La confessione
«Hai frugato di nuovo nella mia stanza?» Manuel sbotta e alza il tono di voce. Una parte di lui nemmeno vorrebbe, ma è in evidente panico.
«Sono venuta a portare la roba, Manuel, e il cellulare ha vibrato!»
«E ovviamente t'è venuta 'sta grande idea de guardà lo schermo!»
«Meno male che l'ho fatto!»
Anche Anita sta urlando. Sgrana gli occhi e si passa entrambe le mani nei capelli. Sembra...
No, è sconvolta, allo sbaraglio. «Perché... perché Simone te scrive quelle cose?»
Lui abbassa lo sguardo e abbozza una mezza risata sarcastica. Blocca il telefono tramite il tasto laterale e si dà mentalmente dello stupido, dato che quel casino avrebbe potuto evitarlo semplicemente togliendo le anteprime dei messaggi, una cosa basilare.
Coglione, lo rimprovera la propria coscienza e non può biasimarla.
Ormai il danno è fatto e cerca di non perdere la calma, anche se poi okay, ha sbaglato, ma non è nel torto più assoluto.
«Senti, non... non volevo lo scoprissi in questo modo e...» comincia, non prova neppure a negare.
Si interrompe non appena la madre inizia a scuotere il capo e muovere passi nervosi per la stanza, su e giù, ogni tanto si ferma, lo fulmina con lo sguardo, dopo riprende.
«Ma', te prego...»
Non viene ascoltato.
«No, no, io me so' fatta i flash, ho pensato che—che me stavo a immagina' le cose, per forza me stavo a sbaglia' perché non poteva esse'! Tutte le... le uscite insieme, i rumori strani la mattina presto, il fatto che sparite nello stesso momento, le scuse assurde...»
Manuel è investito dalle sue parole, dalle sue occhiate taglienti. «Te vuoi ferma'?» le intima.
Nessun risultato.
Anita rimane agitata, calpestando ogni centimetro quadrato di quella stanza, sentendo improvvisamente caldo. «Me so' detta che era 'na cosa impossibile perché eri sposato e Simone sta con la ragazzetta e quindi per forza me facevo 'sti viaggi inutili, cioè voi...»
Si ferma con uno scatto, davanti al figlio che non ha idea di cosa fare o dire, a quel punto. «Perché non—non me dici che me sto sbagliando?» soffoca.
Manuel sospira, si morde piano l'interno della guancia. «Perché te mentirei» sussurra.
La madre impallidisce, di più di quanto lo faccia già. Si porta un palmo sulla bocca, scioccata, i suoi occhi si spalancano ulteriormente. «Manuel, tu... tu non sei gay» attesta, non è una domanda.
Il ragazzo fa cenno di no con il capo. «No, infatti so' bisessuale.»
«Bi... cosa?»
«Bisessuale! È quando ti piacciono sia le donne che gli uomini.»
«Oh, per carità!»
Ecco, per una seconda volta, rimane deluso dalla reazione al proprio coming out, ma da lei non si aspettava qualcosa di diverso, purtroppo.
Giocherella con il cellulare che tiene ancora in mano, abbassa e solleva lo sguardo più volte. «Volevamo dirvelo...» prova a spiegare.
«Volevamo?» Anita gli fa da eco. «Ce sta–ce sta il plurale, addirittura.»
«Seh, ma', ce sta il plurale, noi...»
«Noi niente, Manuel! Noi. Niente» tuona, strilla, la sua voce riecheggia per tutta la casa. «Non ce sta un noi, non esiste. È un ragazzino, lo capisci? Un ragazzino!»
«Sì, e io me so' innamorato di 'sto ragazzino!» urla pure lui, così forte da farsi male alla gola.
In passato, gli è capitato di litigare con la madre, per le cose più disparate, capricci da adolescente per poter uscire la sera e tornare a notte tarda o rimproveri per aver comprato della birra con i soldi che servivano per la spesa.
Col trascorrere del tempo, i dissapori si sono appianati, aiutati pure dalla lontananza.
Quindi, a parte l'isolato episodio la sera del proprio compleanno, non è mai più successo di discutere in modo così tanto animato, non c'è più stato un livello d'astio tale tra loro.
È spontaneo dirglielo, farglielo sapere che ama Simone, che non è qualcosa di passaggio, una storiella priva di senso.
Tuttavia, Anita non sembra capire. Il suo sguardo è iracondo, fuori da ogni ragione.
«E te la fai passare» sentenzia, glaciale. Storpia un sorriso. «Te la fai passare, Manuel» ribadisce. «Non ti permetto di rovinare questa famiglia.»
Sì, ci ha litigato un sacco di volte con sua madre.
Per cose stupide, per altre più serie, ma mai, mai nei suoi occhi ha intravisto qualcosa del genere.
Disprezzo.
Una parola che non le avrebbe mai associato, una che non credeva potesse appartenerle.
Così si sente ancora più a pezzi, distrutto, perso.
Succede quando l'unica persona che dovrebbe donare affetto incondizionato, lo ritratta, lasciandoti in un mondo d'improvviso senza gravità.
Rischia sul serio di cadere, non ha più equilibrio. Gli manca il fiato.
«Non stai a dì sul serio» pigola. Vorrebbe dirlo più forte. Non ci riesce.
Anita non si smuove. La sua espressione rimane rigida. «Questa cosa finisce subito» tuona «e Dante non ne deve sapere nulla! Niente. Hai capito?»
Le vorrebbe rispondere.
Manuel vorrebbe davvero mettersi a gridare, sbottare, farsi valere, urlare che non può imporre dei divieti su una relazione, che non può trattarlo in quel modo.
Che non è giusto.
Smarrito, confuso, non è in grado di pronunciare mezza parola.
La donna lo fissa ancora per un attimo, infuriata. Scuote il capo e, in seguito, abbandona la stanza, sbattendo forte la porta alle sue spalle.
Ed è peggio, dopo, quando Manuel rimane da solo, mentre il proprio telefono vibra e lo schermo si illumina di nuovo.
Si lascia cadere di peso seduto sul letto. Lancia uno sguardo all'apparecchio. C'è una nuova notifica pop-up di Simone, immagina che sia finalmente arrivato a Roma — e non sa cosa lo aspetta a casa.
Ci impiega dei minuti infiniti per rimuovere l'accappatoio e vestirsi. Indossa una tuta grigia, morbida e comoda.
I suoi capelli rimangono bagnati.
È spento, come se quella discussione con la madre avesse rotto qualcosa dentro di lui.
"Te la fai passare".
Come se non c'avesse provato!
Certo che lo ha fatto, ma come si mette a tacere un sentimento così grande, così totalizzante?
Al momento non saprebbe immaginare le proprie giornate senza quel ragazzino, senza vedere il suo viso, senza sentirsi osservato dai suoi occhi grandi.
Sarebbe come un pianeta senza la sua stella.
Inconcepibile.
Resta sul materasso, a gambe incrociate, con lo smartphone davanti, sulla coperta.
Gli sono arrivati ulteriori messaggi che non ha aperto.
Continua a reputarsi uno stupido.
È sempre stato attento ad ogni cosa, per mesi, e si è fatto fregare da una minuzia.
Simone si arrabbierà, pensa, e ne avrebbe tutto il diritto.
Il tempo che è trascorso non lo ha calcolato. Tiene il capo basso. Lo solleva soltanto quando sente il rumore della porta che viene aperta e poi chiusa a chiave.
«Ma che ha Anita? L'ho salutata e mi ha guardato come se volesse uccidermi!»
A quella frase di Simone segue una sua risata.
Manuel non riesce ad imitarlo, neppure sforzandosi. Con alta probabilità, la propria espressione afflitta è abbastanza eloquente.
L'altro ragazzo se ne accorge. Posa lo zaino a terra e lo raggiunge sul letto, accomodandosi a pochi centimetri di distanza. «È successo qualcosa?»
È successo fin troppo.
Manuel tira su con il naso, scrolla le spalle. «Ha... ha scoperto tutto» sussurra. «Mia madre, di—di noi.»
«Come...»
