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La partita




«Sei bravo con le mani» sussurra Simone.

La sua voce arriva un po' ovattata alle orecchie di Manuel, intento a baciargli il collo.

Sono nella camera di quest'ultimo, sul letto, sdraiati senza vestiti.

Il più grande è sopra l'altro, lo blocca contro il materasso, mentre con una mano massaggia placidamente il suo principio di erezione, sfiora con i polpastrelli i testicoli e a volte scende più giù, nei pressi dell'anello di muscoli sensibile; compie dei gesti ripetitivi, dediti soltanto a stuzzicarlo e portarlo ad eccitarsi. Gli tiene le braccia ferme sopra la testa.

Simone lo lascia fare, si abbandona al suo tocco che gli provoca un brivido lungo la schiena e arriva fino alla punta dei piedi. Tiene gli occhi chiusi, come se ciò rendesse quelle sensazioni più profonde e intense.

«Quasi quanto me con la bocca» aggiunge e fa un mezzo sorriso, compiaciuto come al solito. Gli piace vantarsi.

Manuel solleva il capo. Continua a toccarlo, ma risponde: «'Sta bocca potrebbe imparare a stare zitta ogni tanto.»

«Sta zitta solo se impegnata.»

«La devo fare impegnare?»

Le palpebre di Simone rimangono serrate e lui ride, piano, quasi muto, poiché sono le sei e mezza del mattino, Dante e Anita sono a pochi metri di distanza e loro devono fare il minor rumore possibile.

Insomma, i muri sono spessi, però non così spessi.

«Prima fammi venire, poi ne riparliamo» attesta.

«Se non lo facessi?»

Apre un solo occhio per guardarlo sbieco. «Questa bocca andrebbe in sciopero per un bel po'.»

«Ne troverei n'altra su Grindr.»

«Che fa le stesse cose? Io non credo.»

L'espressione di Manuel è famelica. Nonostante stiano battibeccando, Simone è del tutto in balia del proprio tocco; calibra la pressione che utilizza, cerca e trova punti specifici da sfiorare con le dita, a volte preme, altre sfrega, lo tiene appeso ad un filo tra donargli piacere e toglierglielo, una docile e soave tortura.

«Te stai a allargà troppo, piccolè» lo riprende e stringe forte il suo membro in una morsa con l'intera mano.

Simone si morde il labbro inferiore e trattiene un gemito. «T'avevo detto di non—chiamarmi così» boccheggia.

«E io mica t'ho detto che avrei smesso» Manuel soffia sulle sue labbra mentre prende a masturbarlo con più vigore. Si bea del suo respiro che si fa sempre più corto, del modo in cui tenta in ogni modo di non emettere alcun verso, di non fare rumore.

È una situazione sulla quale ha il pieno controllo e la cosa lo rende appagato.

«Che stronzo» sibila Simone.

Per risposta, Manuel gli morde il labbro inferiore e preme due dita sul suo glande. «Come?»

Cattura un suo gemito in un bacio ed è poco dopo che lo conduce all'orgasmo, uno silenzioso, per forza di cose quieto.

Gli occhi di Simone si sono fatti lucidi, le sue guance si sono arrossate. Cerca di prendere dei minuscoli e lenti respiri per non esplodere, sebbene il proprio corpo stia fremendo, le gambe gli stanno tremando e formicolando.

Quell'immagine rende ancora più grande la soddisfazione di Manuel, consapevole di esserne l'artefice — una rivincita per tutte le volte che l'altro lo provoca fuori e lui cede in mezzo secondo.

Vorrebbe affermare di essere diventato bravo a resistergli, però mentirebbe.

«Rimani stronzo» ripete Simone quando è in grado di respirare di nuovo in maniera normale. Approfitta della frazione di secondo durante la quale l'altro gli libera le mani per potersi disfare del peso del suo corpo addosso e spingerlo su di un lato. Si divincola e si alza dal letto, raccattando i propri boxer a terra e la t-shirt bianca che usa come pigiama.

Manuel lo osserva con la coda dell'occhio, interdetto. «Dove staresti andando?» chiede. Il suo tono è quasi retorico.

«A fare la doccia» replica Simone, infilandosi la maglietta.

«Non dovresti fare qualcosa prima de quello?»

Gli rivolge un'occhiata distratta, ma è già indirizzato verso la porta. «Non mi risulta.»

«Uhm, tipo ricambiare?»

«Ah, quello!» muove qualche passo come se dovesse tornare sul materasso e, in effetti, procedere al ricambiare.

Manuel si prepara già, divaricando appena le gambe e tenendo su il busto sui gomiti piegati, giusto perché gli piace vedere e quello è sempre un bello spettacolo.

Tuttavia, a pochi centimetri dalla meta, Simone indietreggia e schiocca la lingua sul palato. «Non ho tempo» si giustifica «ho il compito di latino alla prima ora, devo ripassare.»

«Stai scherzando.»

Non è una domanda.

«Ci tengo alla mia media del nove!» dice ancora, con strafottenza «Oh, ma puoi sempre cercare un'alternativa su Grindr, eh!»

Maledetto, pensa Manuel. Viene lasciato con una erezione che gli fa male e ha necessità di essere soddisfatta.

Deve fare da solo visto che chi potrebbe aiutarlo va via, chiudendosi la porta alle spalle senza fare rumore.

La giornata è già iniziata male. Per fortuna la settimana sta per finire.

Deve attendere il suo turno per la doccia, ragion per cui, quando scende in cucina per la colazione, trova tutti già seduti a tavola, con tazze di caffè fumanti davanti e l'odore di cornetti appena sfornati che inebria l'aria.

Sono quelli surgelati che si preparano in qualche minuto se riscaldati, ma tant'è. Sono buoni – l'unico cibo preconfezionato che tollera e, anzi, apprezza.

Si accomoda al posto che è diventato solito, accanto a Simone, e si ritrova nel mezzo di una conversazione iniziata della quale non conosce l'argomento.

«Dai, ti promettiamo che la prossima volta ci siamo» esclama Anita, con un sorriso, mentre spalma della marmellata di ciliegie su una fetta biscottata.

«Ma certo, basta solo avvertire un po' prima» aggiunge Dante, di fianco alla moglie, sorseggiando la sua bevanda calda.

Simone non ha toccato cibo. Tiene i pugni stretti sul tavolo e lo sguardo basso; pare spento, Manuel non lo ha mai visto così ed è di sicuro diverso dalla versione irriverente di mezz'ora prima in camera da letto.

«Ve l'ho detto due settimane fa» borbotta.

Anita sospira. «Non l'ho segnato e altre cose si sono accavallate» dice «non l'abbiamo fatto apposta, tesoro. La prossima volta lo appunto sul calendario così non prendiamo altri impegni.»

A quel punto, Manuel aggrotta le sopracciglia, passa lo sguardo sul volto di ogni presente e chiede: «Che succede?»

Occorre qualche secondo per ottenere una risposta, la quale sopraggiunge dalla madre: «Niente, Simone ha una partita stasera e non riusciamo ad esserci.»

La donna fa una breve pausa e addenda la fetta biscottata. «Alla prossima ci saremo, lo prometto.»

È facile intuire che si tratti di una partita di rugby, così come lo è il fatto che quella non deve essere la prima volta che una certa dimenticanza capita – perlomeno, l'espressione apparentemente delusa di Simone non lascia spazio a differenti interpretazioni e spiegazioni.

Manuel lo vede annuire, rassegnato, intanto che mescola lo zucchero nel caffellatte.

«Vabbè, a che ora è 'sta partita?» domanda, di getto.

Altrettanto rapidamente lo sguardo del più piccolo si posa su di sé, a chiedere se sia serio.

Lo è per davvero e insiste: «Allora?»

«Alle sei e mezza.»

La situazione si è ribaltata ed ora sono gli altri presenti che fissano Manuel, che ha agguantato un cornetto tiepido e lo ha spezzato in due, inzuppando una metà nel latte. «Posso venì io» propone e il modo disinvolto con cui ciò accade lo fa sorprendere di sé stesso.

«Ma le sai le regole almeno?»

Butta giù il boccone con un briciolo di fatica. «No, ma me le puoi spiegà. E poi esiste Google.»

«Guarda che è una partita tra ragazzetti!» interviene Dante, ridendo. Per lui non sembra essere una questione seria, importante.

«È una partita del campionato regionale» sottolinea Simone, invece. Fulmina il padre con lo sguardo.

Quest'ultimo alza le mani in cenno di resa. «Oh, beh, allora!» scherza.

Usa una leggerezza che è in contrasto con la serietà del figlio.

Manuel finge un colpo di tosse per schiarirsi la gola. «Comunque per me non ce sta problema» esclama «non ho niente de mejo da fa', per cui.»

La discussione non prosegue oltre poiché troncata di netto da aneddoti divertenti sul passato esposti dal professore — e Manuel vorrebbe seriamente dirgli che non fanno ridere nessuno, ma sta vivendo a scrocco a casa sua e non gli pare il caso e poi gli dà l'impressione di essere un mezzo attraverso il quale l'argomento viene cambiato e accantonato.

Un quarto d'ora dopo, è pronto a salire al piano superiore e prepararsi all'ennesimo colloquio da sostenere, stavolta in un'azienda che produce sigarette elettroniche.

Mette un piede sul primo gradino ed è un «Manuel!» a fermarlo.

Si volta con lentezza per vedere Simone raggiungerlo, con lo zaino di scuola su una spalla.

Se resta fermo lì, riesce ad essere più alto di lui di qualche centimetro. La differenza tra loro non è eccessiva, comunque.

«Mh-m?»

«Guarda che non sei obbligato a venire.»

«Dove?» finge di non capire e infila le mani nelle tasche dei pantaloni beige che indossa.

«Alla partita. Nel senso, solo perché scopiamo, non vuol dire che devi interessarti a quel che faccio.»

«Non me interessa, infatti. Davvero non c'ho niente de mejo da fa'.»

«Non hai niente di meglio da fare che vedere una partita di ragazzini?»

«Qualcuno ha detto che è 'na partita di un campionato regionale» riesce a strappargli una risata con tale precisazione «e poi c'ho pure un tornaconto personale.»

«Sarebbe?»

Abbassa il tono della voce e si sporge in avanti per poter sussurrare: «Se vengo alla partita, dopo puoi ricambiare il favore di stamattina, magari tenendo la divisa addosso.»

Un sorriso malizioso appare sulle sue labbra, il medesimo che si delinea su quelle di Simone, il quale lancia uno sguardo furtivo intorno per assicurarsi che nessuno possa origliare. «Se volevi vedermi con quella, bastava chiedere, sai?»

«Me lo segno pe' la prossima volta.»

Manuel si tira indietro e fa l'occhiolino, anche se gli viene un po' male e cerca di non farci caso.

Dall'altra parte, Simone pare apprezzare. «Allora a stasera» dice.

«A stasera.»

🏍️🏉

Il colloquio va malissimo.

Anzi, peggio che male. Non gli dicono neppure che gli faranno sapere, alla fine.

Da un lato, meglio: non gli interessava produrre qualcosa che detesta — l'odore delle sigarette elettroniche gli fa venire il mal di testa.

Qualcosa di consueto, comunque, accade dopo, quando Chicca lo videochiama.

È in casa da solo, sotto al portico. L'aria fresca d'autunno comincia a farsi penetrante.

«Allora? Sto aspettando!» esordisce Chicca. L'immagine della ragazza che si intravede sullo schermo è sgranata e in alcuni momenti si muove a scatti a causa della scarsa connessione; probabilmente, pensa Manuel, si trova nello studio dove lavora e lì il wifi è pessimo, lo ha provato.

«Che stai aspettando?»

«Che me racconti che stai a combina' co' la pischella de diciotto anni, non ce credo che hai ignorato la cosa.»

Lui alza gli occhi al cielo. «Non sto a combina' niente» replica.

Chicca aggrotta le sopracciglia. «Te conosco da così tanto tempo che me n'accorgo quando dici 'e stronzate.»

A Manuel sfugge un sorriso malinconico. Nell'ultimo periodo, sono tante le cose che ha nascosto all'amica e più in generale al mondo intero.

Se ci ragiona, forse una piccola parte di verità può confidarla, una minuscola, in attesa del momento in cui sarà pronto per rivelare anche dell'altro.

Sospira e si appoggia meglio ai cuscini del divano in vimini. La Villa è estremamente silenziosa in quel momento.

«Ci stiamo solo divertendo» sussurra.

Chicca scuote il capo e si porta una ciocca di capelli dietro ad un orecchio. «Dio, speravo me dicessi che era un modo tuo per prendere pe' culo a Matteo!» esclama. «Non è un po' presto per fare quelle cose da crisi de mezza età?»

«Chì, è capitato.»

«Seh, ti è capitato dopo un divorzio, un licenziamento, il ritorno a Roma! Te senti perso, è chiaro.»

«Ma la laurea l'hai presa in psicologia? Me ricordavo in moda, magari me sbaglio.»

«Daje, hai capito che intendo» precisa lei. «Lo so che sta a succede.»

«E che sta a succede?»

«Succede che stai per compiere trent'anni e te sembra che sia il termine ultimo della vita tua, la fine della giovinezza e delle cose spensierate. Te giuro che non finisce niente. Il peggio è passare i venticinque, il resto non se sente.»

«Stai a fa' tu discorsi da crisi de mezza età, te ne sei accorta?»

La ragazza sbuffa. «Manu, questo pe' dire che la tua relazione co' una de diciotto anni è un chiaro segnale che stai male.»

«Oh, stai a corre! Guarda che non ho firmato nessun contratto per una relazione eterna, ce divertiamo e basta, non ho altri piani.»

«Seh, ma ave' 'na relazione con uno più grande è il sogno de tutte le ragazzine. Quella rischia de rimanerci sotto se continuate.»

«T'assicuro che non c'è pericolo» mentre lo dice, ne è abbastanza convinto: dalle sfaccettature che intravede in Simone, non gli sembra il tipo per qualcosa di stabile e poi nessuno dei due marcia in tale relazione, anzi, al contrario. Entrambi vogliono qualcosa di leggero, una distrazione e basta.

Il pericolo è pari a zero.

«E se ce rimani sotto te?»

Ora gli sfugge una risata divertita. «Ancora più impossibile» attesta «non c'avemo niente in comune.»

«Sicuro?»

«Assolutamente! Se non siamo a letto, non la sopporto. Te pare?»

Su tale aspetto, un po' mente: alla fine, la compagnia di Simone non è così terribile, soltanto fastidioso a tratti.

«Mhm, te tengo d'occhio.»

«Stai serena, ho tutto sotto controllo.»

E per quel che vale, in quel momento ci crede per davvero.

🏍️🏉

Manuel arriva al campo di rugby un'ora prima dell'inizio dell'evento — per citarlo, non ha nulla di meglio da fare.

Gli spalti sono pressoché vuoti, immagina che un eventuale pubblico arriverà a ridosso della partita, se verrà qualcuno. Insomma, è consapevole che lo sport nazionale in Italia è il calcio e dubita ci sia chissà che tifo per una squadra di rugby di dilettanti.

Pardon, campionato regionale.

Si avvicina alla transenna che separa il pubblico dai giocatori. Si appoggia ad essa, strizzando gli occhi per quel poco sole che si abbassa sempre più in cielo e i raggi del quale traspaiono tra i ragazzi delle due squadre avversarie alle prese con il riscaldamento in vista della gara.

Quella di Simone ha la divisa color bordeaux, numero bianco sulle maglie e pantaloni neri.

Cerca tra la moltitudine di adolescenti colui che gli interessa e lo vede ben presto: porta il 23 sulla schiena, la fronte imperlata di sudore e una traccia di terra gli sporca la guancia sinistra; tiene le labbra schiuse per riprendere fiato a causa della fatica ed è ben attento a ciò che succede in campo, alle indicazioni dell'allenatore.

Manuel rimane ad assistere tale dinamica sebbene non ci capisca molto per i successivi venti minuti. Si è dato da fare quel pomeriggio, cercando in rete tutte le informazioni necessarie, le regole di quello sport — tipo che non aveva idea si giocasse in quindici.

Però un conto è conoscere la teoria, uno diverso è osservare la pratica.

Magari deve solo attendere l'inizio della partita e sarà tutto un po' più chiaro.

Forse.

Si immagina un po' nei panni di Chicca quando ha provato a spiegarle il fuorigioco nel calcio.

«Ehi!» ad un tratto, Simone si avvicina, accennando una corsa.

Manuel lo saluta con un cenno del capo. Il pubblico, seppur poco, sta cominciando ad accomodarsi negli spalti. «Sei già tutto sudato, c'arrivi a fine partita?»

«Seh, questo non è niente. Sono abituato a correre.»

«Sei un trequarti?»

«Qualcuno ha fatto i compiti.»

«Qualcuno è molto bravo a leggere le informazioni da Wikipedia. Non t'assicuro de capì altro.»

Simone ridacchia. In realtà, apprezza lo sforzo. «Tu—esulta quando lo fanno quelli seduti da questa parte» indica il lato destro degli spalti.

Manuel annuisce. «Ricevuto.»

Anche se poi scopre di non averlo fatto così bene perché quando Simone si allontana e l'incontro ha inizio, durante il primo tempo esulta per due volte quando la squadra avversaria fa punto, la prima con quello che chiamano meta, il secondo con un calcio piazzato — si sente un po' stupido a riguardo e percepisce lo sguardo di rimprovero che il numero 23 gli sta riservando.

Non può saperlo, però quello sguardo non contiene alcuna traccia di una eventuale ramanzina.

Metri di campo e transenne li separano e impediscono che ciò avvenga.

Tutto sommato, per quanto sia confuso dalle regole, non riconosca quei modi di far punto che ha letto su internet, in certi momenti non comprende perché tutti corrono in direzioni opposte, alla fine si diverte abbastanza e non si pente di essere andato ad assistere alla partita.

La squadra di Simone vince 40-31 allo scoccare dei due tempi di gioco.

Manuel vede contentezza nei volti dei giocatori con la maglia bordeaux, in quelli di genitori e amici sugli spalti, gli stessi che abbandona con lentezza.

Si chiede se anche Dante sarebbe stato contento se fosse andato.

Se mai ci è andato ad assistere ad una gara.

Immagina di no, vista la discussione di quella mattina.

Attende l'altro ragazzo a qualche metro di distanza da essi, immerso negli schiamazzi e risate dei presenti.

Non si sente neppure eccessivamente fuori posto, al contrario, sta bene.

Un po' paradossale che stia bene alla fine di una partita di uno sport che a malapena conosce, tra volti sconosciuti e un freddo che si è fatto d'improvviso pungente.

Infila le mani in tasca. Deve attendere qualche minuto scarso prima che Simone spunti con il suo borsone in spalla e, come da silente promessa, la divisa ancora addosso.

«Ho seguito benissimo e sbagliato solo due volte, sii fiero di me» esclama Manuel appena lo vede, con fare appositamente teatrale.

Simone accenna una risata e lo fissa con il capo appena inclinato su di un lato, in piedi davanti a lui. Ha la fronte imperlata di sudore e un riccio di capelli appiccicato ad essa. «Nessuna pessima figura fatta, è già un traguardo» commenta.

Ispeziona l'ambiente intorno: alcuni dei suoi compagni gli passano accanto e si congratulano con lui per la vittoria, a suon «Oh, bella, Simó!»

Ma non li sta davvero ascoltando. Infatti, approfitta di un brevissimo attimo in cui nessuno gli sta prestando attenzione per afferrare Manuel per un braccio e trascinarlo di peso lontano dal caos.

Quest'ultimo realizza a fatica e con ritardo ciò che sta accadendo. Ha una visione più nitida quando la luminosità intorno a loro diminuisce, di pari passo al rumore; i suoni si fanno lontani e ovattati. Capisce che sono finiti sotto quegli stessi spalti che ha occupato poco prima, nascosti da sguardi indiscreti.

È chiaro anche il motivo per cui si trovano lì.

Ne ha la certezza quando Simone fa cadere di peso il borsone a terra e un tonfo riecheggia nell'aria.

Manuel schiude le labbra ed esse sono subito assalite da un bacio irruento. Sbatte la schiena contro un palo largo e di ferro.

Tiene le mani sollevate, ma presto le va a posare sui fianchi del ragazzo che gli è di fronte.

«Non siamo...» fa per dire.

Simone lo frena, lasciandogli un lieve morso sulla guancia. «No, ci sono già venuto» soffia.

Non specifica, però seda la paura di poter essere visti.

Manuel sbuffa una risata. «In quanti posti hai già provato per avere la certezza?»

«Parecchi. Se vuoi te li mostro tutti, ma prima...» l'altro fa un passo indietro, minuscolo poiché i loro visi rimangono abbastanza vicini da percepire il reciproco respiro addosso. «Ho un favore da ricambiare, no?»

Quella frase rimane per un momento in sospeso, quasi non necessitasse per davvero una risposta.

Di fatto, non ce n'è bisogno.

Manuel ha lo sguardo perso e perde per un breve attimo il contatto con la realtà: la scena si svolge davanti a lui a rallentatore e comprende Simone che gli lascia un ultimo fugace bacio sulla bocca e poi si abbassa, sbatte le ginocchia sul terriccio umido.

Ringrazia di avere qualcosa a sostenerlo alle spalle altrimenti cadrebbe a terra per quel che segue: il rumore della zip abbassata, il fruscio del tessuto dei pantaloni e del cotone dei boxer che vengono scansati, la sensazione di calore che comincia a pervaderlo, partendo da l'erezione tra le sue gambe che subito si fa presente.

Socchiude le palpebre, butta il capo all'indietro.

Col senno di poi, è valsa la pena aspettare tutto il giorno e ha pure un motivo in più per cominciare ad appassionarsi al rugby.

🏍️🏉

Dopo, in precedenza al ritorno alla Villa, si fermano in un chiosco a mangiare un panino con le salamelle — Manuel ha la scusa di poter ricambiare al kebap offerto la sera del giro in moto e non si fa alcuna domanda sul fatto che Simone abbia rifiutato l'invito dei compagni di squadra per andare a bere qualcosa col fine di festeggiare la vittoria.

Sono appoggiati al cofano dell'auto, uno accanto all'altro, nella scarsa luce di uno dei radi lampioni di quella strada.

La fame di Simone, probabilmente a causa dello sforzo fisico della partita, è così vorace che si sporca di ketchup sulla punta del naso.

Manuel lo nota e ridacchia, seppur a bocca piena. Gli passa un tovagliolo e «Pulisciti, stai a fa' 'n macello!» rimbecca, divertito.

Il ragazzo gli obbedisce, ringraziando con un cenno del capo. «Non ne avevo mai mangiato uno così buono» borbotta.

«Non sei mai venuto da Antonello?»

«No, giro poco in 'sta zona, ma ci torno de sicuro.»

Manuel nota che in quella frase si sente un briciolo di più la sua cadenza romana; di norma, succede di rado, se non mai. Pensa a sé stesso, che si è dovuto sforzare per nasconderla, addirittura prendendo lezioni di dizione che Nina gli aveva imposto perché ci teneva a fare bella figura e sosteneva "con questo accento, nessuno ti prenderà mai sul serio".

A lui piace, invece, la considera la parlata più bella al mondo. Un mezzo sorriso gli sfugge a udire tale inclinazione nella voce di chi gli è ora accanto.

Annuisce e prende un morso al panino che ha quasi ultimato.

«Comunque siete bravi» dice, ad un tratto, cambiando argomento. «Per quel poco che ce capisco di rugby, chiaro.»

Simone si passa il tovagliolo di nuovo sul naso, poi sulla bocca, anche se qualche traccia di salsa resta nei contorni delle sue labbra. «Non siamo male» esclama «lo scorso anno abbiamo vinto il campionato regionale» scrolla le spalle come se fosse qualcosa da niente «a me piacerebbe giocare in quello nazionale, per ora m'accontento. Il rugby non è proprio—lo sport di punta di questo paese, però si sta espandendo un po'.»

Nonostante la poca luce della strada, Manuel riesce comunque a scorgere l'euforia nei suoi occhi nei confronti di tale sport. quella che appare soltanto quando si parla di qualcosa che si ama, che appassiona; a lui capita — o capitava — lo stesso se nel discorso erano comprese le moto oppure la musica della sua rinomata e classica playlist.

Ed è qualcosa di così bello che si reputa davvero un coglione ad aver soffocato tale euforia per anni per qualcuno che, di sicuro, non ne valeva la pena.

«Beh, se avessi optato per il calcio, non avresti questo problema.»

«Non mi piace troppo il calcio. Lo seguo tipo quando ce stanno gli europei o i mondiali.»

«Quindi che risponni alla classica domanda?»

«Quale classica domanda?»

«Roma o Lazio?»

Simone ridacchia. «Roma, altrimenti mio padre m'ammazza.»

«Ottima risposta.»

🏍️🏉

Quando tornano a casa è da poco passata la mezzanotte. Trovano, all'ingresso, Dante e Anita; entrambi si sono appena tolti la giacca, per cui deducono siano rientrati anche loro da pochi minuti.

«Ah, siete qui!» esclama la donna. «Com'è andata?»

Simone molla il borsone accanto alla porta. Sta per rispondere, ma Manuel lo precede: «Hanno vinto alla grande» — gli viene naturale e spontaneo farlo.

«Dai, fantastico!» commenta lei. Di solito ha sempre un entusiasmo travolgente, però si capisce quando sta fingendo e in quel momento non è presente un briciolo di verità nella sua voce o espressione.

Perlomeno, il figlio lo riconosce. Non può sostenere lo stesso per Dante che aggiunge uno striminzito «Molto bene», chiaro segno che dell'evento non gliene importa nulla, anzi, forse lo considera un fastidio in meno.

Non è solo una sensazione, è una realizzazione che scorge ben chiara sul volto di Simone, sebbene nasconda quel velo di delusione e amarezza contorcendo le labbra in una smorfia.

Ha l'istinto di dire qualcosa – qualsiasi cosa – però non lo fa, non gli sovviene nulla di intelligente.

Lascia scivolare via quel momento, perdendosi in chiacchiere frivole e di poco conto, finché i coniugi non si congedano per la notte e si chiudono nella loro stanza.

È in procinto di fare lo stesso e si avvia verso le scale.

Come è accaduto quella mattina, dopo un solo gradino, la medesima voce, stavolta più flebile, lo ferma: «Manuel?»

In una scena che si ripete, si ferma e gira su sé stesso, trovandosi Simone davanti. «Mhm?» replica e si aspetta di udire qualche frase, magari l'abituale proposta di vedersi in camera da letto, spogliarsi e toccarsi.

Invece nulla del genere sopraggiunge. Piuttosto, Simone si sporge in avanti e lo bacia sulla bocca, piano, senza avidità o smania.

Manuel è confuso e stordito da quel gesto, che neppure gli dispiace. Aggrotta le sopracciglia, lo guarda di sottecchi. «Questo–questo per che era?»

L'altro abbozza un sorriso sbieco. «Per il tifo di stasera» attesta «e... per farti pensare a me fino a domani mattina.»

«Vor dì che non t'aspetto di sopra?»

Fa cenno di no col capo, ma non torna serio. «Domani» soffia.

«Sarà 'na lunga notte.»

«Non avevi un'alternativa su Grindr?»

Manuel sospira, divertito. Lancia un'occhiata verso la cima delle scale, per assicurarsi che né Dante, né Anita abbiano avuto ripensamenti, tornando al piano inferiore.

Via libera.

Allunga una mano, la porta sotto il suo mento e gli fa sollevare di poco il viso. Preme il pollice sul suo labbro inferiore e inumidisce il polpastrello con un rivolo di saliva. «Dopo oggi ho capito che sarebbe difficile trova' 'n degno sostituto a 'sta bocca. C'avevi ragione.»

«Come sempre, no?» biascica Simone in risposta e succhia piano quel dito, solo per mezzo secondo, per poi rilasciarlo con uno schiocco.

«Te piace ave' ragione, mh?»

«Non sai quanto.»

🏍️🏉

La mattina successiva arriva in maniera troppo lenta per Manuel, ma l'attesa viene ripagata quando alle sei meno sette minuti, Simone bussa alla sua porta e trascorrono quella abituale mezz'ora senza vestiti, a baciarsi, toccarsi, unirsi, in un silenzio surreale mentre fuori albeggia.

Così come è arrivato, Simone poi va via, e si rivedono al piano di sotto a fare colazione con Dante e Anita come se niente fosse successo.

A Manuel pare di avere una doppia vita o quasi ed è un aspetto che adora.

Forse non si è mai sentito vivo come in quel periodo.

Ha una sorta di rapporto senza alcuna complicazione o obbligo, è appagato a livello fisico e non appesantito dalla vita.

Vorrebbe che durasse per sempre, per quel che vale.

Purtroppo per lui, ciò viene un po' spezzato quando, seduto a tavola con una tazza di caffellatte tiepida davanti e una Nastrina a metà, il cellulare che tiene in tasca vibra.

Recupera l'apparecchio mentre sua madre sta raccontando un aneddoto divertente sulla sera prima trascorsa con amici — qualcosa che ha messo in imbarazzo il marito, non ha seguito bene.

Batte con un pollice sullo schermo e intravede un pop-up di una e-mail che gli è appena arrivata: "All'att.ne Sig. FERRO MANUELProposta di assunzione Nuage Électro SpA".

Non ricorda neppure quando ha fatto quel colloquio, forse è uno degli ultimi oppure uno dei primi. Ha rimosso ogni cosa nella speranza di non venir chiamato; perlomeno, una parte di lui, quella meno razionale e libera, ha sperato, quella che desidera non cedere al compromesso.

«Manuel? Tutto okay? Te sei incantato!» esclama Anita. Gli schiocca le dita davanti per riportarlo alla realtà.

Lui sbatte le palpebre e rimette il telefono in tasca. Annuisce. «Seh,» esclama «tutto okay.»

Però, in fondo, non ci crede sul serio.

***

[Note autore:

Ed eccoci qui con la grande passione di Simone, anche se penso si fosse intuito (credo)

Grazie per aver letto fino a qui.

Fatemi sapere che ne pensate, qui o su Twitter.

Un bacio.

Lilith.]

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