Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Non è come sembra




Manuel fissa lo schermo del computer da almeno dieci minuti, se non di più.

Di più, sono venti.

Non ha distolto lo sguardo dal sito dell'INPS.

Ha controllato i dati una miriade di volte e sono tutti corretti, ha messo le spunte sulle caselle richieste. Basterebbe soltanto premere invio e le dimissioni risulterebbero inviate.

Ha sognato quel giorno dal primo in cui è stato assunto e un solo click lo separa da una libertà che anela, da un lavoro che gli piace decisamente di più seppur con meno sicurezza.

Basta poco, eppure indugia.

Esita, con il cuore che gli batte forte e sente il suo rumore nelle tempie. Suda freddo e la cravatta rischia di soffocarlo.

«Vuoi un bicchiere d'acqua?»

La voce gracchiante e fastidiosa di Egidio gli arriva alle orecchie e lo fa sussultare. Si affretta a ridurre a icona la finestra aperta di quel sito fin troppo riconoscibile e «Che? No, grazie» borbotta in replica.

Egidio annuisce e sorride storto. Deve essere un suo modo di rassicurare, ma dietro gli occhiali spessi e rotondi e quella mezza smorfia, risulta soltanto inquietante.

«Ti sei bloccato da mezz'ora, ho pensato avessi qualcosa» aggiunge «sta girando l'influenza, sai, con queste temperature che fa freddo poi caldo poi freddo, uno non sa mai come vestirsi.»

E non esistono più le mezze stagioni e ti prendi un colpo d'aria e oggi dà pioggia, prendi l'ombrello.

Il discorso quotidiano sul meteo è andato.

Manuel finge un colpo di tosse per schiarirsi la voce. «Sto bene, nessun problema» taglia corto, il che non è una bugia, non proprio.

A livello fisico non ha nessun problema, per quel che concerne la sua testa, beh...

Il discorso cambia.

Continuano a rimbombare nella sua mente le parole della madre sul fatto che lui non è più un ragazzino, che non si può permettere certi colpi di testa e, se ci ragiona, lasciare un lavoro sicuro con uno stipendio alto e diversi benefit per andare a farne uno più instabile con il quale guadagnerebbe la metà dei soldi, lo è, un colpo di testa.

Ha ragionato su come potrebbe organizzarsi con i pagamenti che deve effettuare mensilmente — tipo che potrebbe riportare l'auto al concessionario, sarebbe una rata in meno da fare uscire dal conto, cambiare il telefono, prendere un modello pure non troppo recente, che tanto le funzioni dell'iPhone nemmeno le conosce tutte e nelle sue mani è piuttosto inutile.

Sono minuscoli accorgimenti che potrebbero servire, però non risolvono la situazione e non lo rassicurano per nulla.

Così sono sopraggiunti mille ulteriori dubbi che lo portano sull'orlo del cedimento.

Per sua fortuna, Egidio si è congedato ed è tornato alla sua postazione, a gestire la mole di lavoro con cui sostiene di essere sommerso.

Secondo il suo modesto parere o è lento a fare le cose oppure molte se le inventa perchè è fisicamente impossibile avere da fare per otto ore filate senza un minuto di pausa – alt, la pausa la fa, prende il caffè alle macchinette alle dieci in punto la mattina e alle quattro di pomeriggio e se ritarda, diventa tutto rosso e rischia di esplodere.

Spera di non diventare mai così con la vecchiaia, troppo schiavo di una routine noiosa e schematica.

Manuel può tirare un sospiro di sollievo per essere rimasto di nuovo solo – con i propri pensieri, okay.

Poi, il proprio cellulare vibra.

Lo tira fuori dalla tasca interna della giacca, le notifiche sono di WhatsApp, da parte di Piccolè — glielo ha davvero cambiato il nome in rubrica:

Stasera il coach ci vuole al campo per discutere di una roba
Non dovrebbe metterci molto
Mi vieni a prendere lì?

