ghigno da volpe
- Io... Io credo di non starci capendo più nulla. -
- Io invece credo di aver capito. -
- Sul serio? -
- Certo. Quello che stiamo vedendo è senza ombra di dubbio il risultato di un'unione di forze tra il potere dello yuri e quello del wtf. -
- ...E io che ci avevo pure sperato. -
Ma per quanto la spiegazione di Eiji potesse sembrare assurda, in realtà non era poi così lontana dalla realtà, tant'era a sua volta assurda la scena che si presentava in quel momento di fronte a lui e Yunosuke.
Dopo giorni e giorni di lamentele, scleri e ancora altre lamentele riguardo quanto detestasse la Yakuza, la sua nuova compagna di classe e la situazione nella quale si trovava, cosa vedevano fare ad Awai?
Uscire da scuola fianco a fianco con Manami ed entrare insieme a lei in una di quelle macchinone dai finestrini oscurati che a detta di Eiji ogni riccone o membro della malavita che si rispetti deve possedere.
- Beh, a quanto pare il nostro lavoro qui è concluso. -
Sospirò il moro passando un braccio intorno alle spalle del fidanzato e osservando con sguardo quasi commosso la macchina nella quale erano entrate le due.
- Ma noi non abbiamo fatto proprio niente. -
Replicò il rosso osservando l'altro accigliato.
- Direi che oggi ci meritiamo un po' di riposo. - Continuò però Eiji annuendo gravemente con il capo, ignorando le repliche dell'altro. - Ho intenzione di tornare subito a casa e diventare un tutt'uno con il mio divano entro l'ora di cena. -
- Ma guarda che è quello che fai sempre. Che ci sarebbe di diverso dal solito? -
- Che oggi sarà più appagante perché so di essermelo meritato. -
Rispose prontamente il moro annuendo con convinzione, per poi iniziare ad avviarsi verso casa.
- Ma tu non hai fatto proprio nien... - Stava per ribattere nuovamente Yunosuke, quando poi si fermò di colpo e alzò brevemente lo sguardo al cielo, scuotendo il capo con fare quasi sconsolato. - Vabbè, chissene. - Borbottò tra sè e sè, per poi affrettarsi a raggiungere il fidanzato.
~
Nell'auto regnava il silenzio più assoluto.
Stretta tra Manami e uno dei suoi "gorilla", dire che in quel momento Awai fosse a disagio sarebbe stato un vero e proprio eufemismo.
La radio era spenta, i finestrini lontani rispetto a dov'era seduta lei e gli sguardi gravi dei due uomini, l'uno seduto alla sua destra e l'altro alla sinistra di Manami, sicuramente non le erano di alcun aiuto per distendere i nervi.
Aveva sperato di trovare lì in macchina anche Mako o perlomeno Subaro, certa che quelle due sarebbero state in grado di alleggerire la tensione nel giro di un paio di minuti al massimo se solo fossero state presenti, invece non c'era nessuna delle due.
Dovevano essere già a casa.
Le guardie del corpo non l'avevano interrogata o perquisita quando era entrata in macchina insieme a Manami, ma in compenso non avevano distolto lo sguardo da lei per un solo istante.
O meglio, per la maggior parte del tempo fingevano di stare guardando altrove, ma in qualche modo la bionda continuava a sentirsi controllata, come se quei due fossero tanto in allerta da poter scattare e placcarla al suo minimo movimento sospetto.
In conclusione si può dire che all'interno di quella macchina l'unica ad essere davvero tranquilla, o almeno ad ostentare egregiamente una facciata di calma e indifferenza assoluta, era Manami.
La ragazza in quel momento era infatti intenta ad usare il proprio cellulare, con le gambe accavallate e in viso l'espressione più pacata e distesa che la bionda le avesse mai visto fare.
A quanto pareva se per lei era fonte di grande disagio essere circondata da tutte quelle guardie del corpo, al contrario all'altra dovevano infondere una grande sicurezza.
Le sarebbe piaciuto chiederle se si fosse mai presentata nel corso della sua vita una situazione nella quale quelle guardie le erano davvero state d'aiuto, ma qualcosa le diceva che quello non era proprio il momento più adatto per domande di questo genere... Nè per qualsiasi altro di domanda se è per questo.
Quando venti minuti dopo l'auto si fermò, nel momento in cui mise piede a terra Awai tirò il più grande sospiro di sollievo di tutta la sua vita.
Cosa che non sfuggì a Manami, la quale prese così ad osservarla con sguardo accigliato per diverso tempo.
- Dov'è casa tua? -
Chiese la bionda guardandosi intorno.
- Come "dov'è"? - Replicò l'altra, facendole un cenno con il capo verso l'edificio che avevano davanti. - Lì, no? -
La ragazza si voltò allora in quella direzione, ma dando all'altra l'impressione di non aver ancora capito bene.
Perchè lì davanti a loro effettivamente c'era un edificio, ma si trattava di un semplice palazzo come tanti altro, per chi non riteneva possibile che fosse quella la casa di Manami.
- Non dirmelo... - Sospirò a quel punto la ragazza. - Ti aspettavi una di quelle enormi proprietà con tutte le strutture in stile giapponese tradizionale, vero? -
- Che? No, certo che... - Ma allora, nel notare lo sguardo fisso dell'altra, distolse il proprio con un leggero sbuffo. - Sì, va bene, lo ammetto. -
Manami alzò lo sguardo al cielo con un sospiro, scuotendo lentamente il capo con fare sconsolato, come se si stesse chiedendo come fosse possibile che una giapponese avesse più pregiudizi sul giappone di una che fino a solo un anno prima viveva all'estero.
Awai, ormai sul punto di sotterrarsi dalla vergogna, non fece però in tempo a ribattere in alcun modo che l'altra le passò davanti, dirigendosi verso l'ingresso del palazzo. Subito seguita da una delle sue guardie del corpo, l'altra aveva infatti già raggiunto la porta d'ingresso.
- Ehi, un attimo! - Esclamò la bionda affrettandosi per raggiungerla. - Ma non dovevamo andare dalla vicedirettrice del dojo di tua madre? Questo non mi sembra esattamente il posto adatto per un dojo. -
- Infatti siamo qui solo per prendere Subaro e Mako. - Rispose la ragazza mentre la guardia le apriva la porta. - Ovviamente il dojo si trova all'interno della nostra seconda casa, quella in stile giapponese tradizionale che sta nel quartiere accanto. -
~
- Ecco, ora infilalo lentamente, così... -
- Ann, non credo di esserne capace. -
- Tranquilla, ti guido io. Prima o poi dovrai pur imparare, no? Non posso fare sempre tutto io. -
- Ma farò un macello, stiamo sporcando tutto... -
- Dai, ora basta lamentarsi! Ci rimane poco tempo prima che arrivino gli altri. -
- O... Okay... -
- Sì, perfetto così. Ora devi solo... No, che fai?! Subaro, ferma... Ah! -
E fu proprio nel momento in cui si levò questo grido che la porta d'ingresso si spalancò, mostrando così un'Awai dagli occhi sbarrati e le gote leggermente imporporate, due guardie sull'attenti e una Manami con in volto una delle sue migliori espressioni sconsolate.
- Oh, siete già tornati! -
Esclamò Mako voltandosi verso di loro con un sorriso raggiante.
In piedi al suo fianco, Subaro si girò a sua volta, rivolgendo ai nuovi arrivati un lieve cenno del capo in segno di saluto.
La sala d'ingresso e la cucina si trovavano nello stesso ambiente, separate solo da un basso ripiano, ingombro in quel momento di una miriade di strumenti da cucina e teglie piene di grumi scuri e informi: probabilmente i loro vari esperimenti falliti.
In quel momento le due avevano davanti un'ennesima teglia, sulla quale si trovavano una decina di ciambelle dall'aspetto ben più invitante delle loro povere compagne abbrustolite.
Subaro aveva inoltre tra le mani una sac à poche, ovvero una di quelle buste usate in pasticceria per inserire la panna all'interno dei dolci o fare le decorazioni.
La sac à poche in questione però si era rotta, come se la corvina avesse usato troppa forza e l'avesse fatta esplodere, e ai piedi delle due stava infatti un enorme mucchio di panna, prova inconfutabile di quanto fosse appena accaduto.
- Perchè state preparando delle ciambelle? - Sospirò Manami. - E poi, soprattutto, perché stavate cercando di metterci dentro della panna? -
- Perchè così sono più buone. -
Rispose all'istante la sorella, quasi di riflesso, osservando la maggiore con sguardo fin troppo serio.
Dal canto suo invece Awai era ormai davvero pronta a sotterrarsi dall'imbarazzo.
Certo, non che il suo pensiero riguardo ciò che stessero facendo quelle due fosse stato chissà quanto inappropriato, considerando che effettivamente fossero fidanzate e che la loro conversazione fosse stata alquanto equivoca, però non potè comunque fare a meno di vergognarsi almeno un po' di sè stessa per averlo avuto.
- Ho pensato di prepararne un po' per merenda. - Aggiunse Mako mentre preparava una nuova sac à poche. - Visto che di là non c'è mai niente di buono da mangiare... Giuro che se qualcuno prova di nuovo a rifilarmi un mochi o uno di quegli strani biscottini secchi e sottili, caccio un urlo. -
- Papà si arrabbierà. - Replicò Manami. - E anche la mamma. Sai bene che vorrebbe che anche tu iniziassi a fare Kendō o Tantōjutsu, non puoi rovinarti mangiando tutte queste schifezze. -
- Ma sentitela! - Sbuffò la minore storcendo il naso indispettita. - Chi è che se ne va tutti i giorni a ingozzarsi di dolci al Gufo Cafè? Mhm? -
- Non vado a ingozzarmi di dolci e non ci vado tutti i giorni. - Replicò subito Manami assottigliando lo sguardo. - E ora basta, andiamo. Non mi va proprio di litigare. - Aggiunse con un sospiro, portandosi una mano alla tempia e voltandosi per uscire dall'appartamento.
- È questo il suo problema. - Borbottò Mako tra sè e sè non appena l'altra fu andata via, mentre si voltava verso la teglia per sbrigarsi a finire di farcire le ciambelle restanti. - Non le va mai di litigare, ma al tempo stesso ha sempre l'aria di una incazzata con il mondo. E ci credo che poi le servono le arti marziali per sfogarsi! - E nel dirlo aumentò talmente tanto la stretta sulla sac à poche, che la ciambella che stava farcendo in quel momento finì col disfarsi.
~
Se solo ci avesse pensato, si sarebbe portata volentieri dietro una macchina fotografica.
Questa era l'impressione che Awai dava dall'esterno, tanto si stava guardando intorno con sguardo sempre più meravigliato, come se in diciassette anni passati in Giappone non avesse mai visto prima di allora una casa del genere.
In realtà però la bionda era ben più vicina a darsi alla fuga piuttosto che a fare un set fotografico all'immensa proprietà della famiglia Hitsuji.
Quando aveva scoperto che Manami possedeva due case, in un primo momento si era chiesta perché lei e sua sorella vivessero in una, mentre suo padre nell'altra, ma ora che erano lì il perchè le fu subito chiaro.
Infatti mano a mano che si avvicinavano all'edificio principale, quello nel quale doveva trovarsi il padre di Manami, aumentava il numero delle guardie e dei vari membri della Yakuza nei quali il piccolo gruppo si imbatteva.
Sicuramente non era proprio l'ambiente migliore dove vivere per due adolescenti.
Proprio all'ultimo momento però, quando erano ormai a un passo dall'ingresso principale, il piccolo gruppo, per la gioia di Awai, fece una repentina svolta a sinistra, verso una delle costruzioni laterali.
- Questo ti sembra un posto adeguato per un dojo? -
Chiese Manami con un lieve sorriso divertito sulle labbra, dovuto alla vista dello sguardo fin troppo entusiasta dell'altra.
Quest'ultima però neanche si accorse della lieve nota canzonatoria non particolarmente celata nelle parole dell'altra, tant'era stata rapita dalla vista di quella struttura, ma soprattutto della donna in hakama (abito tradizionale giapponese che consiste in un keikogi, ovvero in una sorta di camicia bianca, e in una larga gonna-pantalone scura) che stava in piedi immobile davanti all'ingresso, con lo sguardo al contempo pacato e attento fisso su di loro.
Gli occhi ambrati erano stretti e allungati, con ciglia lunghe e scure, mentre i lunghi capelli lisci e rossi erano legati in una bassa e lunga coda che le arrivava fino alla vita.
I tratti del viso erano taglienti e armoniosi al tempo stesso e benchè non fosse particolarmente alta o di costituzione robusta, dal suo portamento sicuro si poteva facilmente intuire che, se solo lo avesse voluto, sarebbe stata benissimo in grado di incutere timore praticamente a chiunque.
Infine l'angolo destro della labbra era sollevato in un lieve sorriso, o meglio, in un lieve ghigno.
Il ghigno di chi ha la situazione così sotto controllo da potersi perfino permettere di riderci un po' su e prendersela con comodo, ma al tempo stesso senza mai abbassare completamente la guardia, nè in presenza di nemici, nè di amici.
Nel complesso si può dire che quello fosse proprio un perfetto ghigno da volpe.
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