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'Quando il dovere chiama, bisogna rispondere.'

Quando Justin uscì di casa il cuore cominciò a battermi forte. Una felpa a maniche lunghe grigia gli scendeva morbida sul petto e i pantaloni bianco latte gli fasciavano bene le gambe. Era bello, o forse di più. Si avvicinò a me piano, con un'andatura sicura e un sorrisino dolce.
Non appena mi fu abbastanza vicino, poggiò una mano sul mio fianco e mi baciò teneramente la fronte.
Oh, ero per caso un ghiacciolo al sole?
"Ciao piccola" sussurò al mio orecchio, provocandomi un brivido lungo la schiena.
"Non chiamarmi così!" gesticolai, per poi coprirmi gli occhi con le mani.
"Sei tenera quando arrossisci." aprì la portiera della sua Range Rover.
Entrai in macchina e mi sentii subito in imbarazzo. Insomma, ero con un ragazzo sicuramente più grande di me -quanti anni aveva? Ancora non gliel'avevo chiesto-, più carino e simpatico e sexy e..tutto. Justin, era più di tutto. Più di tutti. Quei suoi capelli biondi, tanto biondi, abbastanza lunghi che gli scendevano sull'occhio lo rendevano davvero attraente. Inoltre vestiva bene e il tutto contribuiva a renderlo perfetto. Per non parlare del suo carattere. Anche se a volte mi faceva imbestialire, sopratutto quando mi faceva prima sentire una principessa, e poi faceva finta di non conoscermi.
"Quindi devi andare a scuola?" mi chiese qualche minuto dopo.
"Sì, devo." sbuffai, per poi guardarlo con l'intenzione di ispezionare il suo viso per un secondo, ma rimasi incantata da tanta bellezza.
"Devi proprio?" insisté girandosi verso di me. Perché proprio nel momento in cui ti sto fissando imbambolata? Davvero Justin?
"Sì." farfugliai, arrossendo per la seconda volta quella mattina. O forse era la terza?
"E se ti chiedessi di restare con me tutto il giorno?"
"Ti risponderei dicendo che ho una verifica di storia e in storia ho solo B, devo arrivare a prendere una A." risi e guardai di nuovo fuori al finestrino. Il centro di Los Angeles faceva venire la pelle d'oca.
"E ti lamenti? Quando prendevo una B stappavo lo champagne" scoppiai a ridere, assieme a Justin. Per lo meno, qualcun altro era entrato a far parte del mio piccolo pazzo mondo.
Mi sarebbe piaciuto restare tutto il giorno con lui, solo che avevo davvero un'importante verifica e non potevo mancare. Volevo avere il massimo dei voti in più materie possibili e, anche se ciò comportava sacrificio e studio notturno, volevo raggiungere quell'obbiettivo, per sentirmi realizzata e per poter dare soddisfazioni alla mia famiglia.

"Quanti anni hai?" sbottai d'un tratto, desiderando di conoscere più cose di lui.
"Quasi ventiquattro." mi sorrise, entrando in un vialetto che portava alla mia scuola.
"Sei vecchio." dissi dandogli un pugnetto sulla spalla provocando di conseguenza la sua risata. Così dolce e armoniosa. Non appena vidi l'entrata della mia scuola, però, il mio sorriso scomparve. Volevo passare ancora del tempo con lui e, quasi quasi, stavo cominciando a ripensare all'idea di stare con lui tutto il giorno e saltare scuola. Infondo, avrei potuto recuperare un altro giorno la verifica, tanto eravamo ancora ad aprile e avevo ancora due mesi di tempo fino alla fine della scuola per poter arrivare alla A.
"Ci vediamo domani." sussurrai infine, scrutando attentamente quei suoi occhioni color caramello.
"Volevi dire dopo." sussurrò a sua volta, poggiando il palmo caldo della sua mano sul mio viso. Chiusi gli occhi al tocco e sorrisi amaramente.
"Per te 'dopo' significa 'domani'." Riaprii gli occhi e trovai il suo viso a pochissimi centimetri dal mio. Il suo profumo m'inebriò e riuscii a percepire il suo respiro caldo sulle mie labbra. Arrossii visibilmente, stupita da quel contatto. Non l'avevo sentito muovermi, eppure nei miei sogni desideravo averlo ancora più vicino.
"E 'domani' significa 'dopo'." si avvicinò ancora e ancora e ancora, per poi toccare con le sue morbide labbra una mia gota. Sospirai delusa, anche se non dovevo. Avrei tanto voluto che quelle labbra avessero toccato altro, qualcosa che facesse, sì, parte del mio viso, ma che non fosse la fronte o le gote o il naso.

Scesi dall'auto, correndo verso Charly che mi stava aspettando vicino l'entrata principale. Appena mi vide, come sempre, mi saltò al collo e mi strinse forte. Io, da parte mia, ancora non riuscivo a riprendermi, dopo ciò che era successo pochi minuti prima. Mi sentivo delusa, ma sopratutto illusa, perché pensavo volesse baciarmi. Volevo che mi baciasse. Ma non di certo sulla guancia. Anzi, anche sulla guancia, ma sopratutto sulle labbra. Desideravo poterle toccare anch'io, quelle labbra morbide e rosee. Ma è possibile essere gelose delle proprie guance?
"Cos'hai alla prima ora?" mi chiese Charly, non appena arrivammo vicino al nostro armadietto. Rosso, odioso.
"Matematica." sospirai, prendendo il libro. "E tu?"
"Due ore di ginnastica." mi fece l'occhiolino. "Secondo te ci sarà quel figo di Cody?"
"Si allena praticamente tutto il giorno."
"Prendi poco in giro, tu!" le feci la linguaccia. "A dopo."
Ecco, anche lei che mi bacia sulla guancia. Nello stesso punto che aveva toccato Justin.
Scartai l'idea di prendere a pugni l'armadietto, volevo risparmiarmi la figuraccia davanti a tutta la scuola. Ancor prima del suono della campanella arrivai in classe e cominciai a ripassare un paio di formule di matematica, dato che avevamo due ore sicuramente il professor Derick avrebbe interrogato e c'era il rischio che interrogasse anche me.
"Signorina Myers, vuole illuminarci con una sua splendida interrogazione?" guardai il prof Derrick sbigottita, la classe era praticamente del tutto piena e lui proprio me doveva chiamare?
"Come non detto." sussurrai, sorridendo al prof e prendendo un gessetto.

-

Perché alle due ore di matematica doveva susseguirsi una verifica? Perché? Avevo la testa che quasi mi scoppiava a causa delle mancate ore di sonno, così cercai di finire la verifica di storia il prima possibile per poter andare in bagno a sciacquarmi il viso.
Oh, guarda un po', mi ritrovavo a vedere Justin ovunque, anche riflesso nello specchio.
"Smettila di pensarlo, hai pure le allucinazioni." sussurrai tra me e me, bagnandomi leggermente il viso e socchiudendo gli occhi.
"E se non fossi un allucinazione?" sobbalzai non appena due mani si poggiarono sui miei fianchi. Mi girai, già pronta a dare uno schiaffo a chiunque mi stesse toccando. Ma non appena incontrai quegli occhi mi sentii impotente.
"Justin?" sussurrai, toccando il suo viso per poter essere sicura che fosse lui. Bagnò le labbra con la lingua, per poi sorridere. "Hai sentito?" annuì ancora, ridacchiando leggermente. Arrossii e coprii il mio viso con le mani, possibile che dovessi fare così tante figuracce? Inaspettatamente, mi avvicinò a sé e mi strinse in un abbraccio, tanto forte che quasi mi fece mancare l'aria. Però fu uno dei più belli che avessi mai ricevuto.
"Sei un'ossessione." sussurrò, stringendomi sempre di più. "Sei una vera e propria ossessione, Rebecca." deglutii, incapace di muovermi. O meglio, non volevo muovermi. "Vieni via con me." sussurrò, prendendomi dolcemente la mano. Un brivido mi fece tremare completamente. Non avevo mai provato nulla di simile.
"Devo prendere delle cose." sussurrai solamente, incrociando finalmente i suoi occhi. Vennero accesi da una scintilla. "Esco prima io, tu aspettami qui."

Avete presente gli agenti segreti? Ecco, ne ero appena diventata uno. Mi sembrava di essere in un film di 007, assolutamente non dovevano vedere che un ragazzo stesse uscendo dal bagno delle donne. Lo avrebbero arrestato, penso. Sicuramente la preside lo avrebbe cacciato via a calci nel sedere.
Mancavano meno di due minuti al suono della campanella, così entrai in classe a prendere l'astuccio e il libro che avevo portato per ripetere mentre tutti gli altri erano ancora intenti a finire il compito. Uscii, salutando gentilmente il prof che ricambiò con un sorriso. Justin mi aspettava con la schiena poggiata ad un armadietto. "Veloce, accompagnami all'armadietto." sussurrai, correndo per il corridoio seguita dal suo corpo agile.
In pochi minuti arrivammo affianco al mio armadietto, inserii la password e lo aprii, quasi sbattendo la porticina sul naso di Justin. "Scusa." farfugliai posando all'interno dell'armadietto tutto ciò che avevo in mano, per poi richiuderlo. "Ti ho fatto male?" aggrottò le sopracciglia e si grattò la nuca.
"Ahm, no?" alzai gli occhi al cielo e riaprii l'armadietto, prendendo la borsa e cominciando a fare una giustifica dato che avrei saltato le successive due ore. Non appena la vicepreside firmò, uscii dalla suola seguita da Justin. "Ti va di venire a casa mia?" chiese, prendendomi la mano. Cominciò a giocherellare con l'anello che avevo sull'indice destro, era un regalo di mia madre.
"Perché non sfruttiamo la giornata e mi porti a Beverly Hills?"
"Vuoi fare shopping?"
Gli feci la linguaccia e accesi la radio, cominciando a canticchiare una canzone di Craig David abbastanza vecchia. La sua voce era spettacolare, mi piaceva un sacco sopratutto Seven Days.
"Okay per dove si va?" chiese Justin d'un tratto, abbassando il volume della musica.
"Ti metto il navigatore sul cellulare, non lo so nemmeno io." feci spallucce e presi il cellulare, sotto lo sguardo divertito e allo stesso tempo impaurito di Justin.
Una volta inserito l'indirizzo, poggiai il cellulare sul cruscotto in modo tale che Justin potesse guidare in pace e mi lasciai trasportare dalla melodia delle canzoni che trasmettevano in radio. Mi piaceva tanto la musica e da piccola suonavo anche il piano mentre mio fratello la chitarra. Durante le cene in famiglia mamma ci faceva sempre suonare insieme per far vedere a tutti quanto fiera era di noi. Era bello sapere che, nonostante il poco tempo che passavamo insieme dati i suoi impegni di lavoro, lei ci amava sempre così tanto.
"Questa è bellissima." disse Justin, alzando il volume della radio. Era Turn Up the Speakers di Martin Garrix e Afrojack. Un duo potentissimo, a parer mio. Chiusi gli occhi ascoltando la melodia, liberai completamente la mia mente. Justin muoveva la testa a ritmo facendo muovere il suo ciuffo biondo. Perché doveva farlo? Eh? Sentivo i miei ormoni fare le capriole, e il mio stomaco inondarsi di farfalle.
Chiusi gli occhi e sospirai pesantemente, smettila di pensare a lui in quel modo. Continuavo a ripetermi invano, dato che era inevitabile non pensarlo.

Il tempo passò velocemente, infondo non eravamo tanto lontani da quella città Californiana. Scesi dalla macchina euforica, avevo voglia di comprare qualcosa per l'imminente arrivo dell'estate. Infondo ero a Los Angeles e ci sarebbero stati tantissimi turisti, volevo per lo meno fare bella figura e non uscire con la solita canotta e il solito pantaloncino, dato il caldo insopportabile.
O forse, ero euforica perché ero finalmente con Justin.
Entrammo in un paio di negozi abbastanza giovanili, anche se, sinceramente, non mi piaceva nulla di ciò che avevano. Cò che mi piaceva, però, era camminare con Justin e trascinarlo dentro ai negozi, la sua risata mi riempiva il cuore di gioia.
"Questa?" chiesi, indicando una maglietta a mezze maniche nera semplice.
"Troppo dark."
"E questa?" presi una maglia rosa chiaro, semplice anch'essa.
"Troppo confettosa." alzai un sopracciglio, posando anche quella maglia. "Piuttosto, misura questo."
Tra le mani, aveva un vestito verde acqua, molto lungo. Era senza spalline, con una scollatura a forma di cuore e dei brillantini che lo ricoprivano interamente. Annuii contenta, aveva davvero bei gusti.
"Posso esservi utile?" ci si avvicinò una commessa, che squadrò dalla testa ai piedi il biondo al mio fianco. Gli sorrise. Io invece pensai di spaccarle la faccia a suon di pugni.
"Sì, potrebbe provare questo vestito?" intervenne Justin, mettendomi un braccio sulle spalle.
"Certo, vi accompagno al camerino." si girò facendo appositamente finire i capelli raccolti in una cosa di cavallo sul mio viso. Ma si può? "Puoi sederti qui." si avvicinò ad una poltroncina e ci picchiettò su con le mani un paio di volte, indicando Justin. Non appena questi si sedette, mi aprì le ante di un camerino. "Chiamami quando hai finito."
Alzai gli occhi al cielo, sentendo la rabbia ribollire. Stavo quasi per eruttare come se fossi stata un vulcano. Ero certa di esser diventata una vera e propria lampa di fuoco.
Entrai nel camerino e provai prima un paio di pantaloncini e una maglietta. Mi piaceva il fatto che la schiena fosse scoperta. Non appena uscii, però, gli occhi di Justin erano puntati in una direzione completamente opposta a quella del mio camerino.
Della serie, io sono a sinistra e tu guardi a destra. C'è qualquadra che non cosa.
"Ti piace?" chiesi a Justin, facendo un giro su me stessa. Nessuna risposta. "Justin?"
"Stai benissimo." rispose, facendo spallucce senza nemmeno degnarmi di uno sguardo.
"Ma se non mi hai nemmeno guardata." incrociai le braccia al petto e alzai un sopracciglio, sentendo la pazienza davvero andare a quel paese.
"Tanto sei bella sempre." si girò finalmente a guardarmi e sorrise. "Come ho già detto, sei bella sempre."
Arrossii e mi richiusi nel camerino. Come poteva un secondo prima farmi arrabbiare e un secondo dopo farmi arrossire? Era assurdo l'effetto che aveva su di me. Era in grado di congelarmi facendo lo strafottente, ma anche in grado di scongelarmi un secondo dopo con un sorriso. Come potesse riuscirci, era un'enigma per me.
Provai un'altra maglietta e un'altra ancora, trovando sempre Justin a guardare in una direzione completamente diversa dalla mia.
"Potresti farmi il piace di guardarmi? Se non avessi voluto il tuo aiuto, non sarei venuta qui con te." sospirai, entrando nuovamente in camerino.
Era l'ora del vestito.
Mi spogliai completamente e indossai quello che doveva essere uno dei più bei vestiti che io avessi mai visto. Arrivava a terra, ma era stupendo. Si poggiava bene sul mio corpo, e la spaccatura era così lunga che arrivava a metà coscia. Indossai dei tacchi che precedentemente avevo portato in camerino per poter provare il vestito e uscii, beccando nuovamente Justin guardare da tutt'altra parte. E guarda caso, proprio verso quella commessa che si abbassava formando un angolo di novanta gradi verso la sua direzione.
"Justin.." sussurrai, cercando di attirare la sua attenzione. "Potresti guardarmi?" chiesi ancora. "Justin."

Justin's POV.
Rebecca continuava a chiamarmi, ma uno spettacolo ancora più bello si mostrava davanti ai miei occhi. Dio, quella commessa era davvero sexy. Aveva un corpo perfetto, con due bombe a posto del seno. Mi passava e spassava davanti, muovendosi come se fosse l'ottava meraviglia del mondo.
"Justin!" questa volta urlò, così che mi girai verso la sua direzione.
E dire che ero stato un cretino a pensare quanto sexy fosse la commessa era poco.
Rebecca aveva indossato il vestito che avevo scelto per lei, e avevo fatto davvero bene a farglielo misurare. Era bellissima, o forse di più. La scrutai, dal basso verso l'alto. Non appena trovai il suo viso e i suoi occhi, rimasi spiazzato. Non li avevo mai visti così.. delusi?
Sospirò e tornò in camerino. La voglia di entrare e chiederle cosa fosse successo era dannatamente forte, ma decisi di non oltrepassare la sua privacy. Uscì, lasciando tutti i vestiti in camerino senza nemmeno degnarmi di uno sguardo. Si avviò alla porta e andò via, lasciandomi solo.
Justin, sei un cretino, lo sai vero? Urlò il mio subconscio. Passai una mano sul viso e velocemente mi alzai. Presi il vestito, lo portai alla cassa e chiesi ad un'altra commessa se poteva mettermelo da parte. "Tornerò nel pomeriggio." la commessa annuì e lo poggiò in una busta, così uscii in cerca di Rebecca. La trovai a pochi metri di distanza dal negozio, camminava a passo svelto e aveva i pugni serrati. L'avevo fatta grossa.
"Becky!" urlai, ma non mi ascoltò. "Dai, non fare la bambina." mi avvicinai correndo e le presi un polso.
"Io? Una bambina? Ma ti senti? Sei stato tutto il tempo a guardare il culo di quella, che tra l'altro era pure tutta rifatta. Ti ho chiamato un sacco di volte e tu non mi hai ascoltata. Piuttosto che stare con te, preferisco andare a casa a cucinare per i miei fratelli. Almeno loro mi ascoltano!" sbottò, strattonando il suo polso.
"Sai vero di parlare troppo?" mi avvicinai al suo viso. Si bloccò subito. Amavo l'affetto che avevo su di lei.
"E tu sai vero di essere uno strafottente?" disse, quasi in un sussurro.
"Ma sei attratta da me." sussurrai a mia volta, portando il suo polso dietro la sua schiena e avvicinandola a me.
"Ancora con questa storia?" arrossì.
"Perché, non ti piaccio?"
"Ho detto che sei figo, non che mi piaci."
"Dalle mie parti quando si dice che una persona è attraente vuol dire che c'è dell'interesse."
"Dipende dal tipo di interesse" alzai un sopracciglio e la voglia di baciarla crebbe. Sì, avevo una dannata voglia di divorare quelle labbra che sembravano così morbide. "Mi accompagni a casa? Devo cucinare per i miei fratelli." non risposi, mi limitai a fissare i suoi occhi verdi. "Se non vuoi posso anche andare da sola." provò a liberarsi dalla mia presa, ma la avvicinai a me ancora di più.
"Ti accompagno." annuì e, in silenzio, camminammo verso la macchina. Sembrava pensierosa, trovavo quell'espressione così buffa e tenera. Provai a prenderle la mano ma si scostò, evidentemente ancora arrabbiata. Sospirai, forse l'ho fatta davvero grossa, pensai.
Entrammo in macchina e il mio cellulare cominciò a vibrare. Un punto esclamativo rosso compariva sul mio schermo e ciò, voleva dire solo una cosa.
"Che succede?" chiese Rebecca, notando che ero partito velocemente.
"Ho un impegno urgente." dissi solamente, correndo per le vie di Beverly Hills fino ad arrivare fuori casa sua in pochissimi minuti. "Ci vediamo domani, va bene?"
"Immagino che il 'domani' di adesso non sia come il 'domani' di stamattina, vero?" chiese, alludendo al fatto che quella mattina ci eravamo rivisti nonostante il fatto che mi avesse detto 'a domani'.
"Non lo so." risposi. Ed effettivamente, non lo sapevo.
Uscì dall'auto, senza nemmeno salutarmi. La guardai avvicinarsi alla porta di casa sua a passo svelto. Era sicura, determinata, bellissima. Prima di chiudere la porta alle sue spalle, mi salutò con un gesto della mano. Feci lo stesso, per poi vedere la sua figura scomparire.
Sospirai, già sentendo la sua mancanza.
Parcheggiai la mia Range Rover nel garage, per poi toccare col piede uno dei quattro angoli della stanza, proprio al centro del battiscopa. Mi assicurai che non ci fosse nessuno ed entrai, trovandomi di fronte delle porte di vetro illuminate da alcuni faretti azzurri. Il muro si chiuse alle mie spalle, su un piccolo quadrato sulla sinistra digitai le cifre 1349 e lasciai che le mie impronte digitali potessero essere analizzate.
"Può entrare, signore" una voce metallica echeggiò nel piccolo stanzino.

Quando il dovere chiama, bisogna rispondere.

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