Fuyumi | All I need to hear
In quel posto le voci si perdevano.
Le urla dei prigionieri, i bisbigli dei guardiani, persino il ronzio delle macchine sembravano svanire nelle profondità di quella struttura isolata. Era un luogo di punizione, di eterna espiazione, e nessuno lo sapeva meglio di Dabi.
Relegato nel suo bozzolo di macchinari, con la carne bruciata che lo tormentava e il respiro spezzato che sembrava un filo sottilissimo, Dabi fissava spesso il soffitto della sua cella. Era immobile, prigioniero del suo stesso corpo e delle sue stesse scelte. L'unica cosa che ancora si muoveva erano i suoi occhi.
Freddi. Azzurri. Lucidi.
"Detenuto 56. Sono le 13.30. Hai una visita. Dopo abbiamo la nostra seduta, ricorda?". La psicoterapeuta era una ragazza giovane, dalla voce calma e pacata. Le piaceva non tanto perché era di bell'aspetto (e a lui le cose belle erano sempre piaciute), ma perché stava zitta.
Stavano zitti minuti interi e la vedeva che riempiva il suo taccuino con disegnini di fiori.
«Al momento non sono ancora così rincoglionito, prof.». I nomignoli erano il suo forte. E quella dottoressa gli dava proprio l'impressione di essere una maestrina, con quegli occhiali enormi che le continuavano a cadere sul naso ad ogni movimento di testa.
"Bene. Mi fa piacere che torni a fare del sarcasmo con me! Ci vediamo dopo."
Quando la porta della cella si aprì, il solito suono metallico sovrastò il ronzio dei macchinari. Non mosse nulla se non lo sguardo, che si spostò verso l'ingresso. Si aspettava una guardia, un altro visitatore mandato per un qualche assurdo tentativo di redenzione.
Ma quando vide il volto di Fuyumi, il suo respiro – o ciò che ne rimaneva – si bloccò.
Lei era in piedi sulla soglia, le mani che stringevano nervosamente il bordo del maglione troppo grande, lo sguardo esitante. I suoi occhi, così simili a quelli della madre, si abbassarono per un istante, come se fosse incerta su cosa fare.
«Che ci fai qui?», mormorò Dabi, la voce graffiata e appena udibile. Non c'era rabbia nel tono, solo una stanchezza infinita.
Fuyumi fece un passo avanti, poi un altro. Non rispose subito, come se stesse cercando di trovare le parole. «Non potevo non venire.», disse infine, la voce calma, ma con una leggera incrinatura.
Dabi rise, o almeno ci provò. Ne uscì un suono spezzato, quasi un colpo di tosse. «Certo che potevi. Non sono esattamente un fratello da cui correre, Fufu-chan.»
Lei si fermò a qualche passo dal vetro divisorio, abbastanza vicina da vederlo meglio, abbastanza lontana da non farsi travolgere dal dolore che le serrava il petto. «Non dire così...», rispose piano. «Sei mio fratello. Sempre lo sarai.»
Dabi distolse lo sguardo, fissando un punto indefinito sul muro. Quelle parole erano come un coltello che gli scavava nel petto.
Fratello.
Non si sentiva più degno di quel titolo. Non dopo tutto quello che aveva fatto.
«E adesso cosa fai? Mi parli di redenzione, di perdono? Mi dici che in fondo non sono così cattivo? Perché se è questo il tuo piano, potevi anche risparmiarti il viaggio.», disse, il sarcasmo che cercava di coprire la vulnerabilità nella sua voce.
Fuyumi scosse la testa, un sorriso triste che le piegava le labbra. «Non sono venuta per questo, Nii-chan. Non sono qui per giudicarti, né per giustificarti. Sono qui perché... perché volevo vederti.»
Dabi la guardò, un'espressione incredula che attraversò per un attimo il suo volto segnato. «Vedermi?», ripeté, il tono carico di amarezza. «Non c'è molto da vedere. Solo il mostro che sono diventato.»
Fuyumi scosse di nuovo la testa, i capelli bianchi che le ricadevano morbidi sulle spalle. «Non sei un mostro.», disse con calma, ma con una fermezza nella voce che sorprese anche lei stessa. «Non per me. Sei mio fratello. E niente di quello che hai fatto potrà mai cambiare questo.»
Il silenzio cadde tra loro, pesante e carico di emozione. Dabi abbassò lo sguardo, le parole che gli si bloccavano in gola. Per un istante, il fuoco che aveva sempre sentito dentro di sé sembrava essersi placato, sostituito da qualcosa di più profondo.
«Non dovresti essere qui.», sussurrò infine. «Non... Non voglio che tu mi veda così...»
Fuyumi si avvicinò ancora, ignorando il suo avvertimento. «Non mi interessa come ti vedo, Touya. Non sono qui per giudicare il tuo aspetto o quello che sei diventato. Sono qui perché... perché mi importa. Perché sei ancora importante per me.»
Dabi sollevò lo sguardo verso di lei, i suoi occhi azzurri che brillavano di un'emozione che non voleva ammettere. «Davvero, Fuyumi? Sono importante per te? Anche dopo tutto quello che ho fatto? Dopo tutto quello che ho distrutto?»
Fuyumi annuì, le lacrime che le riempivano gli occhi ma che non scesero. «Sì, Touya. Sempre. Sei il mio fratellone. E anche se non posso cambiare quello che è successo, anche se non posso aggiustare tutto... voglio che tu sappia che non sei solo.»
Le sue parole erano semplici, ma in quella stanza fredda e silenziosa sembravano risuonare con una forza impossibile da ignorare. Dabi chiuse gli occhi, il respiro spezzato che sembrava ancora più pesante.
Non meritava il suo affetto.
Non meritava niente.
«E adesso cosa farai, eh?», chiese, aprendo gli occhi e guardandola di nuovo. «Ti siederai qui, a farmi compagnia? Mi dirai che tutto andrà bene? Sai bene che non è vero, Fuyumi... Non andrà bene. Non c'è niente che possa aggiustare quello che ho fatto. Non c'è nulla che mi salvi...»
Fuyumi lo guardò, e per un istante non rispose. Poi si avvicinò ancora, abbastanza da poter toccare il vetro, come se quello sfiorare la superficie fredda e liscia fosse un po' toccarlo davvero. «Non sono qui per aggiustarti, Touya. So che non posso farlo. Non sono nemmeno qui per dirti che tutto andrà bene. Sono qui perché voglio che tu sappia una cosa...»
«Che cosa?», chiese Dabi, il tono carico di un'ironia amara.
«Che non ti ho mai dimenticato.», disse Fuyumi, la voce che si spezzò per un istante. «Che ho sempre pensato a te, ogni giorno, ogni notte. E che non smetterò mai di volerti bene, Nii-chan. Non importa cosa sia successo. Sei parte di me. Da sempre e per sempre.»
Dabi non rispose subito. Quelle parole erano troppo, troppo pesanti, troppo vere. Chiuse di nuovo gli occhi, lasciando che il silenzio riempisse lo spazio tra loro. Quando li riaprì, un sorriso debole, quasi impercettibile, si formò sulle sue labbra rovinate.
«Sei sempre stata la parte migliore di questa famiglia, lo sai?», mormorò.
Fuyumi lasciò che una lacrima le scivolasse lungo la guancia, ma il suo sorriso rimase. «Non dirlo, Touya. Non è vero.»
Dabi scosse appena la testa, il respiro spezzato che sembrava diventare ancora più debole. «No, è vero. Sei tutto quello che avremmo dovuto essere. Mi dispiace non averlo mai capito prima.»
Fuyumi si sedette sulla sedia di fronte a lui, le mani che tremavano leggermente mentre stringeva i pugni sulle ginocchia. «Non devi scusarti.», disse piano. «Non con me.»
Dabi la guardò, gli occhi che sembravano più caldi, più vivi, anche solo per un istante. «Non sono bravo con le parole, Fufu-chan. Non so come dirlo, ma... grazie. Per essere venuta fin qui. Da me.»
Fuyumi annuì, il suo sorriso che si fece più forte. «Non c'è bisogno che lo dici, Nii-chan. Lo so.»
E in quella stanza fredda, per la prima volta da anni, il buio sembrò meno opprimente.
Non c'era redenzione, non c'era perdono. Ma c'era qualcosa di più importante: un legame che nemmeno il tempo o la sofferenza potevano spezzare.
'Cause it all means nothing, my dear
If I can't be holding you near
So tell me you love me
'Cause that's all that I need to hear
~ 1975 ~
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro