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Dolci ricordi

Il fischio acuto del bollitore risuonò nell'appartamento silenzioso; Molly si alzò lentamente dal divano - posando il libro che stava leggendo-e versò l'acqua bollente nella tazza già pronta sul bancone della cucina, lasciando poi a galleggiare in infusione la bustina fino a quando il liquido non divenne di un colore scuro, ambrato, proprio come piaceva a lei. Prese poi la zuccheriera e fece cadere una zolletta nell'infuso, mescolandolo piano.
Mentre lo faceva, la sua mente iniziò a vagare: era felice, per una volta, di aver chiesto un giorno di permesso dall'obitorio, facendosi sostituire da un suo collega. Per fortuna, Sherlock si trovava all'estero, in quel momento: altrimenti, sarebbe stato capace di chiamarla ugualmente.

Sherlock.
Gli sfuggì una smorfia stizzita: era mai possibile che i suoi pensieri, alla fine, dovessero andare sempre a lui??
Nonostante tutti i suoi sforzi, il suo cuore e i suoi pensieri andavano sempre a lui, anche se faceva male.
Quegli ultimi anni, però, doveva ammettere di aver notato dei profondi cambiamenti, nel detective: anche se, in realtà, li aveva sempre visti.
Aveva sempre guardato oltre quella freddezza che quell'uomo usava come una corazza contro il resto del mondo.
Dopo quella terribile telefonata di tre anni prima, si era persino cullata nell'illusione che quel "Ti amo", pronunciato per ben due volte, fosse stato sincero.
Sherlock, però, le aveva poi raccontato tutta la verità: la pazzia di quella sorella sconosciuta... Quel gioco malato e perverso, a cui lui aveva dovuto obbligatoriamente sottostare, credendo di doverle salvare la vita...

Al sentimento di iniziale orrore a quel racconto, la patologa aveva scoperto di provare una forte delusione, ma anche rabbia: doveva smetterla di farsi illusioni. Non importavano quei piccoli segnali che credeva di cogliere. E neppure il nuovo calore che leggeva nei suoi occhi di ghiaccio... O almeno, che credeva di leggere.
I loro rapporti infatti, da quel momento, erano tornati ad essere come quelli di una volta: lei gli forniva i materiali per i suoi esperimenti, qualche volta lo assisteva nelle analisi... e finiva lí. Il detective la vedeva solo come un'amica. Nulla di più.
Certo, c'erano stati anche momenti in cui lo aveva visto molto più... umano del solito. E non solo nei suoi confronti.
Senza volere, chiuse gli occhi, mentre il vapore della bevanda la avvolgeva, insieme a quel particolare ricordo, ancora nitido e preciso...

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Tre anni prima

-... Ci conosciamo da anni, e scopro solo adesso che ieri era il tuo compleanno. Assurdo!- commentò Molly, scuotendo la testa, mentre insieme a Sherlock, Rosie e John varcavano la soglia della piccola e accogliente pasticceria.
-Se ti può consolare, Molly, anch'io l'ho scoperto solo da poco, e solo grazie a un piccolo aiuto. Una mia improvvisa e geniale deduzione però ha fatto il resto-la informò John, con una risatina, facendo accigliare il detective, che alzò gli occhi al cielo.
-‎ È stata una deduzione più unica che rara, John, non ti montare la testa. E comunque era un'informazione del tutto priva di importanza.-Mentre John andava al bancone per ordinare, il detective e Molly si accomodarono al tavolino più appartato anche se fortunatamente, quella mattina, i clienti erano pochi: l'ultima cosa che Sherlock voleva, quel giorno, era essere assediato da giornalisti o fan indesiderati. - Non vedevo l'utilità di celebrare l'invecchiamento progressivo. E, per inciso, non la vedo nemmeno ora.
-Scommetto che non eri così cinico, quando eri piccolo.-Molly strinse le labbra, nascondendo un sorriso, mentre sistemava meglio Rosie, semiaddormentata, nel passeggino.-Di certo i tuoi genitori ti avranno organizzato una festa!
-... Forse. Non ricordo.
Il volto del detective si incupì visibilmente.
In effetti, nel suo Palazzo Mentale l'area relativa alla sua infanzia era quella più in disuso, poco visitata e, in alcune zone, addirittura buia; qualcosa di essa, infatti, negli ultimi tempi, aveva ricominciato a ripresentarsi, ma sempre vaga, nebulosa e indefinita. Che, però, sembrava non volergli dare in alcun modo tregua.
-E comunque non ho mai avuto molti amici, da invitare.

Molly, dopo quelle parole amare, e notando una sincera tristezza sul volto del detective- ben diversa dalla solita espressione volutamente arcigna-lasciò cadere il discorso.
-... Come stai? - gli domandò invece, e non poté evitare che la sua voce si tingesse di sincera preoccupazione, mentre scrutava il volto del corvino. Un'ombra di barba era ancora presente sulle sue guance scavate, gli occhi infossati, e un leggerissimo tremito attraversava ancora, di tanto in tanto, le sue mani. Sherlock, avvertendo lo sguardo della patologa indugiare proprio su quest'ultime, le infilò nelle tasche del cappotto.
-‎Respiro. Quindi sto bene- ribatté però, ostentando indifferenza, ma con il suo consueto umorismo nero.
-‎Hai rischiato grosso,
stavolta- gli ricordò la patologa, senza lasciarsi distrarre, continuando a scrutarlo.
Le labbra di Sherlock si strinsero.
-... Avevo tutto sotto controllo. Più o meno.
Seguì un lungo silenzio, mitigato appena dal sommesso brusio dei clienti; John era andato al bancone per ordinare caffè e fette di torta per tutti, ma ancora non era tornato.
-... Come mai quel cappello? - gli domandò Molly, più che altro per rompere quel silenzio così cupo, indicando il cappello a due visiere che il riccio portava sul capo.-Pensavo che l'odiassi-sottolineò, scherzando, per alleggerire quella sorta di tensione.
Uno strano sorriso solco però il volto del detective: mesto e allo stesso tempo affettuoso.
-... Sono Sherlock Holmes, no? Devo indossarlo.

Molly rimase interdetta, non capendo quella risposta, mentre lo sguardo di Sherlock diventava, di nuovo, assorto e distante. Nonostante la sicurezza da lui ostentata, vedeva chiaramente il suo volto provato dalla stanchezza, ma anche dalla tristezza di ciò che aveva dovuto affrontare in quelle ultime settimane: non solo la perdita di Mary e il suo quasi soffocamento, ma anche il ricadere nella terribile spirale della droga. Entrambi gli eventi lo avevano quasi portato alla morte.
A quel pensiero, la patologa provò un moto di rabbia: non gli avrebbe permesso di distruggersi di nuovo a quel modo!
Fu Rosie, rimasta tranquilla sino a quel momento, a distrarla: infatti, lanciò uno strillo acuto, che fece voltare parecchi dei presenti e strappò una smorfia al detective.
-Vedo che la piccola Watson ha dei polmoni eccellenti - constatò, mentre Molly si affrettava a prenderla in braccio: ma gli strilli della piccola continuarono senza alcuna ragione apparente.
-‎Shhh... Buona Rosie, buona... Non capisco... - le mormorò, cullandola.- Non ha fame... E l'ho appena cambiata... Hey, magari potresti darmi una mano! - esclamò, un filo seccata, rivolta a Sherlock, che si era messo a digitare frenetico sul cellulare, senza darle retta. -Pensavo che stesse per addormentarsi. Io non...!!

Prima che potesse finire la frase, il detective, senza dire una parola, fece scivolare lentamente sul tavolino, fino a lei, il cellulare: da questo, quasi subito, iniziò a scaturire una lenta melodia, suonata da un violino.
Molly sgranò gli occhi, incredula: aveva sentito troppe volte Sherlock suonare per non riconoscerlo.
Come per magia, i singhiozzi di Rosie si quietarono: persino lei si scoprì rapita da quei suoni armonici e rilassanti. Non che fosse la prima volta...
-È una delle mie composizioni- le confermò infatti il corvino, stringendosi nelle spalle. - Ho avuto più volte modo di notare che hanno su di lei un effetto calmante. Quasi soporifero.

Molly notò, in effetti, che, con proseguire della melodia, i suoi singhiozzi si erano fatti sempre più sommessi, fino ad arrivare ad assopirsi completamente, cullata da quelle note: mentre la rimetteva nuovamente nel passeggino, con delicatezza, non riusciva a smettere di guardare il detective, colpita dallo sguardo dei suoi occhi che, in quel momento, posati sulla piccola, esprimevano una dolcezza sincera e profonda, ben lontana dalla solita espressione di gelida indifferenza che mostrava la maggior parte del tempo.
Sherlock spense il cellulare, e la melodia terminò. Alzò poi lo sguardo, incrociando quello della ragazza. Per alcuni, lunghi istanti, nessuno dei due parlò, né spostò lo sguardo.

Ma prima che Molly potesse aprir bocca, John fece ritorno, e quella sorta di contatto si spezzò.
-Il nostro ordine sarà qui a momenti- li informò con un sorriso. - Mi dispiace, sentivo le urla di Rosie fin da laggiù. Come avete fatto a calmarla?
-‎Nulla di che- rispose subito Sherlock, eludendo la domanda, prima che lei potesse rispondergli.
- Piuttosto, laggiù dove? - gli domandò, stringendo gli occhi, sospettoso. - Sei stato via più di un quarto d'ora, e la fila al bancone non era così lunga, per tre caffé e tre fette di torta. O sei andato a prepararli direttamente tu, cosa di cui dubito, o qui c'è qualcosa che non mi quadra.
-Dovevo dare certe...
disposizioni. - Un leggero sorriso sfiorò le labbra del medico, mentre si accomodava e Sherlock assottigliava lo sguardo nuovamente, ma stavolta minaccioso.
-‎ Non avrai osato...
-‎ Buon compleanno, signor Holmes!

Un cameriere si era appena avvicinato, sorridente, con tra le mani una torta a tre strati, al cioccolato, che posizionò poi al centro del tavolo. Sopra di essa, un'elegante scritta di glassa di zucchero recitava : "Buon Compleanno Sherlock".
Esattamente al centro era stata infilata un'unica candelina di cera bianca, già accesa.
-Sta' tranquillo, nessuno avrà sentito- si affrettò a dire John, di fronte allo sguardo del detective, che era sempre più assassino: anche se i suoi occhi erano stranamente lucidi.
-‎... Se anche solo osate cantarmi una canzoncina, giuro che vi uccido! - sibilò Sherlock, rivolto a entrambi, seppur la sua voce fosse ben lontana dal suonare minacciosa; la commozione era evidente.
John, tuttavia, alzò le mani in segno di comica resa, mentre Molly soffocava una risata. Ma nonostante le sue proteste e il suo atteggiarsi a duro, lei, anche stavolta, vide chiaramente una luce calda, di gioia, nei suoi occhi.
Quella luce, ne era certa, era sempre esistita, nel suo animo: lei stessa aveva avuto modo di scorgerla più volte. Rimaneva semplicemente sopita, anche per molto tempo, in attesa solo di essere risvegliata.

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Una palla di pelo le si strusciò improvvisamente sulle gambe, facendola sussultare, persa com'era in quel ricordo e nei suoi pensieri.
-Non é ancora ora della pappa, Toby! - disse, con una risata, chinandosi e grattandolo dietro le orecchie; il felino dal pelo tigrato, subito, socchiuse gli occhi, producendosi poi in una gran quantità di fusa e musatine sulle sue caviglie, evidentemente felice di quelle attenzioni.
Molly sorbì lentamente un sorso del suo tè, e fece poi per sedersi sul divano, pronta a immergersi nuovamente nella lettura.
E fu a quel punto, che il cellulare suonò.
La patologa emise uno sbuffo insofferente, e valutò per un secondo la possibilità di non rispondere. Vedendo però il nome sul display, sussultò; perché mai Sherlock avrebbe dovuto chiamarla, e da New York??
Seppur fosse passato del tempo, dopo la faccenda di Eurus non riusciva a non reprimere un brivido ogni volta che riceveva una chiamata improvvisa dal detective.

Scosse la testa: forse stava diventando paranoica.
Rassegnata, premette dunque il tasto verde, e accettò la chiamata.
-Sherlock! Come mai mi...?
-Molly... Ho bisogno di te.
Furono queste le prime parole con cui Sherlock, dall'altro capo della linea, esordì, senza nemmeno farla finire, e lei si sentì gelare, mentre posava lentamente la tazza sul tavolino: il tono profondamente serio con cui aveva pronunciato quelle parole era il medesimo del giorno in cui le aveva chiesto aiuto per organizzare il suo finto suicidio.
Forse il suo presentimento non era poi così sbagliato, dopotutto...

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-Non ci posso credere...
Molly fece avanti e indietro per la stanza, il cellulare premuto sull'orecchio, mentre Sherlock la informava del rapimento di John.
-In realtà la parte "incredibile" deve ancora arrivare-la corresse il detective, con una ironia, però, molto forzata.
La ragazza si morse il labbro: le aveva appena detto che avrebbe dovuto... sedurre un criminale, e tenerlo impegnato durante una festa... E quella non era la parte più incredibile??
-... E quale sarebbe?
-‎Prima devo sapere se sei disposta a farlo-ribatté Sherlock, con durezza. - Tenere impegnato un criminale di questo tipo non sarà semplice né piacevole.
Lei sospirò.
-Lo so. Ma se è l'unico modo per salvare John, allora... non credo che ci sia altra scelta.
-Bene. Sapevo di poter contare su di te. - Molly, a quella sua affermazione, arrossì, e inizialmente pensò che fosse ironica. Ma fu certa di percepire un sorriso, seppur leggero, e un certo sincero sollievo, nella voce del detective.- Allora, credo di poterti mostrare un assaggio della parte... incredibile. Potresti sederti, per favore?

Lei, già stupita dalla frase precedente e dalla sua gentilezza, rimase interdetta, di fronte a quella stramba richiesta.
-Perché dovrei sedermi?? E poi... cosa ti fa pensare che non lo sia già??
-Sento il rumore dei tuoi passi in sottofondo da quando abbiamo iniziato questa conversazione-replicò Sherlock, stavolta col suo solito tono da "era talmente ovvio", che però, anziché infastidirla, la tranquillizzò: era sempre lui, nonostante tutto.
Con una smorfia, si sedette sul divano, prendendo poi un sorso del tè ormai tiepido.
-Bene. Ora sono seduta. Soddisfatto? Adesso vorresti spiegarmi cosa...?
Le parole le morirono in gola, e la tazza le cadde di mano, andando in frantumi sul pavimento, mentre uno strano anello luminoso, di colore giallo e che pareva sprigionare scintille, appariva nella stanza. Di fronte al suo sguardo sempre più attonito, due persone passarono attraverso esso. Una era Sherlock.
L'altra era...

-... Molly, suppongo ti ricordi del dottor Stephen Strange - esordì il detective, con ostentata naturalezza, come se non si fosse appena teletrasportato nel suo salotto attraverso quella sorta di portale alla Stargate.
-È un piacere rivederla - disse lo Stregone, facendosi avanti con un sorriso.
-‎ Era la mia tazza preferita... - fu l'incoerente replica della patologa, ormai alzatasi dal divano, ma che faticava a staccare gli occhi da quello strano anello luminoso. Le sembrava di essere finita in un film di fantascienza.
Lo sguardo di Strange corse ai frammenti di ceramica gialla sul pavimento.
-Sono desolato. Se permette...
Con un lieve e veloce gesto delle dita, la tazza si ricompose in un istante nella sua mano destra, di nuovo colma della bevanda e sotto lo sguardo sempre più allucinato della ragazza, che pareva aver perso l'uso della parola.

Strange gliela porse, e lei si voltò verso Sherlock, sperando quasi che le rivelasse che quella non era altro che un colossale scherzo ai suoi danni-anche se lui non era incline a cose del genere-o, perché no, un folle esperimento di chissà quale tipo.
Ecco, quella era un'ipotesi non del tutto escludibile...
Ma lo sguardo del detective era serio e per nulla ironico.
- E ancora non hai visto nulla...- la avvertì, mentre lei stringeva convulsamente tra le dita la tazza nuovamente integra.

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