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IX

Aleksej
7 novembre 1917, Impero Russo, Tsarskoe Selo

Irina sembrava una persona interessante. Non alzava spesso la testa, era silenziosa e una patina di malinconia ferita le imperlava lo sguardo. Assomigliava a sua madre, per quanto potesse essere riconoscibile, e sotto le guance scavate si nascondeva indubitabilmente una bellezza fulminante. Sembrava la copia incavata di mia zia. Avevano lo stesso viso ovale, lo stesso naso lungo e arcuato - da una curva che si rialzava sulla sommità del naso senza che fosse nemmeno notabile, se non di profilo - e le stesse labbra a cuore. Sebbene non avessi conservato ricordi di mio zio Sergej, dalle fotografie evinceva una meno che vaga somiglianza con Irina. Di lui aveva a malapena il taglio degli occhi. Quelli di Irina non erano allungati, da gatta, come quelli di Elizaveta, ma grandi e tondi come bottoni, simili a quelli di suo padre. Trasmettevano entrambi un'emotività ben più che leggibile, ma se nelle fotografie dello zio il suo sguardo intimidatorio esprimeva durezza e severità, quello di Ira era solo spaventato a morte. E arrabbiato. Arrabbiato, sì. Potevo ben intuire il motivo. Non la biasimavo.

il pranzo trascorse piuttosto silenzioso. A Irina era stato servito un pasto più simile a quello di mia madre che al nostro: patate, cavolo e un po' di formaggio. Provai a impedirmi di osservarla troppo per non metterla a disagio, ma in ogni caso aveva la testa bassa, a fissare il piatto. Ero curioso. Lo eravamo tutti. Non c'era persona della famiglia che non volesse comprendere quella strana creatura, che prima ci era stata violentemente strappata dalle mani e poi restituita così diversa da non sembrare lei. Bisognava, d'altronde, concretizzare in qualche modo la sua presenza.
Nel pomeriggio, perciò, ero intenzionato a trovarla. Avevo speso la mia paghetta comprandole un diario, cosicchè potesse avere una valvola di sfogo. Temevo sarebbe scoppiata, altrimenti.

"Mamma, sai dov'è Ira?"
Lei ripose il cucito sul grembo, piegando la testa e sospirando, ma non capii perchè.
"Non travisare le mie parole, Lioshka, ma in questo momento Ira è... fragile, diciamo così. Non tentare di... uhm..." si stroppicciò gli occhi, in difficoltà "di forzare le cose. Forse sarebbe meglio lasciarla stare e aspettare che si ambienti."
Non avevo molti amici. Ira sembrava una persona buona, ma vuota. Profonda come il mare, scura e fredda allo stesso modo. Mi sarebbe piaciuto aiutarla a tornare di buon umore.
"Magari trarrà conforto dalla presenza di qualcuno della sua età. So di dover essere cauto, se è ciò che mi stai chiedendo."
Con un ultimo sguardo di ammonimento, mia madre strinse le labbra: "Penso sia nella Stanza Malva."
Iniziai a correre per il corridoio, suscitando da parte sua un allarmato 'Stai attento a non cadere!'.

Socchiusi la porta: Irina era lì. Occhi attenti e curiosi che persero vita posandosi su di me. Mi chiesi cos'avessi fatto perchè mi fissasse come se fosse stata colta a fare qualcosa di sbagliato. Un silenzio sibilante mi sferzò le orecchie non appena chiusi la porta dietro di me.
"Ciao. Ci... ci siamo già presentati ma forse non lo ricordi. Io sono Aleksej." Avrei voluto che la mia voce non avesse tremato. Avrei voluto alzare la testa e pronunciare fieramente quel 'Nikolaević Romanov' che mi era rimasto ancorato sul fondo della gola. Che pessima figura...
"Io sono Irina." I suoi occhi si scurirono in maniera impercettibile, offuscandole lo sguardo. Sputò il suo nome con velata contrarietà. I suoi modi di fare schivi e guardinghi, così desolanti e spaventati, la facevano somigliare ad un'eclissi solare. 'Irina' era la sua luna personale, determinata a scurirla e nasconderla dietro di sè. Probabilmente non si sentiva nemmeno una Romanova.
"Se preferisci che ti chiami Ekaterina o Katija, o magari in qualche altro modo basta che tu me lo dica."
Lo stupore scacciò via l'eclissi. I suoi occhi erano tornati ad essere il sole. Accecante, luminoso e indispensabile.
"Non voglio che tu finisca nei guai. A Elizaveta non piace che le si ricordi il passato troppo spesso."
"Non preoccuparti. Immagino che non sia stato tanto facile, lasciarsi tutto alle spalle, arrivare qui e vedersi costretti a fingere che sia una situazione ordinaria." Avevo bisogno di un appiglio, di qualcosa che le facesse capire che poteva fidarsi di me.
"Sei l'unico a vederla in questo modo." Alzò l'angolo della bocca con amarezza.
'Diamine, sono qui per sollevarle il morale, non per intristirla!'
"Ti ho portato una cosa." Le porsi con fin troppa sveltezza il diario, una rilegatura in pelle intarsiata a motivi floreali sul dorso. Avevo pensato potesse trovarlo carino, solitamente i fiori piacevano alle ragazze. Alle mie sorelle, a mia madre, a Sofija Buxhowden.
"È un diario. Puoi sfogare i tuoi pensieri, annotare le tue giornate... è una cosa che facciamo tutti, in famiglia." Nascosi l'orgoglio di essere stato il primo a regalarle un diario. Sapvo che presto o tardi qualcun'altro ci avrebbe pensato, e volevo accadesse quando già ne aveva uno.
Lo prese fra le mani, accarezzandone la copertina. Nel suo sguardo lottavano vergogna e supponenza adulta, come se fossi un bambino che ha appena detto che Londra è in Francia.
"È molto grazioso, Vostra Alt- Aleksej." Evitò ad ogni costo il mio sguardo. "Però... non so scrivere." Sussurrò infine.
Sentii il sangue defluire dal mio volto.

'Stupido. Stupido stupido stupido stupido stupido.
Come ho fatto a non pensarci? Come ha potuto non venirmi in mente?'

"Ti insegno io." Proposi prima di capire cosa stessi facendo. Sentii le mie stesse parole solo dopo averle realizzate. "Se ti va, ovviamente. Non dovrebbe passare molto tempo prima che anche tu cominci le tue lezioni, quindi se preferisci aspettare e-"
"Mi piacerebbe. Davvero."
Ammutolii. Un'impacciata gratitudine le riluceva nello sguardo. Ekaterina incantava. Come un'eclissi.
Presi della carta e qualche matita. Provai a scrivere, accorgendomi di avere dimenticato per qualche secondo l'alfabeto.
"Questa è la A maiuscola." Scrivendo sempre in corsivo, mi sembrava di stare tornando a quando avevo sette anni. Lo reputai però un pensiero offensivo nei confronti di Katija, quindi mi affrettai a scuotere la testa e concentrarmi nuovamente sulla nostra primitiva lezione, strutturata in tre ore di lettere maiuscole, minuscole e in corsivo.

"Penso sia quasi ora di cena. Ci conviene andare." Convenni, tenendo aperta la porta perchè passasse per prima. Il mio status non me lo avrebbe propriamente consentito, ma Katija aveva bisogno di sentirsi speciale, dopo aver tenuto porte aperte per tutta la vita.
Mi rivolse il suo primo, vero sorriso. Le labbra le si schiusero in una linea lunga e morbida, alzandole gli zigomi fino alle palpebre inferiori. Mi sentii in qualche modo onorato che il suo volto sorridente fosse rivolto a me. Mia madre diceva di non averla mai vista felice. Dio sa cosa non avrei fatto per vedere ancora il suo viso illuminato a quel modo.

La sera, a letto, non riuscivo a dormire. Ogni volta che chiudevo gli occhi, Irina - o meglio, Katija - era lì. Mi chiedevo se fossi riuscito a gettare le basi di una nuova amicizia. Se non mi avesse considerato troppo timido o impacciato,  se non le fossi sembrato poco degno della sua fiducia. Non volevo che credesse che avessi intenzione di affezionarmi alla bambina con la quale non avevo avuto la possibilità di crescere. Volevo essere amico non di Irina quanto di Ekaterina.

Il giorno dopo Tatijana mi raggiunse, sedendosi accanto a me con calma, portando con sè un ricamo appena iniziato. Stemmo in silenzio per diversi secondi.
"Lioshka, ormai è impossibile trovarti. In questi giorni sembri distante." Affermò.
Mi strinsi le spalle, senza rispondere.
"Che succede? Lioshka?" Pronunciò il mio nome con una dolcezza accorata, con la sua voce vellutata che mi ricordava il latte caldo. D'un tratto ebbi voglia di piangere. Non lo feci.
"È andato tutto piuttosto bene in questo periodo. Non ho sentito tanto dolore. Sono stato bene." Cominciai, con lo sguardo perso nel vuoto.
"Dovrebbe essere positivo." Ricordò mia sorella.
"No. Significa solo che presto starò molto peggio."
Tanechka mi prese le mani. "Dunque noi ti saremo accanto, aspettando la tua guarigione."
"Non è questo..." Mugugnai, non sapendo nemmeno dove posare lo sguardo.
"Non voglio che K- Irina veda che sto male."
Tatijana alzò la testa di scatto, lasciando cadere sulle ginocchia il telaio tondo.
"Irina, hai detto? Siete già diventati così amici?"
"Ci sto provando..." Ammisi muovendomi a disagio sulla sedia. "Tu cosa ne pensi?"
"Be', mi sembra silenziosa, riservata... non ho ancora avuto l'occasione di parlarle. Però pare una ragazza perbene. Mite, gentile... sono certa che, con il tempo, diverrà una granduchessa piuttosto nota."
"Forse" mi morsi le labbra, "dovresti chiedere alle altre di chiamarla con il nome al quale è abituata."
"Non sono sicura sia una buona idea. Come farà a lasciarsi alle spalle il passato se non si fa che ricordarglielo?"
"Non è qualcosa che si possa dimenticare con uno schiocco di dita, in ogni caso. Dai, Tanechka..."
Sospirò. "Ci proverò."
Mi invase forse più gioia di quanta sarebbe stato lecito provare.
Tatijana finse di pizzicarmi la guancia, ben conscia di non poterlo fare senza ritrovarmi con un grosso livido rossastro, e tornò a concentrarsi sul suo ricamo, con uno sguardo sereno e quieto.

Quella sera andai a dormire più tranquillo del solito. In principio perchè sembrava che avrei passato ancora qualche settimana di serenità prima di un'altra crisi di dolore, ma anche perchè, quel giorno, negli occhi di Ekaterina avevo visto meno luna del solito.

NOTE:

• Sergej Romanov fu Governatore Generale di Mosca fino al suo assassinio nel 1905 a caua della sua rigidità ed intransigenza. Era un sostenitore della linea dura in politica, per esempio la sua prima azione da Governatore fu l'espulsione di circa 20.000 ebrei dalla Russia.

• È noto che Aleksandra seguisse una dieta pressoché vegetariana, probabilmente su consiglio del medico per non aggravare i suoi problemi di salute.

• Tutti i figli dell'ultimo zar ricevevano settimanalmente una paghetta con cui comprare dolciumi o matite colorate.

• Sofija Karlovna Buxhowden fu una nobildonna russa e dama di compagnia della zarina Aleksandra.

• Tanechka è il soprannome di Tatijana.

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