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Shoto | Stuck

Il Nuovo Tartarus era un luogo di ombre e silenzio. Ogni passo, ogni suono, sembrava soffocato, come se l'intero mondo si trovasse sott'acqua. Un po' come lui, bloccato nel bozzolo di macchine che lo avvolgeva.

Agli occhi degli altri sapeva di essere una visione quasi irreale: immobile, intrappolato in quel guscio di tubi e monitor, con il respiro che era più un rantolo che un segno di vita. Un relitto di ciò che era stato, alla deriva nel mare di merda in cui egli stesso si era tuffato.

"Detenuto 56? Ha una visita.". La voce che gracchiava nell'interfono era calma, pacata. Non la riconobbe subito, ma si ricordò di averla già sentita altre volte. Forse era una guardia. O forse l'inserviente che passava a pulirgli la cella. Non avrebbe mai saputo dirlo con certezza.

La porta sigillata si aprì e attese. Attese quasi un minuto prima che qualcuno entrasse nella sala delle visite. Pensò ad uno scherzo, pensò che qualcuno lo stesse prendendo per il culo.
Poi però lo vide entrare nella stanza. E sembrava fuori posto, agitato senza darlo davvero a vedere.

«Che ci fai qui, piccolo Shoto?», chiese Dabi, la sua voce roca e spezzata, ma ancora intrisa di sarcasmo. «Papà ti ha mandato a predicare la sua redenzione? O sei qui per guardare da vicino cosa succede a chi si ribella?»

Il più giovane di casa Todoroki alzò il capo e la prima cosa che vide furono gli occhi del fratello, quelle due fiamme azzurre che si erano accese quando lo avevano visto varcare la soglia, e Shoto sentì un brivido lungo la schiena.

Non era rabbia, non era odio. Era qualcosa di diverso, qualcosa che non riusciva a decifrare.
Shoto scosse la testa, il volto impassibile ma con una scintilla di emozione negli occhi che glieli rendeva quasi lucidi. «No.», rispose, la sua voce calma, ma ferma. «Sono qui per parlare con te. Per conoscerti, Nii-san.».

Dabi rise, o almeno ci provò. Era un suono debole, quasi soffocato. «Conoscermi? Sei arrivato troppo tardi, fratellino, sai? Non c'è più niente da conoscere...»

Shoto si avvicinò, fermandosi davanti al vetro che li separava. Lo fissò per un lungo momento, il suo sguardo attento, quasi analitico. «Non credo sia vero.», disse infine. «Credo che ci sia ancora molto da capire. E voglio che tu me lo racconti.»

Dabi lo fissò, le sue sopracciglia bruciate che si piegarono in un'espressione di incredulità. «Cosa vuoi sapere, Shoto? Come ho fatto a diventare un Villain? Perché ho deciso di distruggere tutto? O vuoi solo sentirti dire che è colpa di papà? Perché, spoiler: lo è.»

«Non voglio che tu mi dica di papà. Questo lo so da me, non servi tu ad aprirmi gli occhi.», rispose Shoto, il tono serio. «Voglio sapere di te. Voglio sapere chi eri prima di diventare Dabi. Voglio sapere chi è Touya.»

Dabi rimase in silenzio per un momento, i suoi occhi che si socchiusero mentre lo fissava. «Touya Todoroki è morto da tempo...», disse infine, la voce più bassa. «Non c'è niente da sapere su di lui. È stato rimpiazzato. Da te.»

Quelle parole colpirono Shoto come un pugno. Non lo mostrò con le espressioni, ma dentro di sé sentì un dolore sordo. «Non sono un rimpiazzo.», disse piano, ma con fermezza. «Non sono mai stato un rimpiazzo.»

Dabi rise di nuovo, questa volta con più amarezza. «Non dire puttanate, fratellino. Sai bene che sei stato creato per essere il perfetto figlio di Enji Todoroki. Il figlio che io non sono mai riuscito ad essere.»

Shoto abbassò lo sguardo per un istante, le mani che si strinsero a pugno lungo i fianchi. Poi lo rialzò, fissando Dabi con un'intensità che non aveva mai mostrato prima. «Forse è vero.», ammise. «Forse papà mi ha cresciuto per essere quello che voleva. Ma questo non mi definisce! Non è ciò che sono. E nemmeno tu sei solo quello che papà ha fatto di te.»

Dabi lo guardò, la sua espressione indecifrabile. «Sei così ingenuo, piccolo Shoto...», sussurrò. «Pensare che possiamo essere qualcosa di diverso da quello che siamo stati creati per essere.»

Shoto scosse la testa. «Non è ingenuità. È quello che penso. È quello che sto cercando di capire. E so che, in fondo, tu non sei così diverso da me.»

Dabi alzò lo sguardo verso il soffitto per un istante, lasciando che le parole di Shoto si insinuassero nella sua mente. «Non siamo così diversi?», ripeté con una risata stanca, il tono intriso di amarezza. «Shoto, tu sei tutto quello che io avrei voluto essere. Sei il figlio perfetto. Sei l'erede che papà voleva. Sei tutto ciò che io non sarò mai.»

«Non è vero.», disse Shoto, la voce più intensa, le mani che si strinsero in pugni ora ben visibili, appena alzati dalle cosce. «Non è mai stato vero! Papà ci ha distrutti entrambi, in modi diversi. Ma questo non ti rende un fallimento, e non mi rende perfetto. Siamo solo... bloccati.»

Dabi abbassò lo sguardo su di lui, i suoi occhi azzurri che bruciavano di una luce fredda. «Bloccati.», ripeté, come se stesse assaporando quella parola. «Forse è come dici... Io sono bloccato in questo guscio di macchine, in un corpo che non mi appartiene più. Ma tu, fratellino... tu non sei bloccato. Hai tutto davanti a te. Perché sei qui? Perché perdere tempo con me?»

«Perché sei mio fratello...», disse Shoto, la sua voce carica di un'emozione che raramente lasciava trasparire. «Perché voglio capire. Voglio sapere chi eri. Voglio sapere chi sei adesso. E voglio che tu sappia che, nonostante tutto, io... io ti ammiro

Quelle ultime parole fecero vacillare Dabi. Il sarcasmo che stava per sputare morì sulle sue labbra, sostituito da un silenzio carico di emozioni. «Mi ammiri?», sussurrò, incredulo.

Shoto annuì. «Sì. Non per quello che hai fatto, ma per quello che sei stato capace di sopportare. Io... io non penso che sarei sopravvissuto se fossi stato al tuo posto. E nonostante tutto, sei qui. E per quanto tu dica di odiare la nostra famiglia, so che dentro di te non è così semplice.»

Dabi chiuse gli occhi, lasciando che le parole di Shoto lo colpissero. Per anni aveva coltivato il suo odio, alimentandolo come un fuoco che non si spegneva mai. Ma ora, in quella stanza fredda, quelle fiamme sembravano più deboli, soffocate da qualcosa di più profondo.

«Non lo capirai mai, Sho'...», disse infine, la sua voce ridotta a un sussurro spezzato. «Non capirai mai cosa significa essere sostituito, essere dimenticato, essere lasciato indietro da chi avrebbe dovuto proteggerti...»

Shoto rimase in silenzio per un lungo momento. Poi fece un passo avanti, fino a sfiorare con le dita il vetro che li separava. «Non posso capire tutto quello che hai passato, Touya-nii. Ma posso capire cosa significa sentirsi imprigionati da qualcosa che non hai scelto. Posso capire cosa significa lottare per essere qualcosa di più di ciò che gli altri vedono.»

Dabi riaprì gli occhi, fissando il fratello più giovane. «E cosa vedi, Shoto? Quando mi guardi, cosa vedi?»

Shoto esitò, poi rispose con sincerità: «Vedo mio fratello maggiore. Vedo qualcuno che è stato spezzato, ma che non è mai stato distrutto completamente. Vedo qualcuno che voglio conoscere. Per davvero.»

Le parole di Shoto lasciarono Dabi senza fiato. Per anni aveva pensato di essere invisibile, un'ombra scomoda da dimenticare. Ma sentire quelle parole, sentirsi chiamare "fratello" con una tale sincerità, era qualcosa che non sapeva come affrontare. «Non c'è niente da conoscere...», disse infine, ma il tono era più debole, meno tagliente. «Sono solo un guscio vuoto ormai, Shoto. E tu meriti di meglio.»

«Tu sei meglio di quanto pensi.». Shoto scosse la testa, premendo leggermente le dita contro il vetro che li separava. «No, Touya. Non sei un guscio vuoto. Sei mio fratello. Non importa quello che pensi di te stesso o quello che hai fatto. Voglio conoscerti. Voglio sapere chi eri, cosa provavi. Perché quello che sei adesso non è tutto quello che sei stato.»

Dabi distolse lo sguardo, fissando il soffitto, come se cercasse di nascondere l'ondata di emozioni che minacciava di travolgerlo. Nessuno gli aveva mai parlato così, nessuno aveva mai voluto vedere oltre la maschera che si era costruito. Nessuno aveva mai voluto conoscerlo per ciò che era realmente.

«Non capisco davvero perché tu voglia farlo...», disse infine, la sua voce rotta. «Non capisco come tu... come tutti voi possiate guardarmi e pensare che ci sia ancora qualcosa da salvare. Dopo tutto quello che ho fatto, dopo tutto quello che ho distrutto... come fate a chiamarmi ancora fratello?»

Shoto abbassò la mano, ma il suo sguardo rimase fisso su Dabi. «Perché non posso cancellare quello che è successo...», disse piano. «Non posso cambiare il passato. Ma posso scegliere come costruire il futuro. E tu fai parte di quel futuro, Touya. Sei parte di noi... parte di me, anche se non lo vuoi.»

Dabi chiuse gli occhi, lasciando che quelle parole lo colpissero. Sentiva un nodo stringergli il petto, un dolore che non aveva niente a che fare con il suo corpo distrutto. Era qualcosa di più profondo, qualcosa che aveva sepolto per anni sotto strati di odio e disperazione e cattiveria.

«Non sono mai stato forte come te, Shoto...», mormorò infine, le sue parole deboli ma sincere, che riflettevano tutto ciò che lui sapeva del fratello, tutto ciò che lui aveva imparato di nascosto su quel giovane promettente: «Non ho mai avuto il tuo equilibrio, la tua capacità di sopravvivere. Io... io mi sono lasciato consumare. E non posso tornare indietro.»

Shoto rimase in silenzio per un lungo momento. Poi disse, con una calma che sembrava scorrere come acqua: «Forse no. Forse non puoi tornare indietro. Ma sei qui, adesso. Puoi scegliere di parlare con me, di farti conoscere. Puoi scegliere di non essere solo Dabi. Perché io non smetterò di chiamarti Touya

Un tremito attraversò Dabi, e per un istante sembrò che il suo respiro si spezzasse del tutto. «Touya...», ripeté piano, come se il nome stesso fosse un peso impossibile da sollevare. «Non sentivo quel nome con così tanto affetto da anni. Ed ora mi trovo ad ascoltarlo quasi ogni giorno...»

«Allora lascia che continui,», disse Shoto, un accenno di un sorriso sulle sue labbra. «Non è troppo tardi per noi, Touya.»

Dabi non rispose subito. Chiuse gli occhi, lasciando che le parole di Shoto gli riempissero la mente. Non era troppo tardi? Forse lo era per lui. Ma per Shoto...

«Va... Va bene...», disse infine, la sua voce ormai ridotta a un sussurro. «Parliamo, fratellino.»

Shoto sorrise per davvero, un sorriso che non si vedeva spesso sul suo volto. «Grazie, Touya-nii...»

E in quel momento, nel freddo dei quella prigione, qualcosa si mosse.
Non c'era redenzione, non c'era perdono immediato. Ma c'era una scintilla, una possibilità. E per i fratelli Todoroki, era l'inizio di qualcosa di nuovo.

Who will break the cycle?
Who will run from the ending?
Spin it off and detach now
Before the plot reveals that I'm
Stuck in a Story of where I want to be
I'm Stuck in the pages of who I could be
Say I can breathe
Say I can die
Say I can live I'm telling you why
I'm Stuck in the pages of who I could be
~ Unlike Pluto ~

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