Sono rimasti d'accordo di festeggiare il nuovo lavoro e le dimissioni quella sera.

Buffo che Manuel senta che non c'è più nulla da festeggiare dato che pensa che non andrà fino in fondo, che è stato bello fingere per un po', per qualche ora, che ogni cosa potesse risolversi, illudersi che i sogni possano realizzarsi con uno schiocco di dita.

A volte si viaggia con la mente con dei progetti e dopo ci si schianta contro il muro della realtà.

In più, c'è sempre la bugia-non-bugia detta dall'altro sulla quale ancora deve fare chiarezza.

Insomma, un rinnovato casino, di diversa natura.

A che ora?

Per le 8

Okay a stasera

Non manca qualcosa?

Lo devi ricordare sempre?

Sempre
Visto che lo scordi

A stasera, piccolè

🏍️🏉

Per quel giorno, Manuel non presenta le dimissioni.

Chissà quando e se lo farà.

Ha uno strano magone al petto che gli impedisce di respirare senza un briciolo di dolore.

Ottimo.

Rimane in tensione per tutto il tempo e nemmeno il pensiero di vedere Simone gli provoca sollievo, probabilmente perché, in parte, l'altro è artefice del proprio cruccio.

Si sta crogiolando in un mare di paranoie.

Ne ha passate parecchie e sa che non ha senso continuare ad immaginare e basta, che può chiedere e magari la risposta fa pure meno paura.

Da ragazzino si teneva ogni cosa dentro e ha lasciato naufragare un sacco di rapporti per la mancata comunicazione — forse perché, spesso, quando provava a spiegare le proprie sensazioni, si è trovato dalla parte opposta persone che gli ridevano in faccia e sminuivano i propri sentimenti.

Non è bello.

Adesso, da adulto, la consapevolezza è diversa, sebbene qualche stralcio del passato sia rimasto e si nota dal modo in cui procrastina il momento della verità.

E la verità, molto spesso, è meno crudele di quanto lo sia l'immaginazione.

Quando abbandona l'ufficio, affranto, con la cravatta al collo pari ad un cappio — deve allentarla per respirare un po'— è presto e potrebbe tornare a casa, cambiarsi d'abito magari, solo che non ne ha voglia.

Girovaga per Roma senza una meta precisa, sebbene, alla fine, una la trova.

Probabilmente è il proprio inconscio a condurlo in quel luogo o il destino che ancora lo beffa.

Ferma l'auto davanti all'officina di Giuseppe. Ha salvato il suo numero, certo, ma non ha ben chiaro se lo userà o meno.

«Allora hai fatto presto!»

La voce del titolare gli arriva ovattata alle orecchie a causa del finestrino chiuso, lo stesso che si affretta ad abbassare. Lo saluta con un cenno del capo e un mesto sorriso. «Non proprio» replica «c'ho ancora delle cose da sistema'.»

Me e la mia testa.

Giuseppe si appoggia alla carrozzeria dell'Audi. Ha il viso sporco di nero, tracce di polvere e carburante. «Non ce sta problema» esclama «di norma non lo dico a nessuno, ma pe' te posso aspettà. Senza secondi fini, eh!»

Manuel accenna una risata priva d'entusiasmo — la battuta finale la trova un briciolo squallida, ma sorvola. «Ci vorrà un po', mi sa» deve puntualizzare.

«Quello che te serve» replica l'uomo. «Er pischelletto m'ha fatto 'na testa tanta su di te, pensavo scherzasse, ma sei davvero 'na forza! In questo mestiere semo pochi così.»

«'Na testa tanta?»

«Seh, passava ogni giorno de qua pe' dimme quanto eri bravo!» allunga una mano dentro l'abitacolo per dargli una pacca sulla spalla — per fortuna, non lo sporca.

«Simone esagera.»

«No, ho visto che sai fa', credo sia sincero.»

