghi ad andare al solito posto — non vuole averlo un solito posto, non vuole arrendersi a quella abitudine.

È un modo stupido per combattere la vita ordinaria, in effetti.

Preferisce stare solo, a perdere tempo con giochi sul telefono — ha scaricato CandyCrush ed è un segreto che nessuno deve sapere perché, per Dio, ci gioca sua madre.

Vabbè, comunque è divertente, usa come scusa esclusivamente per sé stesso.

Sugar-crush!

Il suo telefono trilla a causa dell'ultima combinazione di caramelle colorate sullo schermo che gli fa superare il livello quarantacinque ed è in quel momento che un «Beh, ti hanno dato un ufficio bello grande!» riecheggia nell'ambiente.

Manuel solleva lo sguardo e, sulla soglia della porta vetrata e opaca, vede Simone, il quale ha in spalla lo zaino di scuola, mezzo vuoto.

Non ha più appuntato i suoi orari, gli pare persino presto, però non ne fa questione alcuna. «Che ce fai qua?» domanda soltanto, bloccando l'iPhone tramite il tasto laterale.

«Sono uscito un'ora prima» è la spiegazione — ah, ecco — «così ho fatto un salto.»

Simone si addentra nell'ampia stanza, ispeziona il mobilio moderno, la scrivania in perfetto ordine di Egidio, impersonale al massimo, senza una foto o segno della sua presenza. Si avvicina lentamente a quella di Manuel, piena di pile di fogli e dossier rigidi, scartoffie che dovrà smaltire.

Si ferma al suo fianco e appoggia il fondoschiena sulla superficie piana. «Mi fai fare un giro?»

«Credo tu abbia visto tutto, so' stanze tutte uguali qua dentro.»

«Non intendevo un giro per l'ufficio.»

Oh, pensa Manuel, sottile.

Accenna una risata, un po' nervosa. Lo scruta per un breve istante: indossa un paio di jeans stretti blu scuro che gli fasciano le gambe e gli lasciano un briciolo scoperta la caviglia, sopra un maglioncino bordeaux dal colletto del quale spunta una camicia bianca e, a completare, una giacca di jeans felpata all'interno.

È bello, ma non è una novità.

«Me restano, uhm, diciassette minuti di pausa e qui non ci sono manco le pareti» puntualizza.

In effetti, l'ufficio è strutturato su un lungo corridoio dove si trovano i vari reparti, separati tra loro soltanto da ampie vetrate opache che lasciano intravedere l'interno, in barba alla privacy.

Simone le fissa, deluso. «Possiamo andare in bagno» propone.

«Possiamo vederci a casa stasera.»

«Non ci sono stasera.»

«Perché? Dove vai?»

«È Halloween, c'è una festa.»

«Ah.»

Manuel ha rimosso tale particolare dalla mente, sarà che è una ricorrenza alla quale ha smesso di dare peso da anni, sebbene, una volta, fosse una delle sue preferite; del resto, non sente manco più la magia del Natale, non dovrebbe sorprendersi più di tanto.

«Vieni anche tu.»

Ode la sua proposta e gli pare uno scherzo.

Si appoggia allo schienale della sedia girevole sulla quale è accomodato e le mani sui braccioli. «Mh-m, una festa di Halloween piena di adolescenti, che bellezza» commenta, sarcastico.

«C'è pure altra gente.»

«Me sa che passo» sentenzia. «Tanto esco alle cinque e mezza, il tempo che arrivo a casa, te faccio fa' un giro prima che te ne vai.»

Stavolta è lui a fare allusioni.

Simone ridacchia. «Puó andare. Ma l'idea di farlo in bagno qui, rimane. Giusto perché tu lo sappia.»

«Chissà perché non c'avevo dubbi.»

Non ne ha davvero Manuel e una parte di lui cova il medesimo desiderio, ma è più forte il terrore di essere scoperto — lo è anche a casa, ad essere onesti, ci sta solo facendo l'abitudine.

Insomma, sta diventando piuttosto bravo persino nell'inventare giustificazioni, senza menzionare i gatti o farfugliare cose mentre l'altro scavalca i balconi.

Ad ogni modo, deve congedare Simone qualche secondo dopo, al ritorno in un ufficio di Egidio che ci impiega tre frasi per far fuggire il ragazzo.

Manuel lo comprende: scapperebbe anche lui, se potesse.

Il pomeriggio in ufficio è logorante.

Deve rimanere tre ore e mezza davanti allo schermo di un computer quando ha portato a termine ogni mansione alle undici di mattina, se non prima.

È un sequestro di persona legalizzato.

Potrebbe fare archivio, sistemare pile di documenti vecchi di anni, se solo non lo annoiasse anche quello. Di tanto in tanto, lancia un'occhiata verso il collega che pare sempre così indaffarato e pieno di lavoro.

Non capisce come faccia, probabilmente se lo inventa oppure ci mette ore a finire qualcosa che richiede pochi minuti. Forse entrambe le cose.

Quando guarda l'orologio, dopo aver chiuso e riaperto almeno cinquanta volte gli stessi file Excel con la scusa di un controllo, sono le 17:12 quindi manca poco alla libertà.

Il problema è che, negli uffici, spesso essa viene ostacolata da una semplice e-mail con oggetto: riunione Teams, 17:25.

«State scherzando!» crede di averlo solo pensato, invece lo ha detto ad alta voce. No, lo ha urlato, in pratica.

Egidio sussulta e si sistema gli occhiali sul naso. «Che succede?»

«Mi hanno incastrato in una riunione tra dieci minuti. Lo sanno che stacchiamo alle cinque e mezza, vero?»

Ride e scuote il capo. «Oh, certo, lo sanno, ma loro, sai, non hanno mai orari.»

Manuel è incredulo. «Che vor dì? Io devo uscire.»

«Non puoi uscire se hai una riunione.»

«Ma che cambia se la facciamo domani mattina?»

«Magari è per qualche urgenza.»

«Vendiamo sigarette elettroniche, che urgenza potrebbe mai esserci?»

La risposta di Egidio corrisponde ad una scrollata di spalle, arreso ad un'assurda ovvietà.

A Manuel pare ancora folle, però ha quell'impiego da poco e di certo non può permettersi di evitare una riunione richiesta dal suo responsabile, seppur ad un orario indecente.

Ed ecco, l'incontro virtuale comincia pure in ritardo. Si parla di statistiche, confronti di fatturati, preventivi con i fornitori e, davvero, sono tutte cose che avrebbero potuto essere rimandate senza intoppo alcuno.

Mentre un certo Enrico dell'ufficio produzione sta illustrando un programma di lavorazione su una tabella Excel, lo schermo dell'iPhone di Manuel, abbandonato sulla scrivania, si illumina.

Quest'ultimo scorge con la coda dell'occhio la notifica che appare. Il mittente è Simone e già suda freddo all'idea che possa avergli inviato qualcosa di inopportuno, come è successo durante la cena con Anita e Dante.

Per sua fortuna, non è nulla del genere:

Ti hanno rapito?

Afferra il cellulare e si nasconde sotto alla scrivania per non farsi vedere dalla webcam. Così risponde:

Mi hanno intrappolato in una riunione
Faccio tardi

Quanto tardi?

Non lo so

Che palle

A me lo dici

Smette di badare al telefono quando Enrico richiama la sua attenzione e allora deve per forza dare retta a quel maledetto inutile incontro virtuale via Teams.

Più che altro inventa nei suoi interventi.

Cioè, è dentro all'azienda da relativamente poco — e già la odia — non capisce neppure l'utilità che può avere.

Ad ogni modo, quando il supplizio finisce sono le 19:30 e non ha idea di come abbia fatto il tempo a volare.

Tra il traffico e una leggera e fugace pioggia sufficiente a mandare ogni strada in tilt, arriva a casa poco più di un'ora dopo.

Appena apre la porta, trova Anita che si infila il cappotto, sopra un vestito rosso attillato.

La saluta con un cenno del capo e sorride tirato al suo «Già fai gli straordinari?»

Potrebbe intraprendere un lungo discorso sul fatto che no, non vuole farli, lo hanno obbligato e, tra parentesi, non verrà neppure pagato, considerando che ha solo accumulato ore di bonus per eventuali permessi. Però non lo fa e si limita ad annuire.

«Uscite?»

La donna si sistema i capelli, dandosi una rapida occhiata al piccolo specchio posto all'ingresso. «Sì, abbiamo la cena col delitto stasera» spiega. «Ti avevo chiesto di venire, se volevi.»

«Ah, già. Non ricordavo.»

«Come sempre quando ti parlo» scuote il capo e gli accarezza una spalla. «Sei in tempo, però, posso fare una chiamata veloce e...»

«No, grazie. So' stanco, me ordino 'na pizza e guardo un film.»

«Sicuro?»

«Sicuro.»

Intanto che la loro conversazione va avanti, Dante sopraggiunge; ha già indossato la giacca pesante e «Pronto! Andiamo?» esclama, affiancando la moglie.

«Ah, alla buon'ora!» commenta quest'ultima. «Dopo restiamo a dormire da amici, quindi se non ci vedi tornare, non siamo dispersi.»

«Non c'è problema.»

«Perfetto. Ti chiamo più tardi.»

«Goditi la serata.»

Un ultimo sorriso appare sulle labbra di Anita, che intanto ordina a Dante di raccattare la borsa nera con due manici rigidi che ha lasciato sotto alla piccola mensola con lo svuota-tasche — evidentemente contenente il cambio per il giorno dopo per entrambi.

Poco dopo, i coniugi si congedano, discutendo tra loro in merito alla bottiglia di vino che stanno portando alla cena.

A Manuel diverte il loro battibeccare, ma soprattutto percepisce il cuore più leggero a vedere la propria madre felice. Ha avuto davanti la sua versione rotta fin da quando era bambino e adesso che è adulto, lo allieta sapere che lei è felice, spensierata.

Che sta bene ed è tutto ciò che conta.

Il silenzio torna a riempire la Villa.

Manuel sospira. Allenta un briciolo la cravatta blu, si leva il cappotto e lancia un'occhiata alle scale di legno, le quali poi sale in maniera lenta, un gradino per volta che scricchiola sotto al suo peso.

Si muove in automatico, i piedi lo indirizzano verso la stanza di Simone dalla quale proviene un leggero fascio di luce dalla porta lasciata socchiusa.

Non entra subito nella camera. Si ferma sull'uscio a sbirciare dentro. Non che possa vedere molto dalla minuscola fessura che si è creata, tuttavia qualcosa riesce a scorgere: l'altro ragazzo è davanti allo specchio a figura intera dai bordi chiari, sta sistemando i bottoni della camicia bianca e aderente che si è messo; i pantaloni beige, al posto di una cintura, sono retti da due bretelle nere.

Pensa che stia bene anche con un simile outfit.

Trattiene il respiro per un attimo.

Forse dovrebbe smettere di pensare a quanto Simone sia bello.

Si passa una mano sul volto e spinge appena l'anta così da aprirla e farsi spazio.

«Da cosa saresti vestito?» esclama. Rimane sull'uscio, appoggiando una spalla alla stipite e infilando le mani nelle tasche dei pantaloni del completo.

Simone si volta con lentezza. Pizzica le bretelle con la punta delle dita, muove qualche passo nella sua direzione mentre compie un giro su sé stesso per far ammirare il proprio aspetto da ogni prospettiva possibile. «Sedicente uomo d'affari degli anni Venti» spiega «ma che nasconde un gran segreto.»

«Sarebbe?»

Si appropinqua ulteriormente e si sporge in avanti così da sussurrare al suo orecchio: «Di notte fa lo spogliarellista.»

Manuel scoppia a ridere in maniera spontanea e naturale, gli viene dalla pancia. Scuote il capo per tornare un minimo serio. «Ad Halloween non ci si dovrebbe vestire per far paura, tipo?»

«In teoria! Ma Laura voleva fare un costume di coppia e lei si veste da dama anni Venti. Mi sono adeguato.»

«Ah, quindi lei ti comanda.»

«Mi fa solo un sacco di favori e io ne faccio a lei. Si fa così tra migliori amici.»

«Seh, ne so qualcosa» commenta e, intanto, allunga una mano a giocherellare con una delle bretelle, la tira appena.

Simone si accorge di quel gesto soltanto abbassando lo sguardo. «E a proposito di Laura» soffia «passa a prendermi tra dieci minuti.»

«Ah» Manuel capisce cosa vuol dire e molla la striscia di tessuto.

«Dovevi arrivare quasi due ore fa.»

«Lo so, m'hanno trattenuto.»

«L'invito alla festa è ancora valido.»

«Mhm, così come è ancora valido il mio rifiuto. Non ce tengo a sentirmi vecchio in mezzo a 'na cifra di ragazzini.»

«Non sei vecchio

Sgrana gli occhi, con finto stupore. «Me lo segno che l'hai detto!»

L'altro scuote il capo e gli tira un lieve colpo a pugno chiuso sull'avambraccio.

A Manuel non fa male, ovviamente, anzi, quel gesto è quasi sinonimo di affetto ormai. «Non fa niente, comunque, te posso aspetta' sveglio.»

«Riesci a resistere?»

«Hai appena affermato che non so' vecchio, non puoi ritratta' subito.»

A tal punto, Simone alza entrambe le mani in cenno di finta resa. Ride — lo fanno tutti e due, a dire il vero. Poi quel suono pacato viene frenato dal tintinnare del campanello.

«Questa è Laura, me sa che scappo» annuncia, raccattando e indossando la giacca beige e il basco marrone, a completare il costume.

Manuel rimane immobile, osserva i suoi movimenti. «Divertiti» dice.

«E tu non t'addormentare.»

«Faró del mio meglio.»

🏍️🏉

Il suo meglio non sta davvero facendo meglio.

Insomma, poco dopo mezzanotte, al secondo film messo su Netflix, Manuel comincia a sentire le palpebre pesanti.

Spesso si chiede come faceva a quindici anni a rimanere sveglio tutta la notte, impegnato in giochi online, e andare a scuola la mattina successiva come se nulla fosse. Gli pare quasi un'altra vita, un'altra persona e, in fondo, è così per davvero.

Le prime scene di Mean Girls scorrono sullo schermo del televisore e lui, seduto sul divano a gambe divaricate, con ancora la camicia e la cravatta addosso, raccatta il telefono e apre distrattamente Instagram.

Il primo cerchio delle storie illuminato è quello di ssbalestra — perché sì, invece di bloccarlo, alla fine lo ha seguito e basta, almeno se gli scappa il like, ha una scusa più plausibile, tipo "mi sei apparso sulla home, nemmeno me ne sono accorto".

Balle.

Ad ogni modo, clicca sull'icona della story senza falsa remore. Ne sono state pubblicate tre: la prima raffigura i vestiti sistemati sul letto, scattata ancora a casa, con uno sticker che recita loading, la seconda riprende un accumulo di gente immersa in luci blu e viola, con il tag di geolocalizzazione in un posto chiamato Tropical — non ricorda un locale con un simile nome, ma del resto, da quando era adolescente lui, molti luoghi hanno cambiato gestione; come ultima, c'è una foto evidentemente fatta da qualcun altro, magari Laura, dove Simone è in posa, ben illuminato, un pollice a sfiorare il labbro inferiore e lo sguardo diretto in camera.

Il brivido c'è sempre, micidiale, corre lungo la schiena di Manuel in maniera inevitabile e lui si trova a trattenere il respiro.

Com'era la cosa di smettere di pensare che sia bello?

Come si fa a smettere?

Mette like alla storia.

Nessuna scusa, nessuno sbaglio, nessun clichè.

Vuole farlo e basta.

Esce da Instagram poco dopo, rilasciando un lungo sospiro. Se non ci fosse stata quella maledetta riunione, se fosse tornato a casa prima, magari quel mi piace non sarebbe stato l'unico brivido della sua serata, eppure...

Sta per bloccare il telefono tramite il tasto laterale, tuttavia una notifica di WhatsApp lo precede:

Ho visto che hai messo like

È Simone, ovviamente.

Gli sfugge una risata e apre subito il messaggio per rispondere.

E stavolta non l'hai tolto

Già
Come va la festa?

Un po' noiosa a dire il vero

Mi spiace

Non fa niente

Qualche secondo di stallo, addirittura Manuel vede il contatto di Simone andare offline e poi tornare online un paio di volte e poi:

Sai di cosa ho voglia?

Lo può immaginare.

Niente messaggi di quel tipo, te l'ho già detto

Che uomo di poca fede!
Intendevo un'altra cosa

Che?

Ho voglia di un panino da Antonello

Gli viene da ridere, lo fa per davvero.

Cioè tu stai a na festa con fiumi di alcol e pensi ai panini di Antonello?

Beh sì ho fame, avessi avuto solo sete non avrei avuto problemi

E che vuoi da me?

Mi vieni a prendere e ci andiamo?

Non puoi andarci da solo?

Sono venuto qui con Laura, non mi lascia la sua moto

Non era la tua migliore amica che farebbe di tutto per te? Ti nega un panino?

Vuoi venire o no?
Nota che potrei fare doppi sensi con questo messaggio
Ma non lo farò così sei contento.

Manuel si passa una mano sul volto. Le sue labbra sono ancora delineate in un sorriso che non riesce a scomparire.

Ci ragiona su qualche momento. Solleva lo sguardo e sullo schermo c'è Regina George che ride.

Si morde piano il labbro inferiore, torna a fissare il cursore che lampeggia nello spazio a disposizione per rispondere alla chat.

Arrivo.





A raggiungere il Tropical ci mette poco, venticinque minuti in totale. Fa abbastanza freddo, la giacca del completo e il cappotto nero non riparano abbastanza. In più, notando il posto che intravede in lontananza dal finestrino chiuso, pensa che forse avrebbe fatto meglio a cambiarsi e optare per qualcosa di più casual.

Il punto è che è uscito di casa di fretta, chissà perché.

Manda un rapido messaggio:

Sono fuori

Spera che sia sufficiente.

Scende dall'auto e si appoggia ad essa, infilando le mani in tasca. La musica proveniente dal locale si sente ovattata. Qualche gruppo di ragazzi mascherati per Halloween sono davanti all'ingresso, con bicchieri mezzi pieni di cocktail e sigarette che si consumano.

Non si avvicina di più, anche se potrebbe, ma tanto presume che sia facile per Simone notare l'Audi in mezzo alle moto e agli scooter parcheggiati male — le macchine sono ben poche.

Attende un periodo limitato di tempo prima che l'altro ragazzo sopraggiunga e non è da solo, il che lo mette in leggera agitazione, anche se, rammenta, è soltanto con Laura, vestita e truccata di tutto punto da perfetta dama degli anni Venti, con una fascia e una piuma rossa tra i capelli.

Li vede camminare fianco a fianco e ridacchiare tra loro. Quando sono abbastanza vicini, li saluta con un cenno del capo, rigido e furtivo.

Vorrebbe limitarsi soltanto a quello, ma viene sorpreso quando la ragazza si sporge nella propria direzione e gli stampa un bacio su ogni guancia, sporcandolo appena con il rossetto.

Laura sogghigna. «Ciao, Manuel!»

Questo sbatte le palpebre, come modo per riconnettersi alla realtà, e fissa Simone per un attimo, perplesso. Vorrebbe chiedere spiegazioni poiché si è recato in quel luogo per recuperare una sola persona, non due — non la finta fidanzata, insomma.

Lei, comunque, lo ignora e si rivolge al ragazzo che ha accanto. «Allora io scappo» esclama e lo abbraccia velocemente. «Ti scrivo domani, okay?»

«Anche quando arrivi a casa.»

«Non credo avrò il tempo, you know why

Simone si limita ad annuire e ridacchiare, leggero.

Manuel è soltanto spettatore della scena. Osserva Laura allontanarsi e saltellare verso la sua Vespa color carta da zucchero. Mentre i suoi occhi sono ancora su di lei che rimuove la piuma per infilare il casco, sente: «Va a casa a videochiamare la sua ragazza, anche se si vedono domani pomeriggio.»

«Seh, ottimo.»

Simone si accorge che lo sguardo dell'altro è su Laura che ora mette in moto il mezzo. Inclina il capo su di un lato. «Che c'è?»

«Che c'è cosa?» borbotta Manuel. Finge un colpo di tosse e riporta l'attenzione su chi gli è davanti.

«Pare che hai visto un fantasma.»

Più o meno. Scrolla le spalle, schiocca la lingua sul palato e «Lei...» soffia.

Non c'è bisogno di completare la frase, Simone capisce: «Sì, sa di me e te.»

«Di me e te?»

«Che scopiamo!» trilla.

«Lo avevo capito, ma... perché?»

«Perché è la mia migliore amica?» la domanda è retorica. «Le dico tutto.»

«A volte non serve dì proprio tutto.»

Rotea gli occhi e sbuffa. «Che du' palle che sei» borbotta. «Guarda che non parla con nessuno, porta avanti pure lei una relazione finta etero da due anni, eh!»

Se ci ragiona, forse non è un grosso problema. Manuel non conosce quella ragazza, tuttavia, magari può fidarsi.

È passato poco tempo in quella situazione paradossale, certo, ma, per quanto assurdo possa sembrare, un po' può fidarsi di Simone.

Giusto un po'.

«Sì, vabbè» tronca il discorso. «Vogliamo andare?»

Non gli dà il tempo di rispondere che ha già fatto il giro dell'auto e si è messo alla guida.

Anche per spostarsi e raggiungere il chiosco di Antonello, il tragitto si rivela abbastanza breve a causa dell'assenza di traffico.

Manuel non ha molta fame, ha ancora sullo stomaco la pizza coi funghi che ha ordinato per cena, però, alla fine, Simone lo convince a prendere comunque un panino con pollo e svariate salse.

Fatica a buttarlo giù, lo fa a piccoli pezzi.

Consumano il pasto notturno in auto perché la temperatura è drasticamente scesa nell'ultimo periodo e l'inverno è alle porte. I vetri si sono appannati per la differenza di gradi dentro l'abitacolo e fuori.

«Ti posso chiedere una cosa?» esclama Simone ad un tratto. Ha la bocca piena e le parole si comprendono a stento.

Manuel nota come la maionese gli ha sporcato le labbra e il solito istinto di pulirlo con due dita — o con un bacio — lo assale. Ma non sono in camera da letto, lo considera inopportuno. «Oh, pe' carità» sbuffa, accennando una risata.

«Dai!»

Il suo tono petulante lo fa sorridere ancora di più. Pizzica i bordi del pane e qualche briciola gli cade sui pantaloni. «Sentiamo.»

Simone si sistema meglio sul sedile. Butta giù il boccone del suo panino con porchetta, ketchup, maionese, patatine fritte... ci ha messo qualsiasi cosa là dentro. «Perché ti freni?»

«Mi freno?»

Annuisce, come a sostenere la propria tesi. «Sì, nel senso... a volte ti lasci andare, no? Tipo quando siamo a letto, sei appena più sciolto con le parole anche se appena dici qualcosa, diventi tutto rosso, specialmente sulle orecchie. Cioè c'hai questa cosa dopo, che a volte pare che ti trattieni con le parole e non capisco il motivo.»

Manuel si acciglia. In un primo istante non afferra il punto. A lui non pare di frenarsi, anzi, tutto il contrario.

Già solo il fatto di aver intrapreso una scopamicizia — o quel che è — con un diciottenne ne è la prova lampante. E quindi «Ma non è vero!» borbotta.

«Certo che è vero! L'altro giorno quando ti ho mandato quel messaggio, volevi uccidermi. Stasera pure, hai scritto niente messaggi di quel tipo. Ti trattieni.»

«T'assicuro di no.»

«La smetti di contraddirmi?»

«No, perché dici stronzate» sentenzia e dà un morso secco al pane che ha tutto schiacciato. «Poi non ho capito che c'entra» aggiunge, in seguito.

«È una cosa che ho notato e faccio notare anche a te, perché a me piace quando non ti trattieni, mi eccita.»

Alza gli occhi al cielo. Si passa tre dita sulle labbra per rimuovere le briciole. «Non so' bono con quel genere di messaggi.»

A Simone sfugge una risata. «Come sei sopravvissuto su Grindr se non mandi quei messaggi?»

«Di solito chiedo all'altra persona di vederci, così non c'è bisogno di parlare, lo fanno le mie mani.»

«Ma parlare è divertente, a volte ancora di più che scopare in sé.»

In realtà, Manuel lo sa.

E in realtà, mente quando sostiene che quei messaggi non lo eccitano o non gli piace mandarli o riceverli e odia dovergli dare ragione sul fatto che, in effetti, si sia trattenuto, perlomeno su quel lato.

Insomma, a parte qualche eccezione, con difficoltà sputa fuori ciò che gli passa per la testa, lascia il compito ai gesti.

Molto tempo fa, quando aveva poco più di diciotto anni, Nina gli aveva chiesto di fare sexting.

Non aveva ceduto subito, per quanto volesse, poiché gli sembrava quasi una trappola da parte della ragazza; alla sua insistenza, alla fine aveva accettato. Dopo lo scambio di un paio di messaggi, Nina gli aveva mandato un audio di quaranta secondi dove rideva a crepapelle e gli diceva cose tipo "Dio, sei proprio incapace, lasciamo perdere, ci sentiamo domani".

All'epoca, avrebbe voluto chiederle dove avesse sbagliato, se poteva correggere qualcosa e scrivere frasi che andassero bene e piacessero ad entrambi.

Non lo aveva fatto.

Si è tenuto il dubbio fino ad ora, ripetendosi che non ne è capace e basta e poi non ci ha più provato.

Okay, forse sembra una sciocchezza, una cosa da niente, ma è soltanto uno dei tanti tasselli posti da Nina in grado, negli anni, di distruggerlo.

Insomma, se non riesce nemmeno in qualcosa di così semplice, perché mai dovrebbe avere successo in qualcosa di più rilevante e importante.

Il suo sguardo si rabbuia un briciolo, nemmeno a farlo di proposito. Gli torna in mente il ricordo di quell'episodio all'apparenza significante, uno dei primi "non ne sei in grado" che lei gli ha inculcato in testa, una roba banale che si è estesa a macchia d'olio su ogni aspetto della sua vita.

In una coppia, ci vuole complicità.

Loro non l'avevano.

La comprensione era unilaterale.

Simone si rende conto del momento privo di luce che ha sfiorato l'altro. «Tutto okay?»

Manuel ci impiega qualche secondo a replicare. Sbatte le palpebre e finge un colpo di tosse per riprendersi. «Sì, uhm» borbotta. «Non ne sono capace, te l'ho detto.»

«Ma ti piace?»

Scrolla le spalle. «Boh, non lo so, credo» tergiversa. Riprende a sminuzzare il panino che regge in mano senza, però, mangiarlo. «Magari sì, ma è meglio evitare, potrei essere—strano. O cringe, come dite voi.»

«Beh, prova.»

«Simó...»

«Prometto che se diventi cringe, ti fermo e te lo dico.»

«Siamo uno davanti all'altro, non è lo stesso.»

«È proprio lo stesso, anzi, è un buon allenamento.»

