Speranza e... gelosia?
Due giorni dopo
...Da quante ore era stato chiuso lí dentro?
Era impossibile dirlo.
Non c'erano finestre da cui filtrasse il buio, o la luce: solo pareti di grigio metallo, e la panca su cui era sdraiato, di metallo anch'essa, unico arredamento in quella piccola cella gelida, quasi asettica.
L'unica fonte di luce era data da una lampada a neon, fredda e fastidiosa.
Appese agli angoli, però, John aveva notato la presenza di due telecamere: era la prima cosa che aveva visto prima di perdere di nuovo i sensi.
Il medico, infatti, alternava momenti di veglia - in cui, comunque, non riusciva nemmeno a muoversi, avendo sempre i polsi e le caviglie legate- ad altri di sonno profondo, da cui si risvegliava a stento: decisamente, qualsiasi cosa gli iniettassero a distanza di qualche ora era molto più potente di qualsiasi narcotico a lui conosciuto. Certe volte, però, gli pareva di sentirsi più sveglio, come se gli stessero tornando le forze e la lucidità. Una, in particolare, ricordava di aver visto una figura china su di lui, con in mano una siringa. Il volto era coperto da un passamontagna nero, ma aveva gli occhi di colore particolare... Verde chiaro, gli pareva, con uno sguardo che gli era rimasto impresso... Anche se non era certo di averlo visto veramente, dato che viveva in un perenne stato di torpore. Ma era certo e più che consapevole delle continue iniezioni. E lui non riusciva ad opporsi in alcun modo, se non con proteste a parole, che subito venivano soffocate da minacce. La strana forza che avvertiva in quei pochi momenti, infatti, non era mai abbastanza per potersi difendere o anche solo per provare a liberarsi.
Nelle occasioni in cui era più lucido e presente a se stesso, aveva però ripetutamente domandato (più gridato, in realtà, con tutto il fiato che riusciva a tirare fuori) alla stanza vuota, ma con lo sguardo puntato verso le telecamere, cosa diavolo volessero da lui-almeno non era più imbavagliato-e ripetendo più volte che avevano commesso un macroscopico scambio di persona. Quella era una delle poche certezze che aveva, datagli da quel nome, Ross, che aveva sentito pronunciare dai suoi misteriosi sequestratori.
Ma avrebbe potuto anche parlare al muro, visto le repliche che ottenne.
Era più che certo, però, che qualcuno lo controllasse giorno e notte, senza sosta: la luce rossa ad intermittenza della telecamera era infatti l'ultima cosa che vedeva, prima che la sostanza facesse nuovamente presa su di lui, facendolo scivolare nel sonno.
Che tuttavia, ben lungi dall'essere tranquillo, era dominato da incubi continui, suscitati dall'ovvio timore per la sua sorte, in mano com'era ad individui sconosciuti, senza nome né volto, e incapace di difendersi.
Solo un'immagine era capace di ridonargli un pizzico di serenità: il volto di sua figlia, di cui sentiva terribilmente la mancanza, e la certezza di averla lasciata in buone mani.
Aveva solo una speranza, a cui aggrapparsi: era certo che, dovunque fosse, Sherlock lo avrebbe trovato e tirato fuori dai guai, ancora una volta.
Una parte di lui, quella del suo orgoglio, non amava passare per quello che doveva essere salvato: era sempre e comunque un ex soldato, abituato a cavarsela da solo.
Ma, razionalmente, sapeva anche fin troppo bene di non poter uscire da quella situazione.
Non stavolta.
Non da solo.
---
-...Quindi, chi dice di essere?
-Bah... Un certo John Watson. Lo ripete di continuo. - La guardia fece spallucce, sprezzante, ruotando la telecamera sul corpo del prigioniero semi incosciente.-Crede che siamo cosí stupidi?? Come se non sapessimo che quelli della CIA usano degli alias!
-Certo, però, che è strano... - borbottò la seconda guardia, ruotando l'altra telecamera. - Anche l'altro tizio che era con lui lo chiamava John.
-Perché, ti aspettavi forse che andasse a sbandierare ai quattro venti la sua vera identità??
- No, ma... Ancora qualcosa non mi convince... Perché fingersi un turista? E perché usare un alias? Era ovvio che l'avremmo riconosciuto.
