Worse than death
John Watson aveva sperimentato più volte la paura.
Prima sotto le armi, poi al fianco di Sherlock: anche se quest'ultima accompagnata da una sorta di piacevole adrenalina.
Al fianco del suo migliore amico aveva affrontato feccia di ogni genere: criminali dalle fantasie più assurde e deviate, psicopatici, terroristi, serial killer... aveva avuto anche "l'onore" di essere imbottito di esplosivo da Moriarty, il re di quegli psicopatici.
Ma, anche nei momenti peggiori, era riuscito a dominare quella paura, affidandosi al suo sangue freddo di soldato.
Persino quando la sorella psicopatica di Sherlock lo aveva legato in un pozzo, e lui non aveva potuto fare altro che aspettare e pregare che l'amico venisse a salvarlo, ancora una volta.
Ma fu quando una voce lo risvegliò da quel perenne torpore in cui viveva da chissà quante ore- ormai aveva rinunciato a provare a tenere il conto- che provò davvero, dopo l'incredulità iniziale, un profondo terrore. Peggiore forse di tutte le altre volte.
Fu anche la prima volta che desiderò che Sherlock non arrivasse: perché l'ultima cosa che voleva era che il suo migliore amico dovesse ritrovarsi di nuovo di fronte al possessore di quella voce maledetta.
- È davvero un piacere rivederla, John Watson- fece il possessore di quest'ultima, Culverton Smith, compiaciuto e maligno.
Il medico sentì i passi di quell'uomo disgustoso avvicinarsi a lui, e cercò invano di aprire gli occhi, di rimanere quantomeno vigile: ma senza riuscirci.
Percepì confusamente di non essere piú sdraiato su quella panca di metallo della cella... Era infatti in posizione verticale, come se fosse in piedi... Ma avvertiva chiaramente una superficie dura dietro la schiena, e qualcosa che gli legava strettamente i polsi e le caviglie.
- Vorrei poter dire lo stesso-ribattè con ferocia; o almeno, la sua intenzione sarebbe stata di pronunciare quelle parole: ma quelle che uscirono dalla sua bocca, in realtà, furono, purtroppo, poco chiare, e per giunta flebili.
Sentì Culverton schioccare la lingua, quasi seccato.
- Accidenti, le hanno dato troppo sedativo...- constatò, con falso dispiacere nella voce.-Avrei dovuto dirgli di moderare le dosi. Aspetti un momento...
I passi del serial killer prima si allontanarono, poi si fecero nuovamente più vicini: subito dopo, avvertì un dolore acuto sul braccio, e pian piano i suoi sensi, finalmente, si snebbiarono; anche se tutto rimase vago e distorto, come se il suo cervello si fosse sintonizzato sulla frequenza sbagliata.
-Si ricorda la domanda che le posi tanto tempo fa?- Culverton gli bisbigliò all'orecchio, la voce carica di malvagio compiacimento.-"Lei è davvero un dottore?" le chiesi. Lo feci con il solo scopo di irritarla. Di confonderla. Era il mio gioco, dopotutto. Mi creda, mai avrei potuto immaginare un simile epilogo.
John strinse le labbra, sentendo la sua ira aumentare di pari passo con i suoi sensi; si avvide infatti, solo in quel momento, di un altro uomo presente nella stanza
Era decisamente più alto di Smith; i suoi capelli castano chiaro erano radi, ma accuratamente pettinati, mentre i suoi occhi grigio ferro, quasi metallici, lo fissavano senza alcuna traccia di umanità.
- Grazie a lei, potrò ottenere ben più che una stupida chiavetta. Cosa che avrei ottenuto se avessimo sequestrato semplicemente il signor Ross- aggiunse Culverton sempre più compiaciuto, mentre armeggiava con qualcosa dietro di lui, che non riuscì in alcun modo a scorgere.- Non solo qualcosa che per anni ho cercato di ottenere, senza successo. Ma potrò anche vendicarmi del suo caro amico detective. E sarà proprio lei, la mia arma.
L'ex medico militare era sempre più confuso dalle sue parole, ma non per questo meno rabbioso.
- Non otterrete niente da me-ringhiò, e stavolta le parole furono chiare e precise, forse alimentate dalla sua rabbia crescente.- Sherlock l'ha già fregata una volta. Lo rifarà di nuovo.
Le labbra del killer si curvarono in un sadico sorriso, mentre si avvicinava, il volto a pochi centimetri dal suo.
-Ha ragione, signor Watson. Sherlock Holmes mi ha già fregato una volta. Ma, si sa, la vendetta è un piatto che va servito freddo. E il destino mi ha fornito l'arma perfetta per fargliela pagare. E con gli interessi.
John strinse i denti: non voleva domandare il senso di tutto quel discorso, far capire al suo aguzzino la confusione e la paura che regnavano in quel momento nella sua testa.
Ma fu Culverton stesso a dargli la spiegazione che lui non aveva richiesto.
-Abbiamo di recente compiuto vari esperimenti sul cervello umano. Ma solo io, modestamente, sono riuscito ad elaborare una macchina che, non esagero, renderà l'Hydra la più potente organizzazione terroristica della storia.
Sì rigirò tra le dita un oggetto di forma allungata, simile ad un ago: John rabbrividì, sforzandosi però con tutto sè stesso di ascoltare ciò che il criminale gli stava dicendo.
- Oh, non si preoccupi. Il processo da me ideato è praticamente indolore-lo rassicurò questi, notando il suo sguardo, con un sorrisino.- Diciamo che farà solo un lungo pisolino sotto ibernazione. Mentre lei dormirà, estrarremo tutti i suoi ricordi. Al suo risveglio, non ricorderà nulla della sua vita. Sarà diventato una sorta di... arma umana, possiamo dire così. Ah, prima che lo domandi: il processo è irreversibile. Inizialmente un evento, una parola o un volto potevano... risvegliare il soggetto, almeno in parte. Io, però, l'ho reso finalmente irreversibile. Niente sentimenti. Niente ricordi. Solo un cervello completamente vuoto, già pronto per essere programmato da noi. E subito attivo. Non serve più neppure il lavaggio del cervello.
Si fermò a pochi centimetri dal volto del medico, le labbra sempre sollevate in quel ghigno carico di malvagità e autocompiacimento.
- Ora si faccia un'altra bella dormita, signor Watson. Per il momento posso ancora chiamarla così. Al suo risveglio, avrà del lavoro da fare...
Il biondo digrignò i denti, furioso.
- Sherlock mi troverà-ripetè, con fermezza, fissando dritto negli occhi il suo aguzzino.- E lei si pentirà di essersi messo di nuovo sulla sua strada.
Ma Smith, anziché mostrarsi spaventato o innervosito da quella minaccia, emise una risata, scuotendo poi la testa con aria di compatimento.
- Dottor Watson... Forse non ha capito. Il suo amico verrà di certo, se vuole vederla vivo. È probabile che si offrirà lui stesso per lo scambio. Oppure fará l'eroe, al suo solito, e proverà a fare irruzione in questa Base. In entrambi i casi, il suo destino è segnato. Anzi, quello di entrambi.
Prima che John potesse riprendersi dall'orrore provocato dalle parole di Culverton, o aprir bocca per vomitargli addosso tutta la sua rabbia, l'altro uomo-che, nel frattempo, si era spostato- gli infilò rapidamente un ago nell'avambraccio. Per l'ennesima volta, il medico sprofondò in quell'oblio artificiale: ma questo, stavolta, era accompagnato da un puro terrore. Il terrore di quello che quel pazzo aveva intenzione di fargli.
Il terrore di perdere stavolta non la vita, ma qualcosa di ben peggiore: se stesso.
Nonostante tutti i suoi sforzi, la sua vista tornò ad annebbiarsi, e le palpebre gli si chiusero, mentre la paura si impossessava del suo cuore.
Che cosa sarebbe stato, al suo risveglio??
Intanto, non vista, una figura osservava la scena da uno dei vetri del laboratorio.
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- Sta bene la signorina Hooper?
Sherlock riemerse a fatica dal suo Palazzo Mentale, nel quale era sprofondato per mettere a tacere, almeno per qualche istante, il nervosismo che ora dopo ora lo attagliava.
Il conto alla rovescia era più che trascorso: eppure quella maledetta organizzazione criminale non si era ancora decisa a ricontattarli come avevano annunciato nel video.
E più le ore passavano, più il nervosismo e l'agitazione del detective crescevano, alimentate dal suo essere costretto all'inattivitá.
Quest'ultima, infatti, non gli portava mai nulla di buono, Sherlock lo sapeva fin troppo bene.
Si voltò verso Stark.
- Sì, sta bene-rispose, con una sfumatura di ammonimento nella voce: non aveva dimenticato il suo tentativo di flirt.
-Mi è sembrata molto scossa. Anche se con lei ha volutamente minimizzato...-obiettò il miliardario, stringendo le labbra.
Sherlock realizzò in una frazione di secondo il senso nascosto di quella frase, e dai suoi occhi balenò un lampo di collera.
- Avevate detto che gli auricolari avevano smesso di funzionare!-sibilò, furibondo, alzandosi in piedi.
- E infatti era così!-ribattè Stark subito, alzando le mani in segno di resa.-Ma forse in quel momento vi siete spostati in una zona in cui hanno ripreso a funzionare... Tranquillo, ho isolato tutti i microfoni... Ho sentito solo io.
- Davvero confortante...-bofonchiò il detective, rifilandogli un'altra occhiata assassina, mentre il miliardario si sedeva sulla poltrona che lui aveva lasciato libera.
- Quello che volevo dire è solo che... penso che dovrebbe starle vicino... Dimostrarle i suoi sentimenti- proseguí l'altro.-Lo so che è complicato per ... gente come... Noi.
Sherlock si trattenne a stento dal ridergli in faccia.
- Lei non sa niente di me. Niente!-ringhiò, dandogli poi le spalle e fissando ostentatamente fuori dalla vetrata circolare, le braccia incrociate al petto, lo sguardo torvo.
- Forse non so niente di lei in particolare- ammise Tony dopo un breve silenzio, mentre si alzava dalla poltrona e lo raggiungeva.-Ma conosco le persone come lei. Perché anch'io ero così. Persone che si disinteressano apparentemente del prossimo, anche di chi gli è più vicino, quando in realtà sono disposte a dare anche la vita, per salvarle. All'esterno fingono di essere dei freddi bastardi senza cuore, solo per non mostrare la propria debolezza. Ma si fidi: quella tecnica, presto o tardi, presenta il conto. La solitudine è bella solo all'inizio. Poi è una vera schifezza. Ritrovarsi soli con sé stessi non sempre è piacevole. Men che meno rifiutarsi di ammettere i propri sentimenti.
Sherlock rimase ostentatamente con lo sguardo puntato fuori dalla finestra: in realtà, però, ogni parola dell'uomo arrivava al suo orecchio precisa e tagliente come una lama.
"I sentimenti sono un difetto chimico della parte che perde." Questo aveva sempre ribadito. Eppure, da molti anni a quella parte, non ne era più così sicuro.
Avrebbe vissuto meglio, se non avesse permesso a tutte quelle persone-John, Rosie, Molly, la signora Hudson, Lestrade, suo fratello- di entrare nel suo cuore?
Forse, senza quelle "distrazioni" il suo intelletto ne avrebbe giovato... ma era davvero così? Non aveva, al contrario, cominciato a vivere per davvero, da allora?
Odiava con tutto se stesso analizzare i suoi sentimenti: era letteralmente un campo minato su cui indagare.
-Non me la sono mai cavata molto bene con le... faccende umane-ammise infine, di malavoglia.
Le labbra di Stark si sollevarono in un sorriso leggero.
-A volte neppure io- lo rincuorò amichevolmente, tanto che persino il detective abbozzò un sorriso.- Ma se ha bisogno, in particolare, di consigli su come conquistare una donna, sarò ben felice di fornirglieli.
- La terrò in considerazione, se mai ne avrò bisogno...- ribattè Sherlock, con un pizzico di ironia nella voce: sebbene le parole del miliardario gli avessero dato da pensare più di quanto gli facesse piacere ammettere.
Questi rise, dandogli persino un'amichevole pacca sulle spalle; a cui Sherlock reagì con una smorfia.
-Vado a vedere come procedono le ricerche della Base Hydra-concluse Stark, lasciando il detective solo nella stanza.
Ma la sua solitudine non durò a lungo.
Pochi minuti dopo, infatti, sentì una voce alle sue spalle.
- Sherlock. Dobbiamo parlare.
Il riccio si voltò, aggrottando poi le sopracciglia davanti all'espressione mortalmente seria del fratello maggiore.
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Il detective entrò piano nella stanza quasi completamente buia, illuminata a malapena da una luce al neon. A prima vista pareva la stessa in cui avevano girato quel video: solo che, stavolta, c'era solo una sedia, al centro. E qualcuno vi era legato sopra, sia per i polsi che per le caviglie; il capo era chino, quasi del tutto immobile, forse privo di sensi.
Ma non sembrava ferito.
Sherlock si avvicinò e subito si affrettò ad armeggiare prima sulle corde che stringevano i polsi, fino a liberarli del tutto. E il prigioniero, finalmente, reagì, emettendo un leggero lamento.
- Shh. Tranquillo, John. Sono io. Non preoccuparti, tra poco saremo fuori di qui. Credimi, non è stato facile trovarti, stavolta.-Il corvino gli liberò anche le caviglie, alzando poi lo sguardo con un sorriso sollevato.- Sapessi cosa ho dovuto fare per...!
Ammutolì, scioccato, il sorriso svanito di colpo: John lo fissava, il volto inespressivo, gli occhi blu vuoti, privi della sua solita luce, o di calore.
Tra le mani, teneva una pistola-forse nascosta fino ad allora sotto la maglia, dietro la schiena, e di cui lui non si era per nulla accorto-e gliela stava puntando alla testa.
Sherlock rimase completamente pietrificato.
- John... Che diavolo stai facendo???- mormorò, appena riuscì a parlare, ma senza ancora osare muoversi di un centimetro, la canna dell'arma a pochi centimetri dalla fronte.- Metti giù la pistola!
Ma l'unica risposta dell'amico al suo ordine fu uno sguardo gelido, privo di emozione, seguito da una risposta verbale altrettanto fredda e terrificante, pronunciata in un tono piatto, la pistola sempre puntata:
-...Chi diavolo è John?
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