Buffo che il vocabolo prescelto sia quello, pensa Manuel, dato che è ciò che sta mettendo in dubbio. Si limita ad annuire. Vorrebbe ribattere con qualcosa, magari prolungare quel dialogo. Tuttavia, qualcuno da dentro l'officina richiama il titolare, il quale borbotta un sintetico «Mo' arrivo!» e dopo «Vado a sistema' delle cose dentro! Aspetto sempre la tua chiamata, eh!»

«Sì, uhm, certo!» conclude Manuel. Lo saluta, di nuovo, con un cenno del capo e lo osserva tornare dentro quel capannone, tra un fitto vociferare.

Indugia per un po' in quel luogo, con la schiena premuta contro il sedile e gli occhi socchiusi.

Si gode calma e quiete, la quale viene interrotta dal proprio telefono che squilla.

Quasi non vorrebbe rispondere, ma poi vede il mittente della chiamata: Chicca.

È da parecchio che non parlano e si sentirebbe in colpa a rifiutare la telefonata.

Allora, sospirando «Pronto?» dice.

«Ah, ma sei vivo!»

Purtroppo.

Abbozza una risata priva di reale entusiasmo. «Sì, più o meno. Tu come stai? Elena?»

«Io bene, sono incasinata con quel maledetto gruppo mamme! Secondo me alcune, quando partoriscono, sputano fuori anche il cervello!»

Ripete l'azione di poco prima e stavolta è sinceramente divertito. «Seh, lo abbiamo fatto 'na volta 'sto discorso. Meno male che a te è andata bene.»

«Mejo pe' te di sicuro! Pensa se diventavo 'na tale rompicazzi che crea problemi inutili per i semi di sesamo nel pane» conferma Chicca. Diventa subito seria. «Beh, che hai? Non te vedo, ma immagino che c'hai la faccia da funerale.»

«Niente.»

«Manuel, te conosco da così tanto tempo che sento dalla tua voce che ce sta qualcosa e, non per infierire, ma dopo l'ultima volta che m'hai nascosto le cose, 'n pochetto me so' offesa, quindi te tocca rimedia'.»

Vero, le ha nascosto parecchie cose, Manuel deve ammettere, però non lo ha fatto di proposito — più o meno: era una cosa profonda che non credeva di essere pronto a rivelare e ha avuto delle riserve, tutto qui.

A volte ci sono dei sentimenti, delle sensazioni che sono difficili da capire da soli, figurarsi spiegarle a qualcuno senza la paura di passare per pazzo.

Il discorso di prima, esatto.

Socchiude le palpebre, lancia un'occhiata verso l'ingresso dell'officina. «Uhm, in effetti, qualcosa è successo» confessa.

«Lo sapevo! Vai, dimmi tutto, tanto Elena è con Matteo, sono andati alle giostre, più per lui che per lei, ma dettagli.»

Abbozza una risata all'ultima affermazione, pensando all'amico che sale sulle varie attrazioni con la figlia per proprio divertimento e non il contrario; lo ha visto, cioè una volta lo ha accompagnato ed erano più le volte che gli mollava la bambina in braccio per salire sulle montagne russe che altro.

«Okay, ho... trovato un nuovo lavoro, che mi piace un sacco. La paga è più bassa, però ci andrei molto più volentieri.»

«Beh, ottimo. Qual è il problema?»

«Nessuno, insomma, a parte mia madre che mi ha detto che è un colpo di testa e di non farlo, di non rischiare.»

«Un po' lo è, ma è la tua vita, Manu, non quella di tua madre.»

Annuisce leggermente, anche se non può essere visto. Lo sa bene che la vita gli appartiene e troppo spesso è sceso a compromessi per far felici terze persone, però, se questo è vero, perché si sente sempre in difetto, come se stesse facendo un torto a qualcuno?

"I colpi di testa li fanno i ragazzini" gli rimbomba ancora nella mente e non riesce a cacciare via una simile frase, gli è rimasta impressa poiché lui, per davvero, non è più un ragazzino.

«Qualcosa me dice la voce rotta che c'hai non è per la questione lavoro» esclama Chicca in seguito.

Manuel si è distratto un momento, recepisce l'attestazione con lieve ritardo. «No, no, infatti» conferma, non prova a negare.

«C'entra il pischello?» la domanda è diretta, va al punto e lo centra in maniera perfetta con quanto segue: «Hai fatto un casino, vero?»

«Ho fatto un casino.»

C'è un attimo di silenzio che si crea nella conversazione. Si ode soltanto un sospiro in fondo alla cornetta da parte di Chicca e Manuel trattiene il fiato, quasi avesse paura di un eventuale rimprovero.

Tuttavia, dopo poco, dalla parte opposta sopraggiunge: «E glielo hai detto?»

«C'ho provato, ho—cercato il momento più adatto per farlo, ma...»

«Ma?»

«Ma quando m'ero convinto a dirglielo per davvero, ho scoperto che è uscito con n'altro, cioè... penso... penso stia uscendo con un altro.»

«Pensi?»

«Sì, cioè, n'amica sua m'ha detto così e...»

«E lui che dice invece?»

«Niente, non...»

«Non glielo hai chiesto, vero?»

Ulteriore assenza di suono, durante la quale Manuel si morde forte l'interno della guancia fino a quasi farsi male.

«Dio, te sei buttato giù per una paranoia tua?»

«Sì, cioè—no! È uscito co' qualcuno, non m'ha detto chi ed è possibile che sia uno che... vabbè, lascia sta'.»

Chicca sbuffa. «Manuel, per quanto io non sia fan di 'sta follia, ho promesso di venire a salvarti nel momento del bisogno e adesso ne hai estremamente bisogno, quindi te devo dì pe' forza che finché non ne parli direttamente co' lui, non c'ha senso crearti da solo delle angosce che non esistono.»

Manuel la ascolta senza emettere suono: lei è la sua coscienza, è lucida e razionale e stavolta neppure lo sta prendendo a schiaffi — non troppo.

La ragazza fa una breve pausa, lascia che l'amico assimili le proprie parole, poi riprende: «Parlaci e poi vedi che succede. Qualsiasi cosa ti dirà, ricordati peró 'na cosa.»

«Che?»

«Che Simone c'ha diciotto anni e a quell'età le cose si vivono in maniera diversa. Non è una colpa, non rende sbagliato ciò che senti tu, sono solo fasi della vita.»

«Quindi me stai già dicendo che me dirà che è come penso, che per lui è stato solo un gioco e sarà terribile.»

«No, te sto a dì che potrebbe essere un'eventualità da tenere a mente e serve per—non farti troppo male.»

È buffo, considerando che Manuel pensa di avere già le ginocchia sbucciate come aveva da bambino quando andava al parco giochi e tornava tardi a casa. Accenna un sorriso, anche se non può essere visto, ma è abbastanza sicuro che l'amica lo percepisca. «Pensavo me rimproverassi» sussurra «per aver fatto un casino.»

«Potrei, solo che in questo momento non te serve e sarei una pessima amica se lo facessi.»

Socchiude ancora una volta le palpebre, mentre il suo sguardo ricade sul portellone ora chiuso dell'officina e l'insegna rossa su sfondo bianco che ne appare sopra. «Grazie, Chì» soffia.

«De che! Poi famme sape', mh? Qualsiasi cosa accada, io sto qui.»

Manuel lo sa: Chicca per c'è sempre per lui.

🏍️🏉

Quando arriva al campo di rugby, manca qualche minuto alle otto. Evita il solito largo anticipo.

Parcheggia la macchina poco distante dall'ingresso, dove già vede i membri della squadra interagire: si stanno salutando, dunque quella sessione straordinaria di allenamento o intensa discussione è finita.

Rimane a metri di distanza, con il motore spento e la chiave ancora inserita nel quadro.

Resta lì, a fissare da lontano il gruppo di ragazzi che ride e scherza tra loro ed è in quel momento che il peso al petto si fa più opprimente, una sensazione che fatica a descrivere, sebbene si possa riassumere nella parola inadeguatezza.

I colpi di testa li fanno i ragazzini, si ripete e si chiede se, lavoro a parte, pure quello che ha con Simone, qualunque cosa sia, appartenga ad una simile categoria.

È probabile sia così ed è assurdo come sia tutto precipitato per mezza frase sentita che potrebbe pure non essere vera.

Pensava di essere abbastanza grande e cresciuto da evitare determinate reazioni, ma dopo anni ed anni di traumi e parole che lo hanno distrutto, è più complicato guarire.

Immerso in tali riflessioni, individua l'altro ragazzo e, accanto a lui, quel Thomas, la persona che non dovrebbe conoscere, colui che, a quanto pare, gli muore dietro.

Analizza i loro movimenti, i sorrisi che si rivolgono, il contatto fisico costante e all'apparenza casuale che il tedesco cerca e trova – che è così insistente che vorrebbe scendere dall'auto e tirargli un cazzotto sul naso.

Sì, è decisamente geloso.

Non è necessario inviare un messaggio per far notare la propria presenza, Simone se ne accorge in autonomia poco dopo e, in seguito, raggiunge l'auto e sale dal lato passeggero. Ha un ampio sorriso stampato in faccia, come se nulla fosse. «Allora? Dove andiamo a festeggiare le dimissioni?» esclama, con tono squillante.

A Manuel sfugge una risata priva di entusiasmo. «Sì, io, uhm» borbotta «non le ho presentate ancora.»

«Perché?»

«Ho—delle cose da vedere, dei conti da fare.»

«Non li avevi già fatti?»

«Sono da fare meglio.»

Per un breve attimo, Simone aggrotta le sopracciglia. Pare perplesso, su un argomento che per lui era chiuso. Dura poco, poi scrolla le spalle e «Beh, possiamo festeggiare lo stesso, al futuro

Non c'è qualcosa che spaventa di più Manuel della sola parola, futuro, sinonimo di ignoto dal suo punto di vista. Si limita ad annuire e a rimettere in moto l'auto.

Festeggiare è una parola grossa, considerando che prendono una birra ad un chiosco e la bevono fuori dall'Audi.

Il dialogo tra loro è quasi a senso unico, con Simone che parla, parla, parla e Manuel che ogni tanto fa cenno di sì con il capo e intanto rimugina, pensa, impazzisce, rivede mille volte la scena al campo con Thomas che — davvero — è durata pochissimo, tanto che neppure dovrebbe considerarla, sente al pari di un urlo la voce di Anita che gli rammenta che i colpi di testa non si fanno e il sussurro più flebile di Chicca che gli suggerisce di parlare, che la comunicazione è importante e non può farsi distruggere da una supposizione.

Magari, semplicemente, non è come sembra.

Nonostante tutto questo, per il resto della serata, non proferisce parola a riguardo.

Tuttavia, quando tornano a Villa Balestra e sistema la macchina davanti al garage, abbandona il mezzo e chiude con la chiave elettronica, sente un quesito sopraggiungere: «Sei sicuro che sia tutto okay?»

La domanda è lecita, non può biasimarlo.

«Sei stato—distante per tutta sera, non so.»

Sono nel giardino di una casa con le luci spente. Dante e Anita stanno sicuramente dormendo, ma tanto la loro camera si trova dal lato opposto e non possono di certo sentire.

Manuel si stringe nelle spalle, mentre osserva Simone in piedi davanti a sé, che si tortura le dita di una mano, nervoso.

Forse quello è il momento di togliersi di dosso ogni dubbio, andare dritto al punto, strappare il cerotto.

Forse no.

«No, nulla, uhm, tutto okay.»

Scemo, suona come la voce di Chicca quella della propria coscienza.

L'altro ragazzo continua a fissarlo. I suoi occhi scuri e grandi lo scrutano a fondo e abbassa il capo per essere meglio alla sua altezza. «Sicuro sicuro?» pigola.

Manuel ci potrebbe morire in quella espressione supplicante e...

Non è il momento. Sì guarda ancora intorno, furtivo, e infila le mani nelle tasche del cappotto.

Rimandare prolungherebbe solo la sua agonia.

Meglio strappare il cerotto.

Prende un respiro profondo. «Sei uscito con Thomas?» domanda, diretto, con paura, terrore.

«Cosa?»

«L'altra sera—mi hai detto che avevi un impegno con una... una persona. Era Thomas?»

Il più piccolo abbozza una risata, un briciolo nervosa. «Perché me lo chiedi?»

«È solo 'na domanda.»

«Hai parlato con Laura?»

«Puoi rispondermi e basta? Per favore.»

Non capisce il motivo, ma replica: «Sì,» scrolla le spalle «quindi?»

«Mi hai detto che non la conoscevo. Me pare che invece lo conosco.»

«Vabbè, che importa?»

Di norma, a Manuel non importerebbe, è vero. Però lo fa, fin troppo, e non l'evento in sé, piuttosto la bugia. «È vero che te more dietro?»

La facciata di strafottenza che Simone si impegna a tenere sulla faccia un po' si incrina, come se si stesse sforzando di tenere su una maschera che si sta sbriciolando a poco a poco. «Questo che c'entra?»

«C'entra. È vero?»

Sbuffa e abbassa lo sguardo. Non riesce a sostenere quello di chi gli è davanti. «Direi di sì, dato che mi ha baciato.»

Manuel cerca di non reagire male a ciò che ha appena sentito e non decifra il tono con cui la frase è stata pronunciata, forse troppo naturale.

Non è come sembra, prova a ripetersi in testa e ancora che Simone ha diciotto anni e le cose le vive diversamente.

«Ah» è l'unica cosa che gli viene fuori di bocca.

«Ha cominciato a flirtare con me e allora ci sono uscito, sembrava divertente» viene aggiunto come informazione e quasi vorrebbe dirgli che non occorre esplicare i dettagli.

«Okay» soffia e la voce gli si spezza in gola.

«Qual è il problema?»

Pensa sia evidente, ma tant'è.

Simone ha sollevato lo sguardo e Manuel cerca di leggerci qualcosa dentro.

Si chiede se è stato così cieco da non vedere determinate cose, così sulle nuvole da non considerare eventi e situazioni, stupido per aver dato importanza ad alcuni gesti.

Ha frainteso e non in modo innocuo.

Un colpo di testa che avrebbe potuto evitare.

Non è più un ragazzino, no?

Probabilmente ha corso troppo, mentre l'altro è rimasto fermo al punto di partenza.

«Nessuno, uhm» si passa una mano sul viso. «Stavo pensando ad una cosa.»

«Che?»

«Che dovremmo chiuderla qui, questa—cosa è durata fin troppo» soffoca e una parte di lui gli suggerisce che, magari, è fin troppo frettoloso e potrebbe pensarci meglio, si fa venire qualche dubbio.

Pochi, però ci sono.

Simone sgrana gli occhi e accenna una risata pregna di isterismo. «Chiudi con me perché sono uscito con Thomas?»

«Beh, avemo iniziato 'sta roba per distrarci finché non trovavamo la persona giusta, no?»

«Thomas non è la mia persona giusta, t'assicuro.»

«O magari sì. Magari è là fuori e ti stai distraendo troppo.»

«Non è vero!» alza un po' la voce — e Manuel si guarda intorno, nel timore che Anita e Dante possano svegliarsi; nulla, calma piatta, anche se un briciolo lo ha sperato, avrebbero messo fine a quella agonia.

