Demoni
Il corridoio che Sherlock e Banner percorsero fino al laboratorio era completamente deserto: a quanto pareva, il diversivo offerto da Stark aveva obbligato tutti i presenti nella struttura a riunirsi per combattere la nuova minaccia.
Ma un nuovo ostacolo si frappose tra loro, proprio come aveva temuto: la porta a chiusura magnetica del laboratorio.
A Sherlock bastarono poche rapide occhiate per capire che non avrebbe potuto scassinarla in alcun modo: non vi era neppure una tastiera alfanumerica; solo metallo spesso almeno cinque centimetri.
L'unico modo per accedervi era che Scott disattivasse il maledetto blocco porte.
- Scott, come procede??-domandò infatti Banner proprio in quel momento, un dito premuto sull'orecchio dove portava l'auricolare.-Abbiamo tempi stretti, qui!
- Ci sto provando!!-Anche Sherlock, grazie al suo auricolare, sentì la risposta del ladro. La sua voce, in quel momento, era palesemente tesa e irritata.- Non è come hackerare il server del mio liceo!
- ...Preferisco non farti domande in merito-ribattè lo scienziato, con un sospiro.-Ma vedi di muoverti!
Scott imprecò nuovamente nel suo orecchio; a quelle imprecazioni, però, seguì l'inequivocabile picchettio rapido di dita su una tastiera.
Ma passarono alcuni lunghi e interminabili secondi, e la porta rimaneva ancora chiusa, una spia rossa a confermarlo: Sherlock sentì di odiare quella lucetta intermittente che sembrava farsi beffe di loro; e dovette anche sforzarsi di non cedere all'impulso rabbioso e inutile di prendere a calci quella maledetta porta blindata.
Razionalmente, sapeva benissimo che farlo non gli avrebbe procurato alcun beneficio, se non la probabile frattura del piede.
-Un momento! Forse ho un'idea! Se mi concentro...
Sherlock si voltò, all'improvvisa esclamazione di Banner, che teneva le braccia lungo il corpo, i pugni stretti, il volto teso in quello che sembrava essere uno sforzo di concentrazione.
Prima che potesse dirgli qualunque cosa, vide delle vene verdi gonfiarsi sul suo collo, e del verde si espanse anche sul suo viso: fu a quel punto che Sherlock intervenne, scuotendolo per una spalla con veemenza.
- No!! Non lo faccia!!!
All'intervento del detective, quelle innaturali vene si sgonfiarono, e così anche il colore verde si ritirò; Banner ritornò alla normalità, deluso e irritato.
- Perché mi ha fermato?? -gli domandò infatti, innervosito.-Questa volta ce l'avrei fatta! Me lo sentivo!
- Lei mi serve!! L'ha dimenticato??-ribattè Sherlock, anche lui rabbioso.- E se non riuscisse a ritrasformarsi?? Se hanno messo in funzione quella dannata macchina, lei è l'unico che può forse interrompere il processo! L'ha detto lei stesso!
Banner sospirò, sconfortato.
- Ha ragione. Per un attimo, non ci ho pensato.-Si passò le mani sul volto, come se cercasse di capire se fosse ancora il suo e non quello di Hulk. -Non ci sono abituato. Sa, io e l'altro tizio non siamo mai stati d'accordo. Ma credevo di poterlo controllare. Fino ad ora... Non è facile convivere con sé stessi, se l'altra parte di te è un mostro verde con seri problemi di gestione della rabbia.
Sherlock sentì, sotto quell'autoironia, una profonda amarezza e conflitto interiore, e la comprese profondamente: dopotutto, non aveva lottato lui stesso contro il suo demone personale, che era la dipendenza dalla droga?
E per poco non ci era ricaduto.
Quello scienziato faceva esattamente la stessa cosa: il suo demone, però, rappresentava la parte rabbiosa di sé, ed era anche reale in tutto e per tutto.
Inoltre, non poteva in alcun modo liberarsene; poteva solo conviverci.
- Abbiamo tutti dei demoni da affrontare-gli disse all'improvviso, cogliendo Banner di sorpresa.- Deve solo imparare a controllare il suo. Controllo è la parola chiave.
- Già... Controllo...- Banner fece un sorriso amaro, scuotendo la testa.- E se fosse lui, a controllare me?
- Non glielo deve permettere- replicò Sherlock in risposta, con assoluta serietà e senza alcuna ironia.- Lei ha la forza e la capacità di dominarlo. Si fidi, so di cosa parlo.
- ... Davvero? Anche lei si trasforma in un mostro verde capace di distruggere un intero quartiere?-gli domandò l'altro, ironico.
Le labbra del detective si sollevarono in un microscopico sorriso.
-...No. Ma se faccio uso di droghe, cado in una spirale di delirio... E faccio cose di cui non vado fiero. Come aggredire le persone con un bisturi.
Banner emise una leggera risata: ma che si spense quasi subito, quando capì che quella di Sherlock non era assolutamente una battuta.
- Ho imparato a controllare quella mia dipendenza. A sconfiggerla. Ho dovuto farlo. In caso contrario, avrei perso tutti quelli a cui tenevo. E se ce l'ho fatta io, anche lei può riuscirci!-ribadì il detective.
- Lei però si è liberato del suo... demone. Io, al contrario, non potrò mai liberarmene-sospirò lo scienziato nuovamente, appoggiando per un istante la schiena contro il muro, lo sguardo basso.- Non del tutto, almeno.
- Non perdiamo mai i nostri demoni-ribattè il detective, cupo.- Impariamo solo a convivere al di sopra di loro. Ed è quello che può fare anche lei. Anche prima, se non l'avessi interrotta, c'è l'avrebbe fatta a dominarlo. Ed è riuscito anche a tornare indietro. L'ho visto. Tutto sta nel controllo.
Sul volto di Banner, per la prima volta, aleggiò un piccolo sorriso, come se le parole di Sherlock lo avessero rincuorato.
- La ringrazio davvero per la fiducia. -disse, sinceramente grato.-Cercherò di ricordarlo. Tuttavia... Se Hulk al momento non può darci una mano, potremmo sempre usare la testa di qualcuno per sfondare la porta!!
L'ultima frase era ovviamente rivolta a Scott, e fu subito seguita da una replica carica di frustrazione e avvilimento.
- Ve lo giuro! Sto facendo l'impossibile, ma non riesco a...! Ma che diavolo...???
Fu in quell'esatto momento che la luce a intermittenza della porta del laboratorio mutò da rossa a verde, per poi scivolare all'interno della parete di destra.
-Bravo, Scott! Ce l'hai fatta!
-Con le buone maniere si ottiene tutto, no?-fece Sherlock, divertito.
-... Ragazzi, non sono stato io!-fu però l'incredibile replica del giovane ladro.- Non che non ce l'avrei fatta da solo prima o poi, sia chiaro... Ma il sistema blocco porte si è disattivato da solo. All'improvviso. E non solo di questa, ma di tutte quelle del complesso!
-Come è possibile?? -fece Banner, attonito.- Di certo non siamo stati noi, né Tony o...
-Non è il momento di farsi domande inutili!-si intromise Sherlock, agitato.- Abbiamo altro di cui occuparci ora!
E, senza attendere neppure un secondo, si fiondò nel laboratorio.
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Se qualcuno avesse potuto vedere Mycroft Holmes in quel momento, probabilmente-anzi, sicuramente- avrebbe stentato a riconoscerlo: il politico, infatti, aveva abbandonato la sua aria composta e la sua flemma, per sostituirla con un'espressione di palese e feroce entusiasmo: la giacca dell'elegante completo era stata buttata in un angolo, e le maniche dell'altrettanto elegante camicia d'alta sartoria erano state rimboccate fino ai gomiti. Aveva, inoltre, un graffio leggero ma ancora sanguinante sulla guancia: risultato di un incontro sin troppo ravvicinato con gli artigli di uno dei Chitauri.
Ma, nonostante tutto questo, i suoi occhi brillavano di una nuova luce, ogniqualvolta che eliminava una delle creature con il cannone fotonico che imbracciava saldamente.
-...Lo sa? Ho sempre odiato il lavoro sul campo- fece infatti all'indirizzo di Ross, mentre sparava contro un Chitauro a pochi metri da lui.- Ma lo devo ammettere. Questo è alquanto... soddisfacente!
E, per meglio sottolineare il concetto, sparò ancora, rapido, contro altre due creature, che crollarono morte in pochi istanti.
- In effetti, non capitano tutti i giorni avversari di questo tipo, ne conviene?-replicò Ross, ridendo.
-Meno chiacchiere, ragazzi!- Stark li richiamò entrambi, serio, mentre una decina di Chitauri si aggiungeva alla battaglia.-Questi qui spuntano come funghi! E Barton non ci ha ancora dato il segnale della ritirata!
- E chi vuole ritirarsi?? Questo è molto meglio di qualsiasi videogame che io abbia mai provato!- interloquì Peter, intrappolando quattro Chitauri in un'unica ragnatela.- Non mi sono mai divertito tanto!
Stark, il volto coperto dalla maschera, fece una smorfia.
- Questo non è un gioco, ragazzo!-lo rimproverò.-Qui si rischia di morire sul serio! Niente vite extra. Solo Game Over.
-Però ha ragione. Non possiamo ritirarci-intervenne Strange, incredibilmente.- Dobbiamo prima assicurarci di far fuori tutti questi... cosi. L'Hydra potrebbe servirsene ancora.
-E come facciamo??- ribatté Stark, sbuffando.- La mia Iron Legion non è sufficiente. E ce ne saranno almeno altri trecento. Non so quanto potremmo...
- Se posso...-intervenne Peter, stavolta titubante, forse a causa del rimprovero di Tony.- Questi Chitauri sono modificati, giusto? Cioè sono per metà creature aliene e metà macchine? Quindi comunicano anche tra loro?
-Sì, esatto. Quindi?-fece il miliardario, dubbioso poi incuriosito.- Hai qualche idea?
-Ecco... Non potremmo immettere una frequenza che li disturbi o li disorienti?-proseguì il ragazzo, più convinto.-Come lei ha fatto prima con il sistema di difesa della Base? Così sarà più facile eliminarli. Ho visto una cosa del genere in un film di Star Trek...-aggiunse, un po' in imbarazzo.
Seguì un breve silenzio, mentre Strange evocava un disco luminoso, sbattendolo sul muso dell'ennesimo assalitore.
-Non è male come idea. Anzi, non è male per niente!-ribattè Stark, mentre Peter sorrideva, orgoglioso.- Ma ho bisogno di un pochino di tempo per immettermi nella loro frequenza di comunicazione. Voi teneteli impegnati per un po'!
- ...No, ma davvero?? Pensavamo di invitarli a prendere un tè, nell'attesa!-ribattè Mycroft, sarcastico, voltandosi verso di lui, dopo aver abbattuto un altro Chitauro.
Forse fu per questo che non si avvide del semplice soldato umano dell'Hydra che, poco dietro il nostro appena abbattuto, puntava un fucile contro di lui.
Mycroft sentì lo sparo e un grido di avvertimento, ma non fu abbastanza rapido da rispondere al fuoco o spostarsi dalla traiettoria.
Ma non c'è ne fu bisogno, perché pochi istanti prima venne spinto a terra da qualcuno, che intercettò il proiettile al suo posto.
Il maggiore degli Holmes rimase a terra immobile per alcuni istanti, realizzando sbalordito chi c'era vicino a lui.
Era l'agente Ross.
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Il laboratorio era decisamente grande, pieno di strumenti insoliti e complicati macchinari in ogni angolo.
Ma Sherlock li guardò a malapena: la sua attenzione, infatti, venne subito attirata dal fondo della stanza, dove stava una sorta di capsula trasparente, in verticale, ricoperta appena da una leggerissima patina di ghiaccio, che non gli permetteva di vedere chi ci fosse all'interno.
Anche se, naturalmente, non ne aveva alcun bisogno.
Banner si precipitò alla consolle di una delle macchine, che era la più lontana dalla capsula, ma anche la più imponente, e dove lampeggiavano numerose spie.
-Il processo di ibernazione è già in corso... -mormorò lo scienziato.- Anche se lo invertissi, temo che la memoria del suo amico sia giá stata...
Non osò terminare la frase, e Sherlock avvertì la disperazione impadronirsi del suo cuore: la sua più grande paura si era infine realizzata.
Era arrivato troppo tardi.
Per qualche momento, gli sembrò di non sentire più nulla; il suo stesso sangue sembrava esserglisi ghiacciato nelle vene. Era quasi la medesima sensazione che aveva provato in quella maledetta piscina, mentre teneva tra le braccia il corpo privo di vita di John, che si era preso quel dannato proiettile al suo posto. Con la differenza che, stavolta, non avrebbe potuto convincere Strange ad usare l'Occhio. Quel caso era stata solo un'eccezione: altrimenti, l'avrebbe già fatto.
La consapevolezza che, stavolta, aveva davvero fallito, gli strinse in una morsa quel cuore che, da sempre, si ostinava a ripetere di non possedere.
- Ma... un momento... Non ha alcun senso...
Le parole dello scienziato, chino sulla macchina, lo colsero di sorpresa.
- Cosa?? Che cosa non ha senso??-esalò, sperando senza alcuna logica in un capovolgimento della situazione ormai disperata e irrisolvibile.
- I parametri...- gli spiegò Banner, indicando uno dei tanti schermi del macchinario, incredulo e attonito.- Sono stati inseriti chiaramente errati. Si tratta di un errore macroscopico. Come è possibile che...??
- Non mi interessa sapere come!!!-lo interruppe Sherlock, esasperato, mentre sentiva una sorta di speranza rinascere in lui.- Voglio solo sapere se questo significa che possiamo interrompere il procedimento è spegnere questa maledetta macchina!!!
- In teoria sí. -Banner si spostò all'estremità opposta della consolle, premendo con una certa esitazione sui tasti.- O almeno, lo spero... Posso provarci.
- Non voglio che ci provi- quasi ringhiò il detective, mentre sentiva i suoi nervi irrigidirsi sempre più per la tensione.- Lo faccia e basta!!
E, detto ciò, lasciò lo scienziato chino sulla macchina, e raggiunse la capsula.
D'istinto, posò delicatamente una mano su quel vetro-in quel momento appannato da quell'innaturale ghiaccio- e chiuse gli occhi, affidandosi, per la prima volta, a un Dio in cui non aveva mai davvero creduto, ma che, in quel momento, pregò con tutta l'intensità a cui potè far appello.
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Tutto era buio e oscurità.
E dolore.
E freddo.
Soprattutto freddo.
Ma, d'improvviso, senza alcuna apparente ragione, quel freddo si attenuò.
Avvertì che anche il buio era scomparso; anche se non aveva la forza di aprire gli occhi.
...Non poteva, o non voleva aprirli?
Fu una voce, a spingerlo a riaprirli, anche se non capiva ancora chiaramente cosa gli stesse dicendo: i suoni gli arrivavano ovattati... come se fosse intrappolato sotto una campana di vetro...
Ma poi, di botto, sentì un sibilo, seguito da un secondo richiamo, più forte del precedente: come se la barriera che impediva il passaggio del suono fosse stata tolta.
Sentì, poi, un tocco leggero sulla spalla: come una lieve pressione.
Fu a quel punto che si decise a sollevare lentamente le palpebre.
E furono due le cose che lo colpirono quasi all'istante.
La prima... la luce che lo circondava: fredda, innaturale.
Ma era luce, comunque. E non quel buio di poco prima.
La seconda... un uomo dai capelli corvini che lo fissava.
Anche i suoi occhi avevano il colore del ghiaccio; ma non come di quello che lo aveva avvolto sino a quel momento, stringendolo in una morsa gelida e dolorosa.
Dietro quelle iridi cerulee, infatti, c'era calore.
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- ...John?
Sherlock ripeté il nome dell'amico per la seconda volta- la prima il vetro della capsula gli aveva impedito di farsi sentire -cercando di impedire alla sua voce di tremare.
Che lui avesse aperto gli occhi al suo nome non voleva dir nulla: poteva esser stato solo un riflesso condizionato dopo il risveglio.
Anche quando lo fissò, infatti, non riuscì a scorgere nulla che gli confermasse se quello che aveva di fronte fosse davvero il suo migliore amico, o un estraneo privato per sempre dei suoi ricordi.
Lui, d'altra, parte, ancora non aveva aperto bocca, limitandosi a sbattere più volte le palpebre, come se cercasse di metterlo a fuoco.
E poi, d'improvviso, dopo aver chiuso gli occhi nuovamente... rise piano.
Sherlock fece tanto d'occhi, incredulo di fronte a quella reazione completamente inspiegabile: questo, almeno, finché John non aprì finalmente bocca, mischiando parole a quella flebile risata.
- Questa vacanza è stata l'idea peggiore... no, la più ridicola che io abbia mai avuto.
Il detective sentì il suo cuore gonfiarsi di gioia e di sollievo: non era arrivato troppo tardi.
Quello era ancora John Watson. Il suo John.
Ora ne era certo.
Dopo un brevissimo silenzio, riuscì a rispondergli, la voce tinta della sua sempre presente ironia, ma leggermente incrinata.
- ...No, non è vero. La più ridicola è stata invadere l'Afghanistan.
John, nonostante la palese debolezza che traspariva dal suo volto, rise ancora di più.
- Scusa il ritardo- mormorò il riccio, tornando serio, la mano ancora a stringere la sua spalla.
Anche la risata del medico si spense, ma gli rivolse un leggero sorriso.
- Sei sempre stato un ritardatario, dopotutto...
- Stavolta, però, non sono venuto da solo.
- Questa sì che è una novità!
Sherlock gli sorrise di rimando; il suo sguardo, poi, corse alle fasce metalliche cingevano i polsi e le caviglie dell'amico, e strinse le labbra.
- Deve pur esserci un bottone, o una leva, da qualche parte...-borbottò, passando la mano lungo tutto il lato esterno della capsula.-Dammi solo un secondo.
- Fa' con calma, tanto non vado da nessuna par...
John non riuscì a terminare quel commento sarcastico: al suo posto, emise un grido strozzato.
Sherlock alzò subito lo sguardo: il medico aveva il volto distorto in una smorfia di dolore, le labbra strette, come se cercasse di non urlare.
- John!! Che ti prende???
-... La testa-rispose lui a fatica, gemendo nuovamente.
Gli occhi del detective vagarono sull'intera struttura a cui l'amico era ancora legato, ma non vide nulla che giustificasse quello che gli stava accadendo: né elettrodi né altre apparecchiature a lui collegate.
-Banner! Ho bisogno di aiuto!!-sbraitò, mentre la sofferenza sul volto di John si accentuava.-Venga subito qui a...!
-...Temo che il dottor Banner al momento non sia disponibile, signor Holmes- replicò una voce untuosa e irritante.
Sherlock si girò di scatto: Banner era riverso a terra, chiaramente svenuto, ai piedi della macchina; e Culverton Smith era a pochi passi da lui, un ghigno diabolico sul volto, uno strano oggetto metallico stretto nella mano destra.
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