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Buoni amici




«A che ora atterra Simone?»

A Manuel si rizzano le orecchie a sentire la domanda posta dalla madre.

È mattina: gli inquilini di Villa Balestra sono attorno al tavolo per consumare la colazione.

Dante versa della spremuta d'arancia in un bicchiere di vetro trasparente. «A mezzogiorno» replica, con noncuranza. Sembra più interessato alle leccornie in tavola che al fatto che il figlio stia tornando a Roma dopo due settimane di assenza.

«Vai a prenderlo?»

«No, ho dei giri da fare, siamo rimasti d'accordo che prende il bus o un taxi.»

Manuel ascolta quel breve dialogo con mezzo biscotto d'avena in bocca. Cerca di buttarlo giù il più veloce possibile, bevendo un sorso di caffè — che è bollente e rischia di ustionarsi la lingua, oltre che rischiare di strozzarsi con le briciole del biscotto.

«Posso anna' io» propone, in maniera troppo istintiva, senza controllo.

Il professore scuote il capo. «Ma va, non c'è bisogno» attesta. «Poi non lavori oggi?»

«Beh, sì, ma ho delle ore di permesso accumulate e devo smaltirle, per cui...»

«Sicuro non ti scocci?» chiede Anita.

Il contrario, magari.

«Non me scoccia, altrimenti non dicevo nulla» insiste Manuel.

Ha fatto il conto alla rovescia per tale avvenimento, scandendo ogni secondo di ogni minuto di ogni singola ora del giorno. Adesso che finalmente è arrivata la data, non vuole perdersi neppure un attimo.

«Ti devo un favore, allora» conclude Dante, con un mezzo sorriso — e Manuel pensa che no, non glielo deve: glielo sta facendo.

🏍️🏉

Giunge all'aeroporto con largo anticipo ed è talmente disperato che ha scaricato sul telefono una applicazione che gli fa seguire i voli in tempo reale e va a cercare quello di Simone.

Sei patetico.

Okay, forse un po' lo è, quindi lascia perdere e ripone lo smartphone nella tasca posteriore dei pantaloni. Per quel giorno, non ha indossato alcun completo: niente camicia, giacca o cravatta, solo un jeans e un maglione leggero beige e si sente più libero, decisamente.

Resta davanti al tabellone degli arrivi, impaziente, ansioso, strizzando le palpebre per cercare di vedere arrivare l'altro ragazzo.

Consuma il pavimento, facendo su e giù senza spostarsi di più di cinque metri.

Guarda l'ora per tre volte sull'orologio del telefono, due sul tabellone. L'aereo è segnato come atterrato.

Bene, ma manca ancora il ritiro bagagli, il che significa aspettare almeno altri quindici o venti minuti.

Che tortura.

Ne passano diciotto in totale e finalmente lo vede, tra la moltitudine di altri passeggeri.

Alza una mano per farsi notare e si solleva addirittura sulla punta dei piedi per agevolare la cosa.

Non serve, comunque: Simone lo adocchia subito, mentre trascina il trolley. Sorride e si ferma quando gli è davanti. «Te che ci fai qui?»

«So' venuto a prenderte» risponde Manuel. Si rende conto che, forse, ha usato troppo entusiasmo nel saluto da lontano, per cui finge un colpo di tosse e infila le mani nelle tasche della giacca nera per apparire più disinvolto e distaccato. «Tu' padre non ti ha avvertito?»

«No, mi ha detto di prendere il bus.»

«Eh, così ce mettevi di più a tornà a casa dall'aeroporto che arriva' dalla Scozia.»

Simone annuisce, concorde. «Mi porti la valigia?»

«Ao, è arrivato il principino!» scherza Manuel. Non ne sta facendo una questione, a dire il vero, poiché mentre parla, ha già afferrato il manico del trolley e mosso qualche passo verso l'uscita.

La cifra da pagare per il parcheggio è folle.

La risata di Simone riecheggia nell'abitacolo a sentire l'altro lamentarsi – dura poco, comunque: Manuel è persino felice di aver pagato se questo significa che son di nuovo insieme.

Imbarazzante.

Sulla tangenziale c'è abbastanza traffico, ragion per cui il loro tragitto prosegue a rilento.

«Vedi, co' 'sto macello, prendevi il bus e arrivavi domani» borbotta colui che è alla guida.

Il ragazzo accomodato sul lato passeggero alza gli occhi al cielo e sogghigna. «Puoi smetterla di usare questa scusa» fa presente «e dire che ti mancavo.»

«Manco pe' niente, so' qui pe' comodità tua.»

Non è vero, ovviamente. Non è qualcosa che Manuel ammetterà mai, infatti neppure riesce a guardarlo troppo in faccia e tiene gli occhi fissi sulla carreggiata di fronte a sé.

Del resto, ammetterlo significherebbe non avere più il controllo della situazione, come appurato in precedenza, e che si sta—non vuole dirlo, basta.

Simone ne è fin troppo consapevole e una parte di lui vorrebbe persino infierire. Non lo fa. Scrolla le spalle e fissa il suo profilo. «Vabbè, che hai fatto senza di me?» domanda. «Ti sei annoiato, immagino.»

«Mh-m, lavorato, purtroppo, messo mano alla moto, come t'ho detto... il tempo è volato.»

Bugia, è stato lento e logorante.

«Niente Grindr?»

A tale quesito, Manuel gli rivolge un'occhiata fugace e all'apparenza distratta. «Nah, non ne ho avuto bisogno» esclama. Vorrebbe puntualizzare che sono bastati i messaggi scambiati, le foto e le loro videochiamate, anche se è stato poco, troppo poco – e che ha cancellato l'applicazione ormai da tempo. «Tu niente—boni scozzesi?»

Quasi teme la risposta e si morde piano l'interno della guancia.

«Non sono il mio tipo, lo sai.»

Può tirare un sospiro di sollievo.

Quando giungono a casa, la Villa è vuota e silenziosa.

Manuel trascina la valigia dall'auto all'abitazione, mentre Simone è il primo a varcarne la soglia.

Quest'ultimo si leva la giacca, la lascia sull'appendiabiti accanto alla porta e «Siamo soli?» domanda.

L'altro annuisce, intanto che cerca di non inciampare nel trolley e chiude l'anta di legno alle proprie spalle. «Per il momento» attesta «anche se mi' madre p—»

Non fa in tempo a finire la frase che le labbra di Simone lo travolgono, lo intrappolano in un bacio impetuoso. Tiene le mani a mezz'aria in un primo istante, poi è subito pronto a portarle sulla sua schiena e tirare piano il suo maglione azzurro.

«'Namo de sopra» riesce a biascicare, però no, Simone scuote il capo e continua ad assalire la sua bocca, imperterrito.

«Simó...» tenta ancora «di sopra, se—se tornano, ce beccano.»

«Non ce beccano.»

«Sì, invece, siamo davanti alla porta.»

Il più piccolo sbuffa e scosta appena il capo. «Andiamo di sopra se dici che ti sono mancato.»

«È 'n ricatto?»

«No, solo una richiesta.»

Manuel sogghigna e gli mordicchia una guancia. «Seh,» taglia corto, può andar bene «mo' annamo?»

Crede di averla risolta in quel modo.

Simone non è d'accordo, fa cenno di no con la testa. «No, lo devi dire.»

«Ma che te cambia?»

«Dillo o restiamo qui e scopiamo sul divano.»

«Piantala.»

«Dillo» sentenzia. È serio e pone tre dita sulle labbra dell'altro per impedirgli di riprendere a baciarlo. «Simone, mi sei mancato. Non è difficile.»

Manuel aggrotta le sopracciglia. Certo che gli è mancato, potrebbe urlarlo, solo che ammetterlo ad alta voce, davanti a lui, lo renderebbe tremendamente reale e porrebbe delle basi a qualcosa di indefinito che sta crescendo pian piano nel suo petto. Per tal motivo oppone resistenza e vorrebbe metterlo a tacere e basta, soffocare le sue richieste facendo collidere le loro labbra e scordarsi del resto.

Purtroppo per lui, il viso di Simone si trova a pochi centimetri di distanza, i suoi occhi grandi e scuri lo scrutano e ha la certezza che sono, in effetti, un suo punto debole.

«Me sei mancato» bofonchia. «Contento adesso?»

Lo vede sorridere, appagato, e i baci tra loro stanno per ricominciare se non fosse che «Dillo anche tu» esclama.

Simone sbuffa una risata. «Ma tu non mi sei mancato.»

«Balle.»

«Lo giuro.»

«O lo dici o non scopiamo proprio.»

Ride di più, sinceramente divertito. «Figurati, stai fremendo.»

«Me so' controllá.»

«Non è vero.»

Per ripicca, per provare che ha ragione — non ce l'ha, sta per esplodere — fa un passo indietro e interrompe il contatto tra di loro, incrociando le braccia al petto. «Aspetto.»

«Non dico bugie.»

«Buffo, non fingi una relazione etero da due anni?»

«Che vuol dire, non...»

Indietreggia di qualche metro, lentamente, platealmente.

Simone inclina il capo su di un lato, assottiglia lo sguardo. «Lo abbiamo già fatto 'sto gioco» esclama. «Non sai resistermi.»

«Me so' allenato in queste due settimane d'astinenza forzata» rimbecca Manuel. «Tu pensaci, eh. Io me vado a recuperà qualche ora di sonno.»

Non vuole davvero dormire, come ovvio, ma lo diverte in quel frangente torturarlo in tal modo — è più una tortura verso sé stesso, ad essere onesti; cerca di cogliere l'aspetto positivo, ossia di tenere lui le redini.

Mentre sale le scale, resiste all'impulso di girarsi, sebbene muoia dal desiderio di vedere la sua espressione imbronciata, pregna di disappunto e frustrazione.

Gliela strapperebbe via a baci e morsi.

Delicati, eh!

Giunge nella propria stanza e si chiude la porta alle spalle. Appoggia la schiena all'anta e sorride perché «Dieci... nove...» sospira e sente il rumore dei passi dell'altro sui gradini di legno che scricchiolano. «Otto... sette... sei...»

Neppure ci arriva al cinque, quattro, tre che Simone bussa con energia.

Manuel gli apre. «Te serve qualcosa?»

Ed eccola la maschera infastidita sul viso, le sopracciglia aggrottate e le guance rosse, rese ben visibili dalla sua carnagione diafana. Non può che bearsi di un simile spettacolo.

«Sei uno stronzo.»

«E...?»

«Piantala e scopiamo.»

«Non ho sentito le paroline magiche.»

Simone sospira sommessamente, serra le labbra e sbuffa dal naso. «Sei...»

«Uno stronzo, l'ho capito. E poi?»

«Poi—mi... sei mancato, okay?» recita così in fretta quelle frasi che risultano a stento udibili e comprensibili. «Ora possiamo sbrigarci?»

Manuel si deve accontentare, almeno per il momento. «Vedi? Non è così difficile» lo scimmiotta.

Simone lo fulmina con lo sguardo per immediata replica.

La discussione decade presto quando entrambi non resistono più e, ancora una volta, si ritrovano in una stanza, con la porta chiusa a chiave, a spogliarsi — strapparsi i vestiti di dosso — toccarsi, gemere senza trattenersi che tanto sono da soli in casa.

Dire che si sono mancati è riduttivo, anche se Manuel pensa che due scopamici non dovrebbero farlo.



Il letto ad una piazza è scomodo per starci in due, questo lo ha appurato.

Dopo, sono costretti ad essere avvinghiati l'uno all'altro, sdraiati su di un fianco — come se poi dispiacesse loro – con un singolo cuscino.

A Manuel, di sicuro, non dispiace, anche se deve trattenersi per non accarezzarlo, per non dedicarsi a... come si chiamano? Coccole post sesso, una cosa del genere.

No, vorrebbe dire essere una coppia e non è il loro caso.

Anche se sono lì a guardarsi in silenzio da dieci minuti, proprio come farebbe una coppia.

«Comunque abbiamo avuto un'idea» esclama Simone ad un tratto, senza preavviso.

Manuel sospira. «Abbiamo chi?»

«Io e Laura.»

Ottimo. «Sarebbe?»

«La prossima settimana lei e Benedetta, la sua ragazza, vanno a Ostia per il weekend. Sono a casa di una zia di Benni che gliela lascia libera e Laura mi ha detto che 'sto posto ha un sacco di camere.»

«E quindi?»

«Beh, possiamo andarci noi.»

«Noi... con Laura e la sua ragazza?»

«Sì» Simone annuisce per rafforzare il concetto, anche se poi contorce le labbra in una smorfia e aggiunge: «Cioè, non proprio, nel senso che loro staranno in giro a fare cose—boh, romantiche, oppure chiuse in una stanza a fare diverso tipo di cose romantiche, quindi più che altro è stare nella stessa casa e incontrarci durante i pasti. Forse.»

Fa una breve pausa, incontrando la perplessità dell'altro, ragion per cui specifica: «Abbiamo una casa intera per scopare dove vogliamo senza la paura che possano beccarci e senza fare per forza silenzio! Laura mi ha detto solo di avvisarla se facciamo cose strane così non trova brutte sorprese.»

Manuel ci è arrivato da solo — insomma, è semplice logica — eppure non mostra reazioni entusiaste, non come si aspetta Simone.

Quest'ultimo tentenna, si morde piano il labbro inferiore; cerca di non lasciare trasparire alcuna preoccupazione e «Non pensi sia una bella idea?» chiede.

«Sì, è una fantastica idea.»

«Ma...?»

«Ma che scusa rifiliamo a mi' madre e Dante se spariamo insieme per un fine settimana intero?»

Il suo sorriso si fa più grande. «Per quello non c'è problema» esclama «io vado a fare una fuga romantica insieme alla mia fidanzata, tu verrai con noi perché la sorella di un'amica di Laura ti ha trovato su Instagram, vi state parlando da un po' e vi volete assolutamente vedere. Tua madre sarà ben felice di sapere che ti stai dando da fare a cercare una gentil donzella.»

A Manuel viene quasi da ridere. Tira fuori solo «Ah, come pensi a tutto te, eh» come commento.

«Certo, visto che...»

Frena la sua frase con un bacio, uno non troppo intenso, in grado comunque di smorzargli il respiro. Si sporge in avanti e, con un pizzico di difficoltà e temendo di cadere dal letto, lo fa girare in posizione supina e lo sovrasta. «Non vedo l'ora» soffia sulla sua bocca.

Simone si limita a sorridere e probabilmente vale di più di un qualunque mi sei mancato.

🏍️🏉

La realtà è che la settimana prossima è decisamente troppo lontana e di mezzo ci sono giorni lavorativi da passare in ufficio — e Manuel pensa ancora che il carcere sia meglio.

Per sua fortuna, almeno, Egidio è in ferie: ha preso quei giorni con una lunga premessa e giustificazione esposta per filo e per segno che a lui, di certo, non interessava. La parte più importante è che è da solo, quindi, tolta qualche riunione urgente super-importante che gli fa riempire di scarabocchi almeno dieci fogli, può fare quello che vuole, il che corrisponde a cercare online qualche offerta per i pezzi di ricambio della moto, scaricare dei pdf di libri che vuole leggere, cosa che non fa da una vita, e scovare locali nuovi per mangiare a Roma che negli anni si è perso.

Magari può andarci con Simone, pensa.

Magari no, lo rimbecca la propria coscienza.

Ad ogni modo, quel giorno, appena scoccano le 17:30, non attende mezzo secondo di più: timbra il cartellino mentre il telefono suona, ma non potrebbe fregargliene di meno.

Guida dritto verso casa. Il traffico non può evitarlo, però non è così intenso; un po' meno del solito, ecco.

In verità, ha fretta di tornare alla Villa per mostrare a Simone le cose che ha messo nel carrello, illustrargli il progetto e...

La vuoi smettere?

Purtroppo per lui, l'intento non può tramutarsi in azione vera e propria.

Una volta giunto nell'abitazione, dopo aver posato le chiavi nello svuota-tasche all'ingresso e abbandonato la giacca sull'appendiabiti, dal salotto proviene una voce che chiama il suo nome: «Manuel?»

Non è quella di Simone, né quella di Anita.

Ha l'impulso di ignorarla, tipo "ah, non ti avevo proprio sentito, scusami", ma sarebbe patetico.

Pertanto, stretto nelle spalle e con la sensazione che la cravatta lo stia strozzando — non sta succedendo ancora nulla, di fatto, è solo il suo sesto senso che si desta — raggiunge il salotto, laddove Dante è seduto sulla poltrona di finta pelle marrone, gli occhiali abbassati sul naso e un libro in mano.

Il professore sorride, fiacco. «Ti posso parlare un attimo?»

Di cosa?!

«Sì, uhm, certo.»

«Vieni, accomodati.»

La sua espressione è strana, nota subito Manuel. Non riesce a decifrarla del tutto, gli pare il ritratto del sospetto, lo sguardo indagatore e inizia a temere qualcosa di grave, ad esempio che li abbia scoperti e ora si arrabbierà, mi sbatte fuori di casa, mi manda dalla polizia.

Prende posto sul divano. Rimane rigido, in ansia, e quasi spera che la madre faccia irruzione con qualche conversione frivola, giusto per toglierlo da quella situazione.

Nulla da fare.

Dante chiude il romanzo e lo poggia sulle gambe. Finge un colpo di tosse. «Ho notato che hai legato molto con Simone nell'ultimo periodo» esordisce.

Manuel vorrebbe scivolare sui cuscini e sparire dentro di essi. «Beh, sì, cioè...» balbetta e si gratta dietro ad un orecchio, nervoso. «Più o meno, voglio dire.»

«Passate un sacco di tempo insieme.»

«Nella norma.»

Dove vuole arrivare?

Non ne ha idea e trattiene il respiro.

Il professore è stranito dal suo comportamento, lo vede agitato e assottiglia lo sguardo. Lo fissa, curioso. «Vabbè, arriviamo al punto» esclama. Si toglie gli occhiali e ci giocherella per mezzo secondo. «Non so se ti ha raccontato che ha discusso con la madre quando era via.»

Manuel sospira di sollievo a tale affermazione. Scuote il capo. «No, non mi ha detto niente» il che non è una bugia. Ha pensato di chiedergli cosa è successo la sera che lo ha visto triste e afflitto, ma alla fine non lo ha mai più fatto e l'altro è stato bravo a intercettare e deviare ogni dialogo che potesse portare al rinnovato quesito. Ora immagina che quella possa esserne la causa.

«Sì, succede spesso» ammette Dante e scrolla le spalle come se niente fosse. «Comunque—la mia ex moglie, Floriana, ha degli agganci in un prestigioso college di Edimburgo. Di norma, entrarci è davvero una corsa a ostacoli, ma Simone con la sua media e una buona parola da parte della madre, ha praticamente l'ingresso assicurato con una borsa di studio. Lì ci tengono davvero ad avere uno studente come lui.»

Sembra nutrire una grossa speranza in quel futuro che ha già programmato nei minimi dettagli, Manuel se ne rende conto subito: ha quel piano ben in mente, stabilito ogni passo da compiere per giungere ad un preciso traguardo.

«Mi sembra—ottimo» dice, la sua voce è un po' incerta. Non è sicuro che Simone sia concorde a quel progetto. Lui non lo è affatto.

«Lo è, lo è!» ribadisce Dante e accenna una risata. «Avrebbe la strada spianata per ogni cosa e sarebbe una grande soddisfazione per noi. Il punto è che—beh, ha la testa altrove, diciamo così. Si è fissato sul rugby, dice che non gli interessano gli studi, che vuole solo giocare, parla di campionati e competizioni, insomma.»

«E perché non può...»

«Non gli impedisco di giocare, altrimenti non pagherei la tassa di iscrizione da quattro anni e ti assicuro che non sono du' spiccioli, ma quello è un hobby, lo può fare nel tempo libero, mica nella vita!»

Fa una breve pausa e allarga un briciolo le braccia a sottolineare qualcosa di ovvio. «Non deve sprecare un potenziale del genere per uno stupido sport.»

A Manuel pare di essere di assistere ad un film che ha già visto e pensa che sia vero che si vivono vite diverse, ma, in fondo, tutte uguali. Si morde piano l'interno della guancia. «E se per lui non fosse solo uno stupido sport?»

La risata di Dante stavolta risuona fragorosa ed eccessivamente divertita, per poi ammutolire e lasciare spazio alla sua versione seria e composta. «Io sono suo padre, lo so cosa è meglio per lui e ti assicuro che è solo uno stupido sport» attesta «solo che in quanto padre, Simone non mi dà retta. Però può dar retta a te.»

«A me?»

«Sì! Passate tutto questo tempo insieme, lo aiuti a studiare, andrete a fare un weekend insieme. Siete buoni amici, due fratelli. Di sicuro ascolta più te che me o sua madre. Convincilo del fatto che quel college sia la cosa migliore per lui.»

È speranzoso, forse fin troppo, e Manuel vorrebbe urlargli che non ha intenzione di farlo, che quello è un modus operandi di adulti che si sono adattati ad un mondo che non va, non funziona. Tuttavia, al rinnovato «Ci puoi parlare?» del professore, si limita ad annuire.

Se ne pente amaramente, si dà dello stupido mentre perde l'occasione di esternare ciò che prova per davvero, tirare fuori le proprie convinzioni.

Su quell'aspetto, ha ancora molto su cui lavorare.

🏍️🏉

Nelle successive ore, Manuel ragiona su ciò che gli ha detto Dante. Chiuso nella propria stanza, dopo una cena alla quale Simone non ha partecipato — ha avvisato che è fuori con amici e di non aspettarlo e un po' ci è rimasto male che non abbia inviato un messaggio a lui, ma ad Anita.

Vabbè, non gli deve niente, in fondo.

Non ha intenzione di parlargli dell'università, di dargli consigli sul futuro da uomo adulto. Se deve essere onesto, gli direbbe che la vita fa sempre più schifo, crescendo, e non si scappa dalla pressione sociale e che essa diventa più opprimente ogni giorno che passa, mentre se ne diviene succubi.

Ma non vuole dargli quel peso da sopportare, non ora.

In più, non crede di essere la persona più adatta per convincerlo a prendere e partire. In maniera egoista, significherebbe anche averlo lontano da Roma.

Lontano da lui.

E se due settimane sono state un inferno, figurarsi tre, quattro, cinque o più anni.

Ah.

Sta facendo progetti sul futuro, si deve fermare.

Ha già messo la tuta, è pronto per dormire anche se sono da poco passate le dieci. Perde tempo su Tiktok nell'attesa che il sonno sopraggiunga.

Sopraggiunge qualcosa di differente: una notifica da parte di Simone su WhatsApp — e Manuel evita di anche solo pensare qualcosa tipo "ah, adesso mi scrivi".

Non se ne dà il tempo che apre il messaggio.

[Posizione]

Non c'è scritto niente, solo delle coordinate mandate con Google Maps.

??

Replica, confuso.

Mi raggiungi?

Ma dove?

Ti ho mandato la posizione

E che sarebbe?

Apri il navigatore e segui le indicazioni
Funziona così la tecnologia

Sono già in pigiama

Va bene pure in pigiama
Che comunque se lo mettono i vecchi a quest'ora
Ma non farò il puntiglioso

Coglione, si dice Manuel a mente, ma non lo scrive. Non ha molta voglia di alzarsi, a dire il vero, e quella sarebbe la seconda volta in cui Simone gli scrive e lui corre.

Dovrebbe avere un briciolo di... non dignità, però almeno auto-controllo, giusto per essere pignoli.

Chi prende in giro?

Dura dieci minuti, poi sguscia da sotto le coperte, infila un jeans e un maglione bordeaux, le scarpe da ginnastica che ha comprato da poco — un modello in offerta da Decathlon, nulla di che — e si ficca in auto, col navigatore già impostato.

Giunge in una zona della periferia di Roma che conosce, più o meno: la frequentava da adolescente, ogni tanto, perché c'era una discoteca che una volta a settimana aveva dei prezzi di ingresso decenti invece di un salasso.

Spera che il posto indicato da Simone non sia quella stessa discoteca perché adesso in un luogo del genere si sentirebbe come un pesce fuor d'acqua per quanto fuori luogo.

Quando parcheggia l'Audi, in mezzo ad altre vetture composte e motorini, nota che l'insegna del locale che ricordava non è più la stessa, bensì è una scritta al neon blu che recita Mik&Beer Pub.

Beh, un pub è meglio di una discoteca.

Abbandona l'abitacolo, stringendosi nel cappotto.

Non è necessario scrivere a Simone che è arrivato, lo vede fuori dal locale con una sigaretta accesa tra le dita, mentre chiacchiera con alcuni ragazzi che lui non conosce — o forse sì, crede di averli visti durante le partite di rugby a cui ha assistito.

Riesce ad incrociare il suo sguardo per mezzo secondo e gli fa un cenno con il capo per richiamare la sua attenzione.

Simone lo nota subito. Dice qualcosa che l'altro non sente agli amici e si allontana da loro per raggiungere il nuovo arrivato.

«Allora sei venuto» esclama.

Manuel infila le mani nelle tasche. «Seh, uhm, mi—non avevo nulla da fare.»

«Dai, ti presento gli altri.»

Rabbrividisce al solo pensiero e compie mezzo passo indietro. «No, magari... magari no, non...»

«Perché no? Ti hanno visto alle partite, ormai lo sanno chi sei.»

«Certo, però...»

Però un conto è Laura, un altro sono tanti ragazzini di cui non conosce il nome e che lo fanno sentire inadeguato, fuori posto.

Vecchio.

«Guarda che a loro stai simpatico» insiste Simone.

«Nemmeno mi hanno mai parlato.»

«Ti interessi alla squadra e fai il tifo. Per loro è più che sufficiente.»

«Non credo che...»

«Oh, che hai?» Simone si avvicina di qualche centimetro. Allunga una mano e con la punta delle dita sfiora il braccio dell'altro ragazzo.

Quest'ultimo lancia un'occhiata distratta a quel gesto che pare casuale.

Forse si sta facendo paranoie inutili.

«Nulla» borbotta. «So' solo stanco, come sempre.»

«Per questo non puoi essere stanco! Dentro c'è una cosa che ti piacerà un sacco.»

«Cosa?»

«Mettono tutte le canzoni della tua playlist.»

«Che playlist?»

«Quella lì, Old but gold. Abbiamo usato il tuo Spotify qualche giorno fa.»

Quasi lo ha scordato.

Sì, lo hanno fatto, appurando di nuovo che hanno gusti diversi in fatto di musica, ma possono trovare un punto di incontro – alcuni brani piacciono ad entrambi e non sono troppo recenti.

Schiude le labbra per poter dire qualcosa, viene preceduto da Simone che gli fa un ulteriore cenno col capo e si fa seguire verso quel gruppo di ragazzi giovani, alti e atletici che a Manuel fanno tanta paura.

In realtà, sono tre soltanto: Marco, moro e con i capelli a spazzola, Francesco, quello che sembra già ubriaco, ma sostiene di aver bevuto solo una birra, e Thomas, un tedesco appena giunto a Roma che parla poco italiano, infatti devono spiegargli più volte ogni cosa affinché capisca.

Sembrano tipi a posto per quel che vede. Dal modo in cui lo salutano e accolgono, Manuel si sente sollevato — perlomeno la sua ansia, mista ad inadeguatezza, si allevia, di pari passo alla tensione che percepisce in ogni muscolo del corpo.

Il locale è un pub pieno di tavoli rettangolari e sedie di legno color noce. Non è molto grande, ma c'è posto per tutti i presenti: la stanza è di forma rettangolare e in fondo, dal lato più corto, è sistemato uno schermo dove scorrono le parole di "Non me lo so spiegare" di Tiziano Ferro; una coppia formata da un ragazzo con il codino e una ragazza dai ricci rossi sta cantando.

Quando Simone ha detto "mettono le tue canzoni", ha scordato di menzionare il fatto che si tratta di un karaoke.

Ecco, quello fa tornare un po' l'ansia.

«Vuoi una birra?»

Seduto ad uno dei tavoli, Manuel sbatte rapidamente le palpebre. Vede Simone accanto a sé che gli ha aperto davanti il menù plastificato e una lista infinita di birre artigianali con tanto di descrizione del gusto e l'indicazione del grado alcolico. «Io ti consiglio questa» gli indica una con il nome Buttercup «la prendo sempre.»

Contorce le labbra in una smorfia. «Dice che è al caramello. Chi se beve la birra co' il caramello?»

«Vedi che è buona, mica senti il caramello, è soltanto uno degli aromi.»

Alza gli occhi al cielo. «Vabbè, proviamo.»

Non fa neppure in tempo a terminare la frase che l'altro ha alzato una mano, richiamato uno dei camerieri e provveduto all'ordine, il quale giunge dopo pochissimi secondi — servizio celere, insomma.

«Ma quindi fatemi capire» esclama quel Francesco ad un tratto — ha ordinato una birra al malto — «voi due siete fratelli, no?»

Manuel sta per affogare con la sua Buttercup. Per sua fortuna, ci pensa Simone a rispondere: «No, no, mio padre ha sposato sua madre, ma non abbiamo nessun legame di sangue.»

«Seh, decisamente non semo fratelli» aggiunge e potrebbe spiegarne le ragioni, una per una. Si scambiano uno sguardo, furtivo e complice.

«Allora siete...» è Thomas ad intervenire, con un italiano piuttosto incerto «Buoni amici? Come si dice?»

«Ottimi amici» replica Simone. Accenna una risata.

Da sotto al tavolo, una sua mano raggiunge la coscia di Manuel. Nessuno se ne accorge a parte quest'ultimo che abbassa lo sguardo, osserva il gesto e sorride, prendendo un sorso della propria birra.

Gli altri non fanno più domande, sebbene Manuel percepisca addosso ancora per un momento gli occhi curiosi di Thomas, ma non fa in tempo ad incrociarli che il tedesco si è già distratto.

Non ci dà molto peso, comunque, comprende la sensazione di curiosità, in un certo senso.

In seguito, la conversazione procede con alcuni aneddoti di allenamenti e partite; Simone si premura di spiegare a Manuel gli aspetti più tecnici del rugby, per non tagliarlo fuori dal discorso.

Durante un dibattito su un calcio piazzato perfetto che ha donato loro un punto decisivo per la vittoria di un incontro, una differente canzone comincia a suonare al karaoke, dove sono presenti soltanto due ragazzi che faticano ad ingranare, probabilmente agitati per la situazione e per l'esiguo, ma presente pubblico.

«Oh, Simó, questa è la nostra canzone!» esclama Marco e «Seh, dobbiamo andare!» incalza Francesco; Thomas si limita ad annuire, però è probabile non stia capendo e di sicuro non conosce quel brano italiano e datato.

Simone storce la bocca in una smorfia e «Vabbè, la stanno a fa' loro, ne facciamo un'altra dopo» prova a dissuaderli. Tuttavia, i tre amici si sono già alzati in piedi e gli fanno cenno con il capo per farsi seguire fino alla postazione con schermo e microfono.

Lui è ancora titubante. Il suo sguardo si posa per un attimo su Manuel, il quale accenna un sorriso e «La tua canzone te chiama» lo incita, per quanto perplesso e stupito dal fatto che "Maledetta primavera" possa essere la canzone di un gruppo di adolescenti.

Simone accenna una risata, coglie la leggera ironia nella sua voce e raggiunge i tre compagni di squadra — in realtà, si accalcano ai due ragazzi che già hanno cominciato a cantare, stonando sulla prima strofa.

Manuel si limita ad osservare da lontano, rimanendo seduto al tavolo e rifiutando l'offerta di unirsi a quella sessione di karaoke. Resta a sorseggiare la sua birra al caramello che si rivela essere buona, a discapito della sua malafede.

Mentre la bevanda fredda gli scivola giù per la gola, le sue guance avvampano appena.

Succede mentre il brano prosegue e il suo sguardo cattura l'immagine di Simone che ride e canta: «Non so più fare come se non fosse amore, se per errore chiudo gli occhi e penso a te

La sua voce non è chiara poiché si mescola a quelli degli altri presenti, eppure a Manuel pare di recepirla perfettamente: gli entra nelle orecchie, lo accarezza e a ciò si uniscono i suoi occhi profondi e scuri, resi più sottili dalla piega positiva sulle labbra.

«Se-eee per innamorarmi ancora, tornerai, maledetta primavera.»

Nella moltitudine di gente, miriade di suoni diversi che comprendono risate, tintinnii di bicchieri, la porta d'ingresso che cigola, Manuel è preso e catturato soltanto dal viso di Simone che in quel momento ritrae quanto di più bello e appagante esiste.

Sono loro due, in una bolla, con gli occhi incatenati gli uni agli altri e ogni rumore esterno che sparisce, ogni movimento altrui avviene a rallentatore.

Il tempo si ferma.

Il perenne brivido lungo la sua schiena si trasforma, non rappresenta più soltanto un'attrazione sessuale che deve essere soddisfatta — ha smesso già da un po', per la verità.

Adesso sembra cambiare forma: muta e assume una definizione più precisa, una consapevolezza che lo colpisce in pieno stomaco e gli smorza il respiro.

Perché se Simone non c'è e gli manca, un motivo c'è.

Perché se Simone lo sfiora e il suo cuore scalpita, un motivo c'è.

Perchè se pure in mezzo al casino, le urla e gli schiamazzi, tra tanti colori, riesce a vedere soltanto i suoi, la ragione può essere una sola.

«Che imbroglio se per innamorarmi basta un'ora. Che fretta c'era, maledetta primavera?»

Hai fatto un casino.

Manuel butta giù a fatica della saliva, si morde forte l'interno della guancia e per un momento si dà persino dello stupido per aver permesso a sé stesso di lasciarsi travolgere da simili sensazioni, per avere permesso al quel ragazzino di entrare così tanto, di farlo in profondità come un raggio di sole di primavera che filtra attraverso le nuvole della fine dell'inverno.

Ma lì comprende anche che, ormai, non può tornare indietro.

E nemmeno vuole.

Lasciami fare come se non fosse amore
Ma per errore
Chiudi gli occhi e pensa a me.

🏍️🏉

«Sono simpatici i tuoi compagni di squadra» commenta Manuel a fine della serata — sono le tre di notte, sta per crollare, ma cerca di non darlo a vedere. È appoggiato al cofano dell'Audi con la parte bassa della schiena, Simone è nella medesima posizione al suo fianco. Sono rimasti soli in quel parcheggio dopo la chiusura del locale, Francesco, Marco e Thomas li hanno salutati un quarto d'ora prima.

Dovrebbero tornare a casa pure loro, in effetti, invece rimangono fermi lì, al freddo, stretti nei cappotti.

«Seh, sono degli idioti più che altro» replica Simone, abbozzando una risata.

Manuel vorrebbe dirgli che a quell'età è normale, però non ha intenzione di passare per il vecchio saggio, ragion per cui si limita ad annuire e: «Un po', ma non è necessariamente un male, sai.»

«Necessariamente.»

«Rafforza il concetto» ridacchia. Si finge offeso e gli tira un lieve colpo sul braccio con il gomito. «Non me prende 'n giro.»

«Non ti prendo in giro.»

«Io potrei farlo, considerando qual è 'a canzone tua.»

Simone contorce le labbra in una smorfia. «Nostra» precisa «mia e di quegli altri! E poi è bella, dovresti aggiungerla alla tua playlist. C'hai un sacco de canzoni vecchie per vecchi.»

Manuel recepisce benissimo il tono sarcastico e provocatorio verso la fine della frase, tuttavia non se la prende per nulla. Al contrario, allunga una mano, va a stringere sotto al suo mento con le dita – piano, non stringe troppo la presa – e fa in modo che l'altro giri del tutto il capo verso di sé.

Al contempo, si sporge appena in avanti e così i loro visi sono separati soltanto da qualche centimetro di distanza e la punta dei loro rispettivi nasi può sfiorarsi. «Chi t'ha detto che non ce sta?»

«Ho controllato.»

«Me sa che devi guardà meglio.»

Non gli lascia spazio o tempo per ribattere. Preme la bocca sulla sua. Lo bacia dapprima piano, dopo con più veemenza, inserendo la lingua.

Simone socchiude gli occhi, lo lascia fare, anzi risponde a quel gesto con impeto, aggrappandosi ad un lembo del suo cappotto. Si stacca soltanto per poter riprendere fiato, ma non si allontana troppo – può ancora percepire il flebile respiro dell'altro sulle guance. «Fa un po' freddo qua per quello» soffia.

«Per cosa?»

«Per scopa' in macchina, no?»

Manuel aggrotta le sopracciglia, confuso in un primo momento. Non è stato quello l'intento del bacio, non ci ha minimamente pensato.

Ma loro sono due scopamici, è normale che il più piccolo sia arrivato ad una simile conclusione.

Non può dirgli che tutto ad un tratto, complice una canzone di Loretta Goggi, ha capito di provare qualcosa che va oltre l'attrazione fisica, e lo ha baciato soltanto perché gli andava e perché gli piace farlo.

No, passerebbe per pazzo.

Anche se è già capitato che si baciassero senza secondi fini, ma non era lo stesso, forse, c'era sempre una scusa – ti ringrazio per essere venuto alla partita, ti ringrazio per il regalo; adesso non c'è nulla di tutto ciò.

Beh, però è capitato pure che...

Che casino.

CHE. CASINO.

Si sente un po' stupido.

Idiota.

Chicca lo sta prendendo metaforicamente a schiaffi.

Allora camuffa ogni cosa con una risata dal suono distorto e si tira indietro, borbottando: «Già, c'hai–uhm, c'hai ragione.»

Forse Simone nota la sua stranezza — forse no. Aggrotta le sopracciglia e abbassa lo sguardo. «Magari a casa, se non facciamo troppo rumore» propone «e poi abbiamo tutto il prossimo fine settimana da soli.»

Alle orecchie di Manuel, quelle frasi giungono un briciolo in ritardo, come se si fosse chiuso nel pentimento dell'ultima azione compiuta. È stato sconsiderato. Annuisce. «Seh,» borbotta «vogliamo annà'? Fa veramente freddo.»

Si distanzia, raccattando le chiavi dell'auto dalla tasca del cappotto.

Simone rimane interdetto. Una parte di lui vorrebbe chiedergli cosa c'è che non va, se è successo qualcosa, eppure gli sembra che la serata si sia svolta al meglio. Non dice nulla. Si limita ad annuire. «Ti seguo in moto.»

Per il tragitto verso Villa Balestra, Manuel controlla un sacco di volte nello specchietto che Simone gli stia dietro, in un paio di occasioni rallenta persino per non avere un distacco eccessivo.

Quando giungono alla meta, lascia l'Audi al solito posto di fronte al garage.

Simone sistema Paperella lì accanto, per non far rumore con lo sportellone. Mentre si toglie il casco e lo ripone nel bauletto posteriore, nota come l'altro stia fuggendo senza neppure salutarlo e pensa ancora quanto sia strano. Allora «Manuel?» lo richiama.

E Manuel, in effetti, vorrebbe scappare e chiudersi in camera propria, dimenticare ciò che ha provato durante la maledetta primavera e ricominciare il giorno dopo come se niente fosse successo.

Soltanto due settimane prima, decantava tanto il fatto che non succede, ho il pieno controllo.

Certo, come no.

Invece è successo, cretino.

Si ferma, incerto, voltando il capo. «Mh-m?»

«La moto come procede?»

«Bene, me devono arriva' gli ultimi pezzi.»

«Poi ci facciamo un giro, appena sarà pronta.»

«Seh, certo.»

«Se hai...» fa per aggiungere Simone, ma la sua frase si interrompe quando vede che il più grande si è allontanato a passo svelto, lasciandolo solo.

Con un sospiro di sollievo, Manuel raggiunge di fretta la propria stanza. Chiude la porta alle spalle, nemmeno si è tolto il cappotto al piano inferiore, infatti è lo stesso che rimuove e ripone sullo schienale della sedia di legno, giusto per non alternarne troppo la forma.

A dire il vero, vorrebbe buttarsi sotto la doccia, permettere all'acqua calda di lavare via i mille pensieri – oppure cucinare per distrarsi, fare una passeggiata, qualcosa, che già è ben consapevole che non prenderà sonno. Però è notte fonda, l'indomani deve recarsi in ufficio a sprecare altre nove ore della sua patetica vita e deve sforzarsi di dormire almeno un po'.

Comincia a spogliarsi: toglie le scarpe, sbottona i jeans ed è in quel momento che sente bussare. Storce il naso, prega affinché non sia Anita che magari si è svegliata a causa del rumore – ma è stato attento a farne il meno possibile. Va ad aprire, timoroso e ragionando sulle scuse da inventare.

Sulla soglia, tuttavia, non trova la madre, bensì Simone, con ancora la giacca addosso e le chiavi della moto in mano. «Che c'è?» gli domanda, a bassa voce. Tiene l'anta non troppo aperta, non crede di essere in grado di farlo entrare, non ora.

«Sicuro sia tutto okay?»

«Sì, è solo tardi, domani lavoro.»

«Solo questo? Cioè, non è successo niente, vero? Voglio dire–è stata una bella serata. Magari uno dei miei amici ti ha detto qualcosa? Se è così, posso...»

«Non è successo niente, Simò, sta' tranquillo.»

Non lo è affatto, tranquillo, Simone, che si morde piano l'interno della guancia e stringe più forte l'oggetto che tiene tra le dita. «Non so, te sei–freddato all'improvviso, prima.»

«Solo stanchezza» mente Manuel e abbozza un sorriso che un po' lo tradisce pure. «Infatti mejo se vado a dormì, altrimenti domani non me alzo manco co' le cannonate.»

Non comprende se davvero è riuscito nell'intento di rassicurarlo. Il suo obiettivo è terminare il momento il prima possibile e premere il tasto reset.

Domani è tutto cancellato: nessuna canzone, nessuna realizzazione, nessun sentimento, come per magia.

Non può davvero incasinare tutto.

Lo vede annuire ed è sufficiente. «Buonanotte» esclama. In procinto di chiudere la porta, viene fermato dalla mano di Simone che preme sull'anta.

«Piccolè» precisa quest'ultimo.

Manuel aggrotta le sopracciglia, confuso. «Cosa?»

«Dici piccolè, dopo il buonanotte, di solito.»

«Non è vero.»

«Sì. O comunque lo dici altre volte.»

«Quindi? Nemmeno ti piace quel nomignolo.»

«Ci ho fatto l'abitudine. Allora?» è insistente.

Fin troppo, Manuel non comprende a pieno il motivo. O forse lo fa, capisce che l'altro ha captato qualcosa, ha letto tra le righe, chissà.

«Buonanotte, piccolè» dice, dunque, anche se questa volta è solo per accontentarlo.

Simone schiude le labbra, in procinto di proseguire quel dialogo. Alla fine, non lo fa. Conclude con un «Buonanotte» stentato e un mezzo sorriso e si salutano così, come farebbero due buoni amici – che amici davvero non sono.

***

[Note autore:

Manuel ci è cascato con tutte le scarpe, maledetta primavera!

Chissà se per Simone è lo stesso...

Da qui in poi ricordate che niente è come sembra!

Grazie per aver letto.
Alla prossima.

Un bacio.

Lilith.]

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