Un trasferimento inaspettato
Londra
Prigione di Pentonville
Era pomeriggio inoltrato e l'agente Clay Bells, la ricetrasmittente legata alla cintola, le mani dietro la schiena, aveva appena iniziato il suo turno.
Allentandosi con un dito il colletto della divisa-nonostante fosse solo primavera, il caldo era già insopportabile -cominciò a percorrere il corridoio a lui assegnato, controllando che gli uomini all'interno delle loro celle fossero tranquilli. "Tranquilli", per quanto lo possano essere individui rinchiusi nella prigione di Pentonville; per fortuna, però, in quel momento il settore era relativamente silenzioso.
Era agente ormai da anni, lui: anni di gavetta, di azioni sul campo, e poi come secondino in quella struttura.
Certamente, non era più un novellino.
E, di certo, non lo inquietava più come prima vedere gli sguardi chiaramente torvi e minacciosi che ogni prigioniero gli scoccava non appena passava davanti alle loro celle.
Stava di fatto però che, come per un riflesso condizionato, il suo passo si faceva più spedito ogni qualvolta che doveva passare di fronte alla cella 570. Dava appena un'occhiata fugace, giusto per dimostrare di aver fatto il suo dovere di guarda carceraria: poi, non appena la superava, si scopriva a sentirsi quasi sollevato. Fino a quando non era costretto, purtroppo, a ricontrollarla.
Era più forte di lui: lo sguardo del prigioniero al suo interno lo metteva a disagio come nessun altro. Non perché fosse più minaccioso di quello degli altri criminali che popolavano quel carcere, anzi!
Ciò che procurava la pelle d'oca al secondino era proprio questo.
Ogni singola volta in cui ne incrociava, purtroppo, lo sguardo-e succedeva sempre: il prigioniero pareva aspettare solo il momento in cui lui sarebbe passato-l'uomo al suo interno gli... sorrideva.
Un sorriso che però, ben lungi dall'essere amichevole, era più simile ad un ghigno.
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-...Agente Bells?
Questi, colto di sorpresa, si fermò a metà del corridoio e si voltò, trovandosi di fronte un uomo in elegante completo scuro, i radi capelli castani accuratamente pettinati, la scrimiatura maniacalmente dritta, quasi millimetrica, gli occhi grigio ferro. Alle sue spalle stavano altri due uomini nerboruti; sembravano guardie carcerarie, a giudicare dalla divisa, simile alla sua, e i loro volti di pietra non tradivano alcuna emozione. Non lavoravano di certo lì, però; a Pentonville, ormai, conosceva quasi tutti. Era il vantaggio di avere anni di servizio sulle spalle.
-Sì, sono io. E lei è...?
L'uomo col completo gli si avvicinò, stringendogli la mano e sorridendogli leggermente: ma quel sorriso non si trasmise agli occhi.
-Agente Norris, MI6. Avremmo bisogno che lei ci aprisse una delle celle. L'ospite in questione deve essere trasferito-gli comunicò, con un tono garbato ma ferreo: il suo era chiaramente un ordine, non una richiesta.
Bells aggrottò la fronte.
-Non mi hanno avvisato che oggi ci sarebbe stato un trasferimento...-obiettò; ma prima che potesse prendere la ricetrasmittente, l'uomo gli porse un documento.
- È stata una decisione dell'ultimo minuto-proseguì, sempre con quella strana affabilità che poco si addiceva alla sua espressione, mentre il secondino scorreva il documento con lo sguardo: in calce c'era la firma del direttore del Penitenziario, che lo rassicurò sulla veridicità di quel trasferimento.
Al vedere il nome e il numero identificativo del prigioniero prescelto, 014605, non poté trattenere il sollievo, e ogni sua remora si dissolse. Da qualche parte del suo cervello, gli sembrò strano che addirittura un uomo dei servizi segreti britannici si occupasse del trasferimento di quel particolare detenuto. Ma non se ne curò troppo: la firma del Direttore della prigione di Pentonville era per lui una garanzia sufficiente.
-Beh, sembra tutto in regola. Seguitemi, vi faccio strada!-disse, trattenendo a malapena l'entusiasmo, e conducendo i tre uomini alla cella 570.
Estrasse il mazzo di chiavi dalla cintola, e ne inserì una specifica nella toppa. Varcò dunque la soglia della cella, seguito dalle due guardie, mentre l'uomo dei Servizi Segreti aspettava fuori.
-A quanto pare, il tuo soggiorno qui è finito. In piedi, forza!
Fu così che Bells apostrofò il detenuto, quasi con spavalderia, forte della presenza delle due guardie alle sue spalle. Quest'ultimo, però, non parve particolarmente infastidito o contrariato, anzi: uno strano ghigno gli si dipinse in volto, mentre si alzava dalla branda e le due guardie gli ammanettavano i polsi e lo prendevano in consegna.
Ma Bells, stavolta, non badò a quel ghigno inquietante: forse perché sapeva che sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe visto, grazie a Dio!
Chiuse la cella, e si voltò verso Norris.
-È tutto suo-disse all'uomo dell'MI6, che si limitò a un cenno del capo e a un sorriso freddo, per poi incamminarsi, seguito dalle due guardie e dal detenuto.
Quest'ultimo, però, si voltò verso Bells.
-Lavora qui da otto anni, vero, agente Bells? -domandò, sempre con quel sorriso inquietante sulle labbra.-È un tempo considerevolmente lungo, non le pare? Fossi in lei, opterei per la pensione anticipata.
L'agente sentì un rivolo freddo scivolargli lungo la spina dorsale, mentre l'uomo veniva condotto lungo il corridoio. Sospirò, asciugandosi le mani madide di sudore sulla divisa, ringraziando il cielo che quella sarebbe stata l'ultima volta nella sua carriera che avrebbe incrociato quello sguardo e quel sorriso maligno.
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In quello stesso istante, a bordo di una macchina nera dai vetri oscurati, l'agente Norris estraeva un cellulare dalla tasca; le sue pallide dita digitarono rapide un messaggio:
L'Uccellino è uscito dalla gabbia.
Nessun intoppo.
La replica arrivò pochi istanti dopo, rapida e concisa:
Tempo d'arrivo previsto alla Voliera?
Due settimane.
Dobbiamo far perdere le sue tracce.
In tempo per il dopo party
della Fase 2.
È certa la presenza di X alla festa?
La risposta alla sua ultima domanda sollevò le labbra di Norris in un sorriso soddisfatto:
Le nostre fonti ne sono certe.
Sarà presente al Party della Big Apple in onore degli A.
Stiamo preparando la rete.
Perfetto.
Vi raggiungerò tra qualche giorno.
Chiudo.
Ricevuto.
Hail Hydra.
Hail Hydra.
Con quel saluto, il falso agente dell'MI6 chiuse la conversazione e, proprio mentre la vettura transitava sul Waterloo Bridge, abbassò il finestrino e lanciò fuori il cellulare, che precipitò con un tonfo nelle acque del Tamigi. Si accese poi una sigaretta, tirando una boccata con evidente soddisfazione, senza scambiare una parola col silenzioso autista al suo fianco, ma beandosi soltanto della buona riuscita del piano.
Gettò poi un'occhiata alle sue spalle: il falso furgoncino blindato dei Servizi Segreti li seguiva passo passo. Appena arrivati a destinazione, il "prigioniero" al suo interno avrebbe potuto salire a bordo di un'altra macchina, che era già pronta sul posto. Da lì, ci sarebbero state altre tappe da seguire per arrivare alla destinazione finale, in modo da lasciare meno tracce possibili. Erano già tutte definite e organizzate.
Lui amava i piani ben organizzati.
E quello stava andando esattamente come previsto, per ora: almeno, la parte affidata a lui. Ora doveva andare liscia anche la Fase 2.
Lasciò la mano appoggiata fuori dal finestrino, la sigaretta tenuta mollemente tra due dita, gli occhi protetti da un paio di occhiali da sole dalle lenti scure, mentre la macchina procedeva, scortando il furgoncino attraverso il traffico londinese.
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