La moto
«Posso?»
Anita bussa alla porta già aperta.
Manuel, seduto a gambe incrociate sul letto, solleva lo sguardo dallo schermo del telefono, tanto stava solo perdendo tempo su Tiktok. Annuisce e la invita ad entrare in quella che è diventata la propria stanza con un cenno del capo.
La donna si stringe nel suo cardigan celeste e avanza a passo lento fino a sedersi sul bordo del materasso. «Allora?»
«Allora cosa?»
«Beh, tra una cosa e l'altra non ti ho più chiesto come è andata.»
«Com'è andata cosa?»
«L'appuntamento con Marta!»
Sono passati cinque giorni da tale avvenimento che è stato talmente irrilevante e piatto che Manuel lo ha del tutto rimosso dalla mente, come se non fosse mai accaduto, in sostanza.
«Ah» esclama, grattandosi dietro ad un orecchio. «Così, uhm... potremmo essere amici.»
La rigira in quel modo per non essere indelicato, non deluderla o chissà che.
«Oh, può essere un inizio e poi...»
«Poi niente, ma'» la blocca subito e scuote la testa. «Non credo neppure ci rivedremo, non presto, almeno.»
Neppure le ha risposto all'ultimo messaggio: non è scattato nulla e non vuole perdere e farle perdere tempo, sarebbe ingiusto per entrambi. C'ha provato quando la sua testa era già focalizzata altrove.
«Possiamo invitarla a cena!» esordisce Anita, con uno strano entusiasmo e un ampio sorriso, lo stesso che aveva all'inizio quando gli ha parlato della ragazza per la prima volta o proposto quell'appuntamento. Pare ci tenga in maniera eccessiva, forse è la sua perfetta idea di nuora.
Sì che dopo Nina chiunque sarebbe una versione migliore.
Manuel abbozza una risata un briciolo isterica. «Oddio, sì, magari!» il suo sarcasmo è tangibile.
«Sì! Posso fare il polpettone e...»
«Magari no» la blocca, ora più bruscamente.
Lei pensa quasi stia scherzando e la piega sulle sue labbra ci mette qualche secondo ad affievolirsi. «Dai, perché no?» borbotta. «Io ho un sesto senso, secondo me voi potreste essere una grande e fantastica coppia. Sai che sta comprando casa?»
«Seh, io l'ho già fatto.»
«Con Nina, a Bolzano. Insomma, chi sano di mente comprerebbe casa a Bolzano?»
«Chi ama il fresco a luglio, se sta da Dio.»
Alza gli occhi al cielo. «Sto solo dicendo che...»
«Lo so che stai a dì» sospira Manuel. Prova a non aumentare il tono di voce per quanto sia irritato. «Con Marta non c'è stato feeling, fine. Non me organizzà più appuntamenti, come t'avevo già detto e me pare avessi promesso de non impicciarte più.»
«Tesoro, sto solo...»
«Mi hai spiegato perché lo hai fatto e te voglio bene pe' questo, ma... non è andata come avresti voluto. Andiamo avanti.»
Anita esita per un attimo. Sta per aggiungere qualcosa. Si ferma poco prima e annuisce. «Va bene» dice e si rimette in piedi. «Se–se questo è quel che vuoi, non me impiccio.»
Promette per la seconda volta, anche se non sembra intenzionata a farne fede. Insomma, in passato ha cercato di influire in qualche modo sulla vita del figlio ed è andata male quando ha dovuto tirarsi indietro. Non vuole capiti di nuovo e questo Manuel lo sa.
«Grazie.»
Cammina in maniera lenta verso la porta con l'intenzione di abbandonare la stanza. «Sto uscendo, ho dei giri da fare» annuncia. «Ti ho lasciato il pranzo nel microonde.»
Manuel si limita a fare un cenno con la testa per ringraziamento, provando l'impulso solito di dirle che non deve per forza preparargli da mangiare ogni giorno. Desiste, conscio del fatto che non servirebbe a niente comunicarglielo.
Intanto spera di non essere stato eccessivamente brusco o averla ferita. Ha sempre avuto quel timore, fin da bambino.
Cerca di non pensarci troppo. Si distrae leggendo delle mail, magari qualche annuncio di lavoro; trova soltanto quelle di spam.
Annoiato, finisce pure per mangiare il gateau di patate che Anita gli ha lasciato alle undici e mezza di mattina.
Grande.
Si fa un po' pena.
Alle due meno un quarto, invece, mentre è seduto sul divano a fare zapping alla tv — Beautiful va ancora in onda?! — il cellulare, lasciato appoggiato su uno dei cuscini con lo schermo rivolto verso il basso, squilla.
A Manuel non piace stare al telefono, fa eccezioni solo per sua madre e Chicca e, di solito, blocca i numeri sconosciuti — gli è capitato, ad esempio, di mettere in lista nera il numero della banca e ha rischiato di farsi bloccare il conto; non è una storia di cui va molto fiero o che racconta in giro.
Da quando è tornato a Roma, e anche un po' prima, ha cominciato a rispondere a chiunque perché potrebbe essere qualcuno che lo chiama per un lavoro — uno che odierà con tutto sé stesso, ma pure questo è un discorso differente.
«Pronto?»
«Devi venire a prendermi.»
Stranito, osserva il numero che non ha memorizzato apparso sullo smartphone. «Ma chi è?»
«Sei scemo? So' Simone!»
«E come fai ad avere il mio—»
«Come fai tu a non avere il mio, piuttosto!»
Perché non gli è mai servito avere il numero di un ragazzino, ad esempio.
«Allora? Ti muovi? La moto non mi parte e sono già in ritardo.»
«In ritardo per...?»
«Ho gli allenamenti di rugby oggi.»
«Non puoi chiedere a tuo padre? Sta già lì.»
«No, ha il coso, come si chiama, uhm—collegio docenti, boh, quella roba là. Comunque non può.»
«Chiedi a Laura o agli altri due fessi amici tuoi.»
«Pensi che non c'abbia mai provato? Tu sei proprio l'ultima spiaggia.»
«Simó, non...»
«Vabbè, muoviti, ti aspetto davanti al Da Vinci, dovresti sapere la strada, cia'.»
La chiamata viene riagganciata prima che Manuel possa avere la possibilità di replicare.
Non gli va di accontentare quella richiesta. A parte che non gli va di uscire, ma sarebbe—cosa?
Non lo sa.
Ragiona sul da farsi. Tipo se Anita e Dante sapessero che Simone gli ha chiesto aiuto e lui si è rifiutato, lo riterrebbero un ingrato e non può far loro un simile torto dato che gli permettono di vivere alla Villa senza spendere un centesimo.
E se ci va, invece...
Vabbè.
Obbedisce, giusto per non avere lamentele da parte di sua madre e del professore.
Ci impiega un tempo spropositato per giungere alla scuola con l'auto. Ricorda che al liceo ci metteva decisamente meno, però all'epoca utilizzava la sua fidata moto per fare lo slalom tra i vari veicoli. Ora ha l'auto e deve sottostare alla giungla del traffico della capitale.
Si ferma con le quattro frecce nei pressi dell'edificio scolastico. Con nessuna sorpresa si accorge che sta ancora cadendo a pezzi e nessun lavoro di ristrutturazione è stato effettuato da quando ci andava lui: il casino è il medesimo, i graffiti pure, sono solo aumentati.
Picchietta con le dita sullo schermo del telefono che ha sistemato sull'appoggio dell'auto, con l'intenzione di scrivere al numero che ha memorizzato con un semplice Simone per dirgli che è arrivato. Prima che possa aprire la chat, tuttavia, qualcuno bussa sul vetro della macchina e lo fa sussultare.
Tira giù il finestrino. «Professó!»
Gli è rimasto il fatto di chiamare Dante così anche se non è più un suo alunno da parecchio. «M'hai fatto pià 'n colpo!»
Il professore sorride e scuote il capo, strizza gli occhi a causa del sole. «Che ci fai qui?»
«Ah, uhm, Simone m'ha chiesto uno strappo pe' il rugby.»
«Ha allenamento oggi?»
«A quanto pare?» Manuel replica con una domanda a qualcosa che reputa ovvia. Insomma, è suo padre, dovrebbe saperlo, no?
Dante scrolla le spalle. «Non lo ricordavo. E perché...»
«Ohi, pa'!» è la voce di Simone a sopraggiungere, il quale nemmeno si preoccupa di salutare chi è alla guida dell'Audi, piuttosto carica un borsone nero nel bagagliaio insieme allo zaino e dopo sale dal lato passeggero davanti con disinvoltura.
Manuel assiste alla scena un po' interdetto e non capisce perché l'intera situazione lo mette a disagio. Del resto, sta soltanto facendo un favore a quello che per tutti è il suo fratellastro.
Il fatto che abbia passato l'intero fine settimana precedente a — per essere volgare ed esplicito — sbatterselo su ogni superficie della casa è un dettaglio secondario che nessuno conosce.
Allora perché crede di poter esplodere a breve? Come se avesse stampata in fronte la descrizione di tali eventi e fosse alla mercé di tutti.
Sarà per Dante che ancora lo fissa con espressione interrogativa, tanto che una parte di lui teme che sappia qualcosa, che li abbia sentiti – alla faccia dei gatti.
Si ritrova a trattenere il respiro per istinto, intanto che un grande timore si fa strada nel suo petto.
«Che è successo? Come mai ti accompagna lui?» è la domanda lecita che pone il professore.
«La moto non parte» taglia corto il figlio.
«Di nuovo? Pensavo avesse smesso di fare i capricci.»
«Mi sa che non ce l'hanno riparata bene.»
«Beh, magari una di queste sere può guardarla il nostro Manuel» Dante allunga una mano e va a dare una pacca sulla spalla di colui che ha appena nominato, il quale passa rapidamente lo sguardo dal padre al figlio e viceversa, ancora con angoscia addosso e le palpitazioni. «Un tempo passava le giornate sui motori!»
Sì, in un'altra vita, vorrebbe aggiungere Manuel. La cosa non accade da dieci anni, se non di più, magari neppure ne è più capace.
«Ah, sì?» sente Simone commentare.
Il soggetto del discorso si affretta a scuotere il capo. «No, no, cioè—una volta me la cavavo, adesso farei solo danni. Ve conviene portarla da un meccanico.»
«Oh, dai, non fare il modesto!» la pacca da parte di Dante arriva una seconda volta e più forte.
Allora Manuel sussulta, prova a ribattere e viene preceduto e interrotto da una decisione presa a suo discapito: «Faccio portare la moto a casa da Gianni, poi quando puoi ci metti mano. Ora scappo dentro o mi daranno per disperso. A stasera!»
Non riesce, dunque, ad obiettare, a chiedere chi diavolo è Gianni, o a rifiutarsi.
Rimane solo in auto con accanto Simone che ha tirato leggermente indietro il sedile e ha appoggiato i piedi sul cruscotto. «Te ne intendi di moto, uh?» ode la sua voce e scorge il suo solito sorriso dipinto sulle labbra.
«No!» mente e agita una mano, scocciato. «E togli da lì quei piedi. Tu e 'ste gambe lunghe!»
Simone sbuffa, ma obbedisce. «Se ti piacciono tanto le moto, perché guidi una macchina da ricchi del nord?»
Manuel si affretta a ripulire con le dita le tracce di terra lasciate dalle scarpe, seppur con scarsi risultati. All'auto ci tiene abbastanza, non come la sua moto del liceo, certo, però a sufficienza da portarla a lavare almeno una volta al mese — questo prima, non sa se riuscirà a mantenere lo stesso ritmo ora che non ha un lavoro ed è sommerso da spese arretrate. «È una normale macchina molto costosa» si giustifica «la sto ancora pagando!»
Adesso che ci pensa, sono molte le cose che sta ancora pagando.
Al mondo ti convincono che tu possa avere tutto attingendo al favoloso metodo delle rate. aprendo prestiti su prestiti con tassi di interesse sempre più elevati; il problema è che poi tali spese all'apparenza esigue si accumulano e diventano una cifra che non si può gestire mensilmente.
Lui ne è la prova vivente, tra auto, telefono, a volte pure acquisti inutili online.
«Dov'è 'sto posto, comunque?» chiede in seguito, già pronto a impostare l'indirizzo sul navigatore del telefono.
«Ah, tu vai dritto di qua, ti dico io quando girare.»
«Preferisco di no.»
«Non ti fidi?»
«Non molto.»
Simone aggrotta le sopracciglia. «Guida e basta» sentenzia, deciso, e non ammette ulteriori proteste.
Per quanto poco lo conosce — la versione adolescente, chiaro — Manuel ha già capito che non l'avrà vinta. Pertanto, alza gli occhi al cielo e rimette l'auto in marcia, proseguendo dritto sulla strada di fronte a loro.
Vero che Roma ha scarsi segreti per quel che lo riguarda, tuttavia non è mai stato frequentatore di campi da rugby o qualunque altro sport in generale.
Ogni tanto, da ragazzino, giocava a basket e non se la cavava troppo male; ovviamente, anche questa cosa smessa dopo aver incontrato Nina.
Ah, quante persone differenti avrebbe potuto essere se non si fosse legato a lei, col senno di poi.
Mentre il breve tragitto prosegue, con qualche minuscola lite su quale stazione radio impostare – hanno gusti differenti in fatto di musica, un giorno apriranno un lungo dibattito – nel traffico, Simone lo fa girare una volta a destra e tre a sinistra, e va dritto per qualche chilometro, per un quarto d'ora, finché il ragazzo non ordina: «Okay, gira qui e accosta.»
Manuel esegue. Quando si ferma, nota che sono in mezzo al nulla o quasi: intorno ci sono soltanto bassi fabbricati in stato di degrado, qualche albero spoglio e dei carrelli arrugginiti posizionati alla rinfusa contro un muretto di mattoni.
Attonito, scuote il capo. «Ma vi allenate in 'sti posti? Non rischiate, boh, il tetano o robe simili?»
Sposta l'attenzione da ciò che può osservare fuori al ragazzo sul lato passeggero che ha provveduto a slacciarsi la cintura.
Prima che possa capire ciò che sta succedendo e prepararsi, Simone si sporge verso di lui, gli assale labbra in un bacio impetuoso.
Colto alla sprovvista, Manuel lascia andare il pedale della frizione, la macchina scatta in avanti di qualche centimetro e il motore di spegne.
Mantiene le mani a mezz'aria perché non sa esattamente che fare – perlomeno, lo saprebbe in situazioni normali, con un dovuto avvertimento, tipo che avrebbe fatto un'altra doccia prima di uscire se fosse stato conscio che quella sarebbe stata la direzione.
Riesce a malapena a prendere fiato in quel gesto e gli sembra di soffocare quando l'altro posa un palmo sul cavallo dei suoi pantaloni e preme forte su una erezione non ancora del tutto presente.
«Ma non—eri in ritardo?» biascica nel momento in cui Simone si sposta sul collo e succhia la porzione di pelle poco sopra la clavicola.
«Ho un po' di tempo ancora» sussurra quest'ultimo. «L'allenamento è alle quattro e mezza.»
«E perché mi hai fatto correre?»
«Per questo, no?» solleva il capo e gli mordicchia il labbro inferiore. «Ci spostiamo dietro?»
Una cosa che Manuel non controlla, che lo ha condizionato da quando ha rivisto Simone è che ne rimane troppo spesso ammaliato, si lascia raggirare con nulla, soprattutto a causa degli occhi grandi e languidi che l'altro si ritrova.
È un punto debole che è evidente e che porta il ragazzino ad approfittarsene.
Prova a resistere, per quel che vale. «Ci vedono qui.»
«Non ci vede nessuno, ci sono venuto un sacco di volte.»
«Qui?»
«Eh, dove se no? Non finirai in cella per atti osceni in luogo pubblico, te lo giuro.»
Ecco, tentativo di resistenza fallito in tre battiti di ciglia.
È un nuovo record, tra parentesi.
Ventidue secondi sono sufficienti per entrambi a trasferirsi sui sedili posteriori.
Manuel si premura di tirare il freno a mano, onde evitare che il veicolo accidentalmente si sposti sulla strada — è pressoché impossibile dato che è pianeggiante, ma meglio prevenire.
Simone è travolgente nei gesti. Per quanto Manuel abbia esperienza nel sesso in auto — che è la cosa più scomoda del mondo, per inciso — con lui fatica a starci dietro.
Riesce a sfiorargli addome e petto con la punta delle dita quando il più piccolo gli sale a cavalcioni sulle gambe e, in qualche modo, rischiando di sbattere la testa contro il tettuccio, si sfila i pantaloni beige e i boxer.
Lo lascia fare, socchiudendo gli occhi: permette che gli abbassi la zip dei jeans e il tessuto dei boxer, che si prepari da solo grazie alla saliva, che oscilli con i fianchi in modo da permettergli di penetrarlo dopo avergli infilato il preservativo che ha nascosto in tasca — si chiede in quanti ulteriori posti abbia la scorta.
Lo percepisce cominciare a abbassarsi e sollevarsi in maniera abbastanza frenetica, ma i movimenti si fanno a poco a poco meno veloci e più profondi.
Solleva le palpebre solo quando Simone appoggia la fronte sulla propria.
Carezza la sua vita con i polpastrelli, sotto alla felpa grigia che ha tenuto addosso.
«Qua puoi—anche urlare, se vuoi» soffia Simone. La sua voce un briciolo si spezza a causa del piacere dell'atto.
Manuel sorride. «Non so' io quello rumoroso» lo prende in giro.
«Sei tu.»
«No.»
«Invece sì.»
«Invec—AH!» riesce ad assestare una spinta dal basso con il bacino e con essa a colpire la prostata; in tal modo, gli strappa un urlo e la soddisfazione lo pervade.
Simone incassa il colpo, in ogni senso possibile. Si morde l'interno della guancia per trattenere i gemiti, intanto che con una mano va a masturbarsi docilmente così da aumentare il proprio piacere.
«Non me sporca' la camicia» rimbecca subito Manuel e gli ruba un bacio sulla bocca.
«Potevi togliertela.»
«Potevi togliermela tu.»
L'altro non se lo fa ripetere due volte e, con la mano non impegnata, riesce a slacciare i bottoni della camicia bianca e a scoprire il suo petto nudo, con pochi peli all'altezza dello sterno.
Allora Manuel assale le sue labbra, inserisce la lingua, pare quasi voglia rubargli l'ossigeno. Gli afferra i capelli dietro la nuca e tira abbastanza forte da strappargli un minuscolo grido.
«Bravo, piccolè» soffia e sostituisce di fretta la mano dedita al donarsi piacere dell'altro con la propria.
Simone aggrotta le sopracciglia. Le sue guance si sono tinte di rosso, il che è molto più visibile a causa della sua pelle diafana. «Come—come mi hai chiamato?» bofonchia.
«Piccolè» ribadisce Manuel, con un mezzo sorriso. Una goccia di sudore scivola lungo la sua tempia. «Non te piace?»
«No, non—lo fare mai più.»
«Preferisci genietto?»
«Preferisco se stai z—»
Frena le sue parole con l'ennesimo bacio, più veemente, che coincide con l'aumento del ritmo della mano che lo sta masturbando e che lo porta all'orgasmo per primo. Cattura il suo urlo liberatorio in bocca e percepisce il suo corpo farsi più pesante addosso, tanto che Simone nasconde il volto nell'incavo del proprio collo.
«Tocca a me, piccolè» lo canzona ancora. Se gli dà fastidio, non ha intenzione di smetterla.
«Finiscila» soffia l'altro ragazzo.
«Perché? Me piace farti incazzà.»
Gli piace per davvero. Almeno sotto tale aspetto il controllo totale ce l'ha lui senza lasciarsi troppo ammaliare e raggirare — che poi, non lo sopporta, vero, ma essere stuzzicato in quel modo, sotto sotto, non gli dispiace neanche; lo intriga, gli dona quella scarica elettrica che non provava da un bel po' di tempo.
Per reazione, Simone gli mordicchia una guancia. Non ha smesso di fare oscillare i fianchi. Si abbassa di più così da permettere una penetrazione più profonda ed è in quel momento che Manuel viene, serrando le labbra e strizzando gli occhi.
Solleva il bacino e lascia scivolare via da dentro di sé l'erezione ormai scemata ancora avvolta dal lattice.
Hanno il fiatone entrambi.
Simone preme con i palmi sulle sue spalle per tirare appena in su il busto — senza sbattere la testa. «Se mi chiami... di nuovo così» bofonchia «io ti chiamo vecchio.»
Manuel abbozza una risata e gli tira un pizzicotto su una natica. «C'hai appena scopato co' 'sto vecchio» lo riprende «mica te dispiace.»
«No, però te fa incazzà.»
Capisce che ha imitato il proprio tono di voce di proposito e il pizzicotto si trasforma ora in un lieve schiaffo nello stesso punto. «Poi ti faccio vede' che succede se m'incazzo» lo provoca, glielo dice sulle labbra simulando un bacio che, di fatto, non avviene.
«Ottimo, basta che non faccio io tutta la fatica.»
Simone ride mentre un secondo colpo, leggermente più forte, rimbalza sul suo sedere.
Piace a tutti e due, si comprende da come sogghignano all'unisono intanto che continuano a baciarsi.
Col senno di poi, a Manuel non dispiace aver corso e aver ingannato in quel modo il tempo.
🏍️🏉
Alle quattro e un quarto circa, lo accompagna per davvero al luogo dell'allenamento e c'è un reale campo da rugby già pieno di ragazzi adolescenti con la maglietta bordeaux della squadra.
Manuel sbircia da lontano, rimanendo al volante, intanto che Simone abbandona il veicolo e raccatta il borsone dal bagagliaio, poi sbatte il portellone e fa il giro della macchina.
«Mi porti a casa lo zaino?» domanda.
«Non lo so, pensavo d'abbandonarlo pe' strada.»
«Okay, poi mi ricompri tutto.»
Manuel ridacchia e schiocca la lingua sul palato. «Ne avrò cura» aggiunge allora «te devo venì a prendere?»
«No, dopo vado a bere qualcosa con gli altri.»
«Mh-m, peccato. Potevamo replicà.»
«C'è sempre dopo.»
Lo vede fare l'occhiolino e, in seguito, allontanarsi verso l'ingresso degli spogliatoi. Scruta la sua figura finché non scompare dietro ad una porta di ferro.
Ha una mezza idea di rimanere lì ad assistere all'allenamento, anche se non ci capisce niente: sarebbe solo una scusa per guardare Simone tutto sudato e sporco di fango e immaginare come sarebbe farci la doccia insieme dopo.
Purtroppo, rimuove subito l'impulso dalla propria testa.
Hanno il dopo ed è più che sufficiente.
È in procinto di rimettere la prima marcia e andarsene, tornare a casa e farsela per davvero la doccia, anche se da solo. Tuttavia, tale azione viene preceduta da dei messaggi che gli arrivano sul telefono sistemato sul solito appoggio, da parte di Chicca.
Ci preme sopra con un dito, tralasciando l'anteprima:
Cos'è sta storia che te la fai co una + piccola?
Prima le milf adesso le adolescenti????
Ma quelle della nostra età te fanno schifo?!
Ma soprattutto perché devo scoprire ste cose da mio marito?????
Manuel alza gli occhi al cielo.
Alla faccia dei segreti tra uomini, pensa. Del resto, comunque, con Matteo non ha mai avuto un rapporto così stretto e avrebbe dovuto aspettarselo.
Stacca il cellulare dall'appoggio per poter rispondere:
Non me la faccio con nessuno
Grazie Matteo mi ricorderò di non dirti più nessun segreto😒😒😒
Nemmeno il tempo di inviare che Chicca replica:
A parte che manco doveva saperlo prima lui
Me so offesa
Allora??
Gli ho detto che mi "stuzzicava" una più piccola
Mi ha suggerito di ignorare la cosa
Ha funzionato
Fine
Mente, per ovvie ragioni.
A inventare frottole a riguardo non è capace, funziona meglio negare per quel che può.
Non te credo manco pe sbaglio
In sti giorni ti chiamo
Mo sto impicciata
Ma guardati le spalle
Lo farò😂
Esce da WhatsApp con un sorriso sulle labbra. Un po' gli manca Chicca. Quando viveva a Bolzano, a volte andava a trovarla per qualche giorno; ovviamente Nina insisteva per accompagnarlo poiché non si fidava dell'altra ragazza.
A dire il vero, Nina non si fidava di nessun essere di sesso femminile che ronzava intorno al marito.
Se solo sapesse.
Ah, con molta probabilità avrebbe qualche uscita omofoba o peggio, bifobica.
Guida in direzione di Villa Balestra con calma. Pur volendo, comunque, non potrebbe andare più veloce a causa del traffico onnipresente.
Quando giunge alla meta, parcheggia l'Audi al solito posto, davanti al portellone del garage che, di norma, è chiuso. Non ci è mai entrato, non dal suo ritorno, perlomeno: Anita gli ha detto che, negli anni, Dante lo ha riempito di cianfrusaglie raccattate in vari mercatini dell'usato, secondo lei sono soltanto oggetti acchiappa-polvere che vorrebbe buttare.
Sbirciando al suo interno, in effetti Manuel può osservare un giradischi datato, almeno degli Settanta, un televisore a tubo catodico, una macchina da cucire... insomma, cose che non dovrebbero stare ammassate in un garage, ma neppure gettate via.
La sua attenzione, tuttavia, viene catturata da ciò che pare quasi brillare in mezzo al grigiore, un diamante tra il carbone.
Di riflesso, si illuminano e splendono anche gli occhi di Manuel nel momento in cui si avvicina alla moto, una Honda del '97 in perfette condizioni — o quasi. Se ci riflette, ha già visto quel modello, da ragazzo: glielo aveva mostrato proprio Dante, raccontandogli che gli era appartenuta da giovane e che avrebbe voluto passarla a Simone una volta cresciuto e che quest'ultimo chiamava quella meraviglia Paperella.
Ricorda di essersi indignato per una simile definizione, ma poi ci aveva riso su.
Presuppone che il professore abbia fatto fede a tali intenti e che Paperella sia passata alla generazione successiva.
Ammaliato e affascinato, Manuel gira intorno al veicolo e la sua mano va a sfiorare la pelle consumata della sella. La moto assomiglia a quella che aveva lui a diciassette anni, alcuni particolari cambiano, certo, ma ci va abbastanza vicino.
Aveva dovuto venderla per costrizione, servivano dei soldi per la caparra di un appartamento in affitto a Bologna e Nina aveva avuto la brillante idea di ottenerli in quel modo, sostenendo che tanto avrebbero usato i mezzi pubblici e poi si sarebbero presi una macchina che sarebbe servita ad entrambi.
Pessima scelta. Tornasse indietro, non le permetterebbe mai di vendere la sua bambina.
«Gianni ha fatto in fretta, hai visto?»
La voce di Dante rimbomba nel garage. Manuel sussulta appena e si volta così da veder entrare il professore dal portello lasciato aperto. «Mh-m» borbotta «ma chi è Gianni?»
«Il custode della scuola, a volte ci fa piccoli favori visto che ha un furgone.»
«Ah.»
«Allora, ci vuoi dare un'occhiata? Là dietro ci sono ancora i tuoi vecchi attrezzi.»
Lo vede indicare con un cenno del capo un angolo del luogo dove, tra due palloni di pallacanestro e uno skateboard, c'è una cassetta di metallo blu, mezza arrugginita.
Non rimembra l'ultima volta che l'ha vista, però conosce a memoria il suo contenuto.
Un sorriso malinconico appare sulle sue labbra a ripensare ai pomeriggi spesi nel vecchio garage dell'appartamento dove stava con sua madre, tra un chiavi, bulloni, guarnizioni.
Nina gli ha sempre inculcato l'idea che il suo sogno di lavorare con i motori era stupido, lo avrebbe portato ad un lavoro precario, troppo umile, a tratti inutile e che facendo architettura avrebbe svoltato; lui le aveva dato semplicemente retta e da allora non ha più messo mano su nessun veicolo, anche per le cose più stupide.
La sua passione si è soltanto affievolita, mai del tutto scomparsa.
I sogni si possono seppellire, le intemperie li riporteranno inesorabilmente in superficie.
Manuel infila le mani in tasca e scuote il capo. «No, no» rifiuta «te l'ho detto, uhm—farei danno, non me ne intendo più come una volta.»
Dante ridacchia. Si muove nella sua direzione e gli si ferma davanti. «Prova» insiste «credo che ci sai fare come quando eri ragazzino. Poi mal che vada la portiamo dal meccanico solito, non è un problema.»
«È Paperella. Se la rompo, dopo me meni.»
«No, non io. Ci penserebbe Simone perché poi dovrebbe prendere il bus.»
«Ah, ecco, meglio» sospira e la risata che sfugge a Manuel è intrisa di leggero isterismo.
Non sta facendo il modesto o chissà che, davvero teme di non esserne più capace, di fare danno.
Nina gli diceva che distrugge ogni cosa che tocca, ad esempio.
Forse è vero.
Ciò nonostante, Dante lo fissa per un attimo con un'espressione rassicurante e aggiunge: «Tu vedi, gli attrezzi non scappano. Altrimenti, te l'ho detto, la porto dal meccanico, nessun problema.»
Comprende che il professore lo sta spronando poiché memore delle magie che faceva a diciassette anni e non è un banale approfittarsene.
Si limita ad annuire, mormora un «Ce penso» già esternato intanto che i suoi occhi tornano ad accarezzare le linee del veicolo a due ruote.
«Bene, poi fammi sapere» replica Dante. Fa un passo indietro, in procinto di andarsene. «Oh, stasera io e tua madre siamo fuori, ma ti ha lasciato del pollo nel forno. Simone mi ha avvisato che è con degli amici, dovresti essere solo, sempre che tu non voglia invitare qualcuno.»
Manuel si accorge di come ha rimarcato quel qualcuno e presuppone sia riferito a Marta — Anita lo ha plagiato per bene.
Scuote il capo. «Nah, sto bene solo» taglia corto. Scorge l'uomo sogghignare, divertito, prima di scomparire fuori dal garage.
Torna a guardare, in seguito, la moto. Decide di lasciar perdere per i successivi cinquantatrè minuti durante i quali sente Anita e Dante salutarlo — urlando — mentre salgono sulla loro auto e il sole comincia ad abbassarsi sempre più.
Alla fine, poco dopo le otto, il richiamo della sua passione abbandonata torna in maniera prepotente ed eccolo di nuovo in quel garage, con le dita macchiate d'olio del motore, lo stesso che gli imbratta la camicia che non si è premurato di cambiare.
Non gli interessa, a dire il vero, ci penserà la tintoria a togliere gli aloni scuri. È più concentrato sulla sensazione che gli dona maneggiare le guarnizioni, i bulloni, esaminare il reticolo dell'impianto elettrico.
Sì, è qualcosa di umile che sotto uno sguardo ignorante può sembrare una scappatoia facile da un lavoro di più grande responsabilità. La realtà è che quel genere di mansione lo avrebbe reso più felice di quanto abbia mai fatto stare seduto dietro ad una scrivania: la soddisfazione di rianimare un motore che pare esausto, percepire il suo ronzio all'accensione, gli piace persino l'odore di benzina che aleggia nell'aria.
Che stupido ad aver mollato ogni cosa.
Che stupido ad essersi trasformato in quella versione di sé stesso che ha ripudiato per gran parte della vita, quella priva di sogni.
Talmente preso dalla sua attività, si scorda persino di cenare.
«Ti sei sporcato la camicia.»
È una voce diversa che sopraggiunge nell'ambiente.
Manuel, chino sulle gambe — le ginocchia gli fanno un po' male, ma è sopportabile — alza lo sguardo e stavolta sulla soglia c'è Simone con il borsone in spalla e il capo inclinato su di un lato che lo fissa.
«Non dovevi annà a bere qualcosa co' gli amici tuoi?» borbotta in replica.
«Abbiamo fatto un aperitivo. Poi volevano spostarsi da 'na parte, però non mi andava» spiega l'altro in breve. Muove qualche passo nel garage per avvicinarsi alla moto. «Quindi, è vero che te la cavi con i motori.»
Manuel scrolla le spalle e mette a posto nella cassetta degli attrezzi la chiave del nove. «Aveva bisogno di qualche lavoretto» dice e torna in posizione eretta. «Guarnizioni allentate, livello dell'olio troppo basso. Non l'hai trattata molto bene, mh?»
«Io non ci capisco niente, basta che mi porti da punto A a punto B e per me va bene.»
«Certo, perché sei un eretico.»
Con un pugno chiuso, Simone gli tira un lieve colpo sul braccio e dopo ridacchia. «Vabbè, allora funziona di nuovo?»
«Prova. Le chiavi sono già inserite.»
Annuisce, intanto che molla il borsone a terra. Monta in sella al veicolo e gira la chiave: il motore rimbomba.
Manuel sorride, soddisfatto. È un bel rumore quello che sente ed è una delle ulteriori cose che se tentasse di spiegare lo farebbero passare per pazzo con le fisse inutili.
Anche Simone pare felice di aver avuto indietro il proprio mezzo in un tempo così rapido. Presto, però, la sua attenzione viene catturata dalla contentezza che scorge sul viso di Manuel, dal modo in cui i suoi occhi esprimono fierezza e gioia, diversi da quelli spenti e vuoti che gli ha visto cuciti addosso da quando è tornato alla Villa.
Deduce possa essere a causa della moto o per la situazione o chissà. «Tu non hai una moto?» chiede.
«Cosa?»
«Cioè, sei arrivato con l'auto, ma guardi Paperella come la cosa più bella del mondo e...»
«Ah, quello» Manuel ha l'istinto di passarsi una mano sul viso, ma si trattiene qualche secondo prima di macchiarsi le guance con l'olio del motore. «No, no, insomma, è—me ricorda quella che avevo alla tua età.»
«Si è rotta?»
Non avrebbe mai permesso ad un banale guasto di separare le loro strade. Sospira. «Nah, la mia... uhm, la mia ex moglie me l'ha fatta vendere per dare la caparra pe' 'na casa» spiega, con rammarico «anche se potevamo fa' diversamente e poi ho scoperto che ha insistito tanto perché preferiva le quattro ruote.»
E detestava la sua bimba.
Simone lo ascolta in silenzio e percepisce la sua voce incrinarsi appena durante quel breve racconto. Abbassa lo sguardo, lo punta per un attimo sull'indicatore di benzina; c'è ancora mezzo serbatoio. «Vuoi fare un giro?»
È un quesito che un briciolo coglie Manuel alla sprovvista, tanto da costringerlo a sbattere le palpebre e ribattere con «Che?»
«Vuoi fare un giro con Paperella? Non so, tipo... per rodaggio? Si dice così, no?»
«Uhm, sì, sì, cioè si dice così, ma...»
«Salta su, allora.»
«Sono tutto sporco d'olio del motore e tu di sudore.»
«La prima parte è vera, la seconda no, dato che ho fatto la doccia al campo. Però se la metti in questo modo, possiamo sempre farne una insieme quando torniamo. L'allenamento mi mette sempre una certa voglia.»
Questa volta è Manuel a colpirlo sull'avambraccio con un pugno — pianissimo, non lo scalfisce per nulla, anche perché ha già immaginato come potrebbe essere ficcarsi sotto il getto d'acqua calda entrambi all'unisono e si è eccitato al pensiero.
«Ti muovi o no?» viene ribadito.
Pone entrambe le mani sui fianchi. Da quanto non sale su una moto? Troppo tempo, davvero, tanto che ha scordato la sensazione che il vento sulla faccia dona, sfrecciare tra le auto incolonnate nel traffico e salire sui punti più alti della città per poter assistere al tramonto.
Fanculo.
«Ce l'hai n'altro casco?»
«Per chi mi hai preso?»
Oltre a quello appeso al manubrio, il secondo casco si trova nel bauletto rigido posto dietro al mezzo.
Manuel lo indossa, sebbene sia un po' stretto, ed è pronto a montare in sella quando una nuova domanda sopraggiunge: «Vuoi guidare tu?»
Si morde piano il labbro inferiore. «No, ma va, è la moto tua.»
Simone sorride appena. Ha indossato pure lui il casco, bianco con degli adesivi blu attaccati su di un lato. «A me non cambia niente» afferma. Non attende una reale risposta, pare conoscerla già, e scivola all'indietro per lasciar spazio all'altro.
Manuel esita per un momento. In passato, ha fatto un giro su Paperella, sotto gentile concessione di Dante, però è stato così tanto tempo addietro che neppure lo rimembra — non bene. «Sei sicuro?»
«Ti ricordi ancora come si va su due ruote, no?»
«Sì, cioè, mica se scorda.»
«E allora che problema c'è?»
Nessuno, in effetti. Non ha alcun motivo per rifiutare.
Allora si lascia andare, prende posto alla guida. Subito percepisce le braccia di Simone cingergli il busto e le sue dita sfiorargli la pancia.
Ignora il brivido che gli corre lungo la schiena a causa di quel gesto poiché ogni contatto tra di loro si trasforma in elettricità. Piuttosto si concentra sull'adrenalina che subentra nel momento in cui tocca i due manubri e ne gira uno, facendo ruggire forte il motore.
Solleva il cavalletto e parte rapidamente, in sgommata, tanto che Simone deve reggersi in maniera più salda per non cadere.
Ha lasciato il vetro del casco aperto. Il vento gli sfiora le guance, il paesaggio intorno a lui si trasforma in linee confuse, colorate e astratte a causa della velocità.
Non va in moto da tanto e per la prima volta dopo troppo tempo, si sente finalmente vivo.
Quel che doveva essere un giro di rodaggio, si trasforma in una lunga corsa dapprima nella periferia di Roma, poi dentro la città dove è costretto ad andare più piano, ma riesce a fare lo slalom tra le auto.
Trascorre il tempo a fare da cicerone a Simone sui luoghi della propria infanzia e adolescenza come se l'altro non li conoscesse — non importa poiché non lo interrompe e lo lascia raccontare aneddoti vari tra cui una corsa dopo aver rubato delle Goleador in un tabaccaio, il primo bacio dato al Gianicolo e il capitombolo con lo skate in via Sacra.
Verso le dieci, si fermano in un chiosco mobile dove prendono due kebap arrotolati che fanno loro da cena e che paga Simone perché Manuel è uscito senza portafoglio.
Mangiano seduti su un muretto in pietra, tra il chiacchiericcio di gente intorno e le luci di Roma a far loro da sfondo.
Quando è a metà del suo pasto, una improvvisa realizzazione coglie Manuel che spalanca gli occhi e un filo di insalata gli cade di bocca. «Cazzo!» impreca «Abbiamo lasciato la porta del garage aperta.»
Simone pare tranquillo, per nulla turbato da quella notizia. «Te ne sei accorto ora?»
Scrolla le spalle e continua il suo kebap indisturbato.
La sua pacatezza turba ulteriormente Manuel che insiste: «Dio, dobbiamo tornare indietro, Dante m'ammazza!»
Sta già per alzarsi di scatto in piedi per poter rimontare in moto e sfrecciare verso la Villa. L'altro ragazzo, rimanendo immobile, lo frena: «Rilassati, ho chiuso io col telecomando prima di rischiare di cadere visto che sei partito in quarta.»
Manuel è interdetto. Finge un'indifferenza che non gli appartiene e che l'agitazione mostrata poco prima sia svanita o mai esistita. «Ah,» si siede di nuovo composto. «Ottimo.»
«Comunque non ti avrebbe ammazzato nessuno. Se fossero venuti i ladri, portando via qualche cianfrusaglia di papà, Anita t'avrebbe fatto una lasagna per festeggiare.»
«Ne dubito.»
«Fidati. Non essere così terrorizzato, sono altre le cose per cui si incazzano.»
Vorrebbe chiedergli tipo cosa, ma sorvola. Alla sua età, le liti con la madre erano all'ordine del giorno e se ne porta gli stralci anche in età adulta.
La verità è che tutto ciò che ti succede da piccolo e negli anni del liceo, ti condiziona per il resto della vita, volente o nolente. Però, ecco, invidia il fatto che Simone sia rilassato e non timoroso di ogni azione, come organizzare feste quando gli è vietato, mentire sul proprio orientamento sessuale, fingere relazioni.
Non che lui sia un santo e non abbia mai fatto nulla di non consono, al contrario, solo che era molto meno abile a mentire, lasciava vincere i sensi di colpa e dopo confessava tutto, uno dei motivi per cui Anita si arrabbiava di più.
«A proposito» esclama Simone ad un tratto, a bocca piena «Paperella non è mai andata così bene, dovresti seriamente farlo come lavoro.»
Manuel smorza una risata malinconica. «Nah» borbotta.
«Perché no? Sei bravo.»
«A parte che non ho nessuna qualifica, ma non—non è il lavoro per me.»
«Che ne sai, non hai mai provato.»
«Ho una laurea in architettura, dovrei fare quello.»
«E ti piace l'architettura?»
È un ulteriore quesito che lo fa ammutolire.
Ci si aspetta che all'alba dei trent'anni, una persona abbia le idee abbastanza chiare su ciò che è e quel che vuole, che abbia costruito la propria esistenza seguendo i propri desideri e sogni e che abbia delle risposte ad ogni domanda.
La verità è che non c'è un'età dove si sa davvero tutto e ognuno di noi costruisce la propria vita in maniera differente: c'è chi trova la propria strada a diciotto anni, chi a venticinque, chi a quaranta, chi, purtroppo, non la trova mai.
Non esiste un traguardo uguale per chiunque, un numero di candeline da spegnere che indica una scadenza omologata.
Quindi, sì, Manuel ha percorso quel cammino, ha faticato, però si è accorto che non è stato quello giusto.
Lo aveva capito anche durante i primi esami quando non capiva niente degli appunti che leggeva e ogni cosa gli pareva estranea.
È andato avanti per l'inerzia dei sensi di colpa.
«No» replica, fissando metà della cena che tiene in mano. È sincero. Non lo è mai stato con nessuno a riguardo, neppure con Chicca. «No, è—è 'na cosa che detesto e ultimamente per lavorare negli uffici non ha nemmeno molto credito la laurea che hai, tipo che puoi avere una laurea in lettere e finire nel reparto contabilità di un'azienda che produce dentifricio.»
«Allora perché non provi a fare quello che ti piace? Ci sono un sacco di officine qua, possiamo chiedere.»
«Perché fare il meccanico è... non lo so, è statico come lavoro, fai quello e lo farai per sempre, non hai possibilità di aumentare i tuoi guadagni o fare carriera.»
«Ti interessa fare carriera in qualcosa che odi?»
Gli occhi di Simone sono enormi sotto la luce della luna.
Manuel se ne accorge nel momento in cui quel nuovo quesito viene posto e, ancora una volta, ne è disarmato.
Pare tanto quella voce che ogni tanto sente nella propria testa, che appartiene alla versione di sé stesso adolescente e libera, quello che era prima di conoscere Nina e diventare una persona differente, avara, spenta.
Serra la mandibola, scuote il capo. «È la vita adulta, Simó» sentenzia «non se campa d'aria e sogni.»
Si campa di tristezza e rimpianti.
«Quindi ti vuoi chiudere in ufficio appena uno dei mille colloqui che fai ti chiamerà a salvare pdf e mandare mail?»
«Se me serve pe' pagà la rata della macchina e del telefono e la casa e le bollette, sì. È così che funziona, se fa 'n compromesso.»
Pronuncia quella frase con troppa naturalezza, tanto da sorprendersi di sé stesso. Le medesime parole gliele aveva urlate Nina durante una loro vecchia discussione, concludendo con un energico "cresci" che lo aveva devastato.
Non vuole avere lo stesso impatto sul ragazzo che ha accanto, non se lo merita.
«Ma tu hai ancora 'na cifra di tempo prima di arrivare al compromesso» aggiunge allora, cercando di non essere troppo cinico «e sai già che strada prendere, piccolo genio de casa.»
Non se ne accorge della frazione di secondo durante la quale l'espressione di Simone si rabbuia poiché dura davvero poco e viene sostituita presto da un sorriso sbieco e da un «Già, è vero» pronunciato con una mezza risata e quella insolenza che lo contraddistingue.
Non lo realizza perché non presta abbastanza attenzione.
Nessuno dei due lo fa per davvero.
Nessuno dei due si accorge che il buio li ha un po' inghiottiti ed entrambi stanno lottando, con differenti armi, per trovare la luce.
***
[Note autore:
Grazie per aver letto fino a qui!
Iniziamo ad entrare nella psicologia dei personaggi, sperando di renderli il più tridimensionale possibile — per quanto esigue le mie capacità.
Abbiamo visto un po' più di Manuel, nel prossimo capiremo di più di Simone.
Non so se ve l'ho detto, ma la storia è lunga.
Davvero, molto lunga, quindi...
Armatevi di pazienza, tè o cioccolata calda o quel che vi pare, se andrete avanti.
Ditemi sempre che ne pensate o qui o su Twitter.
Tra parentesi, in anonimo mi hanno chiesto un hashtag per commentare, purtroppo non ho idee per quello, quindi se ne avete uno in mente, scrivetemelo pure ❤️
Un bacio.
Lilith.]
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