Prologo - Wild Boys
"The wild boys are calling
on the way back from the fire,
In August moon surrender to
a dust cloud on the rise"
Ti vidi per la prima volta suonare al Rum Runner. Era il 1980 e il giorno del tuo ventesimo compleanno.
Il giorno in cui è cambiato tutto, o forse che è iniziato. Perché prima di te c'era il nulla, o almeno era ciò che pensavo io.
Il giorno che mi ha stravolto irrimediabilmente la vita. Il giorno in cui sono entrata in quel castello incantato che si è trasformato nella prigione dalla quale non sono stata più in grado di uscire.
Quella sera non avrei nemmeno dovuto essere lì. Al di là della strada c'era un treno pronto a partire, quello su cui sarei dovuta salire per raggiungere la città in cui iniziare a costruirmi una vita. I miei genitori avevano comprato il biglietto con settimane di anticipo, per avere la certezza che quello sarebbe stato il mio ultimo mese a Birmingham. Probabilmente in quel momento la mia migliore amica mi stava aspettando alla stazione, indecisa se partire da sola o continuare ad aspettarmi.
Non sarei mai tornata indietro. Avrei dovuto farlo, ma sentivo un senso di vuoto e inadeguatezza pensando a ciò che mi avrebbe aspettato. Prendere il treno, arrivare a Londra, iscrivermi all'università e cercare un appartamento in cui vivere con Jamie. Sembrerebbe il sogno di qualsiasi ragazza, ma per me non era così.
Fin dall'inizio sapevo che sarei fuggita davanti a quella vita, perché semplicemente non era adatta a me. Mi guardavo allo specchio e vedevo un'altra, un guscio vuoto e triste, privo di sogni e ambizioni. Mi sembrava di essere morta prima ancora di iniziare a vivere. E forse lo ero sul serio. Forse ciò che mi è accaduto dopo era inevitabile. Forse me lo sono meritata, perché ho deciso di gettare via tutti gli anni passati a pianificare il mio futuro, tutti i sacrifici compiuti dai miei genitori e tutte le promesse che mi ero fatta, che poi alla fine erano solo illusioni.
Non sarei mai riuscita a sostenere una vita del genere. Non ne ero in grado. Ero io ad essere sbagliata, adesso me ne rendo conto. Ma all'epoca credevo che il mondo intero mi fosse avverso, che tutti in qualche modo volessero impedirmi di vivere come desideravo. Ma come volevo vivere davvero? Cosa mi mancava? Cosa c'era che non andava?
Ed era questo il problema. Non riuscivo a trovare una risposta. Non sapevo cosa volevo, non mi importava di nulla se non di me stessa, non pensavo alle conseguenze delle mie azioni. E non sapevo cosa stavo facendo quando, con le lacrime agli occhi e il cuore in gola, sono entrata in quel locale dall'insegna al neon rosa e blu e dai muri in MirrorFlex, non stavo pensando a ciò che sarebbe accaduto mentre mi facevo largo tra la folla di persone al piano inferiore che bevevano e mi soffiavano il fumo di sigaretta in faccia, ansiosi di ascoltare il gruppo del momento.
E non lo sapevo. Non sapevo sarebbero bastati altre tre metri, altri cinque passi, per entrare in un altro mondo, distorto e sbagliato, e per immergermi totalmente in qualcosa di troppo grande anche per me.
Arrivai proprio sotto al palco, sperando di assistere ad un'esibizione che mi facesse smarrire in me stessa, che mi permettesse di non pensare a nulla per qualche minuto, come era in grado di fare la musica dei Beatles che ascoltavo nel buio della mia stanza con il giradischi di mio padre.
Quando il brusio cessò e tutti i presenti rivolsero la propria attenzione al palco, capii che i musicisti stavano per fare il loro ingresso. La folla vi acclamava, vi desiderava. Il gruppo di Birmingham! Vi siete uniti qui, vicino alle nostre case, lungo le nostre strade. Siete nostri!
Tu sei stato il primo che ho notato. Per il modo di camminare, per come tenevi stretto il basso, per la sicurezza e la sfacciataggine che ti si leggeva in volto. Per come fosse chiaro che ti trovassi nel tuo mondo e non avresti permesso a nessuno di portatelo via. Per come non stessi guardando le persone che avevi davanti, come se in quella stanza permeata dal fumo ci foste solo tu e il tuo basso. Per il tuo sorriso accennato, per quegli occhi scuri in cui ardevano le fiamme che ti stavano consumando. Per come non ti importasse di nulla se non di suonare alla grande, da lasciare tutti senza fiato, come dicevi tu. Per i tuoi abiti stravaganti: quella blusa di seta azzurra da donna e i pantaloni neri in Pvc che sembrava ti fossero stati cuciti addosso.
Credo di essermi innamorata di te già da quel primo istante. Semplicemente per il tuo modo di essere te stesso.
Quella sera lo avevo considerato un pregio, una virtù rara; più tardi avrei capito che era in realtà il tuo peggior difetto.
Quando hai iniziato a suonare sono rimasta ipnotizzata. Ero incantata dalle tue mani che si muovevano veloci sulle corde e intrappolata nel cerchio di carisma e autostima che si stava creando attorno a te e di cui tu eri il centro. Eri lì a esibirti, a mostrarti a quel mondo fatto di sogni infranti e sigarette mozzate, di cui io ero appena entrata a far parte.
Non mi avevi ancora notata, ero ancora in tempo a fuggire da quel locale e da quella musica, da quegli occhi e da quelle mani. Potevo ancora sistemare le cose. Uscire, correre alla stazione e salire sul treno con il cuore in mano ancora integro.
Ma non lo feci. Rimasi lì, in balia di tutti i sentimenti e di nessuno allo stesso tempo. E quando i tuoi occhi si posarono su di me, rimanendo incollati ai miei più del dovuto, capii che qualcosa si era spezzato. Che qualcosa sarebbe successo e che io non avrei potuto fare nulla per evitarlo.
Credo sia stato il miglior momento della mia vita e anche il peggiore. Quello sguardo mi si è impresso nella retina degli occhi, sulla pelle, sul cuore. Ancora oggi quando torno a quell'istante mi sento andare a fuoco, bruciare e poi rabbrividire, congelarmi e sciogliermi. Non riesco a spiegarmi come tu ci sia riuscito, come tutto ciò che è stato sia potuto nascere da un semplice gesto come quello. Ancora non trovo risposta.
Sei stato e sei tutt'ora la grande incognita della mia vita. Posso affermare con certezza di aver conosciuto ogni tua minima sfumatura, di aver amato e odiato ogni parte di te. Ti conoscevo più che me stessa, tanto che a volte quasi mi sembrava di sparire o di non essere mai esistita. Sono stata per molti anni la tua ombra e nemmeno me ne rendevo conto. Forse nemmeno tu ti accorgevi di quanto mi stessi consumando, lentamente e inesorabilmente.
Mi hai definito in tanti modi: amante, musa, compagna, amica.
Forse ero tutte queste cose o forse nessuna. Credo che nemmeno tu lo sapessi.
Forse in fondo è stato un bene conoscerti. Forse senza di te sarebbe andata addirittura peggio, non sarei stata niente di ciò che ero e che sono adesso. Ma ancora non lo capisco. Sei stata la persona più importante della mia vita, eppure non riesco a collocarti al suo interno e a dare un nome alla nostra storia.
Quando mi chiedono di te non so mai come e cosa rispondere.
L'hai amato? Sì.
L'hai odiato? Più di ogni altra cosa.
Sei stata felice? Certo.
Ti ha distrutta? Irreparabilmente.
Non è rimasto niente di me, ma nonostante tutto sono ancora qui.
Vedi? Non c'è una risposta precisa. Non c'è soluzione a ciò che siamo stati e ciò che abbiamo avuto. Tutto e niente allo stesso tempo.
E tu, in tutto questo, dov'eri?
Dove sei?
Ho cercato di attenermi il più possibile agli eventi accaduti realmente, ma sono stata costretta a modificare alcune date e alcuni dettagli ai fini della storia.
Lo stesso discorso vale per il carattere e il comportamento dei personaggi, che ho adattato ai fatti narrati come ho ritenuto più opportuno.
smarty_es🌸
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