La parata
New York
Quattro giorni dopo
John aveva sentito più volte parlare di Times Square, naturalmente: la celebre piazza della Grande Mela era quella più conosciuta e nominata, dove venivano celebrate la maggior parte delle parate e delle manifestazioni, ivi compreso il conto alla rovescia dell'ultimo dell'anno.
Ma vederla dal vivo invece che su uno schermo del computer era decisamente tutta un'altra cosa.
Nugoli di palloncini variopinti erano disseminati in ogni angolo- o già si libravano in aria- insieme a banchetti dove si vendevano souvenir - a tema Avengers, naturalmente- e già una grande folla si premeva davanti alle transenne, in attesa del passaggio dei tanto attesi carri.
In mezzo a tutta la musica, i colori e la confusione, una figura con indosso un cappotto nero sbuffò, contrariata.
-...Ora capisco cosa intendeva Mycroft...-la voce di Sherlock era quasi disgustata, mentre si faceva faticosamente largo tra la folla. -Il rumore...il...popolo! Ora capisco davvero, cosa intendeva...Aveva ragione.
Il medico-con indosso un berretto con la scritta "We have an Hulk" in lettere verdi fosforescenti-si voltò verso di lui con un sorrisetto stupito.
- Hai seriamente dato ragione a tuo fratello??? Potresti ripetere, che lo registro sul cellulare???
Il detective emise un altro sbuffo.
-Dico solo che forse non aveva tutti i torti. Questo chiasso mi impedisce addirittura di...pensare!
-E infatti non devi pensare, oggi! Per una volta, metti il cartello di "Chiuso" sulla porta del tuo stramaledetto palazzo mentale!-replicò il medico, esasperato, alzando gli occhi al cielo. -Questa è una vacanza, hai presente?
-Sì!! Ossia un tempo per me considerevolmente troppo lungo e privo di senso, e in questo caso reso ancora più insopportabile da...!!
-...Zio, vuoi un po' del mio gelato?
Rosie, sul capo un cappello come quello del padre, ma rappresentante lo scudo di Capitan America, alzò il cono che teneva tra le mani-al gusto di "Spaccatella Hulk" e parzialmente in procinto di sciogliersi-verso il detective, con un sorriso.
E, come accadeva ogni singola volta, l'espressione di Sherlock, da infastidita e contrariata, mutò; anche le sue labbra, dapprima strette, si sollevarono in un sorriso, mentre rivolgeva la sua attenzione alla piccola.
John si stupì, una volta di più, del potere quasi magico che sua figlia aveva su Sherlock Holmes: la sua voce era in grado di ammansire e addolcire il detective in una frazione di secondo, simile al mitico Orfeo che, con la sua musica, calmava anche le bestie più feroci.
E aveva avuto modo di scorgere più volte, in quei quattro giorni, quella magia: erano state infatti giornate incredibilmente tranquille e divertenti- anche per Sherlock: non che lui l'avrebbe mai ammesso, ovviamente!-in giro per i tutti i luoghi di New York che valevano la pena di essere visitati: persino le zone dove, secondo i media, si era svolta la celebre battaglia tra gli Avengers e delle creature aliene.
Anche la signora Hudson aveva partecipato a tutti quei giri turistici: la stanchezza, però, l'aveva quel giorno assalita, e aveva perciò deciso, seppur a malincuore, di non assistere alla parata, e di rimanere in Hotel, facendosi promettere qualche foto.
D'improvviso, la fiumana di gente cominciò ad agitarsi, mentre risuonava nell'aria una musica allegra e assordante: da lì a poco, sarebbe arrivato, procedendo a passo d'uomo, il primo carro; da quello che John aveva letto su internet, sarebbe stato quello dedicato a Capitan America.
-Papà! Sta arrivando il carro!-esclamò infatti Rosie, alzandosi in punta di piedi, essendo la sua vista purtroppo ostruita da molte persone, e tutte decisamente più alte di lei.
-Aspetta, piccola!- John rise, davanti a quei maldestri tentativi.-Ora ti...
Ma prima che potesse muoversi, Sherlock aveva già sollevato la bimba, ponendola sulle sue spalle, e cogliendo il medico di sorpresa, tanto per cambiare.
-Senza offesa, John, ma credo che Rosie godrà di una migliore visuale, così.
Il medico gli scoccò un'occhiataccia, mentre la bambina, da quella posizione in effetti privilegiata rispetto alla folla, cacciava un grido di gioia.
-...È un velato insulto alla mia altezza?
-Non mi permetterei mai...-replicò lui, sgranando innocentemente gli occhi, anche se le sue labbra tremarono in un modo sospetto.
-Attento, perchè io sono Hulk!-gli ricordò lui, indicando il berretto, e fingendosi minaccioso.-Meglio non farmi arrabbiare.
Sherlock inarcò un sopracciglio.
-...Un po' gracilino, come Hulk...
Rosie scoppiò in una fragorosa risata.
-Però è vero! Papà quando si arrabbia sembra Hulk! Lui è fortissimo! Spacca sempre tutto!
Sherlock scosse la testa, nascondendo un sorriso.
-Ci vuole una foto!-sentenziò John improvvisamente, frugando nel piccolo borsone che aveva portato con sè. -Ma prima... tu devi metterti questo!
Il medico, con un piccolo ghigno, estrasse un berretto della stessa serie del suo e della figlia, ma questo era rosso, con la scritta "I am Iron Man" in lettere dorate.
Sherlock guardò l'indumento tra le mani dell'amico come se fosse una qualche sorta di esperimento mal riuscito.
-Non metterò mai, ripeto, mai, quel coso sulla mia preziosa testa-sibilò.
-Dài, solo per un momento! Solo una foto, per la signora Hudson!-insistette il medico, sventolandoglielo sotto il naso.
-John, quale parte di "no" il tuo cervello non riesce a comprendere??
-Dallo a me, papà! Me lo metto io!-si intromise Rosie ancora una volta.
Lui, con un piccolo sbuffo rivolto al detective, glielo porse; ma la piccola, appena lo ebbe in mano, lo infilò rapidamente sul capo riccioluto del detective.
-Piccola Watson, sei una traditrice!-inveì Sherlock, avvertendo la stoffa dell'oggetto estraneo premuta sulla sua testa, e impossibilitato a toglierlo, dal momento che la bambina vi teneva entrambe le manine sopra per impedirglielo. Non che lui si sforzasse molto...
-Presto presto! La foto!-esclamò Rosie, ridendo.
Il biondo si affrettò ad ubbidire e, soffocando le risate, sollevò il dispositivo, inquadrando tutti e tre in un bizzarro selfie di gruppo, sebbene uno dei componenti non ne fosse del tutto entusiasta.
-Visto? Non è stato poi così terribile!-rincarò la dose John, rimettendo il cellulare in tasca, mentre il corvino si toglieva finalmente il cappellino e lo guardava in cagnesco; anche se sembrava che si stesse trattenendo dal sorridere.
Nel frattempo, la folla cominciò a premere sempre di più dietro le sue spalle-forse fin troppo- perciò fece un piccolo passo avanti, avvicinandosi di più al detective. Nel frattempo, rimirò ancora per qualche secondo la foto, sorridendo, per poi impostarla come salvaschermo.
Ad un tratto, però, il suo sorriso mutò in una smorfia, seguita da un lamento.
-Ahi! Ma che...!?
Sherlock aggrottò la fronte.
-Qualcosa non va?
Il medico si portò una mano alla nuca, massaggiandosela; scosse poi la testa.
- No, niente... forse qualche insetto-borbottò. Si sentiva, però, strano: come se il calore del sole e della ressa, all'improvviso, si fosse amplificato, diventando per lui insopportabile, mentre la testa gli si faceva insolitamente pesante. Persino la vista gli sembrava si fosse annebbiata di colpo.
-John, sei sicuro di star bene?-La voce del detective si fece preoccupata, mentre lo scrutava.
Il medico annuì, portandosi però una mano alla fronte, e togliendosi il cappellino.
-... Dev'essere il caldo. Non so come tu faccia a tenere addosso il cappotto!-minimizzò con una risata, porgendoglielo.-Poco fa ho visto una fontanella; tu resta qui con Rosie, altrimenti vi perdete l'inizio. Ti lascio il borsone. Torno subito-promise, posandolo ai suoi piedi, e infilando il cellulare in tasca.
Sherlock, seppur un po' dubbioso, annuì, voltando poi lo sguardo verso il colorato carro in arrivo, tenendo però saldamente, seppur con delicatezza, le mani strette sulle gambette della piccola Rosie che, già catturata dallo spettacolo, non si era accorta della discussione, e batteva le mani al ritmo con la musica, gli occhi blu brillanti di entusiasmo. A John, nell'osservare un momento la scena, sfuggì di nuovo un tenero sorriso.
A malincuore, voltò però le spalle e cominciò a farsi largo tra la folla, controcorrente, diretto verso la zona dove ricordava di aver visto quella fontanella, sicuro che un po' d'acqua fresca gli avrebbe di certo giovato.
Ma più passi faceva, peggio si sentiva: le persone intorno a lui cominciarono a diventare sempre più una massa indistinta, i suoi passi sempre più incerti, e le tempie a pulsargli, come se stesse per arrivargli una forte emicrania. Non aveva voluto far preoccupare Sherlock, ma forse quell'improvviso malessere era più serio di quello che aveva inizialmente pensato.
D'improvviso, mise un piede in fallo: ma prima che potesse cadere, una robusta mano gli strinse il braccio, sostenendolo.
-Signore! Non si sente bene?? Vuole che l'accompagni a sedersi?
John strizzò gli occhi, nel tentativo di scorgere chiunque gli fosse gentilmente venuto in soccorso. Era un uomo sulla quarantina, dai capelli castani e gli occhi scuri. Faticò però a vederne i tratti del viso con chiarezza: la sua vista si stava sempre più annebbiando.
-Sì, grazie... In effetti... deve... essere il caldo...-mormorò, anche se ormai era chiaro che fosse qualcosa di più che un semplice colpo di calore.-In effetti, forse è meglio... che avverta...
Si portò la mano alla tasca, seppur impacciato dalla confusione e dal giramento di testa, estrasse il cellulare e, con dita altrettanto impacciate, fece per selezionare la chiamata rapida. Sperava solo che il detective lo sentisse suonare. In caso contrario, avrebbe potuto chiedere all'uomo, che lo stava ancora sostenendo, di chiamare un'ambulanza. Si stavano allontano sempre più dalla piazza e dalla ressa, forse diretti ad una panchina.
Ma, ancora prima che potesse sfiorare lo schermo, avvertì un'altra mano stringergli il braccio sinistro, e si voltò: era un uomo dai capelli biondi corti, con indosso un paio di occhiali da sole.
-C'è uno studio medico, qui vicino-fece questi, con un forte accento americano, un po' diverso da quello dell'altro uomo.-Non si preoccupi. La accompagniamo noi.
Il biondo però, nonostante fosse sempre più stordito, scosse la testa, trovando anche forse un po' strano che fosse arrivato un altro sconosciuto a prestargli soccorso così all'improvviso e così tempestivamente.
-Vi ringrazio, ma non dovete disturbarvi. Sto già...
Prima che potesse finire la frase, il primo uomo gli sfilò il cellulare dalla presa già poco salda... per poi gettarlo in un cestino della spazzatura vicino.
-Che...??
John rimase incredulo per una frazione di secondo, mentre sentiva di perdere sempre più lucidità. Fece per sottrarsi alla presa dei due, ma la stretta intorno alle sue braccia si fece molto più ferrea di poco prima. Non solo, ma lui stesso si sentiva come se fosse stato privato del tutto delle energie. Gli pareva che lo stessero trascinando sempre più come un peso morto, o come una marionetta, più che condurlo. Persino camminare sembrava diventato improvvisamente più difficile e faticoso. Non solo, ma si rese conto che si erano allontanati dalla piazza centrale molto più di quello che pensava. Sentiva ancora la musica, ma quello dove si trovavano, per quel poco che ancora riusciva a vedere, sembrava un vicolo, e pure deserto.
-Non opponga resistenza. Tanto è inutile-gli sussurrò l'uomo alla sua destra, in tono completamente diverso da poco prima, freddo e minaccioso.
-Che d-diav...?? Chi siete?? Cosa vo...!?
Un panno gli venne d'improvviso premuto con forza sul naso e sulla bocca dall'uomo alla sua sinistra, soffocando le sue parole. La vista gli si annebbiò del tutto, mentre un disgustoso odore chimico lo assaliva.
Provò a gridare, ma non riuscì ad emettere nulla più che un inutile e quasi inudibile mugolio. Tentò, di nuovo, di divincolarsi, ma la presa dei due era troppo salda e lui, al contrario, sempre più debole secondo dopo secondo, anche a causa della mancanza d'ossigeno. Anche udire qualcosa gli era sempre più difficile: sentì infatti, ma sempre più ovattati, i rumori della parata in lontananza e quella stessa voce fredda sussurrargli di nuovo nell'orecchio, stavolta compiaciuta.
-Gliel'ho detto, resistere è inutile... signor Ross.
John ebbe a malapena il tempo di chiedersi chi diavolo fosse il "signor Ross", prima che si sentisse cadere all'indietro, e prima che l'oscurità lo inghiottisse del tutto.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro