Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Natsuo | The tragic truth

Il Nuovo Tartarus era, come il precedente, un luogo fatto di silenzii e ombre. Le sue mura fredde sembravano divorare qualsiasi traccia di umanità, lasciando solo dolore e rimpianto. In una delle celle più profonde di quella struttura, Touya Todoroki – o quel che ne restava – era intrappolato in un bozzolo di tecnologia che lo teneva in vita.

I suoi occhi, ancora luminosi come le sue fiamme azzurre, erano fissi sul soffitto. Non poteva muovere il corpo, ormai ridotto a ossa fragili e carne bruciata. Il suo respiro, spezzato e irregolare, gli costava quasi uno sforzo sovrumano, un rumore graffiato, costante che riempiva la stanza insieme al ronzio delle macchine che lo mantenevano in vita.

Era vivo solo per capriccio del destino, pensò. O forse per punizione divina.

"Detenuto 056." annunciò la voce metallica che gracchiava dall'interfono. "Hai visite anche oggi.". La voce non la riconosceva. Era strana e stanca, svogliata. Chissà: magari era una guardia a fine turno...

«Che ore sono?»

"Le 18."

Quando sentì il rumore della porta che si apriva, il suo cuore – o ciò che ne rimaneva – ebbe un sussulto. Non era la solita routine. Quel passo era diverso. Leggero, esitante. Non era Enji.

Il suono si fermò appena fuori dal suo campo visivo, ma Touya non aveva bisogno di vedere chi fosse. Lo sentiva nella sua memoria, nei ricordi che si rifiutavano di svanire.

«Natsuo.». Il nome uscì come un sussurro spezzato, graffiato dal fuoco che aveva distrutto i suoi polmoni.

La figura avanzò, entrando finalmente nella sua vista. Natsuo Todoroki era più alto di quanto ricordasse, il volto segnato da linee che non c'erano mai state, cicatrici di ustioni sugli zigomi, sulla fronte. L'aveva visto durante la guerra ma il tempo per soffermarsi ad osservarlo, beh...

Natsuo si fermò, a metà strada tra la porta e il vetro dietro cui stava il bozzolo che teneva in vita il fratello. Indossava abiti semplici, i capelli bianchi scompigliati e lo sguardo incerto. Per un attimo sembrò voler dire qualcosa, ma le parole gli rimasero bloccate in gola. Quanto era cambiato Touya... quanto era diventato irriconoscibile.

Dabi invece lo vide cresciuto: non c'era più traccia di quel ragazzino a cui il fratello maggiore si aggrappava per conforto.

«Touya-nii...», azzardò Natsuo, la voce piena di emozioni che sembravano pronte a traboccare. Non sapeva se stesse sorridendo o piangendo. Forse entrambi. «Ciao.»

Il silenzio cadde tra di loro, interrotto solo dal suono delle macchine che accompagnavano ogni respiro di Touya. Era un silenzio pesante, carico di tutto quello che non era stato detto, di anni trascorsi lontani l'uno dall'altro.

«Avevi detto... Avevi detto che non saresti più venuto.», mormorò Touya, con un filo di sarcasmo. «Non mi dire... che hanno costretto anche te a fare visita al mostro di famiglia.».

«Non mi ha costretto nessuno.», rispose, la voce bassa ma ferma. «Sono venuto per conto mio. Perché lo volevo io.»

Dabi rise, o almeno ci provò. Ne uscì un suono spezzato, come una risata soffocata tra il dolore e l'ironia. «Tu? Non farmi ridere, Natsu-chan. Non sei mai stato uno che prende l'iniziativa.»

Natsuo si avvicinò di qualche passo, gli occhi che cercavano il volto del fratello attraverso il riflesso e il groviglio di macchine e tubi. «Non sono più un ragazzino, Touya-nii.», disse piano. «È ho detto che non volevo più vedere papà. Non te. E non sono certo venuto qui per giudicarti.» disse piano, le mani strette a pugno ai lati del corpo, lo spesso vetro della stanza a separarli. «Sono venuto per... vederti. Perché sei mio fratello. Perché non posso ignorarlo, anche se lo vorrei tanto.»

Dabi rise, un suono secco e spezzato che sembrava più un lamento. «Fratello, eh? Strano come suona, ora che siamo qui. - fece una pausa - Io non sono mai stato il fratello che meritavi.»

«Non dire così!». La risposta di Natsuo fu rapida, quasi rabbiosa. «Non ti è mai stata data una possibilità. Nessuno di noi ha mai avuto una possibilità con lui!»

Touya lo fissò, il suo sguardo era stanco, ma ancora intenso. C'era verità nelle parole di Natsuo, ma non bastava a spegnere il fuoco del rimpianto che lo divorava da anni.

Per un attimo il silenzio calò tra loro, rotto solo dal ronzio dei macchinari. Era un silenzio pesante, carico di cose non dette, di fratture mai guarite. Natsuo inspirò profondamente, cercando di trovare il coraggio di continuare: «Sei... sei vivo.», disse infine, come se fosse una constatazione più che un saluto.

Dabi lo fissò, i suoi occhi azzurri che brillavano di un misto di rabbia e nostalgia. «Sopravvivo, Nii-chan. E non perché voglio.». Fece una pausa, il respiro che si spezzava mentre cercava di parlare. «È ironico, vero? Per anni ho cercato di bruciare tutto, persino me stesso, e ora... eccomi qui. Intrappolato. Vivo contro la mia volontà.»

Natsuo abbassò lo sguardo, le mani che si stringevano a pugno lungo i fianchi. «Non dire così...»

«Perché no?», sibilò Dabi, la voce aspra e ruvida come carta vetrata. «Non è forse vero? Questa... questa è la tragica verità, Natsuo. Sono il fallimento vivente di una famiglia che non avrebbe mai dovuto esistere.»

Natsuo alzò lo sguardo, e per un istante nei suoi occhi brillò una scintilla di rabbia. «Non dire questo. Non sei un fallimento.»

Dabi scosse appena la testa, un movimento quasi impercettibile. «Non mentire a te stesso, Natsu-chan. Sai meglio di chiunque altro che sono sempre stato il progetto fallito di mio padre. Non c'è niente in me che valga la pena salvare.»

Natsuo si avvicinò ancora al vetro, una mano si posò su quella superficie fredda, il suo respiro sempre più irregolare mentre si costringeva a guardare il fratello. Non sapeva cosa aspettarsi entrando lì, ma la realtà era peggiore di qualsiasi immaginazione. «Touya...», iniziò Natsuo, la voce tremante. «Io... non sono qui per giudicarti o per dirti cosa avresti dovuto fare. Non sono nemmeno qui per parlare di papà. Sono qui perché...», e fece una pausa, abbassando lo sguardo, come se le parole gli si spezzassero in gola.

«Perché cosa, Natsuo?», lo incalzò Dabi, il tono intriso di sarcasmo, ma anche di un dolore più profondo, nascosto sotto la sua maschera di cinismo. «Per vedere se ancora sono così patetico come mi hai visto l'altra volta? O per controllare se c'è ancora qualcosa di umano in questo relitto?»

«NO!» urlò Natsuo, il volto che si contorse in un'espressione di rabbia e frustrazione. «Sono qui perché sei mio fratello, porca puttana!»

Dabi rimase in silenzio, gli occhi che si schiusero per la sorpresa, anche se non disse nulla. Il suo respiro spezzato sembrava essere l'unico suono nella stanza a sovrastare il lieve ronzio delle macchine, ma la rabbia di Natsuo continuava a deformargli il volto: «Ti rendi conto di quanto è stato difficile per me?», continuò Natsuo, il tono ancora pieno di emozione. «Venire a sapere lo che eri vivo tutto questo tempo... che stavi lì fuori, solo, pieno di rabbia, e io... io non ho fatto niente per trovarti? Per aiutarti?»

La voce gli si spezzò e Natsuo abbassò lo sguardo, stringendo i pugni fino a farli tremare. «Lo so che non posso cambiare niente, Touya. Non posso riportarti indietro... Non posso nemmeno trovare in te le risposte che cerco. Ma non posso neppure lasciarti così. Non posso lasciarti credere che tu non sia importante. Perché lo sei. Per me lo sei.»

Dabi lo guardò, i suoi occhi azzurri fissi sul volto del fratello. Per un attimo, sembrò voler dire qualcosa, ma quando aprì la bocca, tutto ciò che ne uscì fu un respiro spezzato. Abbassò lo sguardo, il peso delle parole del fratello che lo colpiva più di quanto volesse ammettere.

«Se sono importante come dici...», iniziò infine, la voce rauca e quasi impercettibile, «Allora perché nessuno è mai venuto a cercarmi? Perché nessuno ha mai provato a salvarmi? Perché papà ha dato più importanza a Shoto che a ritrovare suo figlio?»

Natsuo alzò di scatto lo sguardo, e nei suoi occhi brillò un misto di colpa e disperazione. «Perché eri morto!», rispose, il tono carico di dolore. «L'abbiamo pensato tutti che eri morto... E mi dispiace. Dio! quanto mi dispiace, Touya! Ti ho abbandonato anch'io... Lo so. Ma ero solo un ragazzino, e non sapevo cosa fare! Avevo paura! Paura di com'era diventato papà, paura di quello che sarebbe successo a me o a Fuyumi o a Shoto se avessi fatto qualcosa.»

Dabi rise, un suono secco che sembrava più un colpo di tosse. «Paura, eh?», sussurrò. «Anche io avevo paura, sai? Ma non mi è mai stata concessa una scelta. Io dovevo essere forte. Io dovevo essere il salvatore della famiglia. Io dovevo bruciare tutto per un sogno che non era nemmeno il...mio...»

Le sue parole si interruppero, il respiro spezzato che lo costringeva a fare una pausa. Quando riprese, la sua voce era più bassa, quasi un sussurro. «E quando non ce l'ho fatta, mi hanno lasciato indietro tutti. Anche tu.»

Quelle parole colpirono Natsuo come un pugno allo stomaco. Si avvicinò ancora, fino a che non fu abbastanza vicino al vetro da evitare i riflessi, in modo da poter vedere ogni bruciatura, ogni segno di distruzione sul volto del fratello. «Hai ragione.», ammise, la voce tremante. «Lui ti ha messo da parte e noi ti abbiamo lasciato indietro. Io ti ho lasciato indietro. Ma non smetterò mai di pentirmene! E non smetterò mai di volerti bene, Touya-nii. Non importa cosa pensi di te stesso...»

Dabi rimase immobile, i suoi occhi azzurri fissi su quelli grigi di Natsuo. Per un lungo momento, non disse nulla. Non c'erano parole per descrivere quello che provava in quel momento. Era un miscuglio di rabbia, dolore, ma anche... qualcosa di diverso. Qualcosa che non voleva nominare.

«Te lo ricordi?», chiese Dabi, la voce ancora più debole. «Quando giocavamo a calcio nel cortile, io e te contro Fuyumi? Quanto ridevamo ogni volta che lei ci batteva?»

Natsuo si lasciò sfuggire un sorriso amaro. «Sì, me lo ricordo. Non ci lasciava mai vincere. E tu ti arrabbiavi sempre.»

«Per forza!» replicò il criminale, un accenno di umorismo nella voce. «Io dovevo essere il migliore. Dovevo essere tutto ciò che lui voleva...» La frase si spense, il sarcasmo sostituito da una tristezza palpabile.

Natsuo abbassò lo sguardo, incapace di sostenere quel peso. «Lo so.» sussurrò. «Anche se ho sempre pensato che eri tu forse troppo ossessionato da lui e dalle idee che ti ha inculcato... Io non ho comunque fatto niente per fermarlo. Né io, né Fuyumi. Non ti abbiamo mai aiutato davvero.»

Dabi chiuse gli occhi, cercando di trattenere il fuoco che sembrava voler esplodere dentro di lui, anche se non poteva più farlo. «Non avreste comunque potuto. Nessuno di noi poteva. Lui aveva già deciso tutto. Chi eravamo. Chi dovevamo essere.»

Un lungo silenzio cadde tra di loro, ma questa volta era carico di nostalgia, più che di rabbia.
«Vorrei averti salvato...», disse infine Natsuo, la voce spezzata. «Vorrei aver fatto qualcosa, qualsiasi cosa, per impedirti di finire così. Se solo mi avessi detto di Sekoto... Sarei venuto.»

Dabi aprì gli occhi, fissando il soffitto sopra di lui. «Non potevi. Alla fine, ho fatto tutto questo da solo.» Fece una pausa, il respiro che si faceva sempre più graffiato. «Sai una cosa? È che io forse non volevo nemmeno più essere un eroe. A un certo punto volevo solo che lui mi vedesse davvero.»

Natsuo sentì il cuore spezzarsi. Si avvicinò al vetro che lo divideva da Touya, poggio sopra la mano e un lieve strato di brina si diffuse dai suoi polpastrelli, creando una sottile ragnatela sulla superficie fredda che lo divideva da suo fratello.

«Tu non sei il mostro che tutti pensano.», disse, la voce tremante. «Tu sei mio fratello. E per quanto faccia male, non smetterò mai di vederti come quel ragazzo che veniva nella mia stanza a farmi vedere una nuova mossa, il bambino che voleva solo giocare a calcio con me...».

Gli occhi di Dabi si abbassarono su di lui, lucidi per qualcosa che non era più rabbia.

«Touya-nii... Ti odio per questo, lo sai?», sussurrò,  mentre stringeva il pugno e crepava quel sottile strato di ghiaccio che lui stesso aveva formato sul vetro. «Ti odio perché non riesco a odiarti davvero.»

Dabi sorrise, un sorriso triste che portava con sé anni di colpa e amore inespresso. «Nemmeno io ci riesco, Natsu-chan...», iniziò, la voce più dolce e comprensiva. «E non sei tu quello che deve pentirsi. Non sei tu quello che ha sbagliato. Sono io.». Fece una pausa, il respiro pesante. «Ho fatto cose orribili, cose che non possono essere perdonate. E non puoi salvarmi. Nessuno può più. Ma... grazie per averci provato.»

Natsuo sentì il cuore creparsi ancora una volta, ma annuì, cercando di trattenere le lacrime, deglutendo saliva con fatica. «Non sono qui per salvarti, Touya. Per ciò che hai fatto non lo meriti. Però sono qui per dirti che, nonostante tutto, sei ancora parte della mia famiglia.»

Per la prima volta in anni, un lieve sorriso tenero piegò le labbra rovinate di Dabi. Era debole, quasi impercettibile, ma era lì. Non era molto, ma era qualcosa.

Quando Natsuo si mosse per andarsene, il peso di tutto quello che non aveva detto sembrava premere sulle sue spalle. Ma prima di uscire, si voltò indietro, fissando suo fratello Touya un'ultima volta. «Qualsiasi cosa tu pensi di essere diventato.», disse, «Sei ancora mio fratello. E lo sarai sempre.»

Dabi lo osservò, il volto immobile, ma i suoi occhi chiari che dicevano tutto.

Quando la porta si chiuse dietro suo fratello e il silenzio tornò a riempire la stanza delle visite, per la prima volta quell'assenza di parole non sembrava così opprimente.

Forse non c'era salvezza per lui. Ma c'era ancora qualcosa da sentire. E forse, per ora, questo bastava.

I can't say the devil made me do it
I chose to be the one I am, the way I am today
I wish there was, but there's no way around it
In the end, I made the choice and will not die ashamed
~ Five Finger Death Punch ~

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro