177A di Bleecker Street
-Signore... Come le abbiamo già spiegato, non possiamo procedere prima di quarantotto ore. Non è passato neppure un giorno intero da quando ha perso di vista il suo amico. C'era molta ressa, alla parata, ed è più che normale perdersi di vista in occasioni del genere. Più che di un sequestro di persona credo si tratti quasi certamente di un allontanamento volontario...
-Ma si può sapere cosa avete nel cervello??? Segatura??? - esplose Sherlock, alzandosi, le mani strette sul bordo della scrivania al punto da sbiancarsi le nocche, i denti digrignati per la rabbia, fissando il poliziotto dall'altra parte con uno sguardo talmente infuocato che, se avesse potuto, l'avrebbe incenerito seduta stante.- John non si sarebbe mai allontanato in una città che neppure conosce, senza documenti, senza avvisare e soprattutto lasciando sua figlia! Quale suo misero neurone può farle anche solo ipotizzare un "allontanamento volontario"???
-La sorprenderebbe scoprire quante persone scomparse si siano in realtà allontanate di loro spontanea volontà- replicò però l'uomo delle Forze dell'Ordine, emettendo addirittura un leggero sbuffo, mentre rileggeva svogliatamente alcune righe del foglio dove aveva riportato le dichiarazioni di Sherlock. - Ha detto che non aveva con sé i documenti, però che aveva il cellulare. Suppongo dunque che abbia provato a...
-... Se osa anche solo domandarmi se ho provato a contattarlo, le faccio ingoiare quel rapporto-sibilò il detective, la voce ormai ridotta a un ringhio.
L'uomo, per nulla intimorito, si limitò a stringere le labbra e a scrivere una nuova riga sul foglio incriminato.
Sherlock, in quel lasso di tempo, si maledí per l'ennesima volta di aver dovuto richiedere aiuto a tali incompetenti: era quasi scesa la sera, e lui aveva aspettato mezz'ora in quella squallida stazione di polizia, per poi sentirsi dire che quello di John poteva essere un allontanamento volontario. Volontario.
Ma era stata la signora Hudson a insistere perché vi si recasse, quando era tornato in albergo con Rosie tra le braccia e lo sguardo pieno di ansia e preoccupazione. Avevano ovviamente abbandonato la parata, e il detective aveva insistentemente chiamato il numero di John, senza ricevere alcuna risposta. E a nulla era valso il suo fare domande a qualunque passante gli capitasse a tiro.
Se fosse stato a Londra non avrebbe esitato un solo istante a cercare lui stesso il medico tra le vie e le strade che conosceva come il palmo della sua mano, alla ricerca di ogni singolo indizio come un segugio in caccia della sua preda; magari anche con il supporto della sua rete di senzatetto, all'occorrenza.
Ma, come intimamente aveva dovuto ammettere, si trovava in territorio sconosciuto, in una città a lui non familiare e senza alcun indizio utile su cosa diavolo fosse accaduto nell'istante in cui l'amico si era allontanato, né la direzione che poteva aver preso. E non poteva certo girare per tutta New York alla cieca, soprattutto lasciando sole Rosie e Mrs Hudson all'Hotel per così lungo tempo.
Non che avesse passato quelle ore inattivo: aveva chiamato, di nuovo, il numero del cellulare di John infinite volte, e l'unica risposta erano stati innumerevoli squilli a vuoto e la successiva segreteria telefonica.
Aveva dunque chiamato Mycroft-e questo, per chi conosceva bene il consulente detective, significava che era davvero disperato-ma lui... non aveva risposto. A nessuna delle sue chiamate.
Non era mai successo. Casomai, accadeva il contrario.
Tutto ciò dunque stava portando il detective all'esasperazione: non per ultimo l'incompetenza di quel rappresentante delle cosiddette forze dell'ordine. Che decise, proprio in quel momento, di dare di nuovo aria alle corde vocali, scoccandogli persino un sorrisetto accondiscendente.
-Se non sbaglio ha affermato che il suo amico, prima di allontanarsi, accusava un lieve malore dovuto al caldo. È esatto?
