Blind Auditions - Per tutto il resto, c'è un pianeta
Yana spinse la borsetta dei trucchi contro la pila di magliette.
Dopo l'acqua sotto i ponti, ne erano passate di navi per lo spazio da quando, in un altro sistema solare ora abbandonato, si usavano valigie con la cerniera. Eppure chiuderle era ancora un'impresa titanica.
Dopo aver messo tutto ciò che le serviva per il viaggio (e qualcosa in più) sulla piattaforma di ferro e fatto in modo che non uscisse niente dai bordi del quadrato rosso dipinto sulla superficie liscia e lucente, poté dire di avercela finalmente fatta.
Si inginocchiò. Le sue dita si posarono sul tastierino a nove cifre, con cui digitò la combinazione.
I suoi occhi non videro nulla ma un lieve ronzio di sottofondo la informò che il campo di forza era già in azione.
Constatando ciò, sorrise. Quell'odissea durata mezz'ora era finalmente finita.
Prese i manici che salivano da due barre verticali sul lato alla sinistra del tastierino e fece rotta verso il salotto. Passando tra i due stipiti della porta della sua camera pronunciò "chiudi" ed appena fu completamente fuori dalla stanza un pannello scorse togliendo il passaggio.
Attraversò il corridoio. I suoi occhi, però, si fermarono alla finestra.
Anche se poteva godere di viste simili da tutta la vita, rimaneva sempre incantata. Sognava parecchio, naturale per chi aveva ancora undici anni.
La notte punteggiava la tela scura del cosmo di stelle, diamanti bianchi che pretendevano di rubarti gli occhi. In alto, anche se da dentro casa Yana non lo vedeva completamente, c'era un pianeta. Formalmente era S/2245 N32, ma tutti lo chiamavano Natalone visto che nessuno si era preso la briga di assegnare a quel tapino astro un nome definitivo. Oramai tanto era diffuso, che neanche si sarebbe pensato servisse farlo.
Come per gran parte dell'anno, esibiva solo grandi distese di verde e sparse chiazze di candore, quasi indistinguibili a quelle distanze. Ma Yana sapeva che a breve il bianco l'avrebbe conquistato completamente. Dopotutto il Natale si sarebbe fatto vivo solo tre giorni dopo, entrando a scaldare i cuori di tutto il Nuovo Sistema Solare. Alla vigilia, gli operatori del pianeta ne avrebbero modificato l'aspetto, trasformandolo in una distesa di neve. Un ambiente che si sposava perfettamente con l'atmosfera. Yana l'avrebbe vissuto in prima persona, perché era proprio su quel pianeta che la sua famiglia aveva deciso di passare il Natale.
-Ehi – chiamò una voce da dietro: era sua sorella Reya.
Yana arrossì, balbettando qualche spiegazione. L'altra scosse la testa, ma tenne comunque un sorriso. –Sempre con la testa tra gli asteroidi – le diede una buona pacca sulla spalla. Trascinò il suo bagaglio attraverso il corridoio, le ruote quasi neanche scricchiolavano. Yana, ancora imbarazzata, tentennò per qualche secondo. Infine si decise a indossare di nuovo la sua faccia neutra (ossia, con un sorriso a trentadue denti stampato) e seguirla.
***
Anche fuori casa, Yana prese a guardare il paesaggio dal finestrino. Nessuno stava facendo conversazione, così l'unico rumore era quello dell'auto elettromagnetica blu che levitava sulla strada metallica. Per lei era molto meglio così.
Fuori dalle mura casalinghe lo spettacolo offerto dalla volta celeste diveniva ancora più magico. I suoi occhi si soffermarono inizialmente sull'erba della prateria che circondava la stazione di decollo. La fitta rete di steli rimaneva oscura, nonostante la luce delle stelle fosse relativamente forte. Così si mise di nuovo a guardare il cielo. Natalone era molto a destra rispetto a Yana, che quindi non lo vedeva bene, ma al centro del suo campo visivo stavano due pianeti. Quello a sinistra, più grande e dorato, era Cerere, dove si trovavano i campi coltivati e gli allevamenti su cui si nutriva tutto il Sistema. Quello a destra, molto più piccolo e grigio-argento, era Nuovo Giove, sede di tutte le attività burocratiche ed amministrative.
La contemplazione, però, durò molto poco. Dopo qualche minuto, in cui lei si chiese cosa avrebbe fatto su quel pianeta che non aveva mai visitato e cosa le sarebbe stato regalato, cominciò a sentire un brusio fuori ed a notare che tutto era più luminoso. Tanta gente usciva dalle vetture, entrando nella stazione. Suo padre annunciò: -Arrivati. Su, scendiamo!
Yana neanche distolse lo sguardo dai pianeti che stava fissando: semplicemente cercò a tastoni il pulsante d'apertura e lo premette. Lo sportello, con uno sbuffo d'aria, si disincastrò dal corpo dell'auto e si sollevò. Lei, ancora con gli occhi incollati al cielo, mise i piedi fuori e li posò sul metallo del parcheggio.
Si girò domandando: -Dove dobbiamo and...
Si fermò vedendo che Reya, suo padre e sua madre non erano più dentro. L'auto era vuota ma continuava a levitare, invece di stare a terra come avrebbe dovuto, essendo spenta.
Non solo. Il colore brillante, quasi da mare, della carrozzeria si era sbiadito divenendo grigio.
Guardandosi intorno, Yana vide che tutto il resto si era ingrigito. Anche le luci gialle dell'interno della stazione di decollo erano impallidite in un freddo bianco, così come quelle dei lampioni. Attorno, il cielo era di un nero pece, ed anche i pianeti colorati, assieme alla prateria circostante, erano divenuti spenti e freddi come la morte. Come se non bastasse, il rumore era nullo. Silenzio tombale e neppure una persona in giro. Neanche una.
Anzi, una c'era.
Proprio dietro ad un lampione, c'era una sagoma grigia. Yana non ne distingueva le fattezze, ma vide che si stava avvicinando.
No. Era già davanti a lei.
-Yana – la chiamò una voce profonda. La figura era come una macchia indistinta, di cui non si riusciva ad afferrare neppure un dettaglio. Tuttavia, man mano, cominciò a prendere dei contorni umani, senza esibire altri tratti.
Lei restò immobile. I suoi occhi fissavano la figura, ma non osavano muoversi e così naso, bocca, faccia, a malapena i polmoni stessi. Aspettò che la sagoma facesse qualcosa, senza neanche chiedersi che stesse succedendo. Tutta la sua mente era concentrata solo su quella specie di spettro.
-Voi... - continuò la voce. Lei continuò a non muoversi, sperando tutto finisse. Eppure continuava a parlare. –Pagherete...
La sagoma assunse man mano contorni sempre più definiti. La faccia divenne rotonda, si formò la linea della bocca e comparvero i cerchi degli occhi.
Dopo di che, tutto diventò improvvisamente la forma eterea di un teschio bianco.
-TUTTI!!! – fu l'ultima parola, e Yana si ritrovò la sagoma delle orbite immediatamente ad incombere su di lei. Al loro interno, erano avvampati dei tizzoni ardenti.
Non poté trattenersi dall'urlare ed indietreggiare.
Diede d'istinto la schiena alla figura e senza pensarci saltò di nuovo in auto. Guardando il portello chiuso dall'altra parte, intuì di non avere scampo.
Quasi svenendo, piombò sul sedile.
Ma un attimo prima, due mani gelide le toccarono le spalle e sentì il suo stesso cuore ghiacciarsi ed esplodere.
-TUTTI!!! – udì ancora. Totalmente priva di controllo, emise un altro urlo straziante.
Poi tutto riprese colore.
Stava respirando affannosamente e si ritrovò con una mano sul cuore e sporta in avanti, come se fosse balzata svegliandosi da un incubo.
-Yana, stai bene? – chiese la voce di Reya.
Lei, così come i suoi genitori, erano ai propri posti come prima.
Si guardò intorno, cercando di capire. Loro, nel frattanto, la squadravano sbigottiti.
-Devi aver fatto un brutto sogno – concluse la madre.
-Sì – concordò Reya. –Eri tipo immobile. Stavi dormendo.
Yana sbatté gli occhi, ancora con il cuore che impazzava. Eppure si era sentita reale, non sembrava affatto un sogno. Ricordava le sensazioni di un attimo prima, che non avevano affatto un aspetto onirico.
Eppure non c'era un'altra possibile spiegazione razionale.
Così obbligò se stessa ad accettarla. –Sì. – Disse. –Dev'essere così.
Yana non aveva mai preso uno shuttle prima d'allora, così era stata un'esperienza per lei indimenticabile.
Poter vedere tutto il sistema, coi suoi pianeti, le aveva semplicemente mozzato il fiato. Ma soprattutto non aveva mai visto il suo pianeta, Vesta, da così in alto. Vivere sulla sua superficie era un conto, osservare dall'alto quella sfera di verde punteggiata di cerchi di metallo grigi e lucenti composti da migliaia di basse case e connessi da linee stradali, era tutt'altro.
Avvicinarsi a Natalone, poi, le aveva riempito il cuore di meraviglia. Già le era capitato di vedere qualche sua foto, sia da vicino che da lontano; ma nessuna immagine avrebbe mai eguagliato la sensazione del vedere coi propri occhi un cerchietto verde e bianco trasformarsi in una grande sfera ricoperta di neve e foreste d'abeti, interrotte qua e là da laghetti ghiacciati ed agglomerati di case di legno, dallo stile molto tradizionale. Pur tenendo il passo a livello tecnologico, l'aspetto di quel pianeta non mutava da novemila anni ormai.
Yana, quella mattina della vigilia, ancora ripensava al viaggio durato un giorno intero, ora che si stava alzando dal divano ed uscendo dalla loro camera con Reya.
Schiamazzarono parecchio mentre si precipitavano giù per le scale. Yana non poté fare a meno di notare come fosse strana quella sensazione di scendere dei gradini, coperti da un tappeto rosso sofficissimo e caldo, per passare da un piano a un altro. Nelle abitazioni normali si usavano solo ascensori; ma la cosa, insieme a poter toccare del legno vero, trovare delle pellicce (che ovviamente erano sintetiche) appese alle pareti e potersi riscaldare davanti ad un camino, creava un clima di tradizionale ed antico in cui comunque si sentiva a casa. Certe volte avrebbe voluto provato anche lei a vivere come quei suoi antenati così lontani, di millenni prima. Anche se doveva ammettere che sarebbe rimasta scombussolata in un mondo con palazzi altissimi, vetture lente e territori in cui ogni attività era mischiata senza nessuna divisione né criterio.
Attraversarono la porta di vetro, che si aprì automaticamente, con foga.
Dopo di che corsero per il cortile asfaltato davanti all'albergo, lanciando strilli come bambine. Raggiunti i primi abeti dietro cui si estendeva il bosco che ricopriva gran parte del pianeta, si tuffarono in un alto cumulo di neve ai loro piedi. Tanto la tuta che indossavano avrebbe tenuto in ogni caso la temperatura stabile. A meno che il pianeta non si fosse raffreddato arrivando allo zero assoluto, beninteso.
Reya fu la prima ad accumulare della neve, farci una palletta e lanciarla addosso alla sorella. Questa, però, ripagò con la stessa moneta, per di più aumentando le dimensioni.
La madre le guardò dalla finestra della stanza con un sorriso sulle labbra ed una tazza in porcellana di cioccolata calda. Il tempo di prenderne un sorso e quelle due diavolette si erano già riparate ognuna dietro un proprio ammasso di neve, mettendosi a bombardare l'altra di munizioni nevose con gli schemi più disparati. Yana fece cinque palle piccole e le lanciò una dopo l'altra, ma Reya riuscì a schivarle tutte; per vendicarsi, creò una super-munizione (grande quasi quanto la sua stessa testa) e vigilando sul cumulo della rivale con la coda dell'occhio, attese fino al momento in cui la fellona osò spuntare dal rifugio e la punì colpendola dritta sul naso.
Yana cadde a terra, circondata dalla neve sia sotto che sopra.
Reya già incombeva su di lei, tronfia. –Arrenditi!
Lei alzò le braccia in segno di resa, con gli occhi che bruciavano l'altra pieni di desiderio di vendetta, ma tenendo una risata in bocca.
Poi anche Reya si stese a terra, lasciandosi coccolare da quel bianco e gelido abbraccio.
Restarono per qualche secondo in silenzio. Yana cercò di digerire l'idea della sconfitta, continuando a mostrare un volto sorridente e ripetendosi "è solo un gioco". Ma la voglia di buttare la faccia della sorella nella neve non voleva placarsi. In fondo era una tipa competitiva, no?
-Se andassimo a vedere il bosco? - esordì Reya, girandosi a guardarla.
Lei considerò l'idea per un momento e capì che non avrebbe voluto fare altro. Camminare nella natura ed esplorare era un richiamo irresistibile. –Andiamo! – acconsentì, alzandosi di scatto in piedi. Avvertì un momento di confusione a causa della pressione bassa ma si ricompose rapidamente.
-Aspetta un attimo qui, vado a dirlo a mamma! - Dicendo ciò, Reya si alzò e si diresse verso la porta dell'albergo.
Yana rimase a guardarla spalmata sul candore. Personalmente sarebbe corsa all'esplorazione senza indugi, ma era d'accordo che non dovevano far preoccupare la mamma.
Si concentrò sul cielo che stava osservando, di un celestino leggero. Nessuna nuvola lo interrompeva portando nuovi fiocchi di neve, soltanto il sole veniva a fornire luce, che dopo tutto quello spazio cosmico percorso finiva per avere temperature poco confortevoli. Attorno anche i vari abeti erano coperti da un candore sottile, tra cui comunque spiccavano poche foglie aghiformi verde scuro.
Verde?
Più scure che verdi, notò Yana. Od erano forse... nere?
Balzò fuori dallo stato contemplativo, alzandosi di scatto. Terrorizzata, capì che poteva significare una sola cosa.
Anche l'albergo, dal marrone brillante del legno che prima dominava, era passato ad una sfumatura grigia, neutra, anonima, che non toccava minimamente il cuore.
Stessa cosa per il cielo.
Come lo realizzò venne scaraventata a terra.
Qualcosa la tenne premuta contro l'asfalto. Non sentiva pressione, eppure non riusciva a muoversi.
-Finalmente... ti ho... ritrovata... - disse quel qualcuno dietro, con voce piena di brama, soddisfazione. Yana, rendendosi conto che era la stessa voce della sagoma all'aeroporto, quasi percepì il cuore esploderle tra le costole.
-Chi sei? – furono le uniche parole che lei arrivò ad articolare.
-Un'anima... assetata... di vendetta... - continuò con rabbia ma lentamente, come se avesse il fiatone.
-Cosa ti ho fatto io?! – urlò Yana, incapace di trattenere le lacrime.
-Non tu... ma il tuo antenato Hugh, che... - fece una pausa. -Finalmente ho assestato la voce – informò con calma, senza più rabbia né stanchezza.
-Lasciami stare!!! – piagnucolò, le lacrime che le avevano tracciato sulle guance due righe.
Non la ascoltò. -Stavamo setacciando un pianeta in cerca di acqua... mentre io e lui esploravamo una caverna rimasi bloccato in un anfratto... non si voltò nemmeno indietro, quell'uomo mi lasciò a morire, solo, di freddo e di fame. Sai quanto sono sopravvissuto? Sai quante volte ho invocato la morte, senza che la mia preghiera fosse accolta? – gridò le ultime parole, e Yana pianse ancora.
-Cosa c'entro io? – chiese Yana, con la gola secca per le lacrime versate.
-Ho percorso per novemila anni parsec e parsec in cerca di vendetta... ora Hugh pagherà, con l'estinzione della sua stirpe!
-Noi non abbiamo fatto nulla! – implorò Yana, sentendo che una catastrofe sarebbe accaduta. E quelle parole lo confermavano.
-Giusto a te posso concedere un giorno in più per festeggiare il Natale, visto che sei la più giovane e quindi la più adatta a trasferirmi – disse la voce, in tono pragmatico, ancora non dandole peso.
-Non ti aiuterò mai! – gridò Yana ancora con gli occhi umidi, ma la rabbia improvvisamente la conquistò, vincendo la paura. Prese a dimenarsi, alla cieca, guidata dalla sola ira, per liberarsi e combattere quell'aggressore fantasma.
-Tu dici? – disse lui, poi rise. Profondamente, come farebbe un cattivo delle favole.
Improvvisamente Yana si sentì come se al suo interno qualcosa fosse scoppiato. Dopo di che vide solo luce bianca e percepì solo dolore.
Seppe che stava urlando. Urlava e basta. Tutto era candido dolore.
Dopo qualche secondo, ritornò l'immagine.
Yana era di nuovo sotto il cielo azzurro, col freddo sole, ma distesa sull'asfalto del cortile.
Visto il cambio di posizione, capì che non poteva aver semplicemente sognato.
Sfrecciò verso la porta ed entrò prima che si fosse aperta completamente.
Poi andò su per le scale, fino al loro piano. Per la velocità a cui procedeva, sbatteva sonoramente i piedi contro il legno, producendo lugubri tonfi.
La porta della loro camera era aperta.
-REYA!!! – urlò, cercando di imporsi di avere speranza.
Quando entrò, poté guardare solo con occhi pieni di orrore la scena che le si parò davanti.
Sua madre e suo padre erano stesi sul pavimento, abbracciati, ma pieni di sangue. Avvicinandosi, Yana tastò loro collo e polsi.
Erano morti.
Accanto a loro giacevano tre pietre. Già erano macchiate da un fiume di sangue che sgorgava dalle loro teste senza vita, che sembravano esser state sbattute contro un muro fino alla distruzione totale.
Quel sangue aveva raggiunto anche la tazzina di cioccolata calda, ora rovesciata tra le dita della madre, e il suo braccio steso in avanti, inerte.
Reya era rivolta verso di loro facendo intuire che stava parlando con loro prima di morire. Anche la sua testa era dilaniata. Il sangue usciva da tutte le parti, arrivando anche alle mani che quasi toccavano i genitori.
E Yana poteva vedere la macchia rossa che intaccava il bianco, il bianco della neve che le era rimasta sul guanto dopo aver costruito la super-munizione.
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