-Te l'ho detto. L'hanno fatto per depistarci. E lui - picchiettò un dito sullo schermo-sta ancora provando a farci fessi. Forse pensa che se recita abbastanza bene la sua parte, lo lasceremo andare.
-Illuso. -La seconda guardia sorrise con aria quasi di compatimento. - Tanto basterà l'estrattore, no?
-Esatto, amico. Quasi quasi, mi fa pena. Nessuno resiste al Dottore.
I due uomini si scambiarono un sorriso, ma più simile ad un ghigno, concentrandosi nuovamente sulla loro osservazione; mentre un terzo, a volto coperto- come tutti i membri della sicurezza-rimasto in piedi in silenzio sulla soglia della stanza di sorveglianza, girava sui tacchi, il passo volutamente calmo e controllato, una mano stretta intorno ad un misterioso oggetto nascosto nella tasca della divisa.
---
Santuario di New York
Nello stesso momento
-E cosí... Lei comunica con... le formiche?? Ho capito bene??
-...Diciamo di sì. Lo so, è un po' strano. - Scott, con indosso una semplice t-shirt e un paio di pantaloni sportivi, allungò le gambe sul divanetto su cui era sdraiato, e fece a Molly un sorrisetto. - Mi creda, neanch'io mi sono ancora del tutto abituato. La prima volta che mi sono rimpicciolito, é successo per puro caso, e per poco non sono annegato nella mia stessa doccia!
Lei strabuzzò gli occhi, soffocando poi una risata, all'immaginare una scena così assurda e surreale.
-Ma se non rischi di morire quando acquisisci dei superpoteri, che supereroe sei? - si intromise Stark, mentre porgeva a Molly un bicchiere di carta.-Ho pensato che le andasse un caffè... - le disse, rivolgendole un sorriso ammalliatore.
-...Grazie. -La patologa arrossì.
- Stark, piantala di flirtare con la dottoressa!- lo rimproverò Banner, seduto su un divanetto all'altro capo della stanza. - Abbiamo del lavoro da fare!
-Non stavo affatto flirtando! - ribatté lui, quasi offeso, mentre riaccendeva il visore olografico e lo ricalibrava sulla firma gamma del portale ancora non localizzato. - La mia era solo normale gentilezza.
- Allora perché a noi il caffè non lo porti? - lo rimbeccò Barton, ironico.
-Preferisco non risponderti... - replicò il miliardario, strizzando poi, di nascosto, l'occhio alla patologa, che si fece quasi cadere maldestramente il caffè sulla camicetta gialla che portava.
Per fortuna, Stark si era messo a discutere con il Dottor Strange riguardo a portali dimensionali e simili, e non se accorse.
Dimostrando notevole perizia, Molly raddrizzò il bicchiere, e se lo portò alle labbra, sorbendo un sorso del liquido caldo e corroborante.
Si guardò poi nuovamente intorno, riflettendo sugli eventi che l'avevano travolta. Erano già passati due giorni, infatti, da quando Sherlock e il Dottor Strange erano letteralmente apparsi nel suo salotto.
Dopo aver affidato Toby alle cure della vicina, e aver preso in fretta alcuni effetti personali, l'avevano poi condotta in quel luogo incredibile, e di cui in quei giorni avevano esplorato solo in parte: era stata infatti troppo presa dall'incontro con Rosie e la signora Hudson-che erano state felicissime di vederla-e dal successivo con quegli incredibili individui che rispondevano al nome di Avengers. Ancora faticava a credere che tutte quelle storie che aveva solo sentito di sfuggita al telegiornale-superpoteri, supereroi e simili-fossero davvero reali.
E ora si trovava proprio in mezzo a loro, tutti intenti a discutere di portali dimensionali, agenti HYDRA... c'era da perdere la testa.
Ma, in mezzo a quel brusio, spiccava una vistosa eccezione: Sherlock Holmes.
Il detective, infatti, dopo aver passato ore al pc, seduto su una piccola poltrona-quasi più simile a un pouf-era sprofondato nel silenzio, le mani unite come in preghiera sotto al mento, gli occhi chiusi, apparentemente sordo a tutto quello che lo circondava.
Molly si ritrovò ad osservarlo, pensierosa, domandandosi quali astrusi e contorti ragionamenti, in quel preciso momento, occupassero la sua mente.
Il piano, infatti, sembrava già essere già definito.
-... Ma sta dormendo? - le mormorò Tony, improvvisamente, alludendo al riccio con un cenno del capo.
Molly nascose un sorriso.
-No, sta... pensando. Fa sempre così, da quando lo conosco.
-Vi conoscete da molto? - chiese lui di nuovo, accomodandosi davanti a lei.
Molly sorrise appena, ricordando il giovane uomo dagli occhi di ghiaccio e dai capelli corvini che, fin dal loro primo incontro, aveva preso possesso dell'obitorio del Barts Hospital, conducendo ogni tipo di esperimenti, alcuni dei quali alquanto... bizzarri.
-Da anni, ormai.
Stark assottigliò lo sguardo.
-Ma siete...? - domandò, facendo un gesto allusivo con la mano.
Molly si irrigidì, colta di sorpresa da quella domanda; ma prima che potesse aprir bocca per rispondere, si ritrovò il detective alle spalle, e trasalì: non l'aveva nemmeno sentito avvicinarsi!
-Molly, vieni con me- le ordinò, stringendole un braccio piano, ma con fermezza, e quasi trascinandola fuori dalla stanza, sotto lo sguardo attonito di Stark e di tutti gli altri.- Abbiamo del lavoro da fare.
---
-... Sherlock, mi vuoi spiegare che diavolo...!
- Non prenderei sul serio il flirtare di quello Stark, se fossi in te. - La interruppe il detective, continuando a trascinarla lungo il corridoio. - Ha una fidanzata, e sta per sposarsi.
Per l'ennesima volta, la patologa arrossí fino alla radice dei capelli.
-Io... io non... lui non stava...!! -si impose di smettere di balbettare, e sbuffò, esasperata. - Non voglio neppure chiederti come lo sai... Piuttosto, credevo non stessi ascoltando!
-I miei timpani e di conseguenza il mio udito sono perfettamente funzionanti, Molly. - ribatté Sherlock, sollevando ironicamente un sopracciglio.
- Ma di solito quando rifletti non presti attenzione a nulla, e perciò...!
-E poi, come fa a piacerti?? - la interruppe il riccio, con una smorfia evidente. - Ha i baffi! E la barba!
Pronunciò la parola "barba" come se fosse il peggiore degli epiteti, tanto che Molly lo guardò sbigottita.
-...Embé? Cos'hai contro i baffi?? O la barba??
-Non ci si può fidare delle persone non rasate- rispose il detective, come se enunciasse un teorema universale e indiscutibile.
Molly scoppiò a ridere, incapace di trattenersi.
-Ti ricordo che anche tu, anni fa, te la sei lasciata crescere! Non ti sei rasato per giorni!
Sherlock le scoccò un'occhiataccia.
-Mi sono solo un po'... trascurato. Ed era per un caso!
Molly ricordò solo in quel momento che il detective aveva già reagito in quel modo così strano nei suoi confronti: era successo anni prima, proprio quando le era stato presentato il dottor Strange, e lei si era complimentata per i suoi successi in campo medico.
Che fosse... gelosia, la sua?? Sherlock Holmes era geloso... di lei??
La sua parte razionale non voleva neppure contemplare una simile eventualità: ma il suo cuore, invece, ci si soffermò per alcuni lunghi istanti.
Prima che potesse nuovamente bocca per ribattere, però, il detective la precedette.
-Questa conversazione è alquanto sterile. Credo sia il caso di concluderla- disse, lapidario, mentre la conduceva verso la porta del Santuario. - Abbiamo cose più importanti di cui occuparci, ora.
- Cioè? Vuoi dirmelo, una buona volta?? - sbottò la patologa, comunque esasperata dal suo atteggiamento e dalle sue frasi più criptiche del solito.
-Stasera andiamo in battaglia - le ricordò, con un microscopico sorriso, e Molly non poté fare a meno di notare che la sua mano era ancora stretta intorno al suo braccio.-Dobbiamo procurarci l'armatura...
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro