Reset
Il tasto reset per fingere che nulla sia accaduto, che niente sia successo, di non aver realizzato di provare un sentimento forte, un po' funziona, più o meno.
Manuel prova a farlo funzionare in tutti i modi perché l'alternativa sarebbe interrompere ogni forma di contatto con Simone e non vuole, significherebbe privarsi dell'unico barlume di felicità nella sua vita nell'ultimo periodo.
È capace di mettere da parte ciò che prova e continuare ad avere una relazione esclusivamente fisica, non permettendo ai propri sentimenti di creare il casino.
Che ci vuole?
Niente, appunto.
Poi ha obbligato la propria testa a convincersi che dalla parte opposta ci sia soltanto l'eccitazione di avere una tresca con uno più grande e nulla più.
Deve accantonare l'idea di poter essere ricambiato e di aver frainteso gli accenni di gelosia o ciò che ha interpretato come tali.
Sarebbe una follia.
Non sono nulla di più di amici con benefici.
Non possono permettersi di essere qualcosa di più.
Lui non può farlo.
Il weekend a Ostia comincia bene: la casa della zia di Benedetta, la ragazza di Laura, è enorme, non c'è soltanto una stanza in più, ma almeno cinque.
Si tratta di una villetta a due piani, dai muri bianchi e infissi avorio con doppio vetro; l'arredamento interno è datato, ha l'impronta classica – mobili di legno scuro, credenze imponenti – e stona con l'aspetto esterno.
È una casa da mare, del resto. Immagina ci abbiano buttato lì mobili da recupero, giusto per arrangiarsi.
Manuel fa la conoscenza di Benni in modo frettoloso quando giungono al posto con l'Audi poiché Laura già la trascina via, a chiudersi dentro alla stanza al piano superiore, in fondo ad un lungo corridoio e più vicina al bagno. Non sa se le rivedrà presto e presuppone che a nessuna delle due interessi la spiaggia o una passeggiata, non subito, almeno.
Comprende.
Da quel poco che vede, comunque, sono una bella coppia, ben affiatata.
Lui e Simone sono rimasti in cucina, al piano inferiore, a sistemare le poche cose da mangiare che hanno portato per sopravvivere in quei due giorni. Hanno quasi finito.
«Si sono prese la camera migliore, le maledette» commenta il più piccolo, mentre lascia un cartoccio di latte sul ripiano del frigo e chiude lo sportello.
Manuel appoggia le mani sul tavolo di legno ormai sgombro dalla minuscola spesa. «Ce ne stanno tante» borbotta. «Non è un problema.»
«E pensa che possiamo provarle tutte, se ci va. Tanto non credo quelle due usciranno presto da lì.»
«Provarle tutte?»
Simone sorride, malizioso. «Un preservativo per ogni camera. Come la vedi?»
Ecco, secondo le varie premesse, Manuel dovrebbe percepire solo un brivido di eccitazione lungo la schiena di fronte ad una proposta del genere – insomma, fare sesso in ogni luogo di quella casa enorme, con zero limiti di suono o tempo, in pratica un sogno – se non fosse che il suo tasto reset di tanto in tanto si inceppa, come in quel momento in cui la sua espressione non riesce ad assumere i tratti tipici dell'entusiasmo che dovrebbe avere e, anzi, si rabbuiano e paiono spenti, e lui riesce a stento ad annuire perché prova un sentimento che va ben oltre l'attrazione fisica.
Non è un particolare che passa inosservato, non quando si ripete da più giorni e si ha a che fare con qualcuno di particolarmente sveglio come Simone Balestra, il quale sospira, sommesso, e allarga di poco le braccia. «Mi puoi spiegare che ti prende?»
«Niente» Manuel finge indifferenza e scrolla le spalle.
«Niente? È dalla sera del karaoke che sei strano! E non volevo dirtelo, ma sei pure un po' carente quando scopiamo ultimamente.»
«Come?» è retorico, incredulo.
«Beh, che da quel giorno sei un po'... cioè quando siamo...» sta per mettersi a spiegare Simone. Si ferma poiché si rende conto che sarebbe insensatamente meschino. Dunque si arresta, ammutolisce per un attimo e abbassa lo sguardo. «Scusa, magari...» riprende «magari sei stressato per qualcosa o non so, non me ne parli.»
Manuel schiude le labbra e non può nemmeno arrabbiarsi, considerando che, in effetti, qualcosa dalla sera del karaoke è cambiato, solo che non può tirarlo fuori.
Non ora.
Non...
Mai.
Questo lo ha impegnato molto a livello mentale nei giorni successivi, va da sé che è stato carente su ogni fronte possibile.
Non vuole parlarne, come ovvio. Torna serio, la sua espressione si indurisce. «Dove ce l'hai?»
«Cosa?»
«La scatola de preservativi. Andiamo a battezzà la prima stanza.»
Sì, quello è un buon modo per evitare l'argomento — e pure per dimostrargli che non è affatto carente.
Di stanze belle ce ne sono parecchie.
Quella dentro la quale capitano — si baciano, toccano, spogliano, uniscono — ha un letto matrimoniale con le lenzuola azzurre, i mobili color nocciola chiaro e le pareti grigie, una di esse ha pure dei minuscoli glitter.
Non che siano rilevanti determinati dettagli.
Manuel li nota soltanto dopo, quando è sdraiato supino sul materasso e le coperte celano il suo corpo dall'ombelico in giù. Fissa il soffitto per un attimo, vede che c'è una crepa su di esso, quasi invisibile, ma presente.
«Non ero serio prima» sente Simone mormorare. Gira di qualche centimetro il capo nella sua direzione: lo vede sdraiato su di un fianco accanto a sé, la testa sul cuscino e gli occhi grandi e vispi a fissarlo.
«Su che?»
«Sul fatto di essere carente a letto, non...» biascica il più piccolo. «Eri solo un po' più spento le ultime volte e ho pensato che—boh, che non ti andasse più e mi sono agitato perché a me va ancora tanto e ci stiamo divertendo un casino, no?»
Sì, un casino, pensa Manuel, proprio quello in cui è sprofondato, come da previsione di Chicca.
Il casino che ha combinato innamorandosi di un adolescente.
Grande, bravo!
Annuisce leggermente. «Sì,» esclama «ce stiamo a divertì.»
Cambia posizione, assume la stessa dell'altro ragazzo, smuovendo un briciolo il letto. «Ho solo delle cose pe' la testa, tra lavoro, il divorzio, robe così.»
«Ci sta» pigola Simone «avere la testa altrove, a volte.»
«Mh-m.»
«Però è successo all'improvviso e quindi...»
«Capita pure quello» attesta Manuel. Ha timore che, se rimane per ulteriore tempo a osservarlo in quel modo, nel tepore delle coperte, potrebbe cedere e confessargli cose che devono rimanere segrete.
Allora finge un colpo di tosse e con uno scatto si mette a sedere. Lancia un'occhiata intorno per individuare i vestiti che hanno sparso per la stanza. «Te va de fa' 'na passeggiata?» propone. «Se non me ricordo male, ce sta un chiosco che fa roba buona, lo possiamo provare.»
Simone resta immobile per mezzo secondo, interdetto da quella proposta giunta senza alcun preambolo. Ci impiega un po' a reagire, solleva il capo e aggrotta le sopracciglia.
Manuel lo fissa sottecchi da oltre la propria spalla. «Poi torniamo e proviamo n'altra stanza, mh?»
L'intera proposta è retorica: ha già deciso faranno quello e, infatti, dopo venti minuti e una doccia veloce, sono fuori dall'abitazione, tra le strade di Ostia poco affollate in quel periodo dell'anno.
Il freddo è pungente, i cappotti riparano poco.
Manuel nota con facilità le guance di Simone e la punta del suo naso che si fanno rosse a causa della bassa temperatura.
Prova l'istinto di stringerlo a sé per scaldarlo.
Reset.
Cammina accanto a lui, infilando le mani in tasca e allungando il passo. Non riesce a prendere troppo le distanze, considerando che l'altro ha le gambe decisamente più lunghe delle proprie e lo raggiunge senza difficoltà alcuna.
Fanno un giro per la cittadina senza parlare più di tanto, come se il silenzio in quel momento fosse necessario.
Rimangono fuori ore, fino a cena. Non trovano il famoso chiosco menzionato, è probabile che neppure esista — in effetti, Manuel ha tirato fuori la cosa giusto per cambiare argomento, attingendo ad una memoria di lui da bambino, quindi magari c'era, ma ora non più.
Ad ogni modo, una certa fame cominciano ad averla. Per loro fortuna, sul cammino incontrano un forno che fa la pizza al taglio. Ne prendono qualche trancio, margherita e con i würstel e poi Simone ha la brillante idea di recarsi sulla spiaggia per mangiare — dice che lo ha visto spesso su Instagram, ma non gli è mai capitata l'occasione di farlo effettivamente.
Manuel vorrebbe dissuaderlo, sostenendo che stare in riva al mare a gennaio non è l'ideale, si muore di freddo e rischiano l'ipotermia. Tuttavia, tiene per sé simili considerazioni e accorda la proposta.
Pertanto, qualche minuto dopo, sono seduti sulla sabbia compatta ed umida, sotto una luce fioca dei lampioni e lo scroscio delle onde sul bagnasciuga.
C'è poco vento almeno, per fortuna.
Il più grande tiene lo sguardo fisso sull'orizzonte, un pezzo di pizza tra le dita, insieme ad un tovagliolo di carta unto. La sua attenzione viene presto catturata dal profilo del ragazzo accomodato al proprio fianco.
Ci sta provando in tutti i modi a tenere un distacco, a pensare solo al sesso e all'attrazione fisica che possiedono, solo che ormai sono subentrate cose che non ha previsto, le loro vite si sono intrecciate in qualche modo ed ecco che il tasto reset si inceppa di nuovo.
«Hai litigato con tua madre?»
Butta fuori la domanda senza preavviso alcuno, tanto che Simone ne è sorpreso: «Cosa?»
«Co' tu' madre, quando sei andato in Scozia—insomma, c'hai discusso?»
«Te che ne sai?»
«M'ha accennato qualcosa tu' padre» non cerca di nascondere l'informazione con una menzogna, non ce n'è motivo.
Simone storce la bocca in una smorfia al cospetto di tale rivelazione. Si innervosisce e dà un morso a ciò che rimane della sua cena. «Come sempre si fa molto i cazzi suoi» sibila e abbassa lo sguardo.
Manuel non lo ha mai sentito lamentarsi di Dante — non troppo, nella media per un adolescente; di sicuro non in quel modo così diretto.
«Te devo ricorda' che ha fatto mia madre?» prova a smorzare la tensione e accenna una risata. Non riesce a scaturire la medesima reazione nell'altro e torna serio. «Comunque» riprende «m'ha parlato del college a Edimburgo, di medicina e...»
«So' tutti fissati co' 'sta medicina» sbuffa Simone. Molla in malo modo la crosta della pizza nel vassoio di carta che li ha aiutati a trasportarla e si pulisce di fretta le mani con un tovagliolo.
«Non è quel che vuoi?» chiede Manuel. La domanda è un po' retorica visto che conosce già la risposta.
C'è un attimo di silenzio tra loro, durante il quale Simone porta le ginocchia al petto e fissa la linea di confine tra cielo e mare. In seguito, piano mormora: «Ti ricordi quel discorso che hai fatto a tua madre la sera del tuo compleanno? Su—le cose che gli altri si aspettano e pretendono da te.»
«Più che altro quel che ho urlato.»
«Beh, avevi ragione a urlare» commenta Simone. Rimane nella medesima posizione, gira soltanto la testa in direzione dell'altro. «Non è bello quando tutti ti dicono cosa è meglio per te e tu lo odi e basta.»
«Medicina è quello che tutti dicono sia meglio per te?» seconda domanda retorica.
«Medicina, poi ingegneria, qualcuno nomina pure biotecnologia, delle volte» sospira e scuote il capo. «Sono materie scientifiche, per loro bisogna essere dei piccoli geni per studiarle e io...»
«Sei un genio.»
«Non lo sono» confessa e smorza un sorriso privo di alcun entusiasmo. Con un dito si indica una tempia. «Ho questa cosa, è—una sorta di memoria fotografica, hai presente? Leggo le cose una volta e me le ricordo e sono bravo con la logica, quindi a scuola vado bene, sono il migliore della classe, ma non per merito, io ho soltanto la memoria buona e basta. Non è una cosa da tutti, di rado se non mai succede che uno studente sia così eccellente e allora professori, genitori, pure i parenti che vedi soltanto a Natale cercano di spingerti al massimo verso un mestiere di prestigio, qualcosa con cui potresti cambiare il mondo e quando dici loro che a te quelle cose non interessano, che hai altri progetti, che il mondo lo possono cambiare altri, ti guardano come se avessi compiuto chissà quale torto e ti esortano a ciò che per loro è meglio, altrimenti sai quanto potenziale andrebbe sprecato.»
Si ferma per un attimo e scuote il capo. «Chi se ne frega di 'sto potenziale.»
Manuel conosce benissimo la sensazione, è il fulcro del discorso che ha gridato in faccia alla madre la sera di qualche settimana fa, sebbene a lui manchi la parte dell'essere un genio. Sospira. «E tu hai un altro piano?» chiede «Dopo la scuola, intendo.»
Simone annuisce e accenna una fiacca risata. «Vorrei continuare a giocare a rugby, da professionista, però» spiega «entrare in un club più grande, giocare nel campionato nazionale e poi—andarci in nazionale.»
Fa una breve pausa, i suoi occhi brillano nonostante la poca luce. Continua: «Lo so che come sport in Italia non è molto conosciuto o seguito, ma vorrei lo fosse, in qualche modo, magari con una serie di vittorie proprio della nazionale, far appassionare altre persone, i bambini ad esempio, con altri sport è successo, più o meno. È poco, certo, però è una base da cui si può partire e vorrei essere io a mettere quella base. Giocare, vincere, essere sulla prima pagina dei giornali sportivi, poi quando non potrò più farlo, diventare un allenatore e chissà, magari, fondare un club tutto mio.»
«A me sembra un gran bel progetto.»
«Forse un po' da fuori di testa, ma è quel che voglio fare, io—non mi immagino a fare altro.»
Manuel lo capisce. Probabilmente nessuno potrebbe farlo meglio perché, alla sua età, lui non immaginava sé stesso in un posto diverso da Roma, chiuso in un'officina con le mani sporche d'olio del motore, a trafficare tra valvole, candele, carburatore e via discorrendo, anche contro ciò che tutti dicevano: che non era un mestiere di prestigio, un sogno degno di nota, che non era importante.
Certo che lo capisce.
Richiama alla mente le esortazioni di Dante.
Lui ha perso sé stesso per soddisfare gli altri. Non crede sia giusto che la scintilla di Simone si spenga per decisioni altrui.
Non deve spegnersi.
Nessuno dovrebbe perdere la propria luce per ambizioni che non appartengono loro.
«Allora è quello che devi fare» soffia «anche se fa paura e può sembrare un salto nel vuoto, anche se tutti ti dicono il contrario. Se lo vuoi, sai già qual è la tua strada, non hai bisogno di qualcuno che te la indichi a forza.»
Ne appare uno di diverso di sorriso sul volto di Simone, più dolce, tenue, differente dai suoi soliti pieni di spavalderia e strafottenza.
Sono seduti uno di fianco all'altro, la distanza tra loro è minuscola, per questo gli è sufficiente allungare il collo di poco per sfiorare la punta del suo naso con la propria. È un gesto che appare casuale, distratto. «Pure tu» sussurra.
«Io cosa?» bisbiglia Manuel, che intanto cerca di trattenere il brivido che gli percorre la schiena, quello che non rappresenta più soltanto eccitazione fisica, quello che riconosce come amore.
Il tasto reset è decisamente fuori uso in quel momento.
«Pure tu sai qual è la tua strada e potresti cominciare a percorrerla parlando con Giuseppe.»
La piega che assumono le sue labbra ha un sentimento di rimpianto, di malinconia e rassegnazione. «Simó, tu sei giovane, hai tutta la vita davanti. Per me è tardi, c'ho trent'anni.»
«Guarda che la media della vita qui è di circa ottantaquattro anni, non sei nemmeno a metà.»
«Dillo al mondo del lavoro e alla gente in generale! All'età mia, per molti c'hai un piede nella fossa.»
«Chi te l'ha detta 'sta stronzata? Non è mai troppo tardi per essere quello che vuoi.»
«Questo è quello dicono i ragazzi a diciotto anni.»
Che sono pieni di vita e speranza prima che la vita da adulti se li mangi.
«Dovrebbero dirlo anche a trenta, quaranta o cinquanta! Oh, i sogni mica muoiono a diciotto anni. Non sei in ritardo. Rispetto a chi, comunque? Per cosa?»
Dentro di lui, Manuel lo sa che è così, ma c'è una parte purtroppo radicata nella sua testa, che non riesce a cacciare via, che lo convince che la verità sia un'altra, che ormai non ha senso lottare per cambiare, per raggiungere una meta che gli piace, che non è suo diritto stare bene — ed è cinico, forse, è un vedere il bicchiere sempre mezzo vuoto, non essere più capaci di rialzarsi.
Ha sviluppato una certa apatia alla vita.
A lui sembra di essere ormai in ritardo su tutto e di doversi accontentare.
Gli sfugge una risata nervosa. «Che poeta» commenta «sei bravo anche nelle materie umanistiche, vedo.»
«Sono serio» attesta Simone in replica. Non si smuove e lo fissa. «Dovresti mollare il lavoro in quell'ufficio, andare all'officina e magari—non so, magari un giorno ne aprirai una tua.»
Magari.
«Non si parla di me adesso.»
«Si parla anche di te. Dimmi almeno che ci pensi e lo fai sul serio.»
Simone non lo sa, non può saperlo, ma quel pensiero è costante nella testa di Manuel: di buttarsi, di cogliere quella opportunità che potrebbe essere un buco nell'acqua — che a volte è meglio di un'intera esistenza dove odia tutto e tutti, in effetti.
Quest'ultimo si rabbuia per un attimo. A replicare il gesto di poco prima — o quasi, lo cambia — lascia un bacio leggero sulla punta del suo naso, sopra il minuscolo neo che lo costeggia. «Ce penso» biascica. Respira a fondo, a palpebre socchiuse, poi le solleva. «Però me sa che ce stiamo a rattristà troppo.»
«Dici?»
«Mh-m, e 'nfatti c'ho n'idea pe' quello.»
«Sarebbe?»
Manuel sorride di nuovo, stavolta con appena più entusiasmo. Si scansa e si alza in piedi. Scrolla i granelli di sabbia dal pantalone, intanto che raccatta il proprio iPhone dalla tasca interna del cappotto.
Simone resta seduto, lo fissa sottecchi e attende finché, tra il fischio del vento e il rumore delle onde del mare, si levano, direttamente dalle casse del telefono, le prime note di un brano che conosce molto bene.
Gli viene da ridere a scorgere l'espressione dell'altro che solleva entrambe le sopracciglia e ammicca. «Cretino» borbotta.
«Oh, questo è il ringraziamento per aver messo la tua canzone?»
«Come se non fosse un tuo modo per sfottermi.»
«Potrebbe! Ma adesso me la devi cantare!»
«Te lo scordi.»
La melodia è andata avanti, insieme al suo testo. Manuel alza gli occhi al cielo e ride. «Che resta di un sogno erotico se-ee» intona — stona, a dire il vero — «al risveglio è diventato un poeta.»
Lo invita a seguirlo con un cenno del capo e «Te movi?»
Se a mani vuote di te...
Simone sbuffa e si rimette in piedi. È incerto e titubante quando va dietro al brano: «Non so più fare come se non fosse amore...»
Manuel annuisce. Sono uno di fronte all'altro, tiene il telefono sollevato tra loro per poter sentire entrambi e tutti e due, fondendo le loro voci e non prendendo mezza nota, cantano: «Se per errore chiudo gli occhi e penso a te-eee. Se per innamorarmi ancora, tornerai, maledetta primavera. Che imbroglio se per innamorarmi basta un'ora?»
Probabilmente, se li vedessero da fuori, sembrerebbero due pazzi che storpiano una canzone e ridono uno in faccia all'altro. Magari è davvero così.
Quella stessa canzone, anche quando termina, continua a riecheggiare nelle loro teste come la colonna sonora in un film nuovo che hanno deciso di scrivere, prendendo in mano le redini della sceneggiatura.
Che fretta c'era, maledetta primavera?
Che fretta c'era se fa male solo a me?
Suona ancora quando tornano nell'abitazione che li ospita per quel fine settimana, buia e silenziosa. Entrano in una nuova stanza dalle pareti di un arancione pallido, con le labbra che si cercano in dei baci urgenti, smaniosi sì, ma non meno delicati e attenti.
C'è un letto matrimoniale a baldacchino sul quale capitombolano sopra, intanto che cominciano a spogliarsi a vicenda e i loro vestiti cascano sul pavimento fino a lasciarli nudi.
Nella mente di Manuel, esiste la parte più razionale e logica di lui che preme forte su quel maledetto tasto reset.
Reset, reset, reset.
Ma va in cortocircuito quando si accorge che, affondando il viso nel suo collo, ne riconosce l'odore e non è dato dal bagnoschiuma al cocco che ha usato, dal deodorante al muschio che si è spruzzato dopo, è diverso.
È quel che riconosce come il suo profumo, il profumo che è soltanto di Simone.
Reset.
Quello non si cancella.
Non si elimina nemmeno la sensazione di appagamento che prova quando, seduto sul materasso con le gambe appena divaricate, osserva l'altro, a cavalcioni su di sé, che si cala con lentezza sulla propria erezione già coperta dal preservativo — che il più piccolo ne tiene sempre uno in tasca, non si sa mai.
Manuel vede il suo viso sebbene l'unica fonte luminosa della camera sia l'abat-jour posta sul comodino di legno verniciato di bianco latte, i suoi occhi grandi e profondi, la sua bellezza che lo travolge e annienta da quando lo ha rivisto per la prima volta dopo dieci anni.
Il piacere aumenta pian piano, gli fa formicolare gli arti. Rimane concentrato sul volto del più piccolo che sinuoso muove i fianchi su di sé e si lascia penetrare piano. Porta una mano sulla sua guancia e gli accarezza lo zigomo con un pollice.
Sorride e lo bacia con dolcezza sulla bocca socchiusa, percependo il suo respiro caldo.
Tilt.
«Tu...» soffia, la voce è un po' rotta dall'orgasmo che si avvicina «diventerai... il più grande campione di rugby... di tutti i tempi.»
Simone ride. Osa un affondo più intenso che gli fa strizzare gli occhi e strappa un gemito ad entrambi. «E verrò a festeggiare le vittorie» replica, affannato «nella tua officina.»
«Non è un bel posto... pe' festeggià.»
«È un posto bellissimo.»
Manuel scuote il capo, ma sta sorridendo. La mano libera scorre sulla sua schiena, lungo la linea della spina dorsale. Vorrebbe dire tante altre cose, tirare fuori ciò che gli sta esplodendo nel petto.
Per il momento non lo fa, tuttavia è abbastanza convinto che in quella notte, in una casa di sconosciuti ad Ostia, si stanno guardando negli occhi mentre fanno quello che non è più sesso sfrenato, non più solo scopare.
Quella notte, lui e Simone fanno l'amore.
🏍️🏉
Si addormentano in quello stesso letto.
Stavolta Manuel neppure deve usare la scusa del "non vorrebbe", perché non sarebbe la verità.
Vuole dormire con Simone.
Non c'è niente di meglio che dormire con Simone.
Apre gli occhi. Uno spiraglio di luce del sole passa attraverso le persiane e si infrange sul groviglio di lenzuola e coperte.
È in posizione supina e Simone è parzialmente sdraiato su di sé, gli poggia la testa sul petto, con l'orecchio contro lo sterno.
Non può vedere il suo viso da tale posizione, ma scorge con la coda dell'occhio un lieve movimento della sua mano e capisce che sono svegli entrambi.
«Buongiorno» sussurra. Con le dita, giocherella con dei ricci ribelli appena sopra la sua nuca. Ha i capelli morbidi al tatto.
«Buongiorno» replica Simone, a bassa voce, e sorride. Non si muove, si bea del leggero contatto tra la loro pelle e le carezze che l'altro gli riserva. «Tutto okay?» chiede poi.
«Sì, perché?»
«Perché sento il tuo cuore e batte così forte che sembra te stia pe' pià un coccolone.»
Manuel ride. Non se ne è reso conto, a dire il vero. Immagina che il proprio corpo sappia come stanno le cose, lo abbia saputo ancor prima che la mente potesse realizzare; la mente sa tutto, prima che determinate parole possano uscirgli dalla bocca.
«Sarà la fame» utilizza una scusa.
Soltanto allora Simone solleva il capo, di poco, quel che basta per potersi guardare negli occhi. «Dovrebbe brontolarti lo stomaco in quel caso» annota.
«Magari quello non l'hai sentito.»
«Mh-m, ho fame pure io, in realtà. La pizza di ieri sera era poca.»
«Di là ce stanno tutte le cose utili pe' fa' i french toast. Te piacciono?»
«Solo se li anneghi nel burro.»
«Annegheremo i tuoi nel burro» ridacchia Manuel. Ha spostato il lieve tocco dai suoi capelli al viso. Sfiora con i polpastrelli la sua tempia, poi la guancia. La propria espressione torna seria.
Il tasto reset ha ufficialmente smesso di funzionare, lui è andato in tilt e va bene così.
Tanto da una simile battaglia non ne sarebbe mai uscito vincitore.
«Te devo dì 'na cosa» gracchia.
«Cosa?»
Il fascio di luce si fa appena più intenso, rende gli occhi densi di Simone di un marrone un briciolo più chiaro, dei leggeri riflessi nell'iride.
Manuel nota ogni minuscola pagliuzza dorata.
Il casino è successo e forse sta per farne un secondo, più grosso, dal quale non si torna indietro, ma non può aver frainteso e basta, non avrebbe senso.
Ciò che prova, poi, non è sbagliato.
E allora non ha più senso tenerselo dentro.
Non ha più senso il tasto reset.
«Io credo...» comincia «di essere i—»
«SIMO! Ah, eccovi, finalmente!»
Laura irrompe nella stanza. Alle sue spalle, l'eco della risata di Benedetta al piano di sotto.
«A' Là! Che, non se bussa?!» la riprende l'amico.
La ragazza scrolla le spalle. Non è per nulla interdetta o in imbarazzo ad averli trovati nudi — okay, il lenzuolo cela ciò che è necessario nascondere — insieme in un letto. «Non sapevo che camera avevate preso!» è la sua semplice giustificazione.
Manuel vorrebbe farle notare che non è una scusa e che, inoltre, ha interrotto un momento importante, però tace e assiste alla breve conversazione tra i due amici che prosegue con Simone, che non si è spostato, ha soltanto girato la testa verso l'uscio: «Vabbè, che c'è?»
«Io e Benni volevamo fare le crepes, ma ci siamo accorte che nessuna delle due è in grado. Ci date una mano?»
Le crepes.
La sua dichiarazione è stata interrotta da uno squallido dessert francese.
Qualcuno che manovra destino e tempismo lo odia, è chiaro.
«Seh, mo' veniamo.»
«Perfetto, fate in fretta prima che salti in aria la casa.»
«Sì, e tu chiudi la porta!»
Laura obbedisce e va via in silenzio, serrando l'anta di legno.
Torna la calma nell'ambiente, che corrisponde a Simone che riporta lo sguardo sull'altro ragazzo e «Dicevi?» lo invita a continuare.
Ma Manuel sente di aver perso l'attimo, che era quello appena svegli, immersi nell'assenza di suono, dopo una notte trascorsa abbracciati ed è vero che, nonostante l'interruzione di un terzo, potrebbe essere la stessa cosa, solo che...
Solo che non lo è.
Deve rimandare.
Scuote il capo. «No, nulla» borbotta.
«Sicuro?»
«Sì, certo. Andiamo da quelle due prima che combinino guai.»
Uno, in realtà, lo hanno già fatto.
🏍️🏉
In effetti, il disastro in cucina c'è davvero — anche se si tratta di sbattere due uova e mescolarle alla farina.
Manuel riesce a porre rimedio. Avrebbe preferito i french toast ed è sicuro che sia lo stesso desiderio di Simone. Devono adeguarsi.
Per la durata della colazione in quella domenica mattina, rimane in silenzio a sorseggiare un caffè solubile di dubbio gusto e sminuzzando la crepes farcita di marmellata ai mirtilli nel piatto. Ascolta con fare distratto il racconto di Benedetta sul modo in cui ha chiesto di uscire a Laura la prima volta — ed è una storia abbastanza carina e dolce, a dire il vero; perlomeno, Manuel la reputa tale, un classico amore adolescenziale nato casualmente su un social dove hanno trovato una passione comune ad unirle.
Ecco, sono carine insieme, sedute una accanto all'altra. Di tanto in tanto si accarezzano, Benedetta le dà un bacio sulla guancia e la sporca di cioccolato.
Mentre è spettatore di quei gesti, vorrebbe compiere gli stessi su Simone che è di fianco a lui, allungare una mano sulla sua coscia e tenerla lì.
Se avesse colto l'attimo poco prima, magari potrebbe agire senza farsi troppi problemi, e invece...
Invece mangia la crepes in silenzio, quella che ha un po' bruciato sui bordi perché non è stato attento.
Le ore successive, la giornata intera, trascorre in compagnia di Laura e Benedetta, tra giri nei posti meno conosciuti di Ostia — non che la città sia grande — una birra in riva al mare e poi il ritorno a casa per poter mettere in ordine prima di andar via.
Le due ragazze, in stazione, ci mettono venti minuti a salutarsi, tra abbracci infiniti e baci altrettanto duraturi.
Quando sono in auto, in direzione Roma per tornare a casa, Laura si sistema sui sedili posteriori, tiene il cellulare tra le mani, di sicuro messaggiando con la fidanzata.
Manuel è alla guida, le lancia un'occhiata frettolosa dallo specchietto retrovisore. La sua attenzione si focalizza ben presto su Simone, sul sedile anteriore, e si accorge che il suo sguardo è già fisso su di sé, mentre una canzone della playlist Old but gold risuona nell'abitacolo.
«Che mi volevi dire prima?» chiede il più piccolo.
L'altro osserva la carreggiata di fronte a sé. Il sole è tramontato da poco, i lampioni sulla strada si sono appena accesi. «Che?» finge indifferenza.
«Stamattina, prima che arrivasse Laura, volevi dirmi qualcosa, poi non lo hai più fatto. Che era?»
«Niente di importante.»
«Beh, ma era qualcosa, no?»
«Sì, l'ho scordato. Vedi, non era così importante.»
Bugiardo.
«Non ti ricordi nemmeno se ti sforzi?»
«Nah, la vecchiaia fa questo effetto.»
«Ma...»
Per interrompere la frase, Manuel gira la manopola del volume, alza la musica e le note di Questo piccolo grande amore risuonano più forte e fanno vibrare i vetri.
Simone comprende che non otterrà alcuna risposta e si stringe nella spalle, mordendosi piano il labbro inferiore.
L'altro non distoglie lo sguardo dalla strada, non subito. Lo fa poco dopo, di sottecchi, intravedendo il suo profilo ed è un'ondata di tenerezza che lo travolge poiché in quel momento, stranamente, non scorge sicurezza, spavalderia o strafottenza.
No, lo sguardo cattura una fragilità celata che sta venendo fuori e della quale vuole prendersi cura.
Del resto, le persone che amano fanno così, anche se non glielo ha ancora detto.
Così, d'istinto, nonostante Laura sistemata sui sedili dietro, sposta la mano dal cambio e la posa piano sulla gamba di Simone che sussulta leggermente – frena quello stentato movimento.
Torna a puntare gli occhi sulla carreggiata, non si premura di analizzare eventuali reazioni.
Dovrebbe farlo.
***
[Note autore:
Diciamo che il tempismo non è molto dalla parte del nostro Manuel e non lo sarà per un po'.
Io avverto: ci stiamo avvicinando al primo drama, so hold on and enjoy the ride.
La storia è ancora lunga e dovete ricordare sempre che niente è come sembra.
Grazie per aver letto.
Ricordate che stelline e commenti fanno sempre piacere, qui o su Twitter #tortini
Alla prossima.
Un bacio.
Lilith.]
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