-... Sí.
-Era già capitato altre volte?
-No.
Sherlock, sentendo l'ira aumentare esponenzialmente ad ogni secondo che passava, si limitò volutamente a risposte monosillabiche.
-Alla luce di questo, tutto ciò che possiamo fare, per ora, é diffondere la sua denuncia al maggior numero di ospedali di quella zona e di quelle limitrofe-sentenziò infine il poliziotto, ammorbidendo appena il tono.-Abbiamo i suoi dati, telefono e Hotel dove alloggia. La contatteremo in caso ricevessimo segnalazioni. Come le ho già detto, non possiamo ancora iniziare le operazioni di ricerca. Se posso darle un consiglio, torni in albergo e aspetti. È persino probabile che torni lui stesso prima che...
Un botto risuonò nell'ufficio della Stazione di polizia, soffocando le sue parole e cogliendolo di sorpresa, mentre il detective usciva dall'ufficio sbattendo la porta.
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-Sherlock, caro! Finalmente! Allora, ci sono novità??
Il corvino varcò la soglia della camera d'albergo con un'espressione cupa in volto; ma, prima di rispondere alla signora Hudson, il suo sguardo vagò nella stanza.
-Stia tranquillo, Rosie si è appena addormentata-lo rassicurò subito la donna con un mesto sorriso. - Sono riuscita a tranquillizzarla con una scusa. Anche se non so per quanto reggerà. È molto perspicace, per la sua età.
Un uguale riluttante sorriso solcò per un momento anche le labbra di Sherlock.
- Non mi sorprende affatto-mormorò, sedendosi su una poltrona, e scuotendo la testa, le labbra strette. -No, non ci sono novità. A parte l'incompetenza delle forze dell'ordine degli Stati Uniti, che già mi aspettavo. E io non ho niente in mano. Niente.
L'ultima parola pronunciata fu più simile a un ringhio, ma più di sconforto che di rabbia.
La donna capì che era meglio lasciarlo solo: dandogli dunque una lieve stretta consolatrice sulla spalla, si allontanò, con la scusa di controllare Rosie nella stanza adiacente.
Mentre si allontanava, il detective sospirò, gli occhi chiusi, analizzando, per l'ennesima volta, gli eventi di quella giornata. Nessuno di essi, però, gli forniva la minima idea o indizio da cui partire. L'unica certezza che aveva era che si trattasse di un rapimento, anche se non capiva chi diavolo potesse esserci dietro. Certo, si era fatto svariati nemici... anche oltreoceano...
La prima cosa che doveva fare era rintracciare quel maledetto cellulare, quantomeno per avere uno straccio di pista su cui lavorare; sempre che quell'imbecille di suo fratello smettesse di occuparsi per un secondo delle elezioni coreane e si decidesse a rispondere alle sue maledette chiamate.
-Sherlock!
Il grido soffocato di Mrs Hudson, seguito da un veloce suono di passi, fece riemergere il riccio dal suo Palazzo Mentale, facendolo sobbalzare appena: la donna aveva fatto ritorno nel salotto della suite, pallida in volto e con qualcosa di piccolo e piatto stretto tra le dita.
-Sherlock, caro... Non so come dirglielo... E non so nemmeno se riuscirà a credermi, ma... -balbettò, facendo però subito spazientire il detective.
- Per l'amor del cielo, signora Hudson, parli! Che è successo ancora?? - sbottò infatti, mentre la donna si avvicinava e, dopo una brevissima esitazione, apriva nuovamente bocca, la voce intrisa di incredulità, ma anche di paura.
-Ecco... Sono entrata nella camera...e... questo... é apparso sul comodino. Dal nulla. Letteralmente. E davanti ai miei occhi.
Cosí dicendo, gli porse l'oggetto che aveva tenuto stretto tra le dita sino a quel momento, e che si rivelò essere un piccolo cartoncino rettangolare: una sorta di biglietto da visita.
Sherlock, attonito e incredulo dalle parole della donna, lo prese; e quando i suoi occhi catturarono le poche parole impresse su di esso, l'incredulità iniziale per le parole della donna-che avevano però risvegliato, in lui, un particolare ricordo-lasciò lo spazio allo stupore:
177A
Bleecker Street
Cautamente, lo voltò: sul retro, erano vergate altre parole, scritte nel medesimo carattere di quell'indirizzo.
La prego, venga, e le spiegherò tutto.
Non vi era firma: ma il consulente detective non ne aveva alcun bisogno.
-Signora Hudson, io devo andare-disse, alzandosi e dirigendosi a passo spedito verso la porta. - Non uscite da questa stanza fino al mio ritorno. E non faccia entrare nessuno. Nemmeno il servizio in camera. Sono stato chiaro??
- Sì... Ma... Sherlock, si può sapere cosa sta succedendo?? Io non capisco! - protestò però la donna con veemenza.
-Neanch'io capisco. Non ancora-replicò con amarezza il detective. - E devo scoprirlo. L'importante é che sia lei che Rosie restiate qui. Al sicuro. Tornerò presto-promise, rivolgendole un piccolo sorriso che voleva essere rassicurante, chiudendosi poi la porta della suite alle spalle e lasciando la donna ancora più sconcertata e confusa.
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Sherlock aveva visto solo una volta il Santuario di New York, in occasione della sua indagine di tre anni prima: ma aveva potuto vedere esclusivamente l'interno-in parte, altresì-e non l'esterno.
Esso, ai suoi occhi, si presentava come un edificio abbastanza imponente, ma allo stesso tempo ben mimetizzato tra gli altri del quartiere del Greenwich Village che lo circondavano.
L'unico dettaglio che saltava effettivamente all'occhio era l'ampia vetrata di forma circolare al di sopra di esso, in corrispondenza del tetto.
Sherlock, infiammato dalla rabbia e dal desiderio di ottenere finalmente qualche risposta ai dubbi che lo avevano colto non appena aveva ricevuto quel messaggio, varcò deciso la porta del Santuario.
Una volta entrato, vide una sagoma in controluce, seduta su una poltrona, di certo in sua attesa.
Ma non era quella che si aspettava.
-... Mycroft??!
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-Che accidenti ci fai qui?!?
-Ciao anche a te, fratellino-ribatté lui di rimando, sarcastico, senza neppure alzarsi. - Sono qui per la stessa ragione per cui lo sei tu.
-Allora sai già che...
Sul volto del politico trapelò, stavolta, del sincero rammarico, mentre annuiva.
-Allora perché diavolo non hai risposto ai miei messaggi?? E alle mie chiamate?? - sbottò Sherlock, un lampo di rabbia negli occhi. - Le hai ricevute, almeno??
-Sì. Tutte e trentotto... -sospirò lui, e sorrisetto sarcastico gli increspò appena le labbra. - Ho particolarmente apprezzato quella in cui mi definivi un... com'era... Ah, giusto: "Borioso pachiderma obsoleto".
-Ero alquanto alterato, visto che non ti sei neppure preso la briga di rispondere! - ribatté il minore, nonostante avvertisse un punta di senso di colpa: maledetto il giorno in cui aveva permesso ai sentimenti di entrare a far parte della sua vita!
-Non potevo, rispondere. Sono accadute molte cose, in queste ultime ore -replicò Mycroft, con una punta di esasperazione nella voce.-La faccenda é più complessa di quanto credi.
-Quale, faccenda?? - esplose Sherlock, esasperato. - Vuoi deciderti a darmi qualche spiegazione, una buona volta??
-Se permette, vorrei essere io, a dargliela.
Sherlock, suo malgrado, sobbalzò, colto di sorpresa: una persona pareva essersi improvvisamente materializzata sulla poltrona di fronte a quella di Mycroft, fino a quel momento vuota.
-Inizia tutto con uomo di nome Arnim Zola-esordì il dottor Stephen Strange, un'espressione cupa in volto. - Ma che, a voi, é noto con il nome di Culverton Smith.
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