TAMARA
Il cielo era così libero come se fosse solo suo, le nuvole sembravano isole in quel mare asciutto e il sole il cuore di esso.
Tamara Eller, un'aquila totalmente marrone, con il becco nero e una corporatura robusta manovrava il suo piccolo elicottero nero, quando stava lì persa in quel cielo infinito le sembrava quasi di esserne la padrona assoluta.
Tornò con i piedi per terra quando gli occhi fissarono il terreno e scorsero il padre in posizione eretta e un sorriso in volto, era Tim Eller, un'aquila dal corpo mattone, testa bianca e becco giallo, la sua corporatura non era diversa da quella della figlia e dal punto di quest'ultima era evidente che il genitore volesse dirle qualcosa.
L'uccello di metallo andò verso il basso senza muoversi a destra o a sinistra ma scese come se fosse legato a una colonna, non appena le pale smisero di roteare il rapace raggiunse il padre.
"Sapevo di trovarti qui".
Disse l'aquila più vecchia mentre incrociava le braccia al petto.
"E io so che devi dirmi qualcosa papà".
Tamara si accostò a Tim e i due iniziarono a camminare nella direzione opposta a dove si trovava l'elicottero.
"Dov'è mamma?"
Lo sguardo della figlia non trovava il secondo genitore.
"Prepara in cucina...ti ricordi il nostro capofamiglia?"
"Terence Eller?"
Tamara notò all'istante che il padre aveva cambiato discorso.
"Lui era un pilota specializzato più che altro in consegne aeree e prendeva sempre parte a una parata in cui erano previsti numeri in cielo, quando i razziatori distrussero la nostra città lui portò in salvo la famiglia e diverse persone a bordo del suo elicottero, inoltre fu lui a trovare il posto dove ora sorge la nostra città...".
I due raggiunsero la porta rossa della loro casa a due piani una delle più esterne della città nonché una di quelle più vicine alle mura.
"Papà mi hai raccontato questa storia almeno cento volte e ogni volta lo facevi solo per prendere tempo".
Tamara appoggiò le mani sui fianchi.
"Be oggi è solo per ricordarti che nelle tue vene scorre il sangue del pilota che ha contribuito in primis alla nostra nuova vita".
La porta si aprì e rivelò un corridoio che finiva con delle scale marroni che andavano verso l'alto, diverse porte, tre, davano percorsi alternativi al dritto e la prima di esse lasciava uscire una luce gialla abbastanza intensa.
La cucina.
Tim avanzò per primo e svoltò nella luce, Tamara sentiva che c'era qualcosa sotto e perciò chiuse la porta e con lentezza raggiunse la porta illuminata.
"BUONA FORTUNA!"
Tamara sorrise quando i genitori insieme all'augurio presentarono anche una torta piccola e rettangolare e sicuramente all'interno c'era uno strato di cioccolato, la madre, Virginia Granger, una civetta dal becco nero come la pece, capelli lunghi e gialli come la paglia, un corpo snello come il bastone di una lancia e un talento nella pasticceria come se potesse parlare ai dolci e capire come devono essere fatti, lei si che conosceva i gusti della figlia e quel tipo di torta era la sua preferita in assoluto.
Il sorriso della figlia svanì, buona fortuna...aveva capito per cosa.
"È arrivato il momento?"
Chiese anche se la risposta era più ovvia del gusto della torta.
"Si".
Rispose il padre mentre si avvicinava alla sua erede e le poggiava le mani sulle spalle.
"Ma ora non pensarci godiamoci questo giorno insieme...e soprattutto la torta".
Sussurrò l'ultima parte con il suo sorriso beffardo, Tamara annuì e si avvicinò alla madre.
"Mamma come mai hai scelto di fare la pasticciera?"
"Be tesoro...inizio col dire che mi piacciono i dolci e da bambina ne andavo così matta che i miei dovevano controllarmi altrimenti saccheggiavo la dispensa...amore metti giù la torta".
Tim era arrivato alla porta.
"Non pensavo che servisse Legoshi per rubare una torta".
Sussurrò mentre scuoteva la testa.
"Ehm...la portavo a fare un giro sai ha visto il soffitto della cucina...".
Virginia lo fissò.
"Va bene".
Poggiò il dolce sul tavolo, quando le donne della famiglia lo raggiunsero la più piccola del trio venne stretta dai più grandi.
Risate, scherzi, dolci, storie...non c'erano più ormai erano solo loro tre, Tamara aveva paura di morire durante quei trent'anni ma non era la morte di per sé a terrorizzarla ma pensare che i genitori non avrebbero potuto parlarle più che avrebbero saputo da qualcun'altro il suo destino, invece gli uccelli più grandi erano terrorizzati dal giorno dopo e quello dopo ancora ma il dovere era un ordine imposto dalla vita, la morte in guerra una fine eroica e il semplice ritorno a casa un congedo apparente perché la vita che scegli non abbandonava mai nessuno.
I tre si staccarono lenti e dolci e sorrisero, dovevano essere felici altrimenti che ricordo sarebbe stato l'ultima volta insieme...una riunione di tristezza? Non potevano permetterlo.
"La fetta più grande va a te Tam".
Virginia divise la torta in tre pezzi e ognuno afferrò il suo.
CIAOA TUTTI, che ne pensate di Tamara? Spero che il capitolo vi sia piaciuto se avete domande o curiosità scrivetele nei commenti e ci vediamo al prossimo capitolo CIAU.
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