«Sono uscito con lui perché era divertente, fine» attesta Simone «non c'è altro.»

«Non c'è altro?»

«No e non capisco perché stiamo discutendo! Se la tua preoccupazione è che perda la persona giusta nel frattempo, ti sbagli. Io faccio questo, mi diverto. Non provo niente per lui» e la frase sarebbe sufficiente per porre rimedio e far decadere la discussione, pure per tornare indietro, riporre la faccenda nel dimenticatoio e far finta che nulla sia successo.

Gli starebbe bene.

Tuttavia, dalla bocca di Simone, qualche secondo dopo, esce ancora fuori: «Così come non provo niente per te.»

Non è come sembra riecheggia nella mente di Manuel.

Non è un urlo, più un flebile e ridondante sussurro che a poco a poco sparisce.

Che stupido, la propria coscienza lo rimprovera, hai dato il tuo cuore nelle mani sbagliate, di nuovo.

Stavolta gli è sembrato di essere più cauto, di aver valutato i pro e i contro prima di accettare il sentimento, ha addirittura premuto il tasto reset più volte.

Avrebbe dovuto insistere ed evitare il cortocircuito.

Manda giù a fatica della saliva, mentre gli occhi grandi di Simone lo fissano e lui non riesce a ricambiare lo sguardo.

«La finiamo qui» ripete e cerca di non far notare troppo il tono di voce che si spezza.

Se poco prima ha rischiato di essere frettoloso, ora ha soltanto una certezza in più.

Non si deve fare troppo male.

Si è già fatto troppo male.

«Stai—facendo questo casino per nulla, ne parliamo domani mattina e...»

«Non ce sta bisogno. Ho iniziato io 'sta cosa e decido io che stasera finisce.»

È più fermo e risoluto pronunciando tale affermazione, perlomeno all'apparenza; lo è pure lo sguardo che rivolge all'altro, duro e... deluso, a dire il vero.

Che poi non ha nemmeno senso avercela con il più piccolo, con il ragazzino: è lui che ha frainteso, lui che ha interpretato male i segnali, lui che ha fatto un casino.

Aveva ragione Chicca, pensa: vivono le cose in maniera troppo diversa.

Lo vede aprire la bocca, probabilmente per aggiungere qualcosa e proseguire quel discorso.

Da esso, però, Manuel vuole fuggire. Evita che Simone possa afferrarlo per un braccio — lo vede con l'intento di farlo — lo scansa e cammina con rapidità verso l'ingresso, senza guardarsi indietro, senza voltarsi. Trattiene il respiro su per le scale finché non è nella propria stanza, dentro la quale si chiude, girando la chiave nella toppa.

Si appoggia con la schiena all'anta di legno, per non cadere a terra, dato che sente le gambe deboli.

Un tempo, di fronte ad un simile evento, avrebbe reagito urlando, magari spaccando qualcosa.

Adesso, tutto ciò che prova è un vuoto, quello che sostituisce il dolore e lo lascia privo di ogni sensazione.

Qualcuno riderebbe di lui a sapere che si è ridotto così.

È buffo: fino alla mattina precedente, il suo progetto era di cambiare la propria vita, buttarsi nel lavoro dei suoi sogni, cercare il momento più adatto per dire a Simone ciò che prova, che lo ama, mentre quella sera, non ha più niente.

Non ha più Simone, non ha più la sua felicità.

Ed è esattamente come sembra: distrutto, a pezzi.

Senza alcuna speranza.

Ancora una volta.

***

[Note autore:

Lo so, peggio di una doccia fredda — Manuel lo sa bene.

Abbracciamoci forte, communication is the key, but Simone non è molto capace (il suo corpo forse sì)

Grazie per aver letto fin qui.

Alla prossima.
Un bacio.

Lilith.]

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro