Lo sparo
Dopo quella voce paurosamente gelida, John avvertì con estrema chiarezza l'altrettanto fredda canna di una pistola sulla sua nuca.
Ma non fu questo a terrorizzarlo, bensì la consapevolezza che Sherlock, dopo aver cacciato quel grido di dolore, aveva perso i sensi; e che, da quel momento, non aveva emesso neppure un fiato, rimanendo inerte tra le sue braccia. Non voleva neppure contemplare l'ipotesi che...
- Il suo amichetto non è morto- sussurrò l'uomo alle sue spalle alla domanda che non aveva osato neppure pensare.- Gli ho solo sparato un po' del nostro... sonnifero speciale. Lei dovrebbe conoscerlo bene. Non ci darà fastidio per un bel po'. Devo ancora decidere cosa fare di lui...
John, sollevato solo in parte- non potendo controllare di persona le condizioni di Sherlock, che sembrava completamente privo di sensi- si irrigidì, mentre, finalmente riconosceva quella voce, sebbene non osasse voltarsi per guardarlo in faccia: Jasper Sitwell, l'uomo che aveva più volte visto al fianco di Smith durante il suo "soggiorno" in quel dannato laboratorio.
I suoi occhi corsero all'arma dell'amico, caduta a pochi passi da lui.
Ma Sitwell, come se avesse gli avesse letto nel pensiero, premette maggiormente la canna della pistola.
- Non ci provi nemmeno- sibilò, minaccioso.- Ora si inginocchi. E lo lasci cadere. Subito, se non vuole che spari al suo caro amico detective qualcosa di peggio che un sonnifero.
John digrignò i denti, e si costrinse ad ubbidire, lasciando scivolare con la maggior delicatezza possibile il corpo di Sherlock a terra, mentre lui stesso si inginocchiava sul pavimento metallico. Jasper, a quel punto, gli strinse rudemente i polsi, portandoglieli dietro la schiena e ammanettandoglieli, sotto la costante minaccia dell'arma.
Nonostante la situazione fosse disperata, il medico pensò che forse poteva almeno cercare di farlo parlare, così da guadagnare tempo: dopotutto, Sherlock aveva detto che non era venuto da solo.
Quindi, forse, qualcuno sarebbe venuto... No?
- Crede forse di farla franca?-ringhiò, quindi, cercando anche di non soccombere alla debolezza che ancora lo pervadeva.-Il suo capo è fuori gioco, e se non sbaglio, la vostra base è sotto attacco-sottolineò, con una certa ironia.
- Zitto!-sibilò Sitwell, mentre lo teneva piegato a terra.- L'avevo detto, a Zola, che stava temporeggiando troppo. È stato uno stupido. Io non commetterò il suo stesso errore.
John non impiegò troppo a capire che con quel nome il suo aguzzino si stesse riferendo a Culverton Smith: anche se tutta la faccenda gli era ancora poco chiara. Non che avesse il tempo di preoccuparsene, in quel momento.
- La vostra preziosa macchina è distrutta-aggiunse, imperterrito, con un pizzico di trionfo nella voce.- Quindi penso proprio che nessuno di voi bastardi potrà più giocare col mio cervello, o con quello di chiunque altro!
Sitwell, a quel punto, rimase immobile per qualche istante: era chiaro che quell'informazione gli giungeva nuova; la sua voce, però, suonò all'orecchio del medico melliflua e grondante perfidia.
- ... Crede forse che sia l'unico modo in cui possiamo giocare col suo misero cervellino?-sibilò, la pistola sempre più premuta sulla sua nuca, e torcendogli al punto i polsi dietro la schiena da strappargli un gemito.- Ma su una cosa, lo ammetto, ha ragione. Due cavie non mi servono. Meglio liberarsi di inutili zavorre.
John impallidì, capendo all'istante le intenzioni di quel maledetto.
- NO! Non lo faccia!- lo pregò, nonostante lo disgustasse dover implorare il suo aguzzino: ma per salvare Sherlock, era più che disposto ad accettare quell'umiliazione. -Verrò dove accidenti vuole! Ma lo lasci stare!
-Troppo tardi- replicò Jasper, e il medico, nonostante non riuscisse a vederlo in faccia, riusciva quasi a scorgere le sue labbra sollevate in un ghigno diabolico, mentre puntava una strana pistola contro il corpo del corvino, e tenendo lui forzatamente piegato a terra.- Dica addio al suo amichetto...
John, con le sue residue forze, cercò disperatamente di divincolarsi dalla sua presa: ma fu tutto inutile; essa rimaneva ben salda, impedendogli persino di alzarsi in piedi.
Poteva solo stare a guardare, impotente, gli occhi pieni di lacrime.
Fu a quel punto, che partì lo sparo, che rimbombò nel corridoio deserto e silenzioso.
Proprio come era accaduto nell'incubo che lo aveva tormentato nelle ultime ore: quello in cui lui stesso era stato costretto a sparare contro Sherlock.
Solo che, stavolta, era reale.
Mancava solo la risata malefica di Culverton Smith in sottofondo.
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John rimase per qualche istante paralizzato dal terrore, prima di rendersi davvero conto di ciò che era realmente accaduto: il colpo non era stato sparato da Sitwell.
Sarebbe stato impossibile, infatti, dato che lui era proprio in quel momento scivolato ai suoi piedi, senza emettere neppure un rantolo, finendogli quasi addosso, l'arma ancora stretta tra le dita, chiaramente morto, una evidente ferita sulla nuca causata per l'appunto da un proiettile.
Prima che il medico potesse effettivamente riprendersi dalla sorpresa, sentì dei passi rapidi alle sue spalle, e delle mani stringergli i polsi: prima che potesse dire qualunque cosa, una voce gli si rivolse in tono fermo ma gentile.
- Sta bene? -gli domandò il suo ignoto salvatore, mentre gli toglieva le manette, e lo aiutava poi a tirarsi in piedi.- Ho cercato di arrivare prima. Purtroppo non ho potuto impedire che sparassero al suo amico. Fortunatamente era solo sonnifero.
John, sorpreso, ma finalmente libero, si girò: grande fu la sua sorpresa, nel trovarsi di fronte un uomo vestito con una tuta nera, il volto completamente coperto da un passamontagna, che ne celava completamente i tratti del viso.
Capì all'istante di trovarsi di fronte una delle tante guardie che aveva visto durante la sua prigionia, e in principio si irrigidì: nonostante avesse appena salvato lui e Sherlock da quel pazzo, non poteva essere certo che fosse dalla loro parte.
Ma cambiò idea non appena lo guardò negli occhi, che erano, a parte le labbra, l'unica parte visibile del suo volto: erano verde scuro. E realizzò che non era la prima volta che li vedeva.
Durante le ore in cui era chiuso nella cella, infatti, aveva più volte intravisto un uomo chino su di lui: ma aveva pensato che non fosse altro che un'allucinazione provocata dalla maledetta sostanza che gli avevano iniettato a ripetizione. Allo stesso modo, aveva notato, mentre era legato nel laboratorio, una guardia, immobile, fissarlo oltre un vetro.
In entrambe le occasioni, gli occhi di quella guardia sconosciuta erano fissi nei suoi.
E non gli erano mai parsi freddi e indifferenti come quelli di tutte le altre guardie; forse anche per questo li aveva subito riconosciuti.
Mentre era preda di tutti quei ricordi improvvisamente riaffiorati, lo colse un violento capogiro: subito, la misteriosa guardia-ancora senza nome- si affrettò a fargli appoggiare la schiena contro parete, fino a farlo sedere a terra, una mano posata sulla sua spalla, gli occhi fissi nei suoi.
-Stia tranquillo. È l'effetto dell'ibernazione. Passerà in fretta. Respiri a fondo-gli ordinò, parlandogli con una voce calda e rassicurante.
John ubbidí e, in effetti, il capogiro passò: anche se si sentiva ancora debole.
La "guardia", intanto, trascinò con delicatezza il corpo di Sherlock al suo fianco, posandogli poi due dita sul collo; annuì, visibilmente sollevato.
- Anche il suo amico si riprenderà. Tra l'altro, le devo confessare che sono rimasto molto sorpreso. Non avevo mai visto nessuno riuscire ad opporsi così a lungo al narcotico come lei. Purtroppo capogiri e debolezza sono inevitabili. Specie dopo l'ibernazione.
John, strizzando gli occhi, sollevò appena le labbra in un mesto sorriso: forse la sua resistenza a quella sostanza, soprattutto dopo l'incontro con Smith, era stata dovuta al suo terrore di ripiombare nuovamente nell'incubo in cui sparava al suo migliore amico.
-... Purché il mio cervello sia ancora normale, posso sopportare un po' di giramenti di testa-borbottò, con una smorfia.
L'altro rise sommessamente.
-Di questo non dubiti. Con i parametri scorretti che ho inserito, non avrebbero potuto cambiarla di una virgola.
John si voltò di scatto, e quel movimento repentino gli costò una dolorosa fitta al collo; ma se ne curò a malapena.
- ... È stato lei??-mormorò, incredulo.
L'uomo annuì.
- Esatto. Le ho anche iniettato una sostanza per attenuare l'effetto del narcotico, ogni volta che ho potuto. Anche se lei, come ho già detto, ci riusciva molto bene anche da solo. E sono stato sempre io a bypassare il sistema del blocco porte, permettendo a Banner e al suo amico detective di accedere al laboratorio. Poi quando ho, attraverso un monitor di sorveglianza, visto che Sitwell vi stava dando la caccia, sono accorso immediatamente.
John rimase quasi a bocca aperta.
- A quanto pare, le devo la vita. Ripetutamente. E non solo la mia- esclamò, incredulo.- Ma ancora non so il suo nome, né perché abbia fatto tutto questo.
- Non posso rispondere alla prima, mi dispiace-ribattè l'altro, con fermezza, mentre armeggiava con qualcosa tirato fuori dalla tasca: un marchingegno simile ad un telecomando.- Per la seconda, posso solo dirle che ero sotto copertura in questa base da diverso tempo, per un organo, diciamo... extra governativo. Sospettavamo che Sitwell, prima o poi, avrebbe cercato di far evadere il suo capo da Pentonville. E sospettavamo anche della presenza dei Chitauri geneticamente modificati. Ma la nostra squadra non aveva ancora i mezzi sufficienti per attaccarla. In un certo senso, lo scambio di persona di cui lei è stato, purtroppo, la sfortunata vittima, è stata provvidenziale: senza l'intervento degli Avengers, non avremmo mai potuto catturare nuovamente Zola. Mi scusi, Culverton Smith. Lei probabilmente lo conosce con questo nome. È stato solo dopo la loro invasione nella Base, che ho potuto agire. Ah, a proposito di lui, stia tranquillo. Lo rinchiuderemo dove non potrà più nuocere, stavolta.
Il medico si ritrovò per qualche istante completamente allibito, sotto quel fuoco di fila di informazioni-alcune del tutto oscure per lui- e in parte scioccato dalla notizia che Sherlock avesse addirittura chiesto aiuto agli Avengers, per farlo uscire da lì.
- ... Chitauri??? Intende quei cosi alieni che hanno assaltato New York qualche anno fa??
- Proprio quelli. Ora aspetti un secondo... Ecco fatto!-disse, compiaciuto, finendo di armeggiare con quello strano telecomando, che a John però risultò incredibilmente familiare: pochi secondi dopo, la placca metallica attaccata vicino al suo orecchio si staccò, cadendo a terra con un tintinnio; la guardia la raccolse, porgendola poi al medico.
- Lo consegni a Stark. Sono certo che sarà ben felice di studiare un bel manufatto alieno...-commentò, con un'ombra di divertimento nella voce.
Il biondo lo prese distrattamente, e lo mise in tasca, passandosi poi le dita nel punto in cui si trovava la placca, sentendo, con sollievo, solo la sua pelle.
- Davvero non può dirmi il suo nome?-protestò, però, studiando ancora quel volto dai tratti completamente celati ma da quegli occhi così particolari.
Lui scosse la testa, sinceramente dispiaciuto.
- Davvero non posso. Ho già corso un rischio venendo qui. Ma non potevo certo permettere che uccidessero lei o il suo amico. Il mio nome, comunque, almeno a lei, non direbbe nulla- aggiunse, con uno strano tono, triste, addirittura, portandosi poi una mano all'orecchio.- Ora è meglio che io sparisca. Grazie al segnale che gli ho inviato, arriveranno tra poco. E non voglio che mi trovino qui.
-... Arriveranno?? -ripetè John, confuso e ancora incredulo nonostante tutto.-Sono davvero... Loro??
L'altro gli posò una mano sulla spalla, stringendola con un sorriso leggero, ma caldo.
- ... Gliel'ha detto, no, il suo amico?-alluse a Sherlock con un cenno del capo.- Non è certo venuto a salvarla da solo.
Detto questo, dopo avergli fatto un occhiolino, aprì rapido una porta alla destra del corridoio, sparendo alla sua vista in pochi istanti.
-Aspetti!!-protestò John, cercando inutilmente di tirarsi in piedi.-Voglio almeno sapere chi...!!
Non potè terminare la frase, perché, proprio in quel momento, una delle porte a sinistra del corridoio si spalancò di botto-come se qualcuno l'avesse colpita con un violento calcio- seguita da un grido.
- Fermo dove sei, BASTARDO!!
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John sussultò, mentre uno strano tipo con indosso un'altrettanto bizzarra tuta rossa e nera integrale- simile a quella di un motociclista- irrompeva nel corridoio con una pistola tra le mani.
- Non fare un solo...!-continuò questo; per poi ammutolire, nel vedere lui e Sherlock appoggiati alla parete, e il cadavere di Sitwell riverso a terra.
- Ma... Come ha fatto??- fece il nuovo venuto, incredulo e confuso, girando poi lo sguardo verso Sherlock immerso nel sonno.-Oddio!! Lei sta bene?? E il signor Holmes?? E gli altri dove sono??? Ho visto dalle telecamere... Quel bastardo che gli ha sparato alle spalle!! Ho corso più veloce che ho potuto, ma questi condotti dell'aria sono peggio di un labirinto! Pensi che prima sono finito nel bagno! Di nuovo...- sottolineò, con una smorfia, mentre John lo fissava, un po' stordito da quella parlantina e da quell'apparizione improvvisa.
- ... E lei sarebbe???
- Oh, già scusi! Non mi sono presentato!-replicò l'altro, allegramente, togliendosi il casco, rivelando così un volto decisamente più giovane di quello che lui si aspettava, sulla labbra un sorriso amichevole.- Scott Lang. In arte Ant- Man. Anche se credo che non abbia ancora sentito parlare di...
Prima ancora che potesse finire di parlare, dal corridoio adiacente sbucò un altro individuo, stavolta a John ben noto, ma che per qualche istante lo fece letteralmente rimanere a bocca spalancata per lo stupore: era Mycroft Holmes, ma aveva una strana arma tra le mani, un taglio sul volto, le maniche della elegante camicia bianca rimboccate fino ai gomiti... e sporca di quello che sembrava... sangue, ma di una strana tonalità bluastra. Aveva, inoltre, una luce negli occhi che John non credeva di aver mai visto su quell'uomo da lui sempre ritenuto serio e compassato.
In qualche angolo remoto del suo cervello, si rammaricò che Sherlock fosse privo di sensi: avrebbe pagato chissà cosa per vedere quello che stava vedendo lui.
-Dottor Watson... -lo salutò questi incredibilmente, con un cenno del capo, come se nulla fosse.
John, sempre più incredulo, alzò appena la mano in risposta.
Lo sguardo di Mycroft, poi, corse a Sherlock. Nel vederlo totalmente privo di sensi, si irrigidì, e i suoi occhi si tinsero di visibile preoccupazione, mentre si chinava su di lui.
- Sta bene, è solo narcotizzato-gli disse subito John, anche se a fatica, avvertendo nuovamente pervaderlo una forte debolezza e un senso di nausea.
Mycroft posò, per sicurezza, due dita sul collo del fratello, e subito la sua espressione si rilassò: lanciò poi uno sguardo carico d'odio verso il cadavere di Sitwell.
- È fortunato ad essere già morto- ringhiò sommessamente. Il medico rimase sempre più stupito da quella palese emotività dimostrata dal cosidetto "Uomo di ghiaccio".
Ma non ebbe troppo tempo per rifletterci, perché proprio in quel momento arrivò... il Dottor Strange.
La situazione si faceva sempre più surreale; se non si fosse sentito così debole, forse si sarebbe messo a ridere.
-Scott!-esclamò questi, sorpreso, rivolto allo strano motociclista, mentre anche il suo sguardo guizzava verso il cadavere.-Che ci fai qui?? Credevo avessi giá raggiunto Barton!
-Stavo per farlo, ma poi ho visto dalle telecamere che Sitwell stava...!
-Credo che dovremmo discuterne altrove- tagliò corto Mycroft, mentre passava un braccio dietro le ginocchia e l'altro dietro la schiena del fratello, sollevandolo da terra con delicatezza e reggendolo da solo, dimostrando una forza di cui neppure John stesso lo avrebbe mai ritenuto capace; si rivolse poi a Strange.-Piuttosto, aiutate il dottor Watson. Credo sia prossimo a svenire.
Ci mancano solo le sue, di deduzioni, in questo momento! pensò John, esasperato.
Purtroppo, però, ci aveva preso in pieno: mentre Strange e Scott lo sollevavano piano da terra, infatti, venne colto da un ennesimo capogiro, e gemette.
-Sta bene?-gli domandò Strange, sollecito.
-"Bene" per quanto si può stare dopo essere stati in un freezer...-borbottò lui in risposta, sarcastico, mentre la sua vista si annebbiava per l'ennesima volta.
- ... E gli altri?-domandò Lang a Strange.
- Ci raggiungeranno dopo. Anche Banner... anzi, Hulk-si corresse lo Stregone, con un sorrisetto mentre, tutti insieme, si dirigevano, finalmente, verso la porta d'uscita, tenendo saldamente in piedi il medico.- Stark ha detto che devono... "finire di pulire".
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-Era ora che il Fusto si facesse vivo!-scherzò Stark, mentre Hulk, dopo un ruggito, lanciava detriti contro un intero gruppo di Chitauri.- Ma scommetto che ne faccio fuori più io prima di lui!
-...Credevo che non fosse un gioco, signor Stark!
-Tu zitto e dammi una mano!-intervenne Ross, sbuffando.- Qui non abbiamo tutti superpoteri o super armi!
- Come?? Niente armi nascoste nello smoking o roba del genere?? Mi delude!
- ... Io non sono James Bond, quante volte glielo devo dire!?
- Adoro quei film!- si intromise Spiderman, con tono entusiasta.- Penso che quelli con Daniel Craig siano...!
- ZITTO!-esclamarono Stark e Ross ad una voce, esasperati.
In una stanza della Base, la misteriosa guardia dagli occhi verdi osservò, per qualche istante, dalla telecamera di sorveglianza, la scena.
Guardò Hulk, Iron Man, Spider-Man e l'agente Ross spazzare via i Chitauri rimasti, lavorando in perfetta sincronia, accompagnati però costantemente da qualche commento sarcastico di Stark, che lo portò a ridacchiare più di una volta.
Era così assorbito da quelle immagini, che il suono del suo cercapersone lo fece trasalire: Zola era stato prelevato. Era ora di andare.
Controllò prima, però, un altro visore: Mycroft Holmes e gli altri erano usciti, e diretti verso la macchina già preparata da Barton.
Sorrise leggermente, soddisfatto. Ma, mentre spegneva le telecamere, gli sfuggì un sospiro.
- Forse prima o poi ci rivedremo, ragazzi-mormorò, uscendo dalla stanza, sempre con quel leggero sorriso sulle labbra.- Prima o poi...
E, dopo quell'ultimo saluto, l'agente sottocopertura dello S.H.I.E.L.D, Phil Coulson, uscì per una porta secondaria del complesso, lasciandosi la base Hydra e quella missione-compiuta soprattutto grazie a un "piccolo" aiuto- alle spalle.
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