«Pe' colpa mia, ho lasciato il telefono così, so' arrivati dei messaggi tuoi e di Chicca e....»
Si aspetta una sua sfuriata, sarebbe lecita, e quasi si prepara all'impatto.
Al contrario di ogni aspettativa, però, Simone allunga una mano e gli sfiora una guancia. «Okay» soffia.
«Okay?» Manuel è stranito. «So' stato un coglione, Simó, potevo—potevo toglie' le anteprime ai messaggi, chi è l'idiota che le lascia? Potevo evita' tutto!»
«C'erano un sacco di cose che si potevano fare, ma ormai è successo! Tanto glielo volevamo dire prima o poi, no?»
«Sì, ma non così, non...» scuote la testa. «Ce dovevo pensare prima, mi dispiace.»
«Colpevolizzarti non risolve nulla.»
«Non sei incazzato?»
«No» conferma Simone. Sfrega un pollice sulla sua guancia. «Ieri mi hai detto che qualunque cosa fosse successa con mio padre, la affrontavamo insieme, io e te. È lo stesso, no? Pure adesso.»
«Non è lo stesso.»
«Perché no?»
«È più complicato.»
Manuel non crede nemmeno che quella parola possa riassumere la situazione. È ancora a pezzi per il confronto con la madre avvenuto in precedenza, li ha messi insieme con colla e scotch e non è servito. La sua mente è instabile.
Un bussare energico interrompe la loro conversazione. Si girano entrambi verso la porta chiusa.
«So che siete tutti e due lì dentro, aprite e basta!»
La voce di Anita è energica, vigorosa, ancora furente.
Lo sguardo di Simone cerca quello dell'altro ragazzo, a chiedere aiuto, indicazioni su come agire. Quest'ultimo prende un respiro profondo, prova ad essere calmo, pur con scarsi risultati.
Si alza con lentezza e trascina i piedi avvolti da un sottile calzino sul pavimento fino a raggiungere l'anta, gira la chiave e apre la porta. Si trova sull'uscio la donna, che lo fissa, gelida, a braccia conserte; in seguito, entra dentro la stanza, lancia un'occhiata tagliente al figliastro e scuote il capo, con delusione e rammarico.
«Ma'...» cerca di dire Manuel e viene subito interrotto: «Dante sta per tornare a casa. Adesso ve spiego che facciamo: vi lavate le mani, scendete giù e ci sediamo tutti a tavola come una famiglia e nessuno proferisce mezza parola su questa questione, intesi?»
«Perché dovremmo f...»
«Perché mio marito non vuole scoprire a cena che la persona che ha accolto in casa a braccia aperte ha finito con l'approfittarsi di suo figlio adolescente!»
Per la seconda volta in poco tempo, il suo tono di voce è rude, meschino e sprezzante.
Simone, rimasto seduto sul letto, aggrotta le sopracciglia. «Lui non si è approfittato di me» ci tiene a far presente, gli viene spontaneo.
Ad Anita sfugge una risata isterica. «Hai diciotto anni, sei un ragazzino!» attesta. «E lui è un uomo di trenta! Non ci prendiamo in giro.»
«No, è così. Sono io che ho iniziato tutto.»
Solleva l'indice, frena le sue parole. «Non voglio sentire niente» taglia corto. «Di sotto, ora. E la porta rimane aperta.»
Manuel abbassa il capo. Scorge a stento la donna che abbandona la stanza. È rimasto in apnea per tutto il tempo. «Capito perché è complicato?» borbotta.
Soltanto allora Simone si mette in piedi, lo raggiunge a passi piccoli e gli si ferma davanti. «Deve solo metabolizzare la cosa. Lo ha appena scoperto.»
«Seh, non...»
«Ora che facciamo?»
Bella domanda.
«Facciamo come dice lei pe' stasera. Poi ci pensiamo.»
La situazione è degenerata e precipitata con un nonnulla.
Sì che Manuel ha messo in conto il fatto che quella relazione non sarebbe stata ben vista e ben voluta, però ha confidato nella comprensione della madre, nel suo buon cuore, nell'affetto nei propri confronti.
A quanto pare, legge male le persone.
Quella cena, un'ora dopo, è un'ecatombe.
Inizia con Anita che impedisce loro di sedersi al solito posto, uno accanto all'altro, e li obbliga a stare ai lati opposti di quel rettangolo, mentre Dante, ignaro di tutto, si sistema a capotavola.
È quest'ultimo, mentre sminuzza la lasagna nel piatto, che domanda al figlio: «La settimana prossima fai qualcosa per il tuo compleanno?»
Simone, alla sua sinistra, rigira la forchetta tra le dita. Non ha ancora toccato cibo. «Non lo festeggio da anni il compleanno, lo sai.»
«Beh, magari stavolta qualcosa è diverso» ridacchia il professore. Ammicca verso la moglie, la quale sforza un sorriso e butta giù un sorso di vino rosso. «Uhm, magari potresti andare da qualche parte con Laura» propone.
Manuel ascolta quel dialogo per inerzia. È lì, ma è come se non lo fosse. Non lo vede, però si sente costantemente trafitto dallo sguardo di rimprovero della madre e gli pare così ridicolo dare corda a quella scenetta inutile.
Qual è lo scopo?
Non è l'unico a pensarla così, in effetti, soprattutto quando ode la frase «Io e Laura ci siamo lasciati» pronunciata da Simone, il che lo fa sussultare, sollevare il capo e ricercare gli occhi del ragazzo. Purtroppo non li trova, essi sono fissi sulla figura del padre che ora si è sporcato gli angoli della bocca di sugo. «Ah, sì?» borbotta quest'ultimo. «E come mai?»
Manuel conosce la scusa che verrà usata, quella che l'altro gli ha confessato nel gabbiotto a scuola: "siamo cresciuti, abbiamo diversi interessi, però restiamo amici".
Si aspetta quel discorso montato ad hoc.
Se l'aspetta, tuttavia ciò che viene fuori è differente.
«Perché sono gay, papà.»
Come un fulmine, tale frase si abbatte sulla stanza, facendo precipitare ogni cosa nel silenzio più assoluto.
Ma Simone non sembra preoccuparsene: osserva il genitore con noncuranza, intanto che raccatta un boccone di lasagna e lo ingurgita.
Dante, invece, cerca lo sguardo di Anita quasi le stesse chiedendo spiegazioni o aiuto su una possibile reazione da mettere in atto. La donna storpia l'ennesimo sorriso e manda giù a fatica la saliva, non gli dà nessun suggerimento.
«E da quando?» dice, allora. Sforza una risata.
«Da sempre?» è retorico. «Io e Laura abbiamo finto di stare insieme per farvi contenti, ma ormai non serve più, no?»
Ride più forte, è palese che sia agitato, nervoso. Si pulisce bocca e mento con il tovagliolo di stoffa. «Classico argomento per una cena del sabato sera» commenta. «Bella trovata, comunque!»
«Che trovata?»
«Inventare questa storia qua, la finta relazione, di te che sei...»
«Non è una storia. Sono gay. Omosessuale, mi piacciono gli uomini. Ti posso pure trovare una lista di sinonimi, se vuoi.»
«Simo, magari ne potete parlare dopo, mh?» interviene Anita.
«Perché?» ribatte il ragazzo, piccato. «È un problema?» lo chiede in maniera generale, ma poi si rivolge ad una persona diretta: «È un problema se sono gay, papà?»
A Manuel pare di essere su una barca instabile in balia delle onde. Potrebbe cadere in mare da un momento all'altro.
Sì che è ben conscio del fatto che Simone sia imprevedibile, che non sa mai cosa aspettarsi da lui.
Di certo, non ha messo in conto che tirasse fuori quel discorso durante la cena, quella in cui dovevano stare buoni.
Ha la mezza idea di interromperlo, che determinate cose da dire le possono ideare insieme, con calma, per non gettare benzina sul fuoco.
Non lo fa.
Non ancora.
Focalizza la propria attenzione sul professore, in attesa della sua risposta.
Quest'ultimo scuote appena il capo e «No che non è un problema» dice, sebbene la sua voce sia un briciolo incerta. «Lo sai, l'importante per me... per noi» fa un cenno verso la moglie, la quale annuisce a stento, portandosi una ciocca di capelli dietro ad un orecchio. «Per noi l'importante è che tu sia felice.»
«Io sono felice» esclama Simone. «Ho un ragazzo che mi ama tantissimo, è premuroso, dolce, gentile, si interessa di ogni cosa che mi riguarda.»
«È un bene, certo, un bene.»
Dante sembra in difficoltà. Lo dimostra il fatto che ha smesso di mangiare e rigira tra le dita il calice di vino che non ha ancora sorseggiato. Di tanto in tanto, cerca lo sguardo della moglie come se dovesse ottenere la sua approvazione. Come in precedenza, la donna si limita ad annuire e a sforzare un sorriso.
Invece Manuel pensa che sia tutto in caduta libera e, forse, dovrebbe frenare il tutto per davvero, stavolta.
Tuttavia, c'è un momento, un singolo istante in cui le cose rallentano un briciolo, una domanda da parte dell'uomo a capotavola sopraggiunge, «E chi è questo ragazzo?», e i propri occhi si incrociano con quelli di Simone in una muta richiesta che urla "posso dirlo?".
La comprende, la prende al volo, e lo sente addosso il rimprovero da parte della madre, la miccia che accende di più la sua rabbia ed innesca la bomba definitiva, quella più devastante.
«Sono io.»
Gli esce fuori di bocca un sussurro a malapena udibile. Si convince a pronunciarlo più forte quando nota l'espressione di Anita e Dante che lo fissa, non sicuro di aver capito bene.
Dunque finge un colpo di tosse per schiarirsi la voce e ripete: «Il ragazzo di Simone sono io.»
Boom.
Lo scoppio di una bomba farebbe lo stesso rumore del silenzio opprimente e assordante che si abbatte su quella stanza.
Ipotizza che, forse, l'uomo a capotavola pensa sia uno scherzo, una burla architettata per movimentare il sabato sera. Lo vede arrancare, sforzare un sorriso e tornare serio e dopo balbettare: «Che... voi...»
E non si capisce se sia furioso, semplicemente incredulo o entrambe le cose.
Probabile più la prima considerando il modo in cui, qualche secondo dopo, trucida con lo sguardo prima lui, poi il figlio, il quale accenna un sorriso e afferma: «Noi stiamo insieme. Da un po' di tempo, ormai.»
A quella ennesima confessione, Dante pare implodere. I suoi tratti si fanno più cupi, si deformano, divenendo furiosi, delusi, irriconoscibili.
Però non dice nulla, non fiata.
Posa il bicchiere sul tavolo in malo modo e si alza in maniera brusca, abbandonando la cena.
«Aspetta!» esclama Anita. Anche lei riserva un'occhiata fulminante ad entrambi e segue subito il marito, chissà dove.
Lontano da lì, comunque.
Le onde che lo hanno sbattuto e scombussolato, ora si placano. Per Manuel, il mare è di nuovo piatto, anche se lui ha la nausea e gli gira un po' la testa.
Socchiude le palpebre per un istante. Quando riapre gli occhi, può osservare Simone che ha ripreso a mangiare come se nulla fosse.
I loro sguardi si incrociano in quel momento.
Gli viene da sorridere, poi da ridere.
Ed è ciò che fanno, tutti e due: ridono all'unisono, sebbene ci sia un pizzico di isterismo in quel gesto, una tensione che man mano viene rilasciata e porta ad una realizzazione molto semplice.
«Simó...» sussurra Manuel, che torna lentamente serio. «Avemo fatto un casino.»
Lo sa e ne è consapevole pure l'altro ragazzo che annuisce e manda giù l'ultimo pezzo di boccone.
Quantomeno quella volta, il casino lo hanno fatto insieme.
Diretta conseguenza del casino è Manuel che non riesce davvero a dormire, che sente dei rumori nel corridoio nel cuore della notte e vorrebbe sbirciare, accertarsi che Dante e Anita siano in camera loro.
