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Into battle.

Un cielo insolitamente plumbeo per la stagione estiva sovrastava New York, quella sera, quasi fosse un presagio di quello che sarebbe accaduto da lì a poco. Ancora nessuna goccia di pioggia o lampo, comunque, si era ancora palesati. La classica quiete prima della tempesta.
I pochi newyorkesi che transitavano in quella zona poco fuori la città, però, si erano già rintanati nelle proprie case. Solo una figura era rimasta, immobile, in attesa, seduta su una panchina di un anonimo e spoglio parco pubblico.
D'improvviso, una macchina nera si fermò a pochi passi da lui, e da cui scese un uomo vestito con un elegante completo scuro, il volto coperto appena da un paio di occhiali da sole.
-È lei Mycroft Holmes?-domandò, in tono freddo.
L'uomo seduto sulla panchina inarcò un sopracciglio.
-Vediamo... Sono l'unica persona nel raggio di dieci miglia, seduta proprio nel posto concordato, precisamente in orario... Meno male che gli agenti Hydra dovevano essere intelligenti...-sottolineò, sollevando appena le labbra in un sorrisetto sarcastico.

L'uomo contrasse la mascella, chiaramente indispettito, ma rimase volutamente impassibile, aprendo poi lo sportello della vettura, e invitandolo con un cenno secco della mano a salire.
Mycroft si alzò lentamente dalla panchina, e salì sulla vettura, senza tradire alcun nervosismo o esitazione; al suo interno vi era già seduto un altro uomo, che sembrava un clone del suo collega: anche l'altro salì, ponendosi subito alla sua destra. Il politico si ritrovò così stretto tra i due; gli sfuggì una smorfia di istintivo fastidio per quel contatto obbligatorio.
E il suo fastidio aumentò, seguito dall'incredulità, quando l'uomo alla sua sinistra gli porse quello che sembrava essere un sacco di tela nera.
-Deve mettere questo- gli ordinò, in tono freddo e piatto.
Mycroft guardò l'oggetto di stoffa come se fosse un disgustoso insetto.
Notando il suo palese disaccordo, l'altro uomo intervenne, chiaramente minaccioso.
- Se si rifiuta, l'accordo salta-gli ricordò, anche se non ce ne era alcun bisogno.-Il capo vuole essere certo che lei non sappia dove stiamo andando. Siamo autorizzati a usare le maniere forti.

Un desiderio evidente di mettere in pratica tale minaccia trapelò dal suo tono. Mycroft, però, spense all'istante la sua illusione.
-Non sarà necessario- ringhiò infatti, strappandola dalle mani di quello a sinistra, e infilandoselo in testa con un gesto secco, lasciando però spazio sufficiente per respirare.
Il misterioso guidatore, a quel punto, mise in moto, mentre nell'abitacolo risuonava, anche se attutita, l'ultima e vibrante protesta del maggiore degli Holmes.
- Spero quantomeno che l'abbiate lavato, prima...

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-La Regina è partita. Ripeto: la Regina è partita.
Stark zoomò sulla mappa, mentre il microscopico rilevatore di posizione/ microfono che aveva fatto piazzare in uno dei bottoni della giacca di Mycroft-tra parentesi, non rilevabile- lo informava sul tragitto percorso dalla vettura.
-...Scusate, ma perché proprio questo nome in codice?-domandò poi, dubbioso.
-È una lunga storia...-rispose Sherlock, sollevando appena le labbra in un sorriso divertito, cercando di soffocare la sua apprensione.
- Tempo d'arrivo previsto?-La voce di Banner si aggiunse a quella linea condivisa.
- Impossibile dirlo. Dipende da dove decidono di aprire il portale. Comunque, non appena staranno per arrivare alla Base, lo sapremo. Il segnale è forte e chiaro-aggiunse, compiaciuto.
- Speriamo bene... -borbottò Barton, dubbioso.-Lavoriamo proprio sul filo di lana.
- Non mi parlare di lana!-si intromise Scott.- In questi condotti fa un freddo cane!
- Bè, Scott, è un condotto d'aria... quindi c'è l'aria -ribattè l'altro, ironico.- Preferivi la fogna?
- Alea iacta est, ragazzi! Basta lagnarsi! -li rimproverò Stark.- Non si torna più indietro.
- Alea... Che?? Signor Stark, non ho capito cosa...?

Il miliardario alzò gli occhi al cielo.
- È latino, Peter...-sbuffò.-Significa "Il dado è tratto".
- In realtà non avevo capito neanch'io...-borbottò Scott a voce bassa.
- Quindi ho detto giusto, è una lingua morta!- la voce del giovane Peter Parker, alias Spider-Man, risuonò chiaramente soddisfatta nell'orecchio di tutta la squadra.- Forse l'ho studiata l'anno  scorso... Non ricordo... Comunque... È successo tutto così in fretta che non ho fatto in tempo a dirvelo, ma... Sono onorato di essere nella vostra squadra!! Siamo i Revengers, giusto?? È davvero fortissimo, come nome!! Ma... Sono un po' confuso. Visto che l'altra volta ero con voi come Avengers, io sono un Avengers o un Revengers?? No perché io...!
- Bimbo ragno! Che cosa ti avevo detto?-sbottò Stark, interrompendolo bruscamente.
Seguì qualche istante di silenzio.
-Chiedo scusa... -borbottò Peter, contrito.-Ma è tutto così emozionante! Insomma, una vera base Hydra, e...!
-...Sono autorizzato a dargli una botta in testa?-gemette Barton.
-Per me va bene...
-Ma poi, quanti anni ha questo??-domandò Ross, attonito.
-Non gli ho fatto la datazione al carbonio, comunque è giovane!-ribattè Stark, irritato.
-Ci possiamo concentrare???-ringhiò Sherlock, facendoli ammutolire tutti: pronunciò poi delle parole che mai avrebbe pensato sarebbero mai uscite proprio dalla sua bocca.- Non è un gioco, questo! Se qualcosa va storto, moriranno delle persone. Persone a cui tengo- sottolineò, seppur con un certo sforzo. -Quindi, da ora in poi, pretendo serietà e silenzio. Soprattutto, silenzio.

Dopo quel rimprovero, per alcuni lunghi istanti, nel canale di comunicazione si sentì solo il crepitio dell'energia statica.
-Il signor Holmes ha ragione- disse Strange che, fino a quel momento, non aveva detto nulla. - Da ora in poi, massima concentrazione. Non possiamo permetterci errori.
La pacatezza ma anche la gravità con cui parlò lo Stregone Supremo spinse tutti a dare il loro assenso con mormorii sommessi.
Persino Stark evitò di fare altre battute sarcastiche.
-Barton, come va con le telecamere?-domandò invece all'arciere.
- Tutto come previsto-rispose lui, compiaciuto.- Adesso tocca a voi. Soprattutto a te, Scott.
- Tanto per non mettermi sotto pressione...-bofonchiò lui di rimando.
Era ora di muoversi.
Sherlock trasse intimamente un respiro profondo, le labbra tese in una linea sottile, gli occhi di ghiaccio carichi di determinazione.
Alla guerra.

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-Signore...
Culverton, intento a studiare il monitor del laboratorio- attraverso cui poteva vedere il dottor Watson opporre una sempre più forte resistenza al narcotico- si voltò verso una delle guardie che era appena entrata nella stanza.
-Signore, l'ospite che aspettava è arrivato.
Un ghigno compiaciuto si fece strada sul suo volto.
-Molto bene.
-Ma non è tutto- aggiunse la guardia, mostrandogli lo schermo di un tablet.- Qualche minuto fa, abbiamo rilevato un tentativo di intrusione nella struttura, come aveva previsto. Ma c'è qualcosa di... strano.

Culverton osservò attentamente lo schermo. Dapprima, non potè credere ai suoi occhi; ma poi, il ghigno sul suo volto si allargò di secondo in secondo.
- Non ci posso credere... È troppo bello per essere vero!-sghignazzò, preda di un'incontenibile euforia, mostrando a Sitwell le riprese. Anche lui fu attraversato da un moto di incredulità.- Questo va addirittura oltre le mie più ottimistiche aspettative!
- ...Quindi possiamo dare il via all'operazione?-domandò lui. impaziente.- La resistenza del soggetto al narcotico mi preoccupa.
Culverton sbuffò, scocciato.
- Jasper, te l'ho detto, devi imparare a goderti il momento! Abbiamo alla nostra mercé dei soggetti unici nel loro genere! E tra poco avremo pure la chiavetta USB! Goditi il momento!-ribadì, dandogli una poderosa pacca sulle spalle, a cui l'altro rispose, anche stavolta, con una smorfia poco convinta.
- Me lo godrò quando avremo finito. Sai bene che la macchina è ancora in fase di sperimentazione. Non possiamo permetterci margine di errore. Ho già inserito tutti i parametri.
-Allora hai il mio permesso-acconsentì l'altro, rivolgendo nuovamente lo sguardo alla telecamera, e sorridendo con cattiveria.-In effetti, sono piuttosto impaziente anch'io di trasformare il nostro soggetto in una perfetta macchina di morte. Un soldato che ubbidisce a qualsiasi ordine e senza alcuna esitazione... Dovremmo valutare l'ipotesi di vendere quest'idea anche a qualche governo...- aggiunse, meditabondo, mentre Sitwell si posizionava di fronte ad uno dei monitor,  premendo poi vari tasti su una tastiera.
-Io vado ad accogliere il nostro... Anzi, i nostri ospiti-concluse Smith, facendo segno ad una guardia rimasta fuori dalla stanza fino ad allora, di accompagnarlo.-Bè... Le auguro di nuovo una buonanotte, John Watson. Anche se sarà un po'... freddina.
Esplose in una risata, mentre la guardia, per una frazione di secondo, stringeva le mani a pugno.

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John capì all'istante che stava per accadergli qualcosa di terribile.
Nonostante fosse intontito da quella sostanza maledetta, i suoi sensi si erano sempre più risvegliati, nelle ultime ore passate in quella stanza buia, solo ma perfettamente consapevole di essere osservato di continuo dalle telecamere.
Fino ad allora, però, non era accaduto nulla di rilevante; per un breve e folle momento, aveva quasi sperato che si fossero dimenticati di lui.
Quella irrazionale speranza sparì non appena una violenta luce si accese nel laboratorio, talmente forte da accecarlo per qualche istante.
Ma il peggio doveva ancora arrivare.
Subito dopo, infatti, sentì uno strano sibilo, simile a quello emesso da una porta elettronica che si chiude.

Quando riaprì gli occhi, infatti, vide con suo sommo orrore che una sorta di semi cupola trasparente si era chiusa intorno a lui, nella bizzarra imitazione di una vera e propria bara.
Un puro panico lo assalì, mentre finalmente capiva che i suoi rapitori si erano finalmente decisi ad attuare il loro folle e crudele esperimento.
D'istinto, iniziò a dimenarsi con tutte le forze che ancora aveva: ma, naturalmente, le fasce di metallo che gli stringevano polsi e le caviglie lo tennero quasi completamente immobilizzato.
Non poteva scappare o difendersi in alcun modo.
Era completamente impotente.
Nessuno avrebbe potuto salvarlo, stavolta.
Era finita.
E Rosie... sua figlia, la sua dolce bambina... avrebbe perso anche suo padre.
Il suo unico conforto, anche stavolta, fu la consapevolezza di averla lasciata in buone mani.
Alcune lacrime rigarono il volto dell'ex medico, mentre sentiva un freddo innaturale impossessarsi del suo corpo.
L'immagine del volto sorridente della figlia fu l'ultimo pensiero che attraversò la sua mente, prima che le sue palpebre, pur contro la sua volontà, si chiudessero, facendolo piombare nell'oscurità.

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L'interno della base Hydra era esattamente come Mycroft aveva immaginato: la grandezza dell'edificio, interamente di solido metallo, era pari a quella di un hangar. Parecchi uomini giravano da una parte all'altra di questo, maneggiando sofisticate apparecchiature elettroniche mentre altri, al contrario, stavano seduti di fronte a vari monitor di sorveglianza.
Vi erano inoltre numerosi container e saracinesche abbassate: era impossibile sapere cosa celassero.
I due che lo avevano prelevato lo condussero fino al centro esatto di essa, dove Culverton Smith era già in attesa, un ghigno compiaciuto sulle labbra. Il politico si irrigidì, ma non lasciò, ancora  una volta, trapelare nulla: era infatti più che pronto a fronteggiare il disgustoso individuo.
Purtroppo, però, non lo era a ciò che vide subito dopo.
Due energumeni stavano poco dietro le spalle di Smith, tenendo saldamente per le braccia due prigionieri.

Uno era suo fratello.
L'altro era l'agente Ross.

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