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chapter nine

Spazio autrice: Ecco, sono accidentalmente finita a scrivere una scena un pelino esplicita. Avrei preferito che fosse più delicato, lo giuro. Più sottile. Con più metafore. Alla fine ho deciso di tagliarla e magari di pubblicarla a parte in futuro.
Ops, sono fatta di fallimenti (e di burrito). ma Spero vi piaccia ugualmente :/

Con entrambe le loro teste a riposare sullo stesso cuscino e Sherlock per una volta finalmente silenzioso, John di fermó un attimo ad imprimere nella mente un'immagine del volto a poca distanza del suo.
Forse era la pesante influenza della febbre oppure il sangue che scorreva velocissimo nelle sue vene ma il dottore riusciva a percepire davvero l'uomo accanto a lui. Era vero, riusciva a capire Sherlock meglio di chiunque altro ma ciò normalmente significava solo riuscire a immergere il braccio nel più profondo degli oceani quando gli altri si limitavano a sfiorarne la superficie. Erano rari i momenti in cui sentiva di conoscerlo davvero.
Al pensiero non potè evitare di rammentare la loro serata al Last Drop. La potente chiarezza che aveva sentito nell'osservare il processo di deduzione e il vedere distintamente la sua natura di genio era fissa nella sua mente da giorni. Ovviamente al tempo era alquanto alterato, ma ciò non gli aveva impedito di conservare quel ricordo, tenerlo per sè come qualcosa di estremamente prezioso. E forse lo era: era più che certo di essere l'unico ad averlo mai visto così.
Eppure lo Sherlock che gli stava accanto ora era diverso. Sotto le sue palpebre semichiuse non si agitavano più mari in tempesta, bensì una calma piatta. Era un atteggiamento non dissimile dalla serenità che gli si dipingeva in volto una volta concluso un caso, ma comunque diverso... invertito.
John si mordicchiò il labbro inferiore, cercando di capire esattamente cosa fosse cambiato. Poteva sentire quel momento di lucidità che cominciava a scomparire. Cosa diamine c'é in quella testa? si domandó, frustrato. Quando deglutì, massaggiandosi la gola dolorante, la risposta giunse come una sorta di illuminazione.
Sembrava che piuttosto che aver concluso qualcosa lo avesse iniziato.
Era un'idea sconcertante è contraddiceva ciò che John sapeva essere il processo mentale del coinquilino: prendere le complessità, scomporle in minuscoli dettagli, analizzare ognuno di essi con logica spietata e, una volta che l'equazione fosse stata risolta, un brevissimo periodo di quiete. E Dio, John attendeva quei momenti per mesi, quando la sua vorace sete di giustizia era saziata ed egli si concentrava esclusivamente su sè stesso e sul coinquilino.
Accadeva che durante quei rari momenti gli facesse persino una tazza di tè (cosa scioccante!) o si sorbisse uno dei film preferiti del dottore senza un lamento. Si sedeva esausto vicino a lui sul divano con la testa sulla sua spalla ed insieme guardavano la tv. John ricordava ognuno di quegli attimi perfettamente, a cominciare dal comfort del corpo caldo dell'altro vicino a lui che lo portava a porsi domande di chi non avrebbe mai voluto conoscere la risposta. Era come se Sherlock lo vedesse davvero, non era solo un assistente o uno strumento.
Ovviamente durava sempre poco, interrotto dagli inevitabili momenti di noia, durante i quali John non poteva fare altro che sospirare, raccogliere tutta la sua pazienza e sperare che arrivasse un caso interessante il prima possibile. La gente gli chiedeva come facesse a sopportare Sherlock quando faceva così e lui rispondeva sempre di non saperlo, ma la verità era che conosceva bene la risposta: per quelle poche ore di calma valeva la pena di sopportare tutti i periodi più bui.
Eppure nonostante avesse familiarità con gli sbalzi d'umore del detective, quella tranquillità dipinta sul suo volto dormiente lo confondeva a dir poco. Era molto più profonda e meno temporanea di qualsiasi calma John lo avesse mai visto provare. Non era solo soddisfatto, era felice. Era stato lui? Era a causa di John quell'espressione? Davvero gli importava così tanto di lui?
Il biondo chiuse un attimo gli occhi, sopraffatto dall'intensità di questi pensieri: lui invece non si sentiva affatto così. Avrebbe dovuto essere felice, ma dentro di lui si agitavano pensieri sconnessi e paure che temeva di rivelare persino a sè stesso.
Era dolorosamente consapevole del corpo tiepido gentilmente premuto sul suo. Ogni respiro di Sherlock contro le sue labbra tremanti gli faceva girare la testa in un vortice di domande senza risposta.
Il detective, al contrario, appariva scioccamente sicuro di sè. D'altronde perché non avrebbe dovuto esserlo? Quando si erano baciati, e Sherlock aveva solamente iniziato a svelare il suo talento nascosto, John era quasi svenuto. E quello era solo un bacio, dannazione! La sola possibilità che potesse diventare qualcosa di più serio lo aveva mandato completamente in tilt. Adesso che la loro relazione si stava evolvendo in una direzione non precisata non c'era nulla che impedisse loro di andare... oltre.
John non poteva fare altro che tremare a quel pensiero. Cosa ne sapeva lui del sesso con un uomo? A parte le cose fondamentali, ovviamente, scoperte per pura curiosità grazie a qualche ricerca su Google. Quella è una parte della cronologia che devo decisamente cancellare, si disse. Persino il loro attuale, innocentissimo contatto lo metteva tremendamente a disagio.
Invece di morbide curve come quelle a cui era abituato il corpo accanto a lui era tutto spigoli e per quanto lui e Sherlock condividessero la stessa anatomia di base che John aveva studiato per anni, si sentiva in un territorio inesplorato.
Forse fu per questo che quando Sherlock, ignaro della sua crisi ancora in corso, allungó la mano per accarezzargli il collo con la punta delle dita l'unica, istintiva razione per il biondo fu quella di voltarsi di scatto.
"C'è un problema?"
"No, scusami- stavo solo-" balbettó desiderando disperatamente che la quiete, ora sostituita da due sopracciglia aggrottate, tornasse sul viso del detective.
"Sei nervoso di nuovo."
"Non è vero, è che-"
"Sì che è vero."
"No, e smettila!" la sua voce si spezzó, tradendolo.
"John." Sherlock alzó un sopracciglio sembrando completamente diffidente e persino annoiato.
"Beh, certo che sí, dannazione! Stiamo per- Come puoi non- Non è giusto!"
"Perché dovrei esserlo!"
"Non sei, uhm, preoccupato di, diciamo, essere sicuro... Oh, lasciamo perdere." sbuffó, togliendo le mani da dietro la schiena del detective e portandosele al viso. Sospiró mentre si accorgeva con odio di stare tremando. Beh, almeno per quello poteva incolpare la febbre.
Si irrigidì leggermente quando delle dita lunghe e affusolate gli si avvolsero intorno ai polsi, togliendogli con delicatezza le mani da davanti alla faccia.
"Sei preoccupato per la tua inesperienza con gli uomini?"
John ridacchió sentendosi ridicolo.
"Forse." ammise nella vaga speranza di suonare almeno un po' enigmatico.
"Non è necessario."
"Cosa?"
"La tua preoccupazione."
"Non lo faccio mica apposta!" ribattè, sulla difensiva. "Tu sei così dannatamente calmo e per me è tutto nuovo, io non... Mi sento come se fossi dannatamente vergine, caso!"
Se possibile, le sue guance si tinsero di una tonalità di rosso ancora più scura non appena la parola lasció le sue labbra.
Sherlock sembrava perplesso.
"Come se fossi vergine" ripetè, come se dirlo ad alta voce lo avrebbe aiutato a capire la logica dell'amico. Dal momento che Sherlock non avrebbe lasciato perdere, raccolse tutto il suo coraggio e cerco di buttarla sul ridere.
"Beh, in un certo senso lo sono, no?"
"Decisamente no."
"Con gli uomini intendo, Sherlock. Non so esattamente cosa sto facendo e ogni volta che mi tocchi é..." si interruppe prima di poter dire alone. Sherlock continuava a guardarlo con uno sguardo fra la compassione e la genuina confusione. "Cristo, è imbarazzante."
Istintivamente John si voltó, celando il rossore che si stava diffondendo su tutta la sua faccia. Prima di poter realizzare cosa stesse facendo, si giró nuovamente e si strinse al detective affondando il viso nel petto di lui. Il regolare battito del suo cuore aveva su di John un effetto stranamente calmante.
"Scusa..." mugugnó con la voce attutita dalla stoffa. Forse stava reagendo in modo eccessivo. In quel momento le cose gli sembravano così semplici.
Ci mise un momento a staccarsi dal l'abbraccio, durante il quale fortunatamente Sherlock non proferir parola.
"Sto pensando troppo."
"È vero, è grazie per aver scelto l'unico momento in cui preferirei che non lo facessi." commentó, seppure la giocosità nei suoi occhi tradisse il tono acido.
"Non c'è di che."
"Ti ho già detto che non ho aspettative, ma so che vuoi farlo quindi mi chiedo se tu stia facendo nuovamente l'ostinato."
"Voglio farlo, davvero."
"Ovvio."
John alzó gli occhi al cielo.
"È la tua parola preferita?"
"No, è solo quella che sono costretto ad usare più frequentemente."
"Giusto". Si schiarì la voce e si mise a sedere prima di parlare nuovamente. "Qual è la tua parola preferita allora?"
"Non voglio dirtelo."
"Perché no?"
"Perché mi prenderesti in giro."
"È probabile, ma tu dimmela comunque."
Sherlock parve considerare l'offerta per un attimo.
"È calabrone."
"Calabrone?"
"E anche francobollo."
"Le tue parole preferite sono calabrone e francobollo?"
"Ovvio." ribattè Sherlock trattenendo a fatica gli angoli della bocca dal piegarsi in un sorriso malevolo e compiaciuto di sè.
"Idiota. Vuoi sapere quale sia la mia parola preferita?"
"No. So giá che è sutura."
La mascella di John prove staccarglisi dal cranio per la sorpresa.
"Come diamine facevi a saperlo?"
"Me lo hai detto tu."
"Ah, vero."
Lo sguardo di John si posó per un secondo sulle labbra di Sherlock, che si stavano distendendo nel solito ghigno inconfondibile. Nonostante la strana sensazione di angoscia e allo stesso tempo di felicità che gli attraversava  petto come un uragano, John si trovó a sorridere scioccamente. Sherlock gli rivolse lo stesso sguardo che spesso gli riservava davanti ad un caso ormai risolto, come a dire "finalmente ci sei arrivato.". E ci era arrivato.
Aveva capito che erano solo loro due e sì, Sherlock aveva ragione: la preoccupazione non era necessaria.
"Quindi che ne dici se, uhm, ci prendiamo le cose con calma e vediamo cosa succede?"
"È esattamente ciò che volevo fare."
"Come sempre sono qualche passo indietro, ti dovresti essere abituato oramai."
"Non ti capisco, continui a dirmi di stare zitto e poi mi provochi, io non-"
Prima che potesse concludere la frase John azzeró la distanza fra di loro unendo finalmente le loro bocche. Sherlock esitó un momento ma subito ricambió il bacio facendo ricadere la testa sul cuscino e portando con sè il biondo.
E Dio, il suo sapore. Lo animava di un'improvviso quanto impetuoso bisogno di contatto, di sentire il corpo che stringeva fra le mani parte di sè.
Le loro mani scivolavano l'uno sull'altro, intrecciandosi e allontanandosi, esplorando i rispettivi corpi. Si sentivano due parti di un unico insieme finalmente riunite ed adesso non riuscivano a separarsi, simili a due calamite.
Lentamente, John infiló la gamba fra le cosce dell'altro fino a quando a dividerli non rimase che il sottile strato di cotone del pigiama. Mentre una mano del riccio scorreva sulla sua schiena percependola muscolo per muscolo, l'altra scendeva sempre più in basso fino ad incontrare l'elastico dei boxer.
"Tutto bene?" domandó questi in tono apprensivo, staccandosi per un attimo e respirando affannosamente contro le sue labbra. Gli prese il viso con una mano con una dolcezza che John non credeva appartenergli. I suoi occhi grigi solitamente così inespressivi adesso rivelavano appieno la condivisa necessità di andare oltre.
John annuì con un gemito, incapace di formulare parola. Il suo cervello era occupato a catalogare quella spettacolare sinfonia di nuove sensazioni. Erano anni che non si sentiva così: all'improvviso aveva di nuovo quindici anni e quello era il suo primo attesissimo bacio. Entrambi usavano il proprio corpo per tastare e sentire ogni centimetro di pelle dell'altro fino a risultare indivisibili, tanto che dall'esterno non si sarebbe potuto riconoscere dove finiva John e dove iniziava Sherlock.
"Questo è... è..."
"Sì." rispose il baritono con la voce ancora leggermente roca.
Era semplicemente troppo. La testa fu colpita da un'ondata di vertigini e riuscì appena a trattenersi dal genere pateticamente. La sua pelle era calda, bollente, eppure John era piuttosto sicuro che non avesse nulla a che fare con la febbre. Dovette fermarsi un momento e approfittó dell'attimo di tregua per guardare l'altro negli occhi: vi leggeva una domanda silente, quella che da giorni torturava entrambi ma che nessuno dei due aveva il coraggio di fare ad alta voce. Il biondo sorrise e annuì con un cenno del capo impercettibile per chiunque tranne che per il vero destinatario di quel messaggio.
Un sorriso spontaneo affioró sulle labbra del detective mentre gli si avvicinava.

***

Poco più di un'ora dopo John era steso su quello stesso letto, adagiato fra le braccia dell'altro. Entrambi stavano ansimando, sfiniti, ma c'era qualcosa di straordinariamente giusto nei loro respiri lenti e profondi e nei due petto che si alzavano e si abbassavano quasi all'unisono.
I due stavano per addormentarsi quando una realizzazione improvvisa colpì John, il quale riscosse il coinquilino con un sussulto.
Fece correre lo sguardo agli occhi glaciali di Sherlock, che sembrava perplesso di fronte a quell'espressione si stupore.
"Sherlock."
"Cosa c'è?"
"Credo... credo che la febbre sia passata."

Ebbene sì, anche questo secondo capitolo si è concluso, seppure con aggiornamenti sporadici. A breve sarà disponibile sul mio profilo anche la terza parte della trilogia, The First Trip.

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