Si dice che devono avere il tempo per elaborare quanto appreso, per quanto l'espressione che ha colto sul viso del professore fosse...
Non è in grado di definirla bene, però non era bella.
Questo sì.
E non aver assistito ad una sua vera reazione, magari pure una sfuriata, sembra la quiete prima della tempesta.
La mattina successiva, scende al piano inferiore che sono circa le sette di mattina. È domenica, la Villa è avvolta nella classica calma.
Nota sua madre accomodata al tavolo imbandito per la colazione, un particolare usuale che un po' lo tranquillizza.
Ha sparecchiato e messo in ordine lui la sera prima, spera di aver fatto bene.
Striscia i piedi ricoperti da un sottile calzino fino a che può sedersi di fronte alla donna. «Buongiorno» sussurra. La vede rispondere con un lieve cenno del capo mentre sorseggia una tazza di tè fumante.
La moka è calda, il caffè deve essere stato appena fatto. Se ne versa due dita una tazzina di ceramica bianca e raccatta due biscotti all'avena dal barattolo.
In realtà non ha fame e dubita di riuscire a buttar giù qualcosa. Inoltre, percepisce ancora astio e tensione da chi gli è di fronte.
Stringe i pugni appoggiati alla superficie piana. «Mi dispiace per ieri» mormora. Cerca di dare inizio ad un discorso sensato sebbene la donna abbia lo sguardo perso nel vuoto e non gli stia prestando per davvero attenzione.
«Volevamo dirvelo nel modo giusto, un po' per volta» prosegue. «Non è qualcosa che avevo pianificato, per niente. Nemmeno nei miei sogni potevo aspettarmela, però è capitata e mi ferisce se voi non approvate, se tu non approvi perché io sono felice dopo tanto, dopo troppo. Con Nina, ho vissuto per oltre dieci anni nell'ombra, a reprimere me stesso, le mie passioni, ogni cosa che mi rendeva... unico, che mi faceva sentire vivo. E adesso, invece, sto bene, sto... provando a inseguire i miei sogni, ciò che davvero mi fa vivere e non solo sopravvivere e con Simone accanto è soltanto più bello.»
Fa una breve pausa. Ancora nota che Anita ha lo sguardo altrove, distratta, persa.
Si morde piano il labbro inferiore e la sua gamba destra comincia a sussultare leggermente. «Magari col tempo questa cosa non sembrerà più... strana. Vorrei che non lo fosse, ma', vorrei tanto che tu fossi felice per me e basta.»
Solo in seguito a tale frase, la donna gli rivolge uno sguardo, per quanto i suoi occhi risultino vacui.
Ma Manuel ancora ci spera in un suo sorriso rassicurante, in una sua buona parola, nel "sono tua madre, il resto non conta".
Sarebbe una dolce carezza, un caldo abbraccio.
«Dante ti vuole fuori da questa casa entro stasera.»
Invece ottiene una doccia fredda, un pugno al centro dello stomaco.
Rimane interdetto, senza le parole necessarie a poter replicare in qualche modo consono.
Schiude le labbra per emettere suono. Non ne è più capace.
Anita non aggiunge altro. Posa la tazza ormai vuota sul tavolo e si alza con lentezza in piedi.
Si stringe nel suo cardigan beige. «Te l'avevo detto che non doveva sapere niente» conclude, con un filo di voce. Poi abbandona la sala da pranzo.
Lascia il figlio da solo in ogni senso possibile e Manuel torna ad essere in balia delle onde, stavolta senza alcun appiglio.
***
[Note autore:
Ciao a tuttə e grazie per aver letto fin qui!
Spero di non avervi annoiato.
Le cose si sono messe un po' male, già...
Però dai, poteva andare peggio, potevano ribaltarsi con l'auto, prendere un aereo e precipitare o...
Uh, ho promesso di no, giurin giurello!
Comunque...
Questo è l'ultimo aggiornamento per quest'anno, ci rileggiamo direttamente nel 2025 che è più vicino di quanto si immagina.
Ricordate che un commento che sia qui o su Twitter con #tortini è sempre ben gradito.
Un bacio,
Lilith.]
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