Non è ancora convinto e abbassa e solleva il capo un paio di volte.

Simone interpreta quei gesti come ulteriore incertezza. Allora accartoccia il proprio panino consumato a metà nel tovagliolo e lo appoggia sul cruscotto. Sbatte le mani per pulirsele alla meglio, con scarsi risultati e si gira appena sul sedile — vorrebbe incrociare le gambe, ma il suo problema è che sono lunghe e sarebbe impossibile senza farsi venire un crampo. «Dai, vai» lo incita.

Manuel sospira. «Prometti che non ridi?»

«Perché dovrei ridere?»

Eh, perché dovrebbe?

«Te l'ho detto, se me escono robe—strane.»

«Non rido, lo giuro. Ti avverto solo se è cringe.»

Si morde piano il labbro inferiore mentre anche il suo panino viene arrotolato nel tovagliolo, intatto o quasi. Prova a parlare, si sforza, schiude le labbra, tuttavia nessuna sillaba è pronunciata sebbene in testa ne abbia tante.

Sarebbe più facile farle certe cose che dirle, ecco.

Per la seconda — terza, forse — volta, Simone coglie il suo stato d'animo e dunque «Okay, provo a iniziare io» soffia. Non è una domanda. «In questo momento vorrei... scoprirti il collo» la sua voce è flebile, un sussurro, una carezza «e succhiare la pelle sopra alla clavicola, così tanto e così forte da lasciarci il segno.»

Manuel fissa la sua espressione per tutto il tempo. Assottiglia lo sguardo.

Sì, decisamente le parole hanno un effetto devastante — non meglio del sesso, non le considera ad un livello così elevato, però abbastanza di impatto, perlomeno per lui.

Lo vede sorridergli con una complicità disarmante, la stessa che spesso, in passato, ha cercato e implorato di vedere in quella che era sua moglie ed è assurdo scorgerla in un ragazzino al quale non deve legarsi.

Ciò nonostante, sceglie di godersi l'attimo senza annegare in differenti pensieri. Si concentra sui suoi tratti, sulla linea delle sue labbra, sui nei sulle sue guance e quello minuscolo che appare sulla punta del suo naso, il taglio degli occhi, le sopracciglia rilassate, il petto che si muove al ritmo del suo respiro.

Manda giù a fatica della saliva. «Uhm, vorrei...» comincia, con lieve tentennamento «toglierti la giacca e la camicia e—tenere le bretelle, però.»

Lo vede annuire e invitarlo a proseguire e allora «E vorrei accarezzarti tutto, dalle spalle, le braccia, sulla pancia e dopo vorrei... uhm...» finge un colpo di tosse «legarti i polsi.»

Si aspetta di venire interrotto, un rifiuto — sarebbe logico. Invece Simone inclina il capo su di un lato e chiede: «Legarmi con cosa?»

«Non—non lo so, non c'ho pensato.»

«Potresti usare la tua cravatta.»

Sì, porta una cravatta blu da quella mattina in ufficio, non si è cambiato. Annuisce. «Può andar bene, credo.»

«E poi? Dopo avermi legato, che succede?»

«Ti farei inginocchiare davanti a me e ti chiederei di... usare la tua bocca come sempre per farmi vedere quanto sei bravo.»

Simone lo fissa ancora. Il petto si muove un po' di più come se i polmoni avessero bisogno di incamerare più aria.

Manuel si trova nella stessa situazione, seppur per motivi diversi, considerando il modo in cui è finita l'ultima volta nella quale si è cimentato in atti del genere. «Era cringe, vero?»

L'altro scuote il capo con lentezza. «Non era affatto cringe» lo rassicura. «Non è vero che non sei bravo. È solo una cosa in cui ti sottovaluti, come per la moto.»

Sarebbe sorpreso in quante cose è convinto di non riuscire, pensa Manuel; alcune sono sciocchezze come quella, altre molto più serie ed importanti, ma la causa di ciò è la medesima ogni volta.

«Ora, però, dobbiamo correre a casa» annuncia Simone e riprende il panino abbandonato sul cruscotto per scartarlo e dare un morso.

Manuel aggrotta le sopracciglia. «Perché?»

«Perché m'hai fatto eccitare e c'ho voglia e fa troppo freddo per farlo in macchina, per cui... parti pure.»

Gli sfugge una risata. «Mo' me dai pure ordini, piccolè?»

«Smetterò quando tu smetterai di chiamarmi in quel modo.»

Quindi mai.

Manuel accende il motore e muove l'auto, di fretta seppur senza motivo dato che il traffico è inesistente a quell'ora.

Quando giungono alla Villa, Simone si mostra più impaziente del previsto con baci lunghi e impetuosi e il più grande fatica a controllare i movimenti verso e su per le scale, tanto da rischiare di capitombolare a terra in più momenti, anche a causa dell'assenza di luce.

Perlomeno, arrivati nella camera del più piccolo, riesce ad allungare una mano e accendere la lampada a piantone che colora le pareti di un tenue giallo soffuso, il che può bastare.

Hanno entrambi addosso ancora quasi tutti i vestiti, non considerando la giacca e le scarpe.

Con frenesia, Simone scioglie il nodo della cravatta di Manuel e, in genere, la butterebbe sul pavimento per poter proseguire con il resto, fino a lasciarlo nudo. In quel momento, però, tentenna, mentre l'altro cerca di andare avanti e sbottonargli la camicia.

Poggia una palmo sul suo petto, sbatte piano le ciglia. «Legami» sussurra, con un filo di voce.

Manuel ride con un briciolo di isterismo. «Cosa?»

