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Cap 17. Hold Me

"Hold me
Lay your shame away
Show me where your lovers stay
Hold me
Lay your ghost away
Show me for yourself"

Era la primavera del 1987 e stavamo bene. Nel giro di qualche anno, la famiglia Duran Duran si era inaspettatamente allargata: nella vita di Nick era entrata Julie Anne - si erano incontrati su un battello al largo di Santa Monica e da quel momento non si sono più separati - ed erano così innamorati che presto si sarebbero sposati. Ovviamente eravamo tutti invitati ed emozionati, io in particolare non avendo mai partecipato a un evento del genere.

Il matrimonio fu organizzato per essere un evento eclatante. Dopo il rito civile, si tenne un party lussuoso all'hotel Savoy di Londra, al quale furono invitati amici e parenti e molte celebrità dello scenario musicale inglese. Ricordo il vestito bianco con la gonna a balze della sposa e i suoi capelli raccolti in una acconciatura alta che faceva sfigurare chiunque. Ma ricordo anche che l'attenzione era tutta concentrata su Nick, sul suo completo rosa decorato da un fiore rosso all'occhiello e sul suo cilindro nero. Sembrava un uomo d'altri tempi, ed era più truccato della sposa.

Fu una serata fantastica. Erano tutti spensierati, si comportavano come se quella sarebbe stata l'ultima notte di festa della loro vita. Nick e Julie erano costantemente circondati dagli amici e dalla stampa, intenta a fotografare ogni minimo dettaglio e ad ascoltare ogni accenno di frase. Andy si era ubriacato con lo champagne e per la maggior parte del tempo è rimasto fermo davanti ad un fenicottero nel tentativo di abbracciarlo - sì, c'erano dei veri e propri fenicotteri rosa a quella festa, avevano fatto le cose in grande stile. Roger si era tenuto abbastanza in disparte, come suo solito, e partecipava a conversazioni sporadiche insieme a Mike e Paul.

Simon ci stupì tutti, venendo alla festa accompagnato dalla sua nuova fiamma. Nessuno ne sapeva nulla, tranne te. «Questa volta penso sia una cosa seria», mi hai mormorato da dietro il bicchiere colmo di vino, quando Simon si è presentato mano nella mano con quella ragazza bionda e bella da togliere il fiato. Ce l'ha subito presentata, si capiva al primo sguardo che erano fatti l'uno per l'altra. Si chiamava Yasmin e assomigliava vagamente a Renée, sia nell'aspetto che nei modi di fare. Mi sono accorta dal tuo sguardo che l'avevi notato anche tu, e ho sentito una punta di gelosia bruciarmi lo stomaco. Ma poi ti sei voltato verso di me sorridendo e hai allungato una mano per sistemarmi una ciocca di capelli.

«Sei bellissima stasera.»

«A quanto pare solo tu lo pensi.»

Ho accennato un sorriso ma tu eri serio. Avevi gli occhi innamorati. Qualche giorno prima del matrimonio, mi avevi portato a cena nel tuo ristorante preferito di Londra e quando siamo tornati in hotel mi sono trovata davanti a uno degli abiti più belli che avessi mai visto, ancora incartato e posato sul letto della nostra stanza. Lungo fino alle caviglie e stretto in vita, interamente ricoperto di pailltes color panna e con uno scollo all'americana. Era perfetto ed era per me. Per la prima volta dopo molto tempo, mi sono sentita bella, apprezzabile. E tu non riuscivi a staccarmi gli occhi di dosso.

«Non mi interessa quello che pensano gli altri. Per me sarai sempre la più bella.»

Ti sei alzato e mi hai offerto la mano per invitarmi a ballare. Io ti ho seguito felice, con la mente leggera e finalmente libera da ogni pensiero negativo. E in mezzo a tutta quella confusione fatta di abiti e gioielli scintillanti, festoni bianchi e sfarzosi, piume di fenicottero rosa e sorrisi cuciti a forza, siamo riusciti a trovare uno spazio tutto nostro, in mezzo al salone da ballo. Ci tenevamo stretti e ci bastavamo.

Stringimi, John. Abbandona ogni vergogna, lascia indietro i tuoi fantasmi. Abbracciami, e mostrami ciò che sei veramente.

Avevo occhi solo per te in quel mare di gente. Eri bello senza sforzarti di esserlo, con quei lineamenti delicati, perfetti, che quasi sembrava te li avessero dipinti. Avevi i capelli più lunghi dei miei, ti arrivavano sotto le spalle e quella sera si infilavano nel colletto della camicia. Sentivo gli sguardi delle altre donne scivolarti addosso, indugiare sulle tue labbra e sul tuo collo, sul profilo del tuo viso che sembrava scolpito nel marmo. Ma i tuoi occhi rimanevano fissi nei miei, le tue mani strette sulla mia vita, e mi sorridevi felice come un bambino, con il cuore che batteva contro il mio. Ricordo quanto mi stessi sforzando di trattenere le lacrime, quanto mi sentissi fortunata ad averti nella mia vita, quanto avrei voluto baciarti e non lasciarti più, per rimanere congelati in quel frangente per sempre.

Se non avessimo dovuto lasciare il centro dell'attenzione agli sposi, avremmo continuato a ballare in quel modo fino alla fine della serata. Il party è durato ore, fino a notte inoltrata, e quando finalmente sono riuscita a congratularmi con gli sposi, il salone era quasi vuoto. Siamo rimasti noi, quella che ormai da anni consideravo la mia vera famiglia.

Ma c'era qualcosa che non andava. L'atmosfera si era fatta tesa, pesante, nessuno riusciva a guardarsi negli occhi. Nick e Julie hanno stretto la mano a tutti e ci hanno ringraziato per il supporto, poi si sono diretti alla reception per discutere sullo sgombro del salone. Roger parlava con Mike e scuoteva la testa, con un'espressione contrariata a corrucciargli il viso. Paul se n'era già andato da tempo senza aver salutato nessuno. Andy si è alzato e ha fatto un cenno a tutti, ha preso la sua giacca e si è allontanato dalla sala. Simon e Yasmin parlottavano tra loro, in imbarazzo per la situazione che si era creata.

Non capivo cosa stesse succedendo. Era come se non vi conosceste, come se vi avessero preso per strada e buttati in quella stanza a forza, come se foste del tutto estranei. E a pensarci bene, non vi eravate avvicinati l'uno all'altro per tutta la serata. Non volontariamente, almeno.

Avevo un brutto presentimento, sentivo un nodo stringermi la gola e un peso chiudermi la bocca dello stomaco. Avevo le vertigini. Ti ho guardato, interrogativa. Tu hai scosso la testa e hai sospirato, per poi prendermi per mano e accompagnarmi nella nostra suite.

Prima di uscire dal salone, mi sono voltata e ho incrociato lo sguardo di Simon. Ha provato a sorridermi, ma aveva stampata in faccia la tua stessa espressione mortificata. L'allegria della festa si era spenta da un momento all'altro, lasciandovi degli sguardi vacui e indecifrabili.

Non appena ti sei chiuso la porta alle spalle, quasi mi sono messa a piangere per la frustrazione. «Che diavolo succede, John? Perché vi comportate come se non aveste passato ogni giorno degli ultimi cinque anni insieme?»

«Ultimamente le cose si sono fatte complicate.» Hai buttato la giacca sul divano di pelle e hai aperto il frigobar per prendere una lattina di birra. Sono rimasta ferma davanti alla porta per un istante, cercando di dare un senso a quelle parole. Ma non riuscivo a trovarlo.

«Cosa significa? Complicate in che senso?» ti ho chiesto quindi, alzando il tono di voce.

«Con il gruppo, con Mike e Paul... con tutto.»

Mi sono lasciata cadere sul divano al tuo fianco e ti ho preso la lattina dalle mani. Mi hai guardato con gli occhi colmi di stanchezza.

«Da quando? Io non mi sono mai accorta di niente.» Ora quasi sussurravo, la rabbia iniziale era scomparsa, lasciando posto solo a un senso di vuoto e amarezza. Sapevo cosa stavi per dire e non ero pronta. Non ancora, non così da un momento all'altro, senza nemmeno il tempo e il modo di prepararmi. Senza nemmeno avermi dato un indizio, una parola, un cenno, uno sguardo di preannuncio. Ero completamente impreparate al fiume di parole che stavi per riversarmi contro.

«Da qualche settimana non andiamo più d'accordo con Mike e Paul, e nemmeno tra di noi, soprattutto con Andy e Roger. Iniziano a pensarla in modo diverso, vogliono fare altra musica e stronzate del genere.» Hai chiuso gli occhi e mi hai stretto la mano. «Merda, Avril. Non avrei voluto parlartene così di punto in bianco. Abbiamo cercato di non darlo a vedere, di tenere i litigi il più nascosto possibile. Ma ormai è inevitabile. Penso che sia finita...»

Non riuscivo a crederci. Era davvero finita? Avreste davvero sciolto il gruppo? Dopo tutto quello che eravate stati insieme, dopo tutto quello che avevate creato, dal primo vero e proprio concerto fino ad arrivare all'ultimo singolo - The Wild Boys - che avrebbe segnato una generazione. Non potevo immaginare che sarebbe tutto finito, che io non avrei più vissuto quella vita, che voi non ne avreste più fatto parte come negli ultimi cinque anni. Ché tutto quello che ero in quel momento era grazie a voi, grazie al modo in cui stavate sul palco, grazie ai brividi che mi correvano lungo la schiena quando sentivo le note del tuo basso intrecciarsi alla chitarra di Andy, alla batteria di Roger, alla tastiera di Nick e alla voce magnetica di Simon.

«Voi n-non potete smettere. John, non potete proprio... Parlatene, troverete una soluzione, un punto di incontro, come avete sempre fatto.» Gli ho stretto la mano più forte, con le lacrime a bagnarmi le guance. Mi hai abbracciato e hai continuato ad accarezzarmi i capelli fino a quando non mi sono calmata.

«Pensi che non ci abbiamo provato? Ma ormai non sopportiamo nemmeno di stare insieme in sala di registrazione. Non lo so che cazzo ci è successo. So solo che abbiamo bisogno di una pausa, per il momento.»

Ho capito che non scherzavi, che le cose erano messe davvero così male. Come ho potuto non rendermene conto? Come ho fatto a guardarti negli occhi in questi giorni e non notare quel velo di spossatezza e nervosismo? Come ho fatto ad essere così cieca?

E anche se avessi voluto - anche se avrei mosso mari e monti e il mondo intero per impedire che vi separaste - non avrei potuto fare nulla. Solo restare ferma a guardare Andy e Roger prendere le loro cose dallo studio di registrazione e andarsene senza nemmeno voltarsi a guardarci. Solo tenerti per mano mentre salutavi Simon e Nick, nello sguardo la promessa di rivedervi presto, di parlarne, di capire cosa fosse successo davvero in quelle settimane. Solo trattenere le lacrime mentre Simon mi posava un bacio sulla fronte e mi guardava stanco, come mai lo avevo visto prima.

Era successo tutto talmente in fretta che quasi stentavo a credere fosse reale. Un attimo prima vi vedevo sorridenti, circondati da champagne e festoni, e quello dopo mi ritrovavo a fissare volti stanchi, arrabbiati, delusi. Dovevo sapere, volevo sistemare le cose, sentivo la necessità di gridare i vostri nomi e riportarvi indietro, di farvi sedere in sala prove e costringervi ad ascoltarmi elencare tutti i motivi per cui separarvi sarebbe stato il più grosso sbaglio della vostra vita. Sentivo l'urgenza di trascinarvi al Rum Runner per mostrarvi cosa fosse diventato senza di voi: un posto vuoto, freddo, invecchiato di un'eternità.

Perché rendete vivo tutto ciò che toccate. Ovunque andate, voi portate il fuoco. Voi siete luce. John, voi avete portato nella mia vita quel calore che mai avrei sperato di trovare, mi avete sempre fatto sentire viva, piena di energia. Sentivo di avere il mondo in mano, di poter fare qualsiasi cosa, di riuscire a raggiungere l'impossibile. Perché nei vostri occhi - nei tuoi occhi, John - io ci vedevo quell'insaziabile fame di vita che vi avrebbe permesso di mangiare il mondo intero.

E quel giorno, sotto la pioggia che cadeva incessante dal cielo nero di Birmingham, mentre mi aggrappavo alla tua mano e guardavo Simon scomparire tra la gente, sono caduta in ginocchio. Perché ho sentito quella luce spegnersi, quel fuoco affievolirsi, il mondo scivolarmi tra le dita.

Ma tu non mi lasciavi andare, rimanevi fermo sul ciglio della strada, con gli occhi offuscati e con la pioggia a lacrimarti sulla pelle. Qualcosa si era rotto di nuovo dentro di te. E quella crepa si sarebbe divorata tutto, lasciandoti una cicatrice che ancora oggi - io lo so - fa male da morire. Perché questa volta le cose sarebbero precipitate molto più in fretta, saresti arrivato al punto di non ritorno, avremmo sofferto come mai prima. E questa volta, per ricucirti l'anima, avrei dato tutta me stessa.

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