Rei | Lost it all
Ogni cosa in quel posto sembrava progettata per annientare ogni briciolo di umanità, un concetto che per Dabi – o ciò che ne rimaneva – non aveva più alcun significato.
Era nella sua solita posizione, intrappolato nel bozzolo di macchine che lo teneva in vita. Il suo corpo, ormai fragile come ghiaccio, non gli obbediva più. Solo il volto si muoveva appena, gli occhi azzurri che brillavano come fiamme spente, osservando il nulla. Era così da giorni ormai: una presenza che sembrava sospesa tra la non-vita e la non-morte.
"Detenuto 056." annunciò la voce metallica che gracchiava dall'interfono. "Sono le 16. Ha una visita.". La voce la riconosceva. Era quella guardia panciuta dal viso simpatico. Quella che si sforzava di fargli battute stupide sullo scaldare l'atmosfera con qualche freddura. Un deficiente. Ma uno dei pochi che aveva imparato a sopportare.
Quando la porta si aprì, un leggero cigolio interruppe il monotono ronzio dei macchinari. Dabi si aspettava un'altra visita forzata di Enji, un altro tentativo di redenzione da parte del padre che, come il giorno prima, lui non voleva e non chiedeva.
Ma quando vide la figura sottile e delicata di Rei Todoroki oltrepassare la soglia, il suo respiro – spezzato e irregolare – si fermò per un istante.
Mamma.
Per un attimo, fu come tornare indietro nel tempo. La ricordava com'era prima, prima di tutto. Quando il dolore non aveva ancora scavato solchi profondi sul suo volto e il suo sorriso era qualcosa di reale. Quando il fuoco della sua rabbia non le aveva rovinato i lineamenti delicati che amava accarezzare da bambino.
Ma la donna davanti a lui non era più quella Rei. Era fragile, spezzata, eppure c'era una forza nel suo sguardo grigio che lo colpì più di quanto volesse ammettere.
«Che ci fai qui?», sibilò Dabi, il tono carico di qualcosa di più profondo, che non provava da molto tempo.
Paura.
Rei si fermò di fronte al vetro spesso che li separava, le mani che tremavano leggermente mentre le portava al petto. «Sono venuta... perché dovevo vederti.», disse piano, la sua voce morbida, ma comunque incrinata dall'emozione.
Dabi rise, o almeno ci provò. Ne uscì un suono spezzato e graffiato. «Vedere cosa? Il relitto che hai contribuito a creare? Complimenti, mamma. Hai fatto un lavoro perfetto.»
Rei chiuse gli occhi, le parole di suo figlio che le penetravano nel cuore come coltelli. Ma non si mosse, non indietreggiò. Rimase lì, davanti a lui, con il petto che si sollevava e abbassava a fatica. «Non sono qui per giustificarmi.», disse infine, la voce più ferma di quanto si aspettasse. «Non ci sono scuse per quello che ho fatto...»
Dabi la fissò, i suoi occhi che sembravano due lame di ghiaccio. «Non hai fatto nulla, mamma.», disse con un sorriso amaro. «Ed è proprio questo il problema. Sei rimasta lì a guardare mentre papà distruggeva la nostra famiglia. Hai chiuso gli occhi. Hai finto che non stesse succedendo.»
Le sue parole erano veleno, ma Rei non si mosse. «Hai ragione.», sussurrò, le lacrime che le riempivano gli occhi. «Ho chiuso gli occhi. E non passa un giorno senza che mi odi per questo.»
Dabi rimase in silenzio per un momento, la sua mente che tornava a quegli anni passati, a quegli sguardi che aveva cercato disperatamente e che non aveva mai trovato. «Non mi hai mai guardato davvero, mamma.», disse infine, la voce che si spezzava. «Non mi hai mai visto per quello che ero. Solo un bambino... un bambino che voleva solo essere accettato e visto. E amato. Non messo da parte da tutti appena è stato dichiarato rotto, inservibile... scartato. Come un gioco che non va più bene e si lascia da parte...»
Rei fece un passo avanti, appoggiando una mano tremante contro il vetro. «Lo so.», mormorò, la voce soffocata dalle lacrime. «E mi dispiace, Touya. Mi dispiace così tanto.»
Per un attimo, il tempo sembrò fermarsi. Dabi fissò sua madre, la sua figura tremante, il volto segnato dal dolore e dal rimorso. Qualcosa dentro di lui, qualcosa che aveva cercato di soffocare per anni, si mosse. Ma non era rabbia. Era una tristezza. Profonda, infinita.
«Mi dispiace...», ripeté Rei, e questa volta la sua voce si spezzò completamente. «Ti ho lasciato indietro. Ho lasciato che tutta la situazione ti distruggesse. E non potrò mai perdonarmelo.»
Dabi sentì qualcosa premere contro il petto, un nodo che non riusciva a sciogliere. Chiuse gli occhi, lasciando che le parole di sua madre si insinuassero in ogni angolo del suo essere. Quando li riaprì, una lacrima gli scese lungo il volto. Una lacrima scura, di sangue.
«È troppo tardi per scusarsi, mamma.», disse piano, ma il tono della sua voce non era più carico di odio. Era solo stanco. «Ho perso tutto. Ho perso me stesso. E non c'è niente che tu o chiunque altro possiate fare per cambiarlo.»
Rei si accasciò contro il vetro, le sue mani che scivolarono lungo la superficie che si appannava e la brina si diramava dai suoi polpastrelli. «Non posso cambiarlo.», disse, le lacrime che le rigavano il volto. «Lo so. Ma voglio che tu sappia... che ti ho sempre amato, Touya. Anche quando non sapevo come dimostrarlo. Ti amo ancora. Anche adesso, nonostante ciò che sei diventato e ciò che hai combinato.»
Dabi chiuse di nuovo gli occhi, lasciando che il peso delle parole lo travolgesse del tutto.
Per anni aveva cercato di soffocare quel desiderio di amore, di affetto. Ma sentirlo ora, in quel luogo freddo e sterile e inumano , era troppo.
Le lacrime di sangue continuarono a scendere, colavno dalle sue guance fino al mento, fino al collo. Bollenti.
Rei lo guardò, il cuore spezzato, ma anche pieno di un'emozione che non riusciva a spiegare. Non importava quanto fosse cambiato. Non importava quanto fosse spezzato. Era ancora suo figlio.
Quando le guardie entrarono per riportarla via, Rei si voltò un'ultima volta verso di lui, il volto bagnato di lacrime, gli occhi gonfi, ma con uno sguardo risoluto. «Non importa quanto tempo ci vorrà, Touya.», disse piano. «Né quanto tempo ci resta. Io non ti lascerò più da solo.»
E per la prima volta in anni, nel buio opprimente del Tartarus, Dabi sentì su di sé qualcosa che non provava da tempo, che lo avvolgeva come un abbraccio tiepido e confortante.
Speranza.
I'm just trying to breathe, just trying to figure it out
Because I built these walls to watch 'em crumbling down
I said, then I lost it all
And who can save me now?
~ Black Veil Brides ~
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