«Con questa» ribadisce Simone e stringe di più tra le dita l'accessorio. «Hai detto di volerlo fare, fallo. Legami.»

«Lo dicevo per gioco.»

«Giochiamo, infatti» sorride, beffardo e compiacente. Tira con lentezza la cravatta per sciogliere in via definitiva il nodo. La tira, sfila e rigira tra le dita. «Com'era?» soffia. «Tolgo la camicia e tengo solo le bretelle.»

«Simó...» Manuel prova a farlo desistere, ma non ottiene alcun risultato. Al contrario, può osservarlo frattanto che compie mezzo passo indietro e fa saltare ad uno ad uno i bottoni dell'indumento bianco e poi se lo sfila di dosso, facendo attenzione, per l'appunto, a non togliere le bretelle.

Rimane ammaliato, come al solito, dai suoi muscoli ben definiti, la pelle chiara e i piccoli nei che costeggiano il suo petto, l'addome e le spalle.

La camicia cade a terra.

«Tocca a te» dice Simone e gli passa la cravatta con delicatezza. Dopo avvicina i polsi, li solleva poco sotto l'altezza del viso.

Manuel esita ancora una volta, ma vorrebbe soltanto lasciarsi andare. Si passa la lingua sulle labbra, sospira sommessamente. «Tu me farai...»

«Andare fuori di testa» lo precede Simone, sogghignando. «M'hai già detto una cosa del genere. Vogliamo andare avanti?»

Ecco.

Sì, lo farà impazzire, scervellare, avere le palpitazioni e sudare nei momenti meno opportuni e Manuel crede che non ci sia niente di meglio.

Sfiora con i polpastrelli il tessuto della cravatta, la stessa che attorciglia attorno ai polsi di chi ha di fronte. Fa il nodo, cerca di non farlo troppo stretto per non lasciargli eventuali segni.

Simone assiste all'esecuzione di quel gesto come uno spettacolo irripetibile. «Quindi... dopo mi inginocchio.»

Fa ciò che ha appena detto, mantenendo il contatto visivo tra loro. Si accovaccia, piega le labbra nell'ennesimo sorriso soddisfatto.

A Manuel trema il petto e non comprende a pieno la ragione.

Forse è perché si sta sviluppando davanti a lui qualcosa che ha immaginato, sognato, perché sta accadendo con qualcuno che non lo ha mai preso in giro con lo scopo di ferirlo, perché si sente appena più libero ogni volta, perché, magari, un briciolo adesso è più felice — ed è paradossale che accada nel momento in cui la sua vita è a pezzi.

Eppure, crede sia bello.

È bello.

🏍️🏉

Sono le nove di mattina quando la vibrazione del cellulare nella tasca dei pantaloni abbandonati sul pavimento rimbomba nella stanza.

Manuel si è addormentato nel letto di Simone. Anche stavolta non è stato un evento programmato, è successo e basta – succede molto spesso, ad essere onesti.

Apre gli occhi a causa di quel rumore fastidioso, si stropiccia le palpebre con due dita. L'altro ragazzo è accanto a lui, sdraiato in posizione prona, un braccio piegato sotto al cuscino e la bocca socchiusa dalla quale proviene un tenue ronzio.

Deve dirgli che russa, si appunta a mente Manuel, poco prima di sgusciare da sotto le coperte. Riesce a raccattare i propri boxer — ha bisogno di una doccia — e, in seguito, il telefono.

Esce dalla stanza e risponde alla chiamata soltanto quando è in corridoio, chiudendosi la porta alle spalle.

«Pronto?» esclama, a bassa voce.

«Non ti sei presentato.»

Col senno di poi, avrebbe dovuto controllare lo schermo. Se si fosse accorto dell'artefice della chiamata, probabilmente avrebbe riagganciato, solo che ha presunto che fosse Anita, in buona fede, e invece dalla parte opposta c'è il suo incubo più oscuro.

Sospira e si appoggia con le spalle alla parete rivestita con la tappezzeria. «C'era il mio avvocato, è più che sufficiente» replica. Cerca di avere un tono fermo e deciso.

«Ci dovevi essere tu.»

«Il mio avvocato sa tutto, io sto a Roma per lavoro, gliel'ho detto.»

«Non me ne frega un cazzo, Manuel!» Nina fa una pausa e sbuffa. «Devi essere il solito superficiale menefreghista fino alla fine, patetico.»

E tu la solita stronza che chiama in un giorno di festa per insultarmi, pensa Manuel. Non dice nulla, però, si morde la lingua. «Hai finito?»

«No che non ho finito! Nemmeno il divorzio riesci a prendere sul serio, per te sono tutte cazzate! Sei dovuto tornare a piangere da mammina invece di affrontare la situazione come un vero uomo.»

«Sono tornato da mia madre perché mi hai cacciato di casa, forse non te ricordi, una casa che sto pagando io.»

«Ancora questa scusa ti racconti? Sei proprio un miserabile fallito.»

«Okay, te lo chiedo n'altra volta: hai finito?»

«No che non ho finito! Devi venire qua e chiudere la faccenda di persona, non fare il senza-palle e fuggire a chilometri di distanza! Che c'è, hai paura?»

«Non ho...»

«Certo che hai paura perché senza di me sei il nulla! Lo sei adesso e lo eri pure prima. Un fallito che non sa che farne della sua vita, che nemmeno riesce a tenersi un lavoro!»

Intanto che quella discussione procede, la porta della stanza che ha abbandonato poco prima si apre con un lieve cigolio.

Manuel lancia un'occhiata verso tale direzione e scorge la figura di Simone che si affaccia, assonnato, e la sua espressione chiede un muto "che succede?"

Non gli va di rispondere, di spiegargli, per cui distoglie lo sguardo. Ascolta ancora qualche secondo la sua ex moglie blaterare, insultarlo, inveire contro di lui e, infine, senza concedergli la possibilità di replica, troncare di netto la chiamata.

Rimane inerme, a fissare il blocca-schermo del telefono finché non diventa di nuovo nero. Non si accorge neppure di Simone che si appropinqua ed ora gli è accanto e gli domanda a voce bassa: «Tutto okay?»

Sbatte rapidamente le palpebre per cacciare via un lieve pizzicore che invoca delle lacrime che non vuole versare.

Non ne vale la pena, piangere per chi ti odia.

«Seh, uhm» borbotta e si passa una mano sul viso. «Famo colazione? So fa' i pancake.»

«Manuel...»

«Ce dovrebbe sta' pure lo sciroppo d'acero, l'ho visto l'altro giorno e...»

Simone blocca il flusso delle sue parole ponendo un palmo sulla sua guancia.

È un contatto lieve, delicato, una carezza lenitiva che a Manuel in quel momento occorre con urgenza. Un brivido gli corre lungo la schiena, ben diverso da quello solito di eccitazione che lo pervade ogni qualvolta che l'altro è nei paraggi: questo risulta essere più profondo, intenso, disarmante e lo confonde parecchio.

Così come lo intontisce il suo sguardo rassicurante, quelle due pozze scure che lo fissano e basta, senza proferire parola; solo un tranquillo silenzio che è tutto ciò di cui ha bisogno.

A volte le parole sono belle, altre volte fanno troppo rumore.

Tale necessità sfocia in un bacio, leggero: sfiora le sue labbra con le proprie, un gesto tenue che serve ancora di più a calmarlo — uno che probabilmente dovrebbe evitare, se solo fosse più lucido.

Si concede un momento di sbandamento dopo quella conversazione devastante avuta al telefono.

Dalla parte opposta, Simone capisce il suo bisogno e lo accorda, non lo rifiuta, anzi: ricambia il bacio e sorride appena quando si staccano. E dopo «Mi piace il cioccolato sui pancake» sussurra.

A Manuel sfugge una risata, un briciolo rotta da un pianto che sta soffocando, ma riesce ad allontanare. «Ce mettiamo il cioccolato, allora» soffia e gli ruba un secondo bacio.

Per una seconda volta, Simone lo lascia fare.

🏍️🏉

I pancake vengono bene, soffici e dorati, anche se Manuel teme per tutto il tempo che possano bruciarsi — non succede.

Sono seduti a tavola, lui e Simone, uno di fianco all'altro, a consumare una colazione lenta in una casa vuota.

Quest'ultimo ha ricoperto le proprie frittelle di Nutella, con uno strato spesso di crema alla nocciola che ricopre ogni centimetro.

Manuel, invece, ha optato per lo sciroppo d'acero che ha trovato nella credenza. Non ha molta fame, a dire il vero: la telefonata con Nina gli ha tolto l'appetito, ma si sforza di buttare giù qualcosa insieme al caffè.

«Comunque sarà molto fortunata» esclama il più piccolo d'improvviso, con la bocca mezza piena.

«Chi?» domanda Manuel, confuso.

«La persona giusta che troverai! Quella che ci siamo detti che arriverà, no?»

Ha quasi scordato quella parte del loro accordo, come se non fosse importante, anche perché quella persona ha smesso di cercarla e non ne ha particolare interesse.

Chissà per quale motivo.

Annuisce, intanto che sminuzza la colazione nel piatto. «E perché dovrebbe esse' fortunata?»

«Beh, sai cucinare da Dio» spiega Simone e alza le spalle per sottolineare l'ovvietá «sei bravo a letto, soprattutto con le mani, aggiusti le moto schioccando le dita, quindi non rimarrebbe mai a piedi, e sei pure carino.»

L'unica reazione plausibile che trova corrisponde ad una fragorosa risata, il che gli costa un leggero colpo sul braccio a pugno chiuso da parte dell'altro e anche «Ao, t'ho fatto un complimento, dovresti apprezzare!»

Alza le mani in cenno di finta resa. «No, no, pe' carità» esclama «io apprezzo.»

«Bene, perché sono serio» un mezzo sorriso ancora appare sulle labbra di Simone, lo stesso che pian piano affievolisce e seria si fa pure la sua espressione. «Davvero, eh» ribadisce «chiunque ti trovi, non potrebbe chiedere di meglio.»

A quello, però, Manuel non sa come reagire — perché è tutto strano, comprese le sensazioni che prova, quel brivido che tramuta in qualcosa che non decifra.

«Vale anche per te» dice ed è sincero. Per quanto trovasse irritanti i suoi comportamenti agli inizi, dopo quelle settimane ha imparato ad apprezzare di più lui come persona.

Anche se forse ciò non dovrebbe accadere.

***

[Note autore:

Ciao a tuttə e grazie per aver letto fin qui.

Spero la storia non vi stia annoiando.

Questo è uno dei miei cap preferiti, ma pure uno di quelli che più mi ha dato dubbi, quindi come sempre ditemi che ne pensate.

Piccola curiosità: il personaggio di Egidio è liberamente ispirato ad un mio collega, tipo che le frasi che dice sono quelle che dice lui, ma io ho molta meno pazienza di Manuel e dalla riunioni last minute scappo.

Un bacio.

Lilith.]

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