I
Ekaterina
29 settembre 1917, Impero Russo, Periferia di San Pietroburgo
"Tieni, è per pranzo."
Darijana Igorova Smirnova, mia madre, mi porgeva un piccolo lembo di stoffa intonso, ripiegato su sé stesso. Prendendolo in mano e srotolandolo di poco riuscii a intravedere tre fette sottili di pane di segale.
"Grazie, madre."
Lei inclinò appena la testa per darmi un buffetto sulla guancia, poi riservò lo stesso trattamento a Vasilisa.
Uscimmo di casa con lo stridore dei cardini della porta arrugginiti a salutarci. Le urla di mia madre contro Anastasija, mia sorella minore, furono l'ultimo suono ad accompagnare il nostro cammino, prima di disperdersi nell'aria gelida.
"Nostra madre ha intenzione di mettere della panna acida nella zuppa di cavolo di stasera." Per la prima volta quel giorno Vasilisa mi rivolse la parola.
Io inarcai un sopracciglio: "Panna acida? Con quali soldi l'ha comprata?"
Lei scrollò le spalle: "Il raccolto sta fruendo più denaro del solito, in questo periodo."
Evitai di dire che era colpa sua e della sua stupida dote se avevamo mangiato kasha e pane di segale a pranzo e a cena, negli ultimi cinque mesi. Provai a rivolgerle uno sguardo duro, ma l'unica cosa che riuscivo a scorgere del suo viso puntato a terra era una ciocca bionda sfuggita al fazzoletto color cannella che le cingeva il capo.
"È una sorta di festeggiamento in via del matrimonio? Credevo che nostra madre ci avesse impedito di sperperare denaro, Vasilka."
Vasilisa era probabilmente la ragazza più bella che io avessi mai visto. Aveva il viso largo, grandi occhi scuri, i capelli tanto biondi da sembrare bianchi e la bocca piccola e rossa. Aveva quattro anni più di me, diciotto.
Fece un verso sprezzante, poi accelerò il passo, incespicando nella neve. Esalai una nube di condensa e la seguii, continuando a sfilare e infilare un bottone della camicetta nell'asola per affinare i movimenti delle dita congelate.
"Georgej non ha nulla a che vedere con tutto questo, nostra madre dice che non posso arrivare all'altare pelle e ossa. E poi non possiamo certo morire di fame per un uomo!" Continuò mia sorella con sdegno.
"Come se tu non fossi d'accordo a farti stipare la massima dote possibile..." Mormorai a bassa voce.
Se sentì, fece a meno di rimbeccarmi per il mio commento acido.
Avevo la sensazione che Vasilka non amasse per nulla il suo futuro marito. Non era nemmeno affetto, ciò che provava per lui. L'unico motivo che l'aveva spinta a seguirlo era che l'indifferenza per Georgej era molto meglio dell'odio che serbava nei nostri confronti.
Vasilisa odiava essere parte della famiglia che eravamo.
Un brivido di freddo corse lungo la mia spina dorsale insinuandosi dalle sottane e facendo bruciare come fuoco ogni mia singola vertebra.
"Ho dimenticato di dirti che nostra madre mi ha dato settecento copechi per comprare mezzo metro di pizzo. Sai, per l'abito."
Il silenzio si richiuse sulle sue parole appena Vasilisa finì di parlare.
L'abito con cui si era sposata mia madre era stato ereditato già da sua madre e ora, per qualche motivo, Darijana lo voleva conservare per quando mi fossi sposata io. Ad ogni modo, a Vasilka non dispiaceva l'idea di un vestito da sposa nuovo. Io, lei e nostra madre avevamo iniziato a cucirlo a luglio.
La neve attutiva i nostri passi, la nebbia si diradava con la lenta schiusa del giorno.
Scrutai l'orizzonte, all'attenta ricerca dei colori che presto o tardi avrebbero dipinto il cielo: prima qualche tinta sbiadita - rosa pesca, corallo, giallo di Napoli, color albicocca, rosa cipria, crema, salmone - e poi, qualche ora prima di mezzogiorno, un intenso color uova di pettirosso striato di nuvole. Ero intenzionata ad assorbire quei colori finché fosse stato possibile, prima dell'avvento dell'inverno, che rendeva ogni cosa, anche il cielo, un frammento grigio e bianco di gelo.
Senza una parola ci separammo. Di buona lena raggiunsi Palazzo di Alessandro, entrando dai mezzanini. Riempii un secchio d'acqua e poi, accertandomi che la mia medaglietta fosse sotto la camicetta di lana, mi inginocchiai e iniziai a strofinare una scalinata con acqua e sapone. Il passaggio della zarina per il corridoio antistante mi fece scattare in piedi con la testa chinata, tornando subito dopo a sfregare con foga le setole di una spazzola sul marmo. Mi osservò per un lungo attimo, come riflettendo su qualcosa di astruso e poco chiaro, ma poi continuò a camminare. Il suono regolare dei suoi passi che si allontanavano mi parve familiare in una maniera quasi confortante, per qualche ragione.
NOTE:
• Al contrario della nobiltà russa, la classe medio-bassa era ancora solita usare la forma cortese del voi, più spesso con il titolo di 'Vashe Blagoridiye'.
• Il kasha è una sottospecie di porridge fatto con latte o, più raramente, con olio di canapa.
• In 'Village Life in Late Tsarist Russia', documento etnografico redatto da Olga Semyonova Tian-Shanskaia, ci viene descritta la società contadina come estremamente povera ed arretrata. Semyonova, rivolgendosi al vestiario delle donne contadine, parla di abiti fatti in casa, spesso realizzati con materiali grezzi come la lana, il cotone e il velluto, o anche gonne plissettate o a strisce e camicie lunghe e ampie.
• Vasilka è il diminutivo di Vasilisa.
• I mezzanini sono una sorta di mezzo piano fra il piano terra e il piano nobile. Sono generalmente dedicati ai domestici.
• I copechi sono la più piccola unità di moneta russa in circolazione. Un copeco equivale a 0,011 euro, quindi Darijana ha dato a Vasilisa circa 8